Fideiussione e buona fede della Banca
Perde il beneficio della garanzia della fideiussione la Banca creditrice che non interrompe il rapporto di affidamento con il cliente (rapporto di apertura di credito) nel caso in cui si verifichi un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore.
In questo modo si intende tutelare il fideiussore inconsapevole il quale, in ossequio ai principi di buona fede e correttezza, è da considerare non più vincolato nel caso in cui il peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore è tale da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo (cfr. Cass. n. 21730/2010).


Riportiamo di seguito la Sentenza della Suprema Corte, Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-10-2010, n. 21730



Svolgimento del processo



Il 2 febbraio 2001 il presidente del Tribunale di Bergamo, accogliendo un ricorso proposto dal Credito Bergamasco s.p.a., emise un decreto ingiuntivo nei confronti della società Artime s.n.c. e dei sigg.ri F.L., S., F. e L. C.A., i quali avevano prestato fideiussione a garanzia delle esposizioni debitorie di detta società nei confronti della banca ricorrente.

Chiamato a pronunciarsi sull'opposizione degli ingiunti, il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 15 giugno 2004, revocò il decreto ingiuntivo ed, avendo rideterminato l'entità del credito azionato, condannò in solido al pagamento della relativa somma la debitrice principale e, nei limiti delle prestate fideiussioni, tutti i garanti.

Solo i sigg.ri F.L. e C.F. proposero gravame, che fu però rigettato dalla Corte d'appello di Brescia con sentenza resa il 6 agosto 2009.

La corte bresciana infatti ritenne infondata la tesi degli appellanti, i quali pretendevano di essere liberati dalla fideiussione perchè la banca aveva consentito alla società debitrice principale di ricorrere al credito pur dopo un grave peggioramento delle sue condizioni patrimoniali e finanziarie. A giudizio della corte, non sussistevano nella specie i presupposti per l'applicazione dell'art. 1956 c.c. in quanto, dal tempo della prestata fideiussione ((OMISSIS)) a quello in cui essi avevano ricoperto la carica di amministratori della Artime (maggio 1998) per poi cederne le quote ai figli, i sigg.ri F. e C. avevano avuto piena contezza della situazione patrimoniale della società, le quali erano peggiorate solo nell'anno 2000 e si erano tradotte in una situazione di vero e proprio dissesto al principio del 2001. Ma era nell'anno 1998 che la banca aveva ampliato l'apertura di credito in precedenza concessa alla stessa Artime e le aveva accordato un ulteriore finanziamento, onde - sempre secondo la corte d'appello - le successive variazioni della suaccennata situazione societaria non potevano aver rilievo ai fini della pretesa liberazione dei fideiussori, nè sussistevano i presupposti per chiedere loro la speciale autorizzazione ipotizzata dal citato art. 1956, non essendovi stata erogazione di nuovo credito da parte della banca ma solo utilizzazione ad opera del debitore di un credito già concesso.

Inammissibile fu poi reputata dalla corte d'appello la richiesta di dar corso a prove per interrogatorio formale e per testimoni: l'una perchè proposta per la prima volta nel giudizio di gravame, l'altra perchè i capitoli articolati in primo grado nella memoria depositata ai sensi dell'art. 184 c.p.c. non erano adeguati in relazione a quanto enunciato nell'atto introduttivo.

Da ultimo, la medesima corte ha disatteso l'ulteriore rilievo con cui gli appellanti miravano ad avvalersi degli effetti esdebitatori derivanti dall'omologazione del concordato preventivo a suo tempo proposto dalla Artime ai propri debitori. Pretesa esdebitazione della quale la corte ha però ritenuto di non poter tenere conto, perchè non eccepita tempestivamente in primo grado e perchè solo tardivamente, in grado d'appello, era stata prodotta la relativa documentazione.

Avverso tale sentenza i sigg.ri F. e C. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati poi anche con memoria, cui il Credito Bergamasco ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione



1. Le eccezioni d'inammissibilità del ricorso, preliminarmente sollevate dalla difesa del Credito Bergamasco, non sono fondate.

