REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OLDI Paolo - Presidente -
Dott. SAVANI Piero - Consigliere -
Dott. PALLA Stefano - Consigliere -
Dott. SABEONE Gerardo - rel. Consigliere -
Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.L.;
F.L. ;
avverso la sentenza n. 2957/2009 CORTE APPELLO di BARI, del 20/12/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/05/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALASSO Aurelio che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
Udito, per la parte civile, l'Avv. Tullio Bertolino;
Uditi i difensori Avv.ti Michele Quinto e Francesco Paolo Sisto.

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 20 dicembre 2011, ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Trani del 9 dicembre 2008 che aveva condannato F.L. e P. L., il primo quale amministratore dall'8 giugno 1988 al 18 maggio 1999 e il secondo quale liquidatore da tale data fino al fallimento della Immobiliare Federcommercio s.r.l. dichiarata fallita il 24 gennaio 2001 per i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta impropria da reato societario.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo del proprio difensore, lamentando:
il P.:
a) l'inosservanza delle norme di legge e una motivazione incongrua quanto all'affermazione della propria penale responsabilità quale liquidatore della società;
b) una carenza di motivazione quanto alla determinazione della pena.
Il F.:
a) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito all'affermazione della penale responsabilità per gli ascritti reati di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta impropria da reato societario (aver contribuito a cagionare il dissesto attraverso l'esposizione nei bilanci di fatti non rispondenti al vero, consistenti nell'indicazione di crediti vantati nei confronti della federazione del commercio e del turismo di Bari per servizi, per rapporti di finanziamento e per quote di capitale sottoscritto nonchè della omessa indicazione dei debiti previdenziali e connesse sanzioni amministrative, sanzioni tributarie e postergazione di scadenze di debiti);
b) una violazione di legge e una motivazione illogica per la dichiarazione di prescrizione della bancarotta preferenziale di cui al capo B dell'imputazione per la quale era già intervenuto proscioglimento in primo grado.

Motivazione

1. Il ricorso P. è infondato e non merita accoglimento.

2. In tema di reati fallimentari, la responsabilità del liquidatore deriva non solo dalla L. Fall., art. 223, ma anche dall'art. 2489 c.c., che rinvia alle norme in tema di responsabilità degli amministratori e, quindi, anche all'art. 2932 c.c., il quale fissa un principio di ordine generale, per il quale l'amministratore deve vigilare sulla gestione ed impedire il compimento di atti pregiudizievoli, oltre che attenuarne le conseguenze dannose, di guisa che sussiste anche per i liquidatori una posizione di garanzia del bene giuridico penalmente tutelato, con conseguente ineludibile responsabilità, ex art. 40 cpv. c.p., ove i detti obblighi siano disattesi; inoltre i liquidatori hanno l'obbligo di ricevere in consegna i libri sociali (art. 2487 bis c.c., comma 3) che si estende addirittura anche al liquidatore nominato successivamente in sostituzione del precedente; pertanto non può ritenersi esente da responsabilità il liquidatore che non riceve i libri contabili e che omette ogni controllo sulla loro esistenza e sulla loro regolare tenuta (v. Cass. Sez. 5 8 novembre 2007 n. 8260 e 14 giugno 2011 n. 36435).

Va affrontato ora il problema, che il ricorrente ha trattato in modo molto diffuso, della riconducibilità da un punto di vista soggettivo dell'evento al titolare della posizione di garanzia.
Il ricorrente ha molto insistito sul punto del poco tempo intercorso tra la nomina a liquidatore e la dichiarazione di fallimento ed ha affermato come sia necessaria la prova della effettiva conoscenza da parte del liquidatore della attività infedele posta in essere dall'amministratore effettivo.
Non sembra che il problema possa essere impostato in tal modo.
La questione deve essere risolta tenendo presente quali siano i precisi obblighi dell'amministratore e/o del liquidatore.
Ebbene costoro hanno compiti di gestione della società di capitali e possono, pertanto, porre in essere tutti gli atti, anche di disposizione, necessari per il raggiungimento degli scopi sociali.
Essi, però, hanno anche precisi poteri-doveri di vigilanza sulle attività poste in essere da tutti coloro che, in via di diritto o di fatto, agiscano per conto della società e di controllo sull'operato di chiunque operi all'interno dell'azienda.
E' evidente che, non potendo controllare e vigilare tutte le attività della società personalmente, il liquidatore dovrà darsi una organizzazione che sia idonea non solo al raggiungimento degli scopi sociali, ma anche ad impedire che vengano posti in essere atti di grave pregiudizio nei confronti dei soci, dei creditori e dei terzi.
Ed allora la responsabilità dell'amministratore o del liquidatore sarà ravvisabile non soltanto quando a conoscenza di un atto pregiudizievole non si attivi per impedire l'evento, ma anche quando non si sia dato una organizzazione idonea a garantire gli interessi che lui ha l'obbligo, per legge, di tutelare, consentendo in tal modo che altri possano ledere i suddetti interessi.

