Svolgimento del processo

Il 26 Maggio 2004 Ri. Ga., unico socio della Ca. Ca. S.p.a. corrente in Catania, cede tutte le quote della società ad An. Pu. il quale acquista in proprio in ragione del 5% e nella qualità di amministratore unico della società Fi. S.p.a. per il restante 95%, corrispondendo complessivamente la somma di Euro 4.000.000,00 gravante per Euro 200.000,00 sulla persona fisica e per Euro 3.800.000,00 sulla società acquirente (somma pagata per contanti mediante bonifico bancario, come da contestuale quietanza data dal cedente), con pattuizione di possibile integrazione di prezzo (Euro 10.000.000) in caso di partecipazione della squadra di calcio al successivo campionato di serie A.
La stipula avviene previa conoscenza da parte dell'acquirente di un prospetto dello stato patrimoniale della scietà ceduta, elativa ai movimenti dal 1.7.2003 al 25.5.2004, recante l'indicazione del totale delle attività in misura di Euro 4.241.332,25 e della perdita di periodo d'importo pari a Euro 7.474.517,78 (somma, quest'ultima ottenuta detraendo l'ammontare delle attività dal totale delle passività pari ad Euro 11.715.850,00).
Il versamento delle somme per l'acquisto è operato movimentando il conto corrente di altra società, la Me. s.r.l., controllata al 98% da Fi. e della quale il Pu. è amministratore delegato, in capo alla quale vengono accesi nei confronti di entrambi gli acquirenti crediti di importo corrispondenti alle somme di rispettiva pertinenza.
Il 14.6.2004 il consiglio di amministrazione della Me. s.r.l. conferisce al presidente Pu. il potere di acquistare il 95% delle azioni del Ca.Ca.S.p.a. si che con atto stipulato il giono successivo la Me. acquista dal Pu. il 5% delle quote e dalla Fi. il 90% del pacchetto azionario, restando a tale ultima società una partecipazione del 5%.
Chiuso l'esercizio della società sportiva al 30.6.204, l'assemblea dei soci il 25.10.2004 approva il bilancio, registrando una perdita di esercizio di Euro 7.549.796,00, e in seduta straordinaria delibera di coprire la perdita mediante azzeramento del capitale sociale e ricostituzione del medesimo, attraverso versamenti dei soci in misura proporzionale alle quote possedute, per importo pari ad Euro 120.360,00.
I versamenti effetuati in tale sede, pari ad Euro 7.188.798,20, sono imputati da Me ad aumento del costo della partecipazione.
Il 1.12.2004 Me. vende nuovamente a Fi. il 90% delle azioni della Ca.Ca. al costo di originario acquisto (Euro 3.600.000) pattuendo il versamento del corrispettivo in 4 rate da Euro 900.000,00 l'una, con cadenza annuale a partire dal 30.6.2005; espone, quindi in contabilità, con riflessi sulla dichiarazione UNICO 2005 relativa ai redditi del 2004, una minusvalenza di Euro 6.810.440,32 computata detraendo dal costo complessivo sostenuto per l'acquisto delle quote e il ripianamento delle perdite - pari ad Euro 10.410.440,32 - il corrispettivo della cessione operata dopo quell'intervento (Euro 3.600.000,00).
Nel primo semestre 2006 viene condotta ei confronti di Me. S.r.l. una verifica da parte della direzione regionale dell'Agenzia delle Entrate della Sicilia, Ufficio controlli fiscali, che si conclude, per quanto qui rileva, con la segnalazione a carico di Pu. An. del reato di cui all'art. 4 D.Lgs. 10.3.200 n.74, avendo i verificatori ritenuto che la menzionata minusvalenza, derivasse da condotta elusiva e fosse pertanto da assimilare ad elemento passivo fittizio ai fini della predetta disposizione penale.
Alla segnalazione inoltrata ai sensi dell'art. 331 c.p.p. è allegato il verbale di constatazione, con richiami alla memoria della parte redatta in risposta alla richiesta di chiarimenti sull'operazione in riferimento.
Ne consegue l'elevazione a carico del Pu. dell'imputazione descritta in epigrafe, in sede dibattimentale, ove viene operata un'ampia produzione documentale, la posizione d'accusa è dettagliata attraverso la deposizione del verbalizzante Fi. Pa. funzionario dell'Agenzia delle Entrate che partecipò alla verifica fiscale, nei confronti della Me. S.r.l.; egli riferisce in ordine all'intera operazione sopra sintetizzata, pecisando che nella prima fase di essa - che vide il trasferimento del Ca. Ca. da Ga. a Fi. e da questa a Me. - l'esborso fu interamente sostenuto da quest'ultima, sul cui conto venne addebitato l'importo di pagamento delle partecipazioni benchè contraente fosse la società controllante; nel momento di trasferimento della titolarità da questa a Me. non vi fu poi alcun versamento effettivo di denaro in quanto l'aspetto monetario fu regolato con compensazione tra il credito nascente dalla vendita delle partecipazioni da parte di Fi. ed il debito dalla medesima contratto a seguito dell'utilizzazione dei fondi di Me. per l'acquisto dal terzo; seguirono il ripianamento della situazione della società sportiva, con azzeramento e ricostituzione del capitale sociale, ed il nuovo trasferimento di essa a Fi. nei termini riportati.
Dato di centrale importanza, documentalmente rilevabile e confermato dal teste, è che tutta l'operazione sia stata ricostruita, dagli accertatori sulla base delle scritture contabili della Me. s.r.l., ove sono riportati puntualmentetutti i passaggi in cui essa fu articolata; quanto alla modalià di esposizione della minusvalenza il Fi. ha chiarito che la posta è stata inserita nel bilancio quale voce di perdita, si che essa non è auonomamente indicata nella dichiarazione unico 2005 ma si riflette sulla determinazione del valore del reddito finale ivi riportato; osserva in altre parole il teste che l'aver inserito la minusvalenza quale elemento passivo ha determinato, secondo criteri trasparenti, una variazione di pari importo in diminuizione del reddito finale.
Non vi fu quindi alcun occultamento o esposizione inveritiera dei movimenti economici elativi alle partecipazioni di cui si tratta, essendo piuttosto la segnalazione di reato conseguita all'interpretazione dei dati rilevati: premesso un cenno alla modifica nomativa operativa dal 2004 - tale per cui la deduzione delle perdite da svalutazione delle partecipazioni divenne operabile, diversamente da quanto previsto in precedenza, solo al realizzo, e cioè al momento di vendita della partecipazione - l'Ufficio ritenne che la minusvalenza in questione fosse il fruto di un'operazione elusiva, volta esclusivamente al conseguimento di un vantaggio fiscale inopponibile all'amministrazione finanziaria e, stante l'importo, da valutare altresì alla luce della normativa penale di settore.
Da parte difensiva alcuni testi sono stati escussi in merito a profili di fatto, inerenti alle trattative ed alla conclusione del contratto di cessione della società sportiva tra Ga. e Pu., onde in particolare evidenziare che la fase di perfezionamento dell'accordo subì un'accelerazione imprevista in ragione della stretta ad essa impressa dal Ga., che costrinse per un verso alla stipula immediata dell'atto notarile alle condizioni economiche in esso trasfuse e per alto all'indicazione quale acquirente della società Fi., invece che della Me. srl, poichè il Pu. aveva potere d'impegnare senza autorizzazione degli organi sociali solo la prima e non anche la controllata.
