Per quelli relativi alle c.d. "droghe leggere" per fatti commessi fino al 23.12.2013 occorrerà verificare, a parità di pena, se in concreto sia più favorevole per l'imputato l'applicazione della ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, quale ipotesi circostanziale ovvero quale reato autonomo.
E ricorrerà la prima evenienza solo in quei casi in vi siano recidiva o circostanze aggravanti contestate e il giudice ritenga le stesse minusvalenti, ex art. 69 c.p., rispetto all'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5" /> Per quelli relativi alle c.d. "droghe leggere" per fatti commessi fino al 23.12.2013 occorrerà verificare, a parità di pena, se in concreto sia più favorevole per l'imputato l'applicazione della ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, quale ipotesi circostanziale ovvero quale reato autonomo.
E ricorrerà la prima evenienza solo in quei casi in vi siano recidiva o circostanze aggravanti contestate e il giudice ritenga le stesse minusvalenti, ex art. 69 c.p., rispetto all'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5." /> Per quelli relativi alle c.d. "droghe leggere" per fatti commessi fino al 23.12.2013 occorrerà verificare, a parità di pena, se in concreto sia più favorevole per l'imputato l'applicazione della ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, quale ipotesi circostanziale ovvero quale reato autonomo.
E ricorrerà la prima evenienza solo in quei casi in vi siano recidiva o circostanze aggravanti contestate e il giudice ritenga le stesse minusvalenti, ex art. 69 c.p., rispetto all'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5" />
 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. SAVINO Mariapia Gaetana - Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI ANCONA;
nei confronti di:
C.L.;
avverso la sentenza n. 124/2012 TRIB.SEZ.DIST. di OSIMO, del 07/05/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/05/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Ancona sezione distaccata di Osimo, con sentenza del 7/05/2013, dichiarava non doversi procedere, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, nei confronti di C. L., imputato del reato previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, perchè tra il ______, procurava illegalmente al fratello C.A. la fornitura di circa gr. 15,00 di cocaina.
2. Ricorre per la cassazione di tale provvedimento il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Ancona il quale deduce l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in quanto il giudicante ha dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ritenuta la lieve entità dei fatti ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Il Tribunale ha, infatti, ritenuto che la fattispecie di cui all'art. 73, comma 5, prevedesse un'ipotesi di reato che presentava parametri del tutto differenti da quelli che usualmente vengono richiamati in relazione alle ipotesi di reato previste allo stesso D.P.R. n. 309 del 1990, commi 1 e 1 bis, con la conseguenza che non si trattava già allora di un'attenuante ad effetto speciale, ma di un'ipotesi autonoma si reato.
Ritiene, invece, la Procura ricorrente, che la norma prevedesse una circostanza attenuante ad effetto speciale e non un titolo autonomo di reato.
Richiama sul punto diverse sentenze di questa Corte Suprema.
Pertanto, per determinare il tempo necessario a prescrivere il reato, occorreva far riferimento alla pena stabilita dalla legge senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le aggravanti.
Il ricorrente chiede pertanto che questa Corte di Cassazione voglia annullare la sentenza impugnata adottando ogni conseguente provvedimento.

Motivazione

1. Il ricorso del PG va rigettato, ancorchè all'epoca in cui fu proposto i motivi di doglianza fossero fondati.
2. Nelle more della decisione del presente ricorso la norma di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, è stata, infatti, più volte interessata da interventi del legislatore.
La prima modifica legislativa è intervenuta con il D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, art. 2, comma 1, lett. a), convertito, senza modifiche sul punto, dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10 (in G.U. Serie generale n. 43 del 21.2.2014) che ha trasformato quella che per giurisprudenza consolidata di questa Corte era pacificamente ritenuta una circostanza attenuante ad effetto speciale (cfr. ex plurimis Sez. Unite n. 9148 del 31.5.1991, Parisi, rv. 187930; conf. sez. 1, n. 496 del 3.2.1992, confi, comp. Pret. e Trib. Palermo in proc. Di Gaetano, rv. 191131; e, anche dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 49 del 2006, art. 4 bis, ancora Sez. Unite n. 35737 del 24.6.2010, P.G. in proc. Rico, rv. 247910; conf. sez. 6 n. 458 del 28.9.2011 dep. 11.1.2012, Khadhraoui Farouk e altro, rv. 251557; sez. 6, n. 13523 del 22.10.2008 dep. 26.3.2009, De Lucia e altri, rv. 243827) in un'ipotesi autonoma di reato.

