REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SANTACROCE Giorgio - Primo Presidente f.f. -
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente Sezione -
Dott. RORDORF Renato - Presidente Sezione -
Dott. PICCININNI Carlo - Presidente Sezione -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere -
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -
Dott. DI BLASI Antonino - rel. Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Avvocato D.G.M. del Foro di Milano, rappresentato e difeso, per procura allegata ed in calce al ricorso, dall'Avvocato COLUCCI ANGELO, domiciliato, in Roma, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MILANO, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore;
- intimato -
e CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, Pubblico Ministero presso la Corte di Appello di Milano, e Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Roma, Piazza Cavour, 1, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore;
- intimati -
Avverso la decisione n.78/2013, emessa dal Consiglio Nazionale Forense, in data 25 ottobre 2012 e depositata in segreteria il 27 maggio 2013;
Udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza del 29 aprile 2014, dal Consigliere Dott. Antonino Di Blasi;
udito l'Avvocato Angelo Colucci, per il ricorrente;
sentito, pure, il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario, che ha chiesto dichiararsi l'improcedibilità del ricorso, in subordine l'inammissibilità nei confronti del Consiglio Ordine Avvocati di Milano, nonchè l'inammissibilità o il rigetto nei confronti degli altri intimati.

Svolgimento del processo

A seguito di plurime segnalazioni, provenienti da diversi uffici giudiziari, nonchè di esposti di privati cittadini, riferite agli anni dal 2001 al 2009, innanzi al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, si radicava, a carico dell'Avvocato D.G. M., procedimento disciplinare, con la contestazione di vari addebiti e segnatamente per essere venuto meno, sotto diversi profili ed in varie occasioni, ai doveri di diligenza, probità e decoro nell'esercizio dell'attività professionale, nonchè per avere lasciato prive di riscontro le richiesta di chiarimenti, al riguardo avanzate dal CO.A. di Milano.
Detto procedimento, nel contraddittorio dell'incolpato, che si difendeva, giustificando variamente il proprio operato, veniva definito dal Consiglio adito, con provvedimento disciplinare del 28 giugno 2010, con il quale, riconosciuta la responsabilità del professionista per tutti gli addebiti mossi, eccezion fatta per quelli relativi alla mancata partecipazione ad alcune udienze, in relazione ai quali era maturata la prescrizione, veniva allo stesso inflitta sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per anni uno e disposta, altresì, la cancellazione dalle liste dei difensori d'ufficio.
L'Avvocato D.G. impugnava il citato provvedimento, innanzi al Consiglio Nazionale Forense, riproponendo ed ulteriormente illustrando, sulla base di distinti atti, le argomentazioni difensive già prospettate nel procedimento davanti al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano e deducendo, per la prima volta, la nullità della decisione appellata per vizi connessi alla irritale convocazione dei Consiglieri del CO.A. di Milano; nessuna censura, veniva, invece, mossa in ordine alle contestazioni, relative all'indebito uso del fotocopiatore di cancelleria ed alle espressioni irriguardose rivolte ai colleghi.
Con la decisione in epigrafe indicata ed in questa sede impugnata, il Consiglio Nazionale Forense, in parziale accoglimento dell'appello, ha prosciolto l'incolpato dall'addebito relativo all'esibizione di contrassegno assicurativo contraffatto, ha dichiarato prescritta l'azione relativamente alla tardiva presentazione dell'impugnazione ed alla mancata fatturazione delle somme percepite ed ha, quindi, rideterminato la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione in mesi sei.
L'Avvocato D.G. ha, quindi, proposto ricorso per cassazione, che ha affidato a più mezzi.
L'intimato Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, non ha svolto difese in questa sede.