Ma il cuore della tesi difensiva viene sviluppata in dibattimento, per quanto si rivela maggiormente incidente sulla decisione, attraverso gli argomenti esposti dal consulente dr. Gi. e dalla teste dr.ssa Sa.
Il consulente della difesa riprende i contenuti della relazione di consulenza tecnica redata nell'interesse della parte; nella relazione, cme nella deposizione, si fa riferimento all'effettività delle operazioni esposte in bilancio, alla correttezza delle appostazioni ed alla reale esistenza della minusvalenza di cui si discetta; sotto il profilo dell'esistenza di valide ragioni economice fondanti l'operazione in questione, il dr. Gi., richiamate le argomentazioni sviluppate nella nota di chiarimenti all'Agenzia delle Entrate, evidenzia per un verso che l'acquisto del Ca.Ca aveva lo scopo di consentire a Fi. S.p.a. di acquisire visibilità e agevolare così un ulteriore sviluppo dell'intero gruppo societario, per altro che lo stesso prezzo di cessione pattuito tra le parti, superiore al valore di mercato della partecipazione, è di per sè indicativo delle ragioni economiche dell'operazione di ritrasferimento; dice infatti il consulente, nella relazione oralmente confermata, che "grazie ad una cessione ad un prezzo più elevato rispetto all'effettivo valore di mercato della partecipazione, Me. ottiene da Fi. da un lato un finanziamento, sebbene dilazionato nel tempo (trattasi infatti di un'operazione di mero smobilizzo di titoli) e dall'altro, ottiene un maggiore realizzo (rispetto all'effettivo valore di mercato) che le consente di coprire una futura perdita d'esercizio"; secondo la ricostruzione offerta dal consulente, infatti, il valore nominale della partecipazione nel Ca. Ca. dopo il ripianamento delle perdite era pari ad euro 108.000 ed era prevedibile che rispetto alla situazione patrimoniale inziaile vi fossero perdite su crediti per circa Euo 2.5 milioni, si che qualora la società cedente avesse venduto la partecipazione sul mercato, inevitabilmente al minor valore sopra precisato avrebbe usufruito di un risparmio Fiscale nettamente superiore (per effetto della magior minusvalenza che avrebe realizzato). A ciò si aggiunga, continua la deposizione sul punto, il vanaggio derivante dalla possibilità di conteggiare a fine anno un'entrata di Euro 3.600.000, corrispettivo della cessione, piuttosto che la presenza di una partecipazione al valore pressochè pari a zero, utilità economica affiancata al isparmio fiscale indotto dalla deducibilità della minusvalenza.
E' comunque vero, risponde il consulente a specifica domanda, che tutta l'operazione scontò sin dall'inizio un consapevole forte iato tra il valore effettivo della società acquistata dal Ga. e il prezzo versato a tale titolo, dato che avrebbe in ogni caso richiesto di essere trattato in modo da evitare riflessi di aggrvaio in sede di bilancio.
La deposizione appena sintetizzata si avvale di argomenti spesi anche dalla commercialista delle società del pu., dr.ssa Sa. - escussa all'udienza del 11.11.2008, la quale, dopo aver ribadito le ragioni che avevano condotto ad una prima intestazione della società a Fi., legate alla mancanza di titolo autorizzativo all'acquisto in capo al Pu. quale amministratore delegato della me. srl, spiega che dopo l'approvazione del bilancio della Ca.Ca. la partecipazione fu ritrasfeita a Fi. in quanto "nell'ottca del gruppo tutte le partecipazioni mobiliari e immobiliari sono tenute dalla capogruppo"; anche tale teste evidenzia che l'importo cui riferire il valore nominale della società doveva individuarsi in quello del capitale ricostituito, pari ad Euro 120.000,00 e che nella situazione patrimoniale della Ca.Ca. vi erano posizioni di credito dubbie, con particolare iferimento ad un credito che la socieà spotiva vantava nei confroti del precedente titolare Ga. per circa 2,5 milioni di euro.
Quindi, concluse la Sa., la quotazione al costo di 4 mln di Euro non corrispondeva al valore del patrimonio dei Ca.Ca, ma era stata mantenuta solo per rispettare la cifra di ingresso ed evitare sospetti di operazioni non corrette infragruppo; ichiesta di chiarimenti in ordine al fatto che Me, abbia venduto dopo aver affrontato per l'intera operazione un esborso molto più alto di 4 milioni di Euo, la teste ha sottolineato il rischio che l'impegno economico implicato dalla società sportiva potesse incrementarsi in ragione di crediti e deii di dubbio sviluppo e a fonte della contestazione secondo la quale la situazione evidenziata, ed in particolare l'incertezza ancora gravante sulla riscossione del credito vanato dalla Ca.Ca nei confronti di Ga. avrebbe potuto suggerire o un compuo di tale voce nella contrattazione con Fi. ovvero uno slittamento in avanti del momento di trasferimento della società, così da attribuire certezza alla situazione patrimoniale della stessa, la Sa. conclude nel senso che si trattò di una scelta coerente con la politica del gruppo, poichè l'orientamento era quello di mantenere le titolarità alla capogruppo e liberare da intestazioni parimoniali le società operative quale la Me. Infine, circa le finalià d'immagine perseguite attraverso l'acquisizione della società calcistica, la teste a rilevato come la visibilità data al gruppo investa il medesimo nel suo complesso, a prescindere dall'intestazione del bene ad una o altra componente.
Ad esito il PM ha chiesto riconoscersi la penale rilevanza della condotta descritta in imputazione ai sensi della norma ivi richiamata, con conseguente condanna del pu., e le difese hanno concluso con opposta richiesta, contestando - anche attraverso approfondita memoria - sia il carattere elusivo dell'operazione posta in essere dall'imputato sia, in ogni caso, la riconducibilità di essa alla fattispecie contestata.

Motivazione

Sulla base dell'istruttoria svolta, punti incontroversi ed essenziali alla valutazione risultano i seguenti:
- i movimenti economici determinati dalle operazione di trasferimento delle azioni della Ca. Ca. da Ga. alla Fi., da questa alla Me. e nuovamente dalla Me a Fi. sono tutti esposti nelle scritture contabili per importi corrispondenti all'effettivo;
- egualmente esposti sono gli esborsi determinati dal ripianamento del bilancio della Ca.Ca. con azzeramento Euro ricostituzione del capitale sociale;
- la minusvalenza esposa e portata in detrazione è risultata dalla differenza tra il costo della partecipazioNe, incrementato dal versamento necessario al predetto ripianamento, e il prezzo di rivendita. Contabilmente quindi essa è una posta effettiva;
- il maggior costo delle partecipazioni non avrebbe potuto essere portato in deduzione se non attraverso la cessione di esse e il realizzarsi della perdita da minusvalenza.
Su tale base, lo stesso Organo d'accusa muove da una prospettazione che delinea la condotta penalmente rilevante sul doppio presupposto che la minusvalenza, pur reale, sia frutto di operazione elusiva e che tale connotazione definisca l'elemento passivo esposto come fittizio ai sensi dell'art. 4 d.lgs. 74/00.
Vanno quindi esaminati distintamente i due aspetti, pur sin d'ora anticipando che il tema dell'elusività dell'operazione sarà approfondito entro i limiti funzionali alla configurazione del reato contestato, ruotando la motivazione della sentenza principalmente sul secondo cardine del costrutto accusatorio con esito di esclusione della rilevanza penale della condotta elusiva.