Le perplessità avanzate sul punto da taluno dopo l'emanazione del D.L. n. 146 del 2013, venivano presto fugate dall'analisi dei lavori parlamentari e dagli ulteriori "ritocchi" posti in essere con la citata L. n. 10 del 2014 ,di conversione laddove nei vari richiami operati alla fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il legislatore si è preoccupato di sostituire il riferimento alla "circostanza" di cui al comma 5 con quello al "delitto" (ad esempio all'art. 380 c.p.p., comma 2, lett. h, o all'art. 19, comma 5, delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni).
Del resto, già l'avere con il D.L. n. 146 del 2013, introdotto una clausola di riserva per circoscrivere negativamente l'applicazione della norma, scrivendo "salvo che il fatto costituisca più grave reato" lasciava chiaramente intendere che quello di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, voleva essere un titolo autonomo di reato. Conclusioni cui portava anche l'individuazione da parte del legislatore di un soggetto attivo ("chiunque") e di una condotta "commette", tipici delle norme incriminatrici autonome. O il fatto che lo stesso D.L. n. 146 del 2013, art. 2, era rubricato "Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità".
Con quella prima novella, ex D.L. n. 146 del 2013, che ha mantenuto indistinta la sanzione penale per i fatti di lieve entità che riguardassero le droghe c.d. "leggere" e quelle c.d. "pesanti", il massimo edittale previgente veniva abbassato.
Il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, post novella del dicembre 2013 puniva, infatti, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 3.000 a Euro 26.000 chiunque, salvo che il fatto costituisse più grave reato, commettesse uno dei fatti previsti dal medesimo art. 73, che per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, sia "di lieve entità". La norma previgente prevedeva identica sanzione pecuniarìa e, quanto alla pena detentiva, identico minimo edittale (anni uno di reclusione) ma una pena massima più alta (anni sei di reclusione).
L'affermata natura di reato autonomo ha sottratto da quel momento la norma al bilanciamento con eventuali circostanze aggravanti o con la recidiva, che spesso finiva per portare il trattamento sanzionatorio anche per fatti di lieve entità (a fronte ad esempio di una recidiva reiterata ritenuta equivalente all'ipotesi attenuata, qual era il quinto comma previgente) a dover necessariamente riferirsi alle ben più severe pene di cui all'art. 73, comma 1.
L'abbassamento del massimo edittale produce da allora effetti di maggior favore per l'imputato sui termini di custodia cautelare e su quelli per il computo della prescrizione, applicabili per il principio del favor rei anche ai fatti commessi sotto la vigenza della norma precedente.

3. E' poi intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, artt. 4 bis e 4 vicies ter, (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonchè la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, art. 1, comma 1.
Con la sentenza in questione, rimossa dal giudice delle leggi la novella del 2006 di cui alla c.d. legge Fini-Giovanardi, si è avuta la reviviscenza del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, nel testo anteriore alle modifiche con quella apportate che, mentre prevedono un trattamento sanzionatorio più mite, rispetto a quello caducato, per gli illeciti concernenti le cosiddette "droghe leggere" (puniti con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa, anzichè con la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa), viceversa contemplano sanzioni più severe per i reati concernenti le cosiddette "droghe pesanti" (puniti, oltre che con la multa, con la pena della reclusione da otto a venti anni, anzichè con quella da sei a venti anni).
E' stata la stessa Corte Costituzionale a precisarlo in sentenza laddove ha affermato che "in considerazione del particolare vizio procedurale accertato in questa sede, per carenza dei presupposti ex art. 77 Cost., comma 2, deve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate".

Anche per quanto riguardava i rapporti con l'allora vigente quinto comma la Consulta era stata esplicita. Si legge in sentenza: "E' appena il caso di aggiungere che, alta luce delle considerazioni sopra svolte, risulta evidente che nessuna incidenza sulle questioni sollevate possono esplicare le modifiche apportate al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, dal D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, art. 2, (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10, art. 1, comma 1". "Trattandosi di ius superveniens che riguarda disposizioni non applicabili nel giudizio a quo - scrivono ancora i giudici costituzionali per giustificare il rigetto della richiesta in tal senso- non si ravvisa la necessità di una restituzione degli atti al giudice rimettente, dal momento che le modifiche, intervenute medio tempore, concernono una disposizione di cui è già stata esclusa l'applicazione nella specie, e sono tali da non influire sullo specifico vizio procedurale lamentato dal giudice rimettente in ordine alla formazione della legge di conversione n. 49 del 2006, con riguardo a disposizioni differenti. Inoltre, gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il D.L. n. 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest'ultima".