1.1. Non è vero che manchi nel ricorso l'esposizione sommaria dei fatti di causa. L'esposizione c'è (si vedano, in particolare, le pagg. da 1 a 9 del ricorso) ed è tale da consentire un'adeguata percezione di quei fatti che risultano rilevanti ai fini dell'esame nel merito delle doglianze espresse nel ricorso stesso.

Nè può condividersi l'affermazione secondo la quale i motivi del ricorso medesimo costituirebbero la mera replica di quanto già sostenuto in sede di merito e non vere e proprie censure all'impugnata sentenza. La lettura dei suddetti motivi - come il loro successivo esame varrà a dimostrare - consente invece pienamente d'individuare gli argomenti critici in forza dei quali i ricorrenti invocano la cassazione della decisione assunta dalla corte d'appello.

1.2. Quanto all'eccepito difetto di specifica indicazione degli atti e documenti sui quali il ricorso si fonda (art. 366 c.p.c., n. 6, introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006), giova anzitutto rilevare che, in caso di ricorso articolato in più motivi o comunque contenente una pluralità di censure, un simile difetto va verificato con riguardo a ciascun singolo motivo o a ciascuna singola censura, potendo implicare l'inammissibilità della doglianza fondata su un determinato atto o documento che il ricorrente abbia omesso di indicare in modo specifico (con l'ulteriore onere, a pena d'improcedibilità, di depositarlo a norma del successivo art. 369, comma 2, n. 4); ma non necessariamente comporta l'inammissibilità dell'intero ricorso, e quindi anche di altri motivi, o di altre censure, che su specifici atti o documenti non siano invece fondate ed il cui esame da parte del giudice di legittimità possa essere compiuto indipendentemente da quelli.

Nella specie - come si avrà modo di vedere - sono state dedotte censure almeno alcune delle quali pongono interrogativi di diritto la cui risposta non presuppone il riferimento a specifici atti o documenti, e tanto basta ad escludere che possa postularsi una generale inammissibilità del ricorso. Occorre peraltro anche aggiungere che il ricorso stesso non manca d'indicare in modo specifico i documenti di volta in volta menzionati, nè di puntualizzare quando e dove essi sono stati prodotti: il che è sufficiente ad integrare il requisito di ammissibilità posto dalla citata disposizione dell'art. 366, non occorrendo altresì che la specifica indicazione degli atti e dei documenti sia collocata in una distinta sezione del ricorso a ciò dedicata.

1.3. Si avrà modo di constatare infine, attraverso l'esame delle singole doglianze in cui il ricorso si articola, come neppure sussistano le cause d'inammissibilità ipotizzate dall'art. 360 bis c.p.c..

2. I ricorrenti denunciano, col primo motivo, la violazione degli artt. 1844 e 1956 c.c. oltre a vizi di motivazione della sentenza impugnata.

Per intendere compiutamente il senso della doglianza occorre ricordare che il citato art. 1956 prevede la liberazione di chi abbia prestato fideiussione per altrui obbligazioni future qualora, senza specifica autorizzazione dello stesso fideiussore, il creditore abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole del peggioramento delle condizioni patrimoniali di costui, tali da rendere più difficile il soddisfacimento del credito. Gli odierni ricorrenti, chiamati a rispondere quali fideiussori dei debiti della società Artime nei confronti del Credito Bergamasco, hanno invocato detta norma per sottrarsi alle pretese della creditrice. La corte d'appello però ha dato loro torto, per una decisiva ragione: perchè l'esposizione debitoria della Artime verso la banca traeva origine da una pluralità di atti, tra i quali l'ampliamento di un'apertura di credito, disciplinata dall'art. 1842 c.c. e segg., tutti antecedenti al momento in cui si è manifestato quel peggioramento della situazione patrimoniale della società in presenza del quale avrebbe potuto trovare applicazione la disposizione del menzionato art. 1956.