Qualificazione della condotta contestata come elusiva
Richiamando sinteticamente i criteri di individuazione del fenomeno elusivo secondo quanto normativamente stabilito, e criticamente letto dagli interpreti, si rammenta che ai sensi dell'art. 37 bis co. 1 dpr 600/73, introdotto dall'art. 7 d.lvo. 358/97 espressamente finalizzato all'individuazione di operazioni di natura elusiva, "sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti".
Operazione elusiva e quindi quella 1) volta ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario 2) per conseguire un vantaggio fiscale non ottenibile attraverso modalità conformi al sistema, e 3) non sostenuta da valide ragioni economiche extrafiscali.
I parametri dettati, delimitano il confine tra l'elusione fiscale, fruto di aggiramento e foriera di esiti inopponibili all'amministrazione, ed il risparmio d'imposta, derivante dalla legittima scelta del percorso fiscalmente meno oneroso tra alternative; consentite dall'ordinamento tributario e parimenti appropriate all'operazione (come peraltro evidenziato anche nella relazione governativa di accompagnamento allo schema del decreto che introdusse l'art. 37 bis cit., laddove si riconosce ra l'altro il carattere internazionale del principio secondo cui il soggetto passivo d'imposta deve poter regolare i propi affari in modo da subire il minor aggravio fiscale, scattando le norme antielusione solo quando l'abuso di tale libertà dia luogo a "manipolazioni, scappatoie e strategemmi che pur formalmente legali finiscono per stravolgere i principi del sistema").
Ancora, prima di verificare la riconducibilità della vicenda in esame alla fisionomia dell'operazione elusiva, è utile il richiamo ad ulteriori elementi specificativi offerti in materia dalla recente lettura giurisprudenziale; così va menzionata la pronuncia (Cass. civ. Sez. V. 08-04-2009, n.8487, con richiami a precedenti arresti anche delle Sezioni unite, v. SS.UU., 3005/08 con la quale la Corte di Cassazione ha precisato che "la norma antielusiva in questione (...) non richiede il presupposto della fraudolenza (elemento tipico della fode fiscale) del comportamento attraverso il quale si ottiene un risparmio di imposta - essendo sufficiente un uso improprio o ingiustificato (...) di uno strumento giuridico legittimo, utilizzato alla luce del sole, che consenta però di eludere l'applicazione di un regime fiscale proprio dell'operazione presupposta di imposta - e che basta anche la realizzazione di un singolo atto, inteso soltanto ad ottenere un risparmio fiscale, perchè operi la citata disposizione antielusiva". Quanto al fondamento di principio della previsione la Corte osserva poi: "(...) l'ordinamento fiscale non intende premiare scelte imprenditoriali che non siano determinate da valutazioni di economia sostanziale, (...) E' evidene che una operazione economica realizzata al solo fine di ottenere un risparmio fiscale (a prescindere da connotazioni di fraudolenza) è una operazione che conasta con lutilità sociale, sia nel senso che lede il principio di solidarietà, sia nel senso che determina una indebita riduzione del gettito fiscale. (...) la norma di contrasto all'elusione non ha come finalità quella di penalizzare il contribuente che non ha commesso nessuna violazione, bensì quella di garantire l'eguaglianza del rattamento fiscale. (...) L'art. 37 bis tende soltanto a riportare sotto il regime della disciplina fiscale, comune una operazione; che a tale regime è stata sottratta senza ragione".
Necessario ancora ad un utile trattazione è il richiamo alla poblematica, relativa all'interpretazione dell'espressione "valide ragioni economiche", la cui genericità è stata da più parti criticata per i margini di discrezionalità applicativa cui essa conduce. Escluso che in tale locuzione possa icomprendersi qualsvoglia vantaggio anche indirettamente connotato da economicità, posto che la nrma diverrebbe eccessivamene eludibile a sua volta, è da registrare comunque una tendenza a valorizzare finalità d'Impresa in senso ampio con ricadute d'effettivo interesse per l'attività cui l'operazione pertiene.
Interessante, in proposito, che la normativa europea includa nel novero delle valide ragioni economice, la carenza delle quali può localizzare operazioni finalizzate alla frode od evasione fiscale, la "ristrutturazione o la razionalizzazione delle attivià della società" ar. 11 della direttiva del Consiglio del 23.7.1990, n. 90/434/CEE, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo e agli scambi d'azioni concernenti società di stati membri diversi, non modificata sul punto dalla Direttiva 2005/19/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, intervenuta su vari aspetti della precedente); la Corte di Giustizia,, nel leggere la disposizione, ha evidenziato tra l'altro che l'esame dell'operazione sospetta va condotta con attenzione alla globalità di essa e che "la nozione di valida ragione economica ai sensi dell'art. 11 della direttiva dev'essere interpretata nel senso che trascende la ricerca di un'agevolazione puramente fiscale" (v. sentenza depositata il 17 luglio 1997 nel procedimento C-28/95), osservando più in generale, quanto ai criteri d'individuazione dell'abuso sotteso all'elusione, che "perchè si possa parlare di comportamento abusivo, le operazioni controverse devono portare ad un vantaggio fiscale il cui ottenimento è contrario all'obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni che vengono applicate (21 febbraio 2006, causa C-255/02)". Alla necessità ce l'operaizone da valutare sia riguadata in una visione che ne valorizzi la complessiva funzione all'interno della strategia aziendale fa altresì riferimento l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione civile (così la n.16097 del 20.07.2007, sez. V, che richiama il rammentato indirizzo comunitario sotolineando tra l'altro la necessità che si proceda, ai fini qui di rilievo, ad un accertamento dell'effettiva sussistenza di concreti elementi dimostrativi delle ragioni della parte e dell'entità del vantaggio fiscale eventualmente conseguito, così operando un esame globale della situazione accertata."
Degli argomenti accennati si sono valsi anche gli Ordini di Categoria nell'orientare l'interpretazione della legislazione antielusiva; così la norma di comportamento n.147 emanata dalla sezione milanese dell'Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti, intitolata "nozione delle valide ragioni economiche", premesso che tale nozione "deve essere coerente con le statuizioni espresse dalla Corte di giustizia Cee" continua: "con riferimento a dette valide ragioni economiche il criterio del vantaggio economico direttamente perseguito nella gestione delle società interessate all'operazione (cosiddetto business purpose) non può essere usato come unico criterio predeterminato per escludere automaticamente ragioni economiche fondate su presupposti differenti", ed il rifiuto dell'autonoma idoneità scriminante di simile criterio si traduce nell'affermazione secondo cui "il carattere della validità può essere riconosciuto anche a ragioni economiche le quali: seppure originate da situazioni o problematiche esterne" finiscono per determinare un sensibile interesse della società alla loro sistemazione o soluzione, a prescindere dai vantaggi economici, mirino a limitare o contenere regressioni reddituali, patrimoniali o finanziarie, nonchè rischi d'impresa".
La questione, inevitabilmente dibattuta in ragione della già segnalata ampiezza di formula adottata dall'art. 37 bis cit., ha visto lo svolgimento di svariate elaborazioni dottrinali, oltre che l'intervento di circolari e direttive ministeriali, ma si è qui ritenuto di far riferimento alla visione intesa più favorevole per il contribuente, onde evidenziare come anche in base a simile parametro la fattispecie qui in esame riveli natura elusiva.
Ed invero.