Insomma, più che fare riferimento a concetti un poco evanescenti e non facilmente verificabili è necessario fare riferimento, per la imputabilità soggettiva, alla violazione di un preciso dovere che è quello di darsi una organizzazione idonea a prevenire il compimento di atti pregiudizievoli, proprio perchè senza una organizzazione idonea non si rispettano i doveri di vigilanza e controllo.
Gli amministratori ed anche i liquidatori debbono dimostrare di avere fatto tutto ciò che era nelle loro possibilità per attuare una efficace vigilanza ed un rigoroso controllo.

E' necessario, a questo punto, individuare quale sia il titolo di responsabilità ravvisabile nella condotta del P.
Nel caso del titolare dell'obbligo di garanzia il dolo sarà ravvisabile quando si abbia conoscenza di una condotta infedele da altri posta in essere e non se ne neutralizzino gli effetti, oppure quando consapevolmente si ometta di dare attuazione nel senso dinanzi delineato agli obblighi di vigilanza e controllo.
Ebbene nel caso di specie i Giudici del merito, con accertamento in fatto incensurabile avanti questa Corte di legittimità in quanto sorretto da congrua e logica motivazione, hanno ritenuto che il P. avesse precisa conoscenza delle attività poste in essere dal F. non solo perchè come liquidatore avrebbe dovuto avere accesso a tutta la documentazione contabile ma anche e soprattutto perchè, a partire dal suo insediamento, non ha cooperato al reperimento delle scritture contabili necessarie alla ricostruzione del patrimonio e degli affari della società nè risulta essersi attivato al fine di permettere una corretta redazione del bilancio e delle scritture contabili societarie durante la fase della liquidazione.
Di converso, il liquidatore aveva addirittura dichiarato al Curatore di aver consegnato le scritture contabili ad uno studio tributario, circostanza non veritiera e confermata dalla mancata indicazione ai competenti Organi tributari della consegna a terzi della contabilità societaria (v. pagina 5 dell'impugnata sentenza).

3. Quanto al secondo motivo, esso è ai limiti dell'inammissibilità in quanto, da un lato, la pena inflitta non è illegale e, d'altro canto, la concessione delle attenuanti generiche prevalenti alla contestata aggravante, con relativa motivazione sul punto (v. pagina 14 dell'impugnata sentenza) ha comportato addirittura una riduzione della pena inflitta in prime cure.

4. Quanto al ricorso F., del pari, non è meritevole di accoglimento.
5. Quanto al primo motivo si osserva come il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (L. Fall., art. 216, e art. 223, comma 1) e quello di bancarotta impropria (art. 223, comma 2, n. 2, L. cit.), concernano ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività nè si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili, ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento.
Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta L. Fall., ex art. 216, si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali, concretandosi in abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l'andamento economico finanziario della società, siano stati causa del fallimento (v. Cass. Sez. 5^ 17 febbraio 2010 n. 17978).