Non ha reputato invece, la corte, che avesse rilievo il momento in cui detta apertura di credito è stata effettivamente utilizzata - momento che, secondo i ricorrenti, è stato successivo all'emergere delle difficoltà patrimoniali della società debitrice - giacchè, a suo giudizio, la garanzia fideiussoria è legata al sorgere del rapporto obbligatorio, che s'identifica con l'apertura di credito (o con il suo eventuale ampliamento), e non alla fase attuativa di tale rapporto le cui modalità di sviluppo, entro i limiti convenuti, restano nella disponibilità del debitore.

E' su questa interpretazione (ed applicazione) del citato art. 1956 che si appuntano le critiche dei ricorrenti, i quali sostengono che, viceversa, giacchè l'obbligazione garantita sorge solo da quando l'apertura di credito viene in concreto utilizzata, non esistendo prima di quel momento alcun credito per restituzione in capo alla banca, l'esigenza di tutela del fideiussore sottesa alla norma in questione impone di ritenere che l'ampliamento dell'esposizione del debitore principale, in presenza del quale il fideiussore è liberato se non vi abbia prestato un'ulteriore specifica autorizzazione, si identifichi, in caso di apertura di credito bancario, col momento in cui il maggior credito viene effettivamente utilizzato dal debitore.

Donde la conseguenza che, in ipotesi di peggioramento delle condizioni patrimoniali di quest'ultimo e di rischio d'insolvenza da parte sua, il fideiussore non consenziente all'operazione sarebbe liberato dalla garanzia prestata. A tale conclusione condurrebbe, inoltre, anche il principio di buona fede che permea l'intera materia contrattuale e del quale i ricorrenti imputano alla corte territoriale di non aver tenuto conto.

2.1. Le censure ora riferite sono fondate, nei termini di cui appresso.

La lettura che la corte d'appello ha dato della più volte citata disposizione dell'art. 1956 appare, invero, troppo ristretta.

L'ipotesi contemplata dalla norma - che cioè il creditore, senza autorizzazione del fideiussore, abbia "fatto credito" al terzo pur sapendo che le condizioni patrimoniali di costui sono frattanto significativamente peggiorate - non può essere riferita alla sola instaurazione di nuovi rapporti obbligatori tra il creditore ed il terzo, cui si estenda la garanzia per debiti futuri in precedenza prestata dal fideiussore, ma abbraccia anche il modo in cui il creditore gestisce un rapporto obbligatorio già instaurato col terzo, coperto dalla garanzia fideiussoria, quando ne derivi un ingiustificato ed imprevedibile aggravamento del rischio cui è esposto il garante di non poter più utilmente rivalersi sul debitore di quanto eventualmente abbia dovuto corrispondere al creditore.

Convince di ciò anzitutto il fondamento stesso della norma in esame, che costituisce un'applicazione del principio di buona fede nell'esecuzione dei contratti e perciò onera il creditore di un comportamento coerente con il rispetto di tale principio nella gestione del rapporto debitorio, tale da non ledere ingiustificatamente l'interesse del fideiussore.

D'altronde, la più attenta dottrina ha da tempo posto in luce come la disposizione del citato art. 1956 sia coerente con la regola posta dal precedente art. 1461, che autorizza ciascun contraente a sospendere la propria prestazione quando le condizioni patrimoniali dell'altro sono divenute tali da compromettere la possibilità della controprestazione e non sia stata data idonea garanzia. Pur sussistendo tra le due norme differenze evidenti, quella dettata in tema di fideiussione in certo senso presuppone l'altra. Presuppone, cioè, non soltanto che il creditore non debba aprire nuove linee di credito in favore di un debitore divenuto a rischio d'insolvenza, scaricandone il rischio sul fideiussore, ma anche che, in relazione a rapporti creditori già in essere, egli debba avvalersi, ove ne ricorrano gli estremi, degli strumenti di tutela (quello contemplato dal citato art. 1461 o altri analoghi) che l'ordinamento pone a sua disposizione e che la normale diligenza suggerisce di utilizzare per evitare un incremento dell'esposizione debitoria di cui il fideiussore ignaro ed incolpevole finirebbe per sopportare il rischio.