Non vi è dubbio ce la società Me. abbia portato in detrazione la minusvalenza dalla differenza tra il costo complessivamente affrontato per l'acquisto ed il ripianamento delle perdite della società Ca. Ca. ed il prezzo ottenuto quale corrispettivo della cessione della stessa società alla Fi. S.p.a.; ciò si evince dalla lettura del bilancio e della dichiarazione dei redditi operata alla luce della deposizione testimoniale del teste Fi. riportata in parte espositiva. Egualmente indubbio è che la predetta minusvalenza in tanto ha potuto assumere rilievo fiscale in favore della Me., in quanto è stata realizzata attraverso la cessione a titolo oneroso della società Ca.Ca. In tal senso viene evidenziato che allo stato della normativa vigente al momento di integrazione delle condotte, rappresentata dal Testo unico n.917/86 come novellato dalla L. 344/03, le rivalutazioni e svalutazioni delle partecipazioni non potevano concorrere alla formazione del reddito e che l'ammontare dei versamenti per il ripianamento delle perdite in favore della società parecipata si aggiungeva al costo della partecipazione (come in effetti correttamente riscontrato nelle scritture della Me.) ma non poteva essere portato in immediata deduzione (artt. 85, 92 e ss. 101, 105 e 110 TUIR). Il dato è peraltro incontroverso, atteso che la difesa non ha contestato i presupposti di fatto e di diritto sopra rammentati concentrandosi piuttosto sulla esclusione della riconducibilità dell'operazione nell'ambito di operatività della disciplina antielusiva.
Assodata l'utilità fiscale della cessione di cui si tratta, così come la circostanza che se essa non fosse stata posta in essere non sarebbe stato diversamente possibile dare incidenza Fiscale al costo affrontato dalla controllata per ripianare il bilancio della società sportiva, occore stabilire se l'operazione sia stata motivata da valide ragioni economiche diverse dal predetto vantaggio fiscale, ovvero si sia risolta in un escamotage per sottrarre all'imposizione il maggior costo viceversa non deducibile, preordinando a tale scopo la movimentazione della Ca.Ca. nell'ambito del gruppo societario facente capo alla medesima proprietà.
Sull'indagine non sembra avere immediato impatto l'argomento che valorizza, nella costruzione del disegno elusivo, l'intestazione iniziale dell'acquisto del Ca.Ca. alla società Fi. individuando in essa il primo della serie di atti - cessione a Me., ripianamento delle perdite e nuova vendita a Fi. - integrante la condotta di cui all'art. 37 bis cit.
Si osserva infatti che il primo passaggio di proprietà da Fi. a Me. non assume qui essenziale rilievo, atteso che il vantaggio fisale in esame consegue alle scelte ed ai movimenti operati da Me. ed in particolare al ritrasferimento delle azioni a Fi. dopo il ripianamento, e sarebbe stato parimenti ottenuto anche se l'intestazione in capo alla controllata fosse avvenuta all'atto di acquisto dalla proprietà Ga. Si rammenta in proposito che ai sensi dell'art. 37 bis l'inopponibilità all'amministrazione finanziaria attiene ad atti "anche collegati tra loro" dizione interpretata nel snso che anche un unico atto rispondente alle caratteristiche indicae nella disposizione; può essere qualificato come elusivo ai fini ivi previsti.
Nel merito, quindi, pur dandosi credito alla ricostruzione ampiamente offerta dai testi a difesa - secondo cui nelle intenzioni del Pu. l'acquisto della società sportiva avrebbe dovuto essere fin dall'inizio operato a nome di Me. e la diversa intestazione contrattuale conseguì alla carenza di poteri in capo a costui in ragione della sua posizione di amministratore delegato della Me. non formalmente autorizzato all'acquisto dal Consiglio di amministrazione - non si perviene ad una conclusione dirimente: è infatti credibile, anche alla luce della contiguità temporale degli adempimenti che consentirono il trasferimento a Me della proprietà appena conseguita da Fi. e della utilizzazione di fondi della Me. per operare il bonifico con il quale fu versato il prezzo dell'acquisto intestato a Fi., ce ove fosse stato formalmente possibile il Pu. avrebbe perfezionato il contratto quale rappresetane della Me. e che i passaggi successivi concretizzarono un'intenzione coeva all'operazione di acquisto; ciò tuttavia, come accennato non esclude che i passi seguenti siano stati ispirati in via esclusiva dal conseguimento del vantaggio fiscale ottenibile attraverso la cessione della società a capitale ricostituito.
I dati emersi dall'istruttoria evidenziano che la situazione economica del Ca.Ca. era nota all'acquirente, consapevole dell'importo delle perdite gravanti sula società sportiva seppure la composizione del passivo ivi riportata si sia rivelaa diversa da quella accertata successivamente all'acquisto. E' chiaro quindi che sin dall'origine il costo affrontato per l'operazione era composto dal prezzo pattuito e dalla somma necessaria al ripianamento del passivo (come peraltro sostenuo anche dalla parte nella denunzia sporta contro il dante causa per irregolarità nella gestione dei Fondi sociali prima della vendita, versata in atti).
Egualmente chiaro è poi che il far ripianare le perdite ad una società cui era assicurata la possibilità di realizzare la minusvalenza corrispondente attraverso la cessione ad altra società, facente capo alla stessa proprietà, è scelta strumentale all'abbattimento del peso economico dell'intera operazione attraverso la deduzione fiscale del maggior costo.
Del tutto legittimo è quindi dubitare nella specie dell'esistenza delle valide ragioni economiche in presenza delle quali si giustifica il riconoscimento agli effetti fiscali della minusvalenza realizzata, diversamente non conseguibile.
Sul punto la società ha in un primo momento svolto argomenti che, ruotando in prevalenza sul primo trasferimento da Fi. a Me., non illustrano adeguatamente le ragioni del secondo - da Me. a Fi. - realizzato ad un costo non paragonabile all'esborso effettivamente affrontato dalla cedente: a fronte di un impegno economico di oltre 11 mln di euo, la vendita a Fi. avviene al prezzo di originaria cessione da Ga. a Fi. e da quest'ultima a Me.; ove poi si consideri la tempistica del trasferimento realizzato entro l'anno solare e subito dopo la risoluzione della situazione contabile del Ca. Ca, il sospetto di strumentalità emerge ulteriormente incrementao.
Le motivazioni addotte, dal contribuente a fondamento del proprio operato sono esposte in primo luoo nelle note scritte redatte in risposta all'invito dell'amministrazione accertante, ove si fa riferimento alle ragioni contingenti che indussero all'originario acquisto del Ca.Ca. in capo a Fi. ed alla necessità di successivo trasferimento di essa per il 95% a Me. quale società in grado di affrontare l'impegno economico implicato dall'acqisto e dal risanamento della società acquisita; quanto alla nuova vendita delle partecipazioni a Fi. si dice che "ultimato il risanamento della Ca.Ca. S.p.a. vennero meno le ragioni finanziarie per mantenere le partecipazioni nel circolante della società operativa Me. S.r.l., cosicchè se ne dispose il trasferimento in capo alla Holding del gruppo e la memoria così conclude "l'acquisizione della partecipazione nella società Ca.Ca S.p.a. risponde all'esigenza impreditoriale, comune in tutti i gruppi di rilevante interesse nazionale, di acquisire una visibilità d'una penetrazione nel tessuto sociale ed economico che soprattutto gli eventi sportivi e la loro gestione oggi riescono ad assicurare. L'acquisizione è avvenuta secondo le modalità sopra spiegate al fine di evitare di incorrere in violazioni di legge che avrebbero determinato responsabilità dirette in capo agli amministratori". La tematica è ripresa ed ampliata nelle deposizioni introdotte ad iniziativa della difesa, ed in specie nell'esame del consulente di parte, dr. Gi. il cui contenuto è stato richiamato in parte espositiva.
le argomentazioni difensive non sembrano tuttavia adempiere adeguatamente all'onere di allegazione di ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che secondo l'insegnamento della Suprema Corte devono giustificare operazioni della cui unica finalizzazione al vantaggio fiscale si discute (Cass., sez. trib. 21.1.2009 n.1465).