Motivazione

Il Collegio ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, sotto diversi profili.
Rileva, anzitutto, che l'inammissibilità dell'impugnazione è ricollegabile alla totale mancanza dello "svolgimento del processo e dei motivi in fatto".
Il ricorso, in vero, risulta formulato in violazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4, e, d'altronde, non contiene alcuna parte nella quale, sia pur succintamente, sia stato riassunto concisamente il contenuto sostanziale della controversia.
L'impugnazione, dunque, non può trovare ingresso, in applicazione della citata disposizione e del consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale, nel caso, non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo cui "è inammissibile il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l'esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato" (Cass. n. 2097/2007, n. 7270/2006, n. 15808/2008).
Rileva, altresì, il Collegio che tale carenza, come correttamente evidenziato nelle citate e condivise pronunce, non può essere superata attraverso l'esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l'esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato e che, oltretutto, il "principio di autonomia del ricorso per cassazione" preclude, comunque, la possibilità di supplire alla accertata carenza, mediante l'esame di altri atti processuali.

Anche il primo mezzo, con cui il ricorrente censura l'impugnata decisione per violazione dell'art. 342 c.p.c., per avere il CNF qualificato "quale motivo aggiunto" quello dedotto con il secondo atto di appello, risulta inammissibile.
Dall'impugnata sentenza si evince, chiaramente, che il CNF, dopo avere, in via di principio, argomentato per l'inammissibilità solo di "nuove censure" formulate con il secondo atto e non anche di "ulteriori argomentazioni esplicative delle critiche già mosse con l'atto d'impugnazione temporalmente precedente", nel concreto ha dato esplicitamente atto che le deduzioni formulate con il secondo atto, avuto riguardo al relativo contenuto, non erano annoverabili tra quelle sanzionate con la preclusione, bensì erano a ritenersi dei "motivi aggiunti", ritenendole, implicitamente, ammissibili, in quanto esplicative delle critiche già mosse con il primo atto d'impugnazione.
La censura è, dunque, priva di fondamento, sia perchè le doglianze formulate con il secondo atto d'impugnazione non sono state dichiarate inammissibili, sia pure perchè il ricorrente non ha allegato, nè provato, la sussistenza di un concreto pregiudizio, quale effetto della denunciata violazione di legge e, quindi, è privo di interesse a dolersi del presunto vizio (Cass. n. 18635/2011, n. 9722/2013).

Con il secondo mezzo si prospetta la "nullità della pronuncia per omessa indicazione delle "ragioni di fatto e di diritto della decisione", sul rilievo che "l'omessa indicazione delle contestazioni ritenute sanzionabili e quelle invece per le quali era intervenuta la prescrizione", integri la violazione dell'art. 132 c.p.c.
La doglianza, che riferisce al n.4 dell'articolo citato, è, del pari, inammissibile per genericità. Ritiene, infatti, il Collegio che la decisione di appello, come è agevole desumere dal relativo contenuto, indichi specificamente i capi di incolpazione, procedendo alla relativa disamina e distinguendo quelli ritenuti fondati e meritevoli di sanzione, rispetto a quegli altri ritenuti infondati, ovvero per i quali l'azione disciplinare doveva considerarsi prescritta.
Risulta, dunque, assolto l'obbligo sancito dalla denunciata disposizione, - la cui violazione, per consolidato orientamento di questa Corte, si realizza solo nel caso sia impossibile l'individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo, - risultando, nel caso, indicati gli elementi fattuali e chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e, quindi, siano desumibili le ragioni per le quali sia stata disattesa ogni contraria prospettazione.
Rileva, altresì, il Collegio che, nella fattispecie, eventuali lacune motivazionali, ove pure fossero state indicate puntualmente ed idoneamente valorizzate nell'ottica della relativa decisiva rilevanza, comunque non avrebbero potuto trovare ingresso, stante il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, secondo cui "In tema di ricorso per cassazione avverso le decisioni emanate dal Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare, l'inosservanza dell'obbligo di motivazione su questioni di fatto integra una violazione di legge, denunciabile con ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, solo ove essa si traduca in una motivazione completamente assente o puramente apparente, vale a dire non ricostruibile logicamente ovvero priva di riferibilità ai fatti di causa "(Cass. SS.UU. n.23240/2005, n. 5072/2003).