La prospettiva nella quale si collocano le due norme dianzi richiamate - l'art. 1461 e l'art. 1956 - è diversa, perchè l'una è volta a tutelare l'interesse del creditore dal rischio della mancata controprestazione e l'altra è volta. invece a tutelare l'interesse del fideiussore. Entrambe, però, muovono dal medesimo presupposto, costituito dall'aggravamento della situazione patrimoniale del debitore; e quel comportamento, che nella logica dell'art. 1461 rappresenta una forma di autotutela e dunque una mera facoltà per il creditore, si trasforma per il creditore medesimo, quando vi sia stata la prestazione da parte del fideiussore di garanzia per debiti futuri del terzo, in un onere (se vuoi conservare il beneficio della garanzia, salvo che lo stesso fideiussore non lo autorizzi a comportarsi altrimenti), trattandosi in questo caso di tutelare anche e soprattutto il garante, nel quadro del principio di buona fede e del connesso dovere di tutela dell'altro contraente cui già si è fatto cenno sopra.

E' proprio in tale prospettiva, sia pure con riferimento a rapporti debitori aventi causa diversa da quello che viene qui in considerazione, che questa corte ha avuto già modo di affermare come, ai fini dell'art. 1956 c.c. un'obbligazione futura sia tanto quella inerente ad un rapporto già sorto, ma che avrà modo di venire a scadenza dopo che la fideiussione è prestata, quanto quella inerente ad un rapporto contemplato dalle parti e che sorgerà se il rapporto verrà in essere. Ed il "far credito", ai fini della norma citata, è stato inteso non solo come il mettere la controparte nella possibilità di disporre di somme di denaro da restituire, ma, ad esempio, anche il lasciare che un rapporto a prestazioni corrispettive si svolga in modo che la controparte continui a ricevere la prestazione a suo favore, senza dal canto suo eseguire la propria (si vedano Cass. 2 marzo 2005, n. 4458, e Cass. 13 febbraio 2009, n. 3525).

L'applicazione di tali principi ad una fideiussione che acceda ad un rapporto di apertura di credito bancario in conto corrente fa sì che non possa condividersi l'affermazione della corte d'appello secondo cui, ai fini del citato art. 1956, occorrerebbe aver riguardo unicamente alla situazione patrimoniale del debitore al momento della apertura del rapporto, mentre resterebbero del tutto irrilevanti le successive variazioni di tale situazione intervenute al momento della successiva utilizzazione del credito ad opera del correntista. E' indubbio che l'apertura di credito obbliga la banca a tenere a disposizione del correntista la somma convenuta, la cui effettiva utilizzazione è poi rimessa alle scelte unilaterali del correntista medesimo; ma è per effetto di tale concreta utilizzazione che sorge o si incrementa il debito di restituzione cui la garanzia fideiussoria accede, e si è già visto come l'andamento della situazione debitoria nel corso del rapporto obbligatorio in essere tra il creditore ed il terzo non sia affatto irrilevante per verificare se l'interesse del fideiussore sia stato o meno ingiustificatamente pregiudicato.

Ne deriva l'enunciazione del seguente principio di diritto: "Se, nell'ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell'apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, alla stregua del principio cui si ispira l'art. 1956 c.c. la banca creditrice, la quale disponga di strumenti di autotutela che le consentano di porre termine al rapporto impedendo ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l'esposizione debitoria, di quegli strumenti è tenuta ad avvalersi anche a tutela dell'interesse del fideiussore inconsapevole, se non vuoi perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede ed in attuazione del dovere di salvaguardia dell'altro contraente, a meno che il fideiussore manifesti la propria volontà di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia". 3. La conclusione alla quale si è pervenuti esaminando il primo motivo di ricorso determina, in conseguenza della cassazione dell'impugnata sentenza, l'assorbimento del seconde motivo (avendo il difensore dei ricorrenti chiarite, nell'odierna udienza di discussione, che la censura contenuta in detto motivo si riferisce unicamente alla mancata ammissione della prova per testimoni).

La sussistenza dei requisiti di ammissibilità e rilevanza dei capitoli di prova testimoniale, infatti, dovrà necessariamente essere riesaminata alla luce del diverso principio di diritto al quale la decisione del giudizio di rinvio sarà ispirata.