In primo luogo non condivisibile risulta l'affermazione con cui si contesta l'assenza di convenienza economica del trasferimento evidenziando che esso fu operato ad un prezzo superiore al valore effettivo della società (v. deposizioni Sa. e Gi. cit.).
Invero il valore della società, stimato con occhio al mercato di settore, non può prescindere dalla peculiare natura di essa - atta a sollecitare motivazioni di acquisto di carattere non meramente economico, come peraltro evidenziato anche nella citata nota di parte e nella ricostruzione offerta dai testi circa l'ostinata volontà di adesione all'offerta Ga. da parte del Pu. nonostante l'onerosità del contratto e le perplessità dei consulenti - si che l'eventuale offerta in rivendita, avrebbe pouto incontrare acquirenti disposti ad accollarsi le spese affrontate dalla Me. diversamente da quanto consentito da Fi. In ogni caso, è contradditorio limitare al dato strettamente economico il parametro di adeguatezza del prezzo versato da quest'ultima laddove si osservi che l'acquirente è la stessa società che aveva originariamente contrattato l'acquisto dal Ga. ad un costo reale previsto di oltre 11 milioi; si dovrebbe quindi assumere che il Pu., amministratore unico di Fi. e artefice altrettanto unico dell'operazione di acquisto, sia stato un contraente disposto a valutare il bene oltre 11 milioni al momento iniziale e solo 4 al momento di riacquisto, successivo di qualche mese: lecito osservare che evidentemente l'operazione non fu condotta in base al valore della società individuato secondo i criteri offerti dalla parte nel processo ma construita secondo diversi parametri, contanto sul transito delle partecipazioni dalla società operativa onde assicurare la deducibilità del preventivato maggior costo indotto dalla conosciuta necessità di ripianamento. In tale quadro, anche il vantaggio economico evidenziato dal consulente dr. Gi. in relazione al fatto che la cessione delle partecipazioni a Fi. consentì a Me. di iscrivere a bilancio un'entrata corrispondente al prezzo di vendita, mentre la partecipazione, ove mantenuta, sarebbe stata iscritta a valore prossima allo zero, non può essere apprezzato autonomamente rispetto alla finalità di erosione fiscale; la riflessione parte infatti da una visione statica della situazione di Me. quale titolare delle partecipazioni in questione mentre la lettura globale dell'operazione non può prescindere dalle scelte operate a monte del momenti di ritrasferimento; la svalutazione della partecipazione acquisita fu infatti evento non imprevisto e subito ma ampiamente preordinato da Me., che acquistò consapevolmente suzioni il cui costo era necessariamente destinato a crescere in ampia misura, e la cosiddetta utilità economica rappresentata dalla cessione della società a titolo oneroso non può essere valutata a prescindere dalle spese di ripianamento affrontate prima della vendita e dalla conseguita deducibilità di esse mediante la realizzazione della minusvalenza.
Va inoltre osservato che le modalità di corresponsione rateizzata del prezzo da Fi. a Me. vanno incontro assai più all'interesse della controllante che a quello della cedente, unica, come con chiarezza affermato dai testi a difesa, dotata dei fondi necessari al apgamento dell'originario acquisto (in effetti operato attraverso una disposizione di bonifico in favore del Ga. sul conto della Me. pur non essendo questa contraente nell'atto pubblico). Me. quindi acquista la società ad un costo che, a dire dei tecnici di settore, non era economicamente corrispondente al valore del bene, investe una cifra quasi doppia per ripianare le perdite, rivende senza tener conto dei costi affrontati e per di più senza rientrare neppure dell'intero in tempi brevi ma consentendo una modalità di pagamento ampiamete dilazionata: è davvero poco credibile che simile operazione sia stata sostenuta da ragioni di vantaggio economico per Me.
Neppure sembrano poi individuarsi in essa, secondo la griglia delineata dall'Associazione di categoria, ragioni volte ad evidenziare danni imprevisti ed ulteriori, atteso che la situazione economica della società era ben nota al momento di acquisto e non era con certezza peggiorata quando si procedette alla rivendita; la vertenza aperta nei confronti del dante causa in relazione a fondi da costui in ipotesi indebitamente sottratti alla società ceduta - cui è stato fatto riferimento in istuttoria - era infatti ancora pendente, ed avrebbe semmai potuto suggerire tempi e/o modalità diverse di cessione; per non dire che verosimilmente non sarebbe stato operato il trasferimento alla controllate, per di più dotata di minor capacità economica, di un bene suscettibile di indurre ulteriori perdite se esse fossero state ritenute probabili e di significativo importo.
Ancora, l'operazione non appare funzionale a significative ragioni di immagine - posto che da tale puno di vista l'intestazione a Me. o a Fi., entrambe riconducibili alla proprietà Pu., non aveva ragione di riflettersi sulla pubblica oinione, come confermato dlla teste Sa. - nè a motivi di ristrutturazione o razionalizzazione aziendale della Me. unica società cui occorre far riferimento ai fini in esame in quanto fruitrice dell'utilità tributaria: la circostanza, esposta in istruttoria che la controllante Fi. avesse in altre occasioni ricevuto da Me. eni già da questa acquistati da terzi evidenzia solo una politica aziendale della comune proprietà inidonea a rappresentare di per sè valida ragione pe un'operazione che continua a palesarsi fondamentalmente sollecitata da finalità di vantaggio fiscale, in un contesto di collegamento societario del tipo di quelli cui maggiormente ha avuto riguardo la volontà legislativa di salvaguardia da movimentazioni elusive.
Per l'insieme delle ragioni esposte, si valuta nella specie ricorrente l'ipotesi descritta nell'art. 37 bis più volte citato.
Si tratta quindi, entrando nel cuore della problematica di maggior rilievo in questa sede, di stabilire se l'individuazione di una condotta a carattere elusivo dia o meno luogo a fattispecie penalmente rilevante.

Rilevanza penale della condotta elusiva contestata
Stabilito che si è in presenza di una minusvalenza creata attraverso un procedimento elusivo occorre verificare se essa sia qualificbile come "elemento passivo fittizio", in aderenza alla formulazione dell'imputazione ai sensi dell'art. 4 del d.lvo. 74/00 ovvero se ne debba escludere la riconducibilità alla nomativa incriminante per irrilevanza penale dell'elusione fiscale.
La questione è dibattuta e si incentra sul concetto di "fittizietà" intendendosi stabilire se esso si attagli solo all'inesistenza sul piano fenomenico dell'elemento passivo esposto ovvero connoti anche la componene di reddito indeducibile secondo la normativa tributaria.
Il problema non trova spunti di risoluzione nel dato letterale, posto che nella disposizione definitoria posta in apertura del decreto n.74/00 si rintraccia esclusivamente il significato dell'espressione "elementi attivi o passivi di reddito" - intesi come componenti ce concorrono alla determinazione del reddito o delle basi imponibili - e non anche quello da attribuire al termine fittizio.
Sul piano strettamente linguistico, poi, l'aggettivo rimanda a sinonimi come "ingannevole, falso, artificioso", che pur fornendo un suggerimento (raccolto oltre nella trattazione) non risultino dirimenti.
L'interpretazione deve quindi spostarsi sul piano sistematico, in applicazione dell'art. 12 c.c. in una visione che ricostruisca la finalità della norma giuridica in cui si concreta la ratio legis muovendo dal sistema normativo in cui la singola norma è inserita.