Anche il terzo motivo, con il quale la decisione viene censurata per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deducendosi come erronee ed illogiche la valutazioni e considerazioni svolte dal decidente, risulta inammissibile.
Sotto un primo aspetto, in base al nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile alle sentenze depositate dopo l'11 settembre 2012, e del principio, alla relativa stregua affermato da questa Corte (Cass. SS.UU. n.ri 8053, 8054, 8925 e 8926 del 2014).
Il tenore della censura, richiama, in vero, il testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.
Norma, nel caso, non più applicabile, trattandosi di sentenza depositata il 27 maggio 2013, quindi dopo l'entrata in vigore della precitata novella, la quale ha introdotto una disciplina più stringente, limitato la possibilità della denuncia dei vizi di motivazione che ha consentono l'intervento della Corte di Cassazione solo al caso di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti". Il cambiamento operato dalla novella è netto, dal momento che dal previgente testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, viene eliminato non solo il riferimento alla "insufficienza" ed alla "contraddittorietà", ma addirittura la stessa parola "motivazione".
Può quindi affermarsi che la nuova previsione dell'art. 360 c.p.c., n. 5, legittima solo la censura per "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", non essendo più consentita la formulazione di censure per il vizio di "insufficiente" o "contraddittorietà" della motivazione.
Nè a diverso opinamento può pervenirsi nella considerazione che la censura per "omessa, insufficiente o contraddittorietà della motivazione", potrebbe trovare ingresso, dando prevalenza all'aspetto sostanziale più che a quello letterale e formale del mezzo e quindi prescindendo dalla inidoneità della, formulazione, ostandovi l'evidente prospettiva della novella, introdotta dal Legislatore al fine di ridurre l'area del sindacato di legittimità sui "fatti", escludendo in radice la deducibilità di vizi della logica argomentazione (illogicità o contraddittorietà), che non si traducano nella totale incomprensibilità dell'argomentare.
In buona sostanza, ciò che rileva, in base alla nuova previsione, è solo l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la pretermissione di quei dati materiali, acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio.
La formulazione del motivo in esame, quale desumibile dal relativo tenore, non risulta, quindi, ossequiosa della nuova previsione processuale e del principio affermato dalle precitate sentenze di questa Corte, non offrendo concreti elementi, idonei a giustificare una decisione di segno opposto a quella in questa sede impugnata.
Va, peraltro, rilevato che la doglianza, nel caso lo scrutinio del ricorso fosse avvenuto alla stregua della previgente previsione, egualmente, sarebbe risultata inammissibile.
In proposito, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento della Corte di Cassazione in tema di scelta e di apprezzamento degli elementi probatori (Cass. n. 20322/2005, n. 12467/2003, SS.UU. n. 13045/1997), nonchè di autosufficienza dei motivi del ricorso di legittimità (Cass. n. 849/2002, n. 2613/2001) e di rilevanza e decisività dei fatti pretermessi (Cass. n. 9368/2006, n. 1014/2006).

Sotto altro aspetto, la doglianza non potrebbe, in ogni caso, sfuggire alla declaratoria di inammissibilità, avuto riguardo al richiamato orientamento giurisprudenziale, che questa Corte ha contribuito a formare, con specifico riguardo ai procedimenti disciplinari a carico di avvocati, secondo cui l'apprezzamento in fatto del Consiglio Nazionale Forense circa la idoneità di un determinato comportamento posto in essere da un avvocato a ledere il decoro e la dignità professionale della categoria - valori tutelati dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 38, - ha carattere di esclusività, con la conseguenza della relativa incensurabilità in sede di legittimità ove sorretto da motivazione sufficiente (Cass. SS.UU. n. 6213/2005, n. 27689/2005).
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla va disposto per le spese del giudizio, in assenza dei relativi presupposti.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 29 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2014


 

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