Conservano invece attualità, ed occorre perciò procedere al loro esame, gli ultimi due motivi del ricorso.

4. In ordine logico conviene vagliare anzitutto il quarto motivo, col quale i ricorrenti lamentano un vizio di omessa o insufficiente motivazione dell'impugnata sentenza, cui imputano di aver trascurato un'eccezione di nullità per difetto di causa della fideiussione sollevata dagli appellanti; eccezione il cui esame non era precluso dalla sua novità, trattandosi di una questione rilevabile anche d'ufficio.

4.1. Il motivo è inammissibile, perchè i ricorrenti non indicano specificamente nè in quale atto del giudizio d'appello avrebbero sollevato l'eccezione di nullità del cui mancato accoglimento ora si dolgono, nè quale fosse il preciso tenore di tale eccezione e per quale ragione la fideiussione da essi prestata avrebbe dovuto ritenersi priva di causa.

Può comunque aggiungersi che, ove si volesse far dipendere l'eccepito difetto di causa della fideiussione dalla contemporanea veste di soci illimitatamente responsabili dei fideiussori all'atto della prestazione della garanzia, si tratterebbe di eccezione infondata, alla luce del condivisibile principio enunciato da questa corte nella sentenza n. 26012 del 2007. 5. La violazione dell'art. 345 c.p.c. e della L. Fall., art. 184, forma oggetto del terzo motivo di ricorso.

I ricorrenti contestano che l'eccezione con la quale avevano invocato a proprio favore, in quanto ex soci della Artime, gli effetti esdebitatori del concordato preventivo di quest'ultima società fosse stata proposta per la prima volta solo in appello e, pur ammettendo di aver prodotto solo in quel grado la sentenza di omologazione del predetto concordato, sostengono di non averlo potuto fare prima in quanto tale sentenza era stata emessa dopo che la presente causa era già stata trattenuta in decisione dal tribunale.

4.1. Anche tale motivo di ricorso è da ritenersi ammissibile, sotto il profilo di cui all'art. 366 c.p.c., n. 6, essendo specificamente indicato l'atto (e la pagina) del giudizio di primo grado in cui i ricorrenti affermano di aver sollevato la questione erroneamente poi ritenuta nuova dalla corte d'appello. E' però inammissibile sotto un diverso profilo.

Infatti, pur se non si voglia mettere in discussione l'orientamento giurisprudenziale che estende gli effetti parzialmente esdebitatori del concordato ai soci illimitatamente responsabili che abbiano prestato fideiussione (cfr. Cass. n. 3749 del 1989 e Cass. n. 1688 del 1999), occorre considerare che gli odierni ricorrenti avevano cessato di esser soci sin dal 12 maggio 1998 (sentenza impugnata, pag. 8) e che la società per la quale avevano prestato garanzia è stata ammessa a procedura concordataria il 12 febbraio 2001 ed il concordato è stato omologato il 2 marzo 2004 (ricorso, pag. 19).

L'effetto esdebitatorio del concordato per i ricorrenti non potrebbe, quindi, che esser limitato alle obbligazioni sociali sorte in epoca anteriore al maggio 1998, per le quali soltanto gli ex soci risponderebbero in quanto tali, mentre per quelle successive la loro responsabilità deriva unicamente dalla qualità di fideiussori, senza alcuna interferenza del concordato sociale, che sicuramente non spiega effetti su chi sia tenuto alla garanzia soltanto in base ad un titolo fideiussorio.

Per valutare la rilevanza e la decisività della questione sollevata nel motivo di ricorso in esame, perciò, sarebbe necessario poter stabilire se e quale parte dell'esposizione debitoria della società, che ha dato origine al decreto ingiuntivo opposto, fosse maturata già in epoca anteriore al maggio 1998; ma i ricorrenti non hanno fornito indicazioni utili a tal fine e neppure espressamente allegato l'esistenza di debiti della società risalenti a data anteriore al loro recesso.

5. L'impugnata sentenza deve essere perciò cassata unicamente in relazione al primo motivo di ricorso, con conseguente rinvio alla Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.



LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo ed inammissibili gli altri, cassa l'impugnata sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

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