Prima di entrare nel merito dell'operazione interpretativa sembra poter trarre un primo argomento significativo proprio dall'esigenza di ricorrere all'ermeneutica di disposizioni che non fanno alcuna espressa menzione al fenomeno elusivo. Al momento di adozione del d.lvo 74/2000 vigeva da tempo l'art. 37 bis sopra citato, introdotto nel dr 600/73 dall'art. 7 del d.lvo. 8.10.1997 n.358, ed u generale principio antielusivo si è ritenuto rintracciabile nel sistema anche anteriormente alla codificazione.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione a SS.UU, nella sentenza n.30055/08, Amministrazione Finanziaria c/ Pe. (emessa nell'ambito di ricorso avverso una sentenza della Commissione tributaria di Firenze che aveva ritenuto non correto l'operato dell'Ufficio IIDD di Arezzo laddove tale amministrazione con proprio avviso di accertamento aveva disconosciuto come fiscalmente indeducibili minusvalenze conseguenti ad operazioni di acquisto e rivendita di titoli poste in essere in epoca antecedente all'entrata in vigore dell'art. 37 bis dpr 600/73); vi si legge: "non può non ritenersi insito nell'ordinamento il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idoeni ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione diversa dalla mera aspettativa fiscale (...); esiste nell'ordinamento costituzionale un pincipio per il quale non è lecito utilizzare abusivamente, e cioè per un fine diverso da quello pe il quale sono state create norme fiscali lato sensu di favore (...) nè siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all'art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell'ordinamento tributario non si traduce nell'imosizione di ulteriori obblihi patrimoniali non derivanti dalla legge bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali e quindi nella "inopponibilità del negozio abusivo all'erario", (successive conformi, sez. V n.8487/09 e 1163/2010).
Due osservazioni.
In primo luogo, proprio l'immanenza nell'ordinamento del principio del divieto d'abuso del diritto e di un generale principio antielusivo (come ribadito anche da successive sentenze della S.C., v, tra le altre anche la n.12042, sez. V, del 25.5.2009) rende irragionevole una normazione che, volendo atribuire al fenomeno riflessi penali, non ne faccia espressa menzione in occasione di una riforma radicale della disciplina dei reati tributai; tenuto conto della discussione all'epoca già aperta sulla disicplina delle fattispecie elusive è quantomeno improbabile che si sia lasciata una tematica di ale spessore e problematicità alla lettura interpretativa di una norma dettata in via primaria per altre ipotesi.
Al contrario, è noto che nel dibattito furono espresse posizioni volte ad inserire l'elusione tra le condotte penalmente rilevanti e che ale orientamento risultò soccombente.
Sembra poi che si darebbe adito ad una discrasia di sisema trattando l'elusione con il massimo rigore - come avverrebbe attraverso l'inserimento della condotta nel novero del penalmente rilevante - laddove si lascia del tutto priva di sanzione la stessa condotta nella sede tipica in cui l'interesse dell'amministrazione finanziaria è tutelato, ovvero quella tributaria; l'art. 37 bis cit., comma 2, prevede infati, quale conseguenza della qualificazione dell'operazione posta in eddere dal contribuente come elusiva, il dosconoscimento del vantaggio tributario ad essa conseguito e l'applicazione delle "imposte determinae i base alle disposizioni eluse al nett delle imposte dovute per effeto del comportamento inopponibile all'amminisrazione" e tale previsione esaurisce i riflessi dell'opzione elusiva.
L'affermazione è ampiamente condivisa, seppure vi sia chi ha sostenuto che la sanzionabilità amministrativa dell'elusione dovrebbe rintracciarsi nella disposizione di cui all'art. 1, D. Lgs. 18 dicembre 1997, n.471, rubricato "violazioni relative alla dichiarazione delle imposte dirette", che al secondo comma sanziona l'indicazione in dichiarazione di un'imposta inferiore a quella dovuta. La tesi è invero minoritaria e contraddetta da pronunce giuisprudenziali sia della Suprema Corte che dei giudici di merito.
La stessa sentenza della S.C. sopra menzionata contiene un passaggio importate in ordine ai riflessi dell'elusione, egualmente individuati sulla base del generale principio di divieto dell'abuso del diritto e nella disciplina specifica del fenomeno: la Corte evidenzia infatti che da quell'abuso non discendono obblighi parimoniali quanto la mera inopponibilità dell'opeazione all'amministazione finanziaria, desumeno proprio dalla natura di tale effetto la congruenza del divieto generale con i principi costituzionali ache in assenza di specifica disposizione; l'introduzione dell'art. 37 bis cit. si pone quindi in continuità con i principi riconosciuti interni al sistea, esplicitandoe e dettagliandone il contenuto e in coerenza con essi stabilendo i propri confini nella inopponibilità del negozio elusivo (vedi in proposito, quale pronuncia di merito, Commissione tributaria provinciale di Vicenza, Sez. III, 28.1.2009, n.6: l'eventuale fattispecie elusiva di cui all'art. 37 bis del D.P.R. n.600/1973 non compota l'applicazione di sanzioni, realizzando un aggiramento delle norme, ma non la loro violazione e considerao che il disconosciento dei vantaggi tributari conseguiti rappreseta già in sè una sanzione sufficiente).
Se l'intepretazione sistematica vuole coerenza di lettura con il quadro nel quale la norma si inserisce sembra che le osservazioni condotte già inclinino nella direzione opposta a quella sostenuta dall'accusa.
Venendo ora all'esame della Relazione di accompagnamento al d.lvo. 74&00, indubbiamente significativa nell'ambito dell'operazione interpretativa richiesta nella specie, si rintracciano ulteriori elementi che suggerisocno di escludere illusione dall'ambito penale.
Le linee generali sull'intervento forniscono già dati importati sulla ratio e il fondamento dell'incriminazione come rivisitata nella nuova normativa. Dopo aver precisato che "conformemente alle direttive della legge delega il sistema assume come obiettivo strategico quello di limitare la epressione penale ai soli fatti direttamente correlati tanto sul versante oggettivo che su quello soggettivo alla lesione degli interessi fiscali (...) e risulta conseguentemente imperniato su un ristretto catalogo di fattispecie criminose connotate da rilevate offensività e da dolo specifico di evasione", la relazione sottolinea che "la violazione dell'obbligo di veritiera astensione della situazione reddituale e delle basi imponibili è al fondamento di tre tipologie criminose costituenti il cuore del rinnovato impianto repressivo: id est la dichiarazione fraudolenta, che è dichiarazione non solanto mendace ma caratterizzata altresì da un particolare coefficiente di insidiosità; la dichiarazione semplicemente infedele e da ultimo (omessa dichiarazione) (...).