Nella specie la Corte territoriale, da un lato, ha dato conto della ascritta bancarotta fraudolenta documentale (v. da pagina 4 a pagina 7 della motivazione) con riferimento agli accertamenti eseguiti in prime cure e neppure contestati dagli imputati, secondo i quali al Curatore era stata consegnata una parte insignificante di documentazione contabile tale da non permettere la benchè minima ricostruzione del patrimonio societario e del movimento degli affari.
Inoltre, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, tutte le scritture, obbligatorie e facoltative (o anche atipiche) possono essere oggetto materiale del reato, che si focalizza sull'evento previsto dalla norma inteso quale insuscettibilità alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (v. la citata Cass. Sez. 5^ 2 marzo 2011 n. 15065).
Pertanto l'osservazione che le annotazioni non siano considerate obbligatorie ma meramente ausiliari non rileva nella valutazione della condotta illecita.
Con riferimento alla bancarotta fraudolenta impropria, quanto ai dedotti limiti temporali, si osserva che in tema di reati fallimentari le dimissioni dalla carica gestoria risultino in sè ininfluenti ed incapaci ad interrompere il nesso di causalità con l'evento pregiudizievole per la società, sotteso all'art. 40 cpv. c.p. (v. Cass. Sez. 5 14 dicembre 2011 n. 3714).
Esse, quindi, non sono idonee ad esimere dalla penale responsabilità chi è tenuto ad interrompere il rapporto eziologico che sfocia nella verificazione del danno.
Si tratta, invero, di un atto che, non incidendo sulla continuità eziologica, tende soltanto a procurare un'apparente distanza tra l'illecita mancanza e la personale responsabilità del soggetto, ma, nella sostanza, non è in grado di escludere il tradimento degli obblighi gravanti sull'esponente societario, posto in posizione di garanzia.

Inoltre, in tema della cd. "bancarotta societaria" (L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1), sia il richiamo alla rilevanza delle cause successive, espressamente dispiegata dall'art. 41 c.p., che disciplina il legame eziologico tra il comportamento illecito e l'evento, sia la circostanza per cui il fenomeno del dissesto non si esprime istantaneamente, ma con progressione e durata nel tempo (tanto da esser suscettibile di misurazione), assegnano influenza ad ogni condotta che incida, aggravandolo, sullo stato di dissesto già maturato (v. Cass. Sez. 5 4 marzo 2010 n. 16259).
Ai limiti dell'inammissibilità è la parte della doglianza che prende in esame le singole operazioni fittizie che sono state indicate nel capo d'imputazione e che sono state conformemente valutate da entrambi i Giudici del merito.
Richiedere a questa Corte di legittimità di rileggere gli accertamenti in fatto operati sulla base di accertamenti tecnici logicamente valutati appare essere operazione non consentita dai limiti del presente giudizio.

6. Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso.
Innanzitutto la prescrizione ha colpito la residua parte del capo B che non era stata intaccata dal proscioglimento in prime cure e cioè due dationes in solutum di immobili societari per estinzione di debiti in violazione della par condicio creditorum.
Ciò si evince dalla motivazione dell'impugnata sentenza (v. pagine 14 e 15) nella quale si giustifica l'applicazione della causa di non punibilità del trascorrere del tempo in considerazione della colpevolezza dell'imputato con ciò dando seguito a quanto affermato da questa Corte nella sua massima composizione.
In presenza di una causa estintiva del reato, il Giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione, a norma dell'art. 129 c.p.p., solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, tanto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di "apprezzamento" (v. a partire dalle Sezioni Unite 28 maggio 2009 n. 35490).
Il concetto di "evidenza", richiesto dall'indicato art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone, quindi, la manifestazione di una volontà processuale chiara e obbiettiva, che renda superflua ogni dimostrazione, concretandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato.
Nel caso di specie, l'esame della decisione impugnata non manifesta affatto la indicata evidenza, se è vero che la portata del compendio investigativo in atti ha, di converso, portato alla esplicazione, in maniera logica e conformemente ai principi nella materia, dei motivi per i quali l'imputato non potesse essere prosciolto.
A ciò si aggiunga come le stesse Sezioni Unite (nella citata sentenza) abbiano ulteriormente precisato come, in presenza di una causa di estinzione del reato, non siano rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il Giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva.

7. I ricorsi vanno, pertanto, rigettati e i ricorrenti condannati ciascuno al pagamento delle spese processuali nonchè in solido alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè in solido alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2014


 

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