Nella parte relativa alle singole fattispecie si legge poi che la dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 2 "ricorre quando la dichiarazione non soltanto non è veridica ma risulta altresì insidiosa, in quanto supportata da un impianto contabile o più genericamente documentale atto a sviare od ostacolare la successiva attività di accertamento dell'amministrazione finanziaria, o comunque ad avvalorare artificiosamente l'inveritiera prospettazione di dati in essa racchiusa"; il reato di dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 3 (mediante artifici diversi da quelli di cui all'art. 2) "resta integrato dalle mendaci indicazioni inerenti tanto agli elementi attivi che a quelli passivi (...). Elemento discriminante rispetto alla dichiarazione infedele è rappresentato da un particolare coefficiente di recettività del mendacio, tale da costituire ostacolo al suo accertamento. (...) il delitto in argomento ricorre quando la dichiarazione inveritiera abbia luogo sulla base di una falsa appresenazione degli elementi attivi e passivi nelle scritture contabili obbligatorie avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento" (formula adottata dopo che le commissioni parlamentari avevano escluso la piena conformità alla delega del puntuale riferimento alla violazione degli obblighi contabili come condotta integrativa del reato volendosi escludere che le anzidette violazioni contabili configurino di per sè con indeclinabile automatismo artifici idonei a determinare il passaggio dalla fattispecie di dichiarazione infedele alla dichiarazione fraudolenta; è lasciata così all'interprete la valutazione nel caso concreto circa l'essere la violazione di obblighi di fatturazione e registrazione caratterizzata da particolare insidiosità, tale da far rientrare la dichiarazione nel paradigma punitivo della dichiarazione fraudolenta). Quanto all'art. 4, qui contestato, si evidenzia che la struttura del delitto di dichiarazione infedele è sostanzialmente coincidente con quella dichiarazione fraudolenta non qualificata ex art.8 salvo il già segnalato elemento differenziale dell'assenza di uno speciale coefficiente di insidiosità.
Già da tale lettura emerge come il fulcro dell'incriminazione penale, voluta dal legislatore della riforma, è rappresentato dalla falsa ostentazione dei dati confluenti nella determinazione della base imponibile e dell'imposta, falsità connotata da insidiosità decrescente nel trascorrere dalla prima all'ultima disposizione incriminatrice; tale scelta, coerente con il dichiarato intento di contenimento dell'impiego della sanzione penale, non può che collecitare l'attenzione dell'interprete sul divieto di interpretazione estensiva vigente nella materia, qui ulteriormente corredato dalla necessità di salvaguardare l'operatività della disciplina penale da criteri di estrema genericità quale quello dell'individuazione delle "valide ragioni economiche" scriminanti le operazioni elusive.
Sembrerebbe quindi poter proporre, in alternativa al binomio che giustappone a ini penalistici l'inesistenza materiale dell'elemento passivo alla sua "indeducibilità", quello che assimila nella fittizietà il dato materiale inesistente e quello "indesumibile", cioè quello i cui criteri di determinazione no siano espoti in modo veritiero nelle scritture e/o dichiarazioni tributarie.
Simile lettura pare attagliarsi altresì alla previsione di cui all'art. 7 del d.lvo 74/00, sebbene proprio tale disposizione sia stata utilizzata dai sostenitori dell'inversa tesi.
L'art. 7 stabilisce i limiti entro i quali le rilevazioni estimative nelle scritture contabili e nel bilancio possono dar luogo, nella successiva trasposizione i dichiarazione, a fatti penalmente rilevanti. In merito, premesso che "nell'economia delle norme incriminatrici di nuovo conio possono assumere rilievo anche manovre contabili a carattere lato sensu valutativo (sottostime di poste ative, ecc...) (...)" la relazione di accompagnamento al testo evidenzia la novità della mutaa cornice normativa, nella quale si valorizza il principio di offensività come prevalente su esigenze di snellezza del ruolo del giudice chiamato ora ad occuparsi non solo di fatti di immediata percezione ma anche di accertamenti di maggior complessità inerenti alla verifica dell'imposta evasa. Rientriano quindi nel campo di intervento punitivo anche le evasioni determinate, anzichè dallìoccultamento di ricavi o dall'esposizione di costi fittizi, da arbitrarie operazioni di ordine valutativo.
E' stato sul punto osservato che la modifica testuale in cui si è tradotta la diversità appena rammentata, nel passaggio dalla previsione di cui all'art. 4 lett. f) L.516/82 alla attuale dizione dell'art. 3 di 74/2000, ha immediati riflessi sul dibattito in esame. L'art. 4 cit., puniva colui che indicava "nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad essa allegato (...) spese od altri componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, ovvero ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di fatti materiali" (dizione che rifletteva quanto espresso nella relazione di accompagnamento della L. 516/82 circa il fatto che la norma puniva l'indicazione di fatti materiali non rispondenti al vero onde agevolare il giudizio limitando la cognizione del giudice penale a fatti di immediata percezione). Si è detto che l'abbandono di simile periodare in favore del sintetico riferimento agli elementi passivi fittizi, ed in particolare l'espulsione dalla disposizione del riferimento ai fatti materiali, abbia aperto la strada alla punibilità anche dell'esposizione di poste negative materialmente esistenti ma non legittimamente inserite in bilancio per essere il risultato di operazioni fiscalmente inopponibili.
L'argomento non convince: il trascorrere della previsione dai fatti materiali a quelli di valutazione non implica ancora in modo automatico la qualificabilità come fittizi di dati non correttamente computati nè in sè riporta all'attenzione del giudice penale il problema della deducibilità o meno dell'elemento passivo - profilo squisitamente tributario - mantenedone pur sempre l'apprezzamento nell'ambito della veridicità del dichiarato.
E ciò è coerente con l'impostazione che vuole punita la "fittizietà", e cioè l'esposizione di una posta falsa, e non chiede al giudice penale, secondo quanto appresso evidenziato, di andare oltre la verifica di idoneità ingannevole dell'esposizione medesima.
La relazione di accompagnamento si occupa specificamente di questo profilo, dando atto di preoccupazioni espresse dalla Commissione giustizia del Senato in ordine ai riflessi della modifica in esame ed all'estraneità alla legge delega della volontà di innovare il precedente regime, che tramite l'uso della formula "fatti materiali" negava rilevanza penalistica alle valutazioni; il redigente sul punto conferma che la scelta di formulazione riflette l'intenzione di abbandonare una visione dell'ambito di indagine circoscritta a quei fatti in favore di un ampliamento del controllo a momenti valutativi onde non escludere dalla punizione "le evasioni determinate anzichè dall'occultamento di ricavi o dall'esposizione di costi fittizi, da arbitrarie operazioni di ordine valutativo, spesso più insidiose del primo"; ancora una volta, è quindi la potenziale insidiosità della manovra a indurre l'incriminazione, non l'eventuale erroneità ricostruibile attraverso il percorso espositivo. Se ne trova conferma nel testo dello stesso art. 7 laddove è previsto che non diano luogo a fatti punibili le rilevazioni e le valutazioni estimative "rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio"; dice in merito la relazione; "l'aperta astensione, in un documento destinato alla pubblicità, dei metodi estimativi utilizzati, anche se scorretti, è stata ritenuta oncompatibile con la configurabilità di un dolo di evasione, o comunque tale da escludere quel minimum di attitudine all'inganno nei confronti del fisco richiesta ai fini della configurabilità anche del delitto di dichiarazione infedele".
Alla luce di quanto appena evidenziato non appare neppure condivisibile l'altro argomento sviluppato dai sostenitori della rilevanza penale dell'elusione, secondo il quale l'aver escluso la rilevanza penale di variazioni estimative che differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette equivale a iconoscere come integrante i reati in riferimento ogni altra divergenza dai criteri valutativi fissati dalle norme tributarie. Invero, l'unico elemento che sembra chiaramente desumibile dalla disciplina richiamata è l'introduzione di una tolleranza all'interno della quale si presume comunque l'inoffensività della condotta o la scusabilità dell'errore, in un qualdro che pone al centro dell'incriminazione una significativa lesione degli interessi dell'amministrazione e che estede la rilevanza della violazione anche alle poste valutative, suscettibili di incidere fortemente sul risultato fiscale; si è però sempre nell'ambito di verifica della falsa appostazione, in cui potrebbe tradursi la sopravvaluazione di una componente passiva, ove eccedente la misura richiamata, se non giustificata da criteri esposti in bilancio ai sensi del primo comma della disposizione in esame.
L'argomento speso non sembra quindi idoneo a sovvertire la lettura sin qui operata ed attribuire rilievo penale all'esposizione di una posta reale aggredibile fiscalemnte non per intrinseca fittizietà ma per la connotazione delle operazioni, anch'esse effettive, ad essa sottese.
Infine, argomenti di estensione all'elusione dell'incriminazione penale sono desunte dalla letura dell'art. 16 d.lvo. 74700.
La disposizione prevede la non punibilità della condotta di chi si uniformi ai pareri del Ministero delle Finanze o del Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive.
Nell'esposizione della relazione di accompagnamento l'art. 16 è letto unitamente al precedente art.1, inerendo entrambi alla condizione soggettiva del contribuente con riferimento a situaizoni di incertezza: l'art. 15 richiama la disciplina dell'errore sulla norma tributaria estendendo la non punibilità di cui all'art. 47, co. 3 c.p., alle ipotesi di obiettiva incertezza che cada su norme tributarie integrative del precetto sanzionato; la seconda inerisce all'esclusione della punibilità di condotte integrate nel rispetto dei pareri espressi dal Ministero o dal Comitato consultivo.
La stessa relazione recita: "la previsione della non punibilità di chi si sia adeguato al parere dell'organo consultivo si connette ai principi affermati dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza 24.3.1988 n.364 e risponde alla logica di fondo delle speciali disposizioni in tema di non punibilità delle valutazioni di cui all'art. 7, si tratta cioè di un criterio di esclusione del dolo di evasione richiesto per la configurabilità delle diverse ipotesi criminose".
Coerenti a tale premessa risultano: la precisazione che l'operatività della previsione resta entro i confini delle competenze del Comitato consultivo, senza possibilità di estensione a tutti i casi di adeguamento del privato alle indicazioni fornite dall'amministrazione finanziaria, solo per necessità di rispetto della delega di cui il decreto è attuazione, non riguardante forme ancora non codificate di esercizio della facoltà di interpello; la confutazione di ragioni di preoccupazione circa la possibilità che l'art. 16 operi "contro" il contribuente in caso di elusione, categoria definita "concettualmente contrapposta all'evasione, priva dunque di ogni riflesso penale"; testualmente; "la disposizione di cui all'art. 16 è unicamente di favore per il contribuente e non può essere letta, per così dire, a rovescio, ossia come a sancire la rilevanza penalistica delle fattispecie lato sensu elusive non rimesse alla preventiva valutazione dell'organo consultivo".
Sul punto le critiche sono state molto accese, evidenziandosi da più parti che al di là di quanto esplicitato nella citata relazione il significato della disposizione non coglie se non nell'ottica che individua nell'elusione un comportamento penalmente rilevante: se il legislatore ha dichiarato non punibili le condotte di coloro che sono adeguati al parere, richiesto, deve intendersi che in assenza di quell'adeguamento il comportamento del contribuente resta esposto alla punibilità, e tenuto conto del fatto che il novero principale dei casi in presenza dei quali si sollecita la pronuncia del Comiato consultivo è costituita da comportamenti idonei ad incorrere negli effetti dell'art. 37 bis dpr 600/73 sembra stringente concludere nel senso appena rammentato.
L'argomento logico potrebbe essere dirimente ove la norma non andasse letta dell'ambito del sistema cui essa appartiene, la conclusione appena riportata, infatti, demanda ad una disposizione contenente una causa di non punibilità il ruolo di sintomo di una incriminazione sulla quale il testo della legge scientemente tace, invertendo la tecnica che richiede di interpretare la deroga alla previsione sanzionatoria alla luce di quest'ultima e non viceversa; su questa sola base si andrebbe a ledere ogni principio di tassatività, scavalcando il silenzio del legislatore penale con l'incriminazione di un comportamento non solo non connotato dall'insidiosità propria delle altre condotte previste dalla stessa legge ma descritto in una norma tributaria, mai richiamata nell'articolato della novella pur se ad essa preesistente, non implicante in sè alcun effetto sanzionatorio e dettata con riguardo all'esercizio di un potere diverso da quello della giurisdizione penale, suscettibile di tollerare forme di discrezionalità e di presunzione incompatibili con il rigore applicativo della normativa penalistica.
D'altra parte, neppue sembra condivisibile l'opinione secondo cui dissentendo da quella lettura si dà adito ad un insanabile vuoo logico: la disposizione può infatti essere vista, senza contraddizione, come una norma di sbarrameno dell'indagine sulla rilevanza penale delle condotte conformi ai pareri rilasciai dall'organo consultivo, non concludendosi che in assenza di quella conformità vi sia certa punibilità ma lasciando aperta l'indagine sull'esistenza di presupposti per la punizione della condotta difforme alla stregua dei parametri normativi che disciplinano il singolo caso.
Più in generale, e conclusivamente, va data contezza di elaborazioni dottrinali che individuano la rilevanza penale dell'elusione in base ad una lineare riflessione: la dichiarazione infedele di cui all'art. 4 d.lvo. 74/00 è quella che riporta contenuti diversi da quelli dovuti, ipotesi cui va ricondotta, la dichiarazione che esponga poste il cui disconoscimento da parte dell'amministrazione finanziaria è consentito su base normativa in ragione della ritenuta elusività dell'operazione sottesa. E' stato però osservao, con argomenti che paiono qui maggiormente condivisibili anche alla luce di quanto sopra esposo, per un verso che la divergenza tra l'imposta dichiarata e quella dovuta può essere frutto di discostamenti dalle prescrizioni tributarie pacificamente inidonei ad assumere rilevanza penale, stante l'autonomia tra i due ambiti, e per altro verso che l'art. 4 cit. sanziona l'evasione conseguita attraverso una precisa condotta ovvero l'indicazione nelle dichiarazioni annuali di "elementi" attivi di ammontare inferiore al vero o "elementi" passivi fittizi; l'alterazione d'importo del reddito imponibile unitariamente inteso, non derivante da falsificazione delle singole poste, non appare quindi considerata dalla disposizione incriminatrice, che risulta individuare come essenziale all'operatività della sanzione penale, la ricorrenza, olre che dell'evento lesivo dell'interesse fiscale, altresì di una condotta connotata dal disvalore dell'insidiosità espositiva. Tesi, quest'ultima, in linea con la letura sopra offerta del testo di riforma e della relazione di accompagnamento ad esso.
In ultima analisi, quindi, in assenza di una specifica norma che attribuisca rilevanza penale alla condotta elusiva descritta nell'art. 37 bis del dpr 600/73, ed alla luce delle argomentazioni spese a fini di ricostruzione della volontà del legislatore sottesa alla disciplina analizzata, si ritiene dover concludere nel senso della non riconducibilità della fattispecie in esame alla previsione di cui all'art. 4 del d.lvo. 74/00 nè ad altra norma penale che ne contempli la sanzionabilità.
L'imputanto pertanto deve essere assolto con la formula di cui aldispositivo che segue.

PQM

Visto l'art. 530 c.p.p.
assolve Pu. An. dal reato ascrittogli perchè il fatto, in quanto integrante fattispecie di natura elusiva, non è previsto dalla legge come reato, indica in giorni 90 il termine per il deposito della sentenza.

(tratto da "Il fisco" del 2.05.2011)


 

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