4. La giurisprudenza di questa Corte Suprema si era, perciò, attestata nel ritenere, dunque, quanto alle ipotesi riconosciute ricomprese nel fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, che trovasse applicazione:
a) per le condotte a far tempo dal 24.12.2013, data di entrata in vigore del D.L. n. 146 del 2013, la norma unica, per droghe "pesanti" e droghe leggere" che prevedeva una pena detentiva da 1 a 5 anni di reclusione e la multa da 3000 a 26.000 Euro.
b) per le condotte precedenti al D.L. 30.12.2005 n. 272 convertito in L. 21 febbraio 2006, n. 49, (la cosiddetta Legge Fini-Giovanardi) ed anche, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 32/2014, per tutte quelle successive fino al 23.12.2013, la normativa più favorevole per le c.d. droghe leggere, che prevedeva una pena da sei mesi a 4 anni e la multa da 1032 a 10329 Euro. Per le c.d. droghe pesanti si applicava comunque la nuova legge in quanto quella previgente, che prevedeva una sanzione differenziata da 1 a 6 anni di reclusione e da 3582 a 25822 Euro, era meno favorevole.

E' intervenuto poi il decreto L. 20 marzo 2014, n. 36, conv. in L. 16 maggio 2014, n. 79, con cui il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, è stato sostituito dal seguente: "5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo, che per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da Euro 1032 a Euro 10.329".
Con la seconda novella, del 2014, dunque, la pena per il fatto di lieve entità già prevista per le c.d. "droghe leggere" dalla Legge Iervolino-Vassalli viene adottata, indifferentemente, per tutti i fatti di lieve entità, indipendentemente dalla collocazione dello stupefacente nell'una o nell'altra tabella.

5. Si pone a questo punto il problema dell'ambito applicativo della norma oggi vigente rispetto ai processi in corso.
Orbene, pare evidente che il nuovo quinto comma si applicherà, trattandosi di lex mitior sopravenuta più favorevole ai sensi di cui all'art. 2 c.p., comma 4, a tutti i processi pendenti per i fatti commessi dopo l'entrata in vigore del D.L. n. 146 del 2013, e dunque per i fatti commessi a partire dal 24 dicembre 2013.
Quanto ai processi per fatti precedenti a tale data, l'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge "Fini- Giovanardi" comporta che debba considerarsi come mai abrogata la disciplina di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, nella versione originaria della legge "Iervolino-Vassalli", che, come visto, sanzionava con la reclusione da uno a sei anni e la multa de 2582 a 25.822 i fatti di lieve entità concernenti le droghe c.d. "pesanti" e con la della reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da 1032 a 10329 quelli riguardanti le droghe "leggere".
In relazione ai fatti commessi fino al 23.12.2013, dunque, la legge vigente al momento del fatto deve considerarsi quella di cui alla Legge Iervolino-Vassalli, rispetto alla quale, per quanto riguarda le c.d. droghe "pesanti", la disciplina oggi vigente è sempre più favorevole, e in quanto tale andrà applicata ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 4, in quanto lex mitior sopravvenuta rispetto a quella di cui al tempus commissi delicti.

Non è ugualmente scontato, invece, che trovi sempre applicazione la nuova legge per le cosiddette droghe leggere.
Il nuovo art. 73, comma 5, infatti, prevede oggi per i fatti di lieve entità riguardanti qualunque tipo di stupefacente la medesima pena che la Legge Iervolino Vassalli contemplava per le droghe c.d. "leggere". Quella dell'epoca, tuttavia, era pacificamente un'ipotesi di circostanza attenuante ad effetto speciale, mentre quello attuale è un reato autonomo.
Ciò comporterà, dunque, che di volta in volta il giudice sarà chiamato a verificare quale sia in concreto la disciplina più favorevole.
Nella maggior parte dei casi lo sarà la nuova norma in quanto in ogni caso, trattandosi di reato autonomo, le diminuzioni o gli aggravamenti di pena, dovuti alla presenza della recidiva o di altre aggravanti, si applicheranno sulla pena base determinata ai sensi del quinto comma, anzichè sulla pena base di cui al comma 4 (che contemplava la reclusione da due a sei anni e la multa da 5164 a 77.468 Euro), come sarebbe potuto accadere nel regime previgente in caso di ritenuta prevalenza e equivalenza delle aggravanti.
Non sarà così, però, in tutti quei casi in cui il giudice del merito ritenga quella che era pacificamente una circostanza attenuante qual era il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, prevalente su eventuali aggravanti e sulla recidiva.
Va ricordato sul punto, peraltro, che tale giudizio di prevalenza è possibile anche per la recidiva reiterata prevista dall'art. 99 c.p.p., comma 4, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 251/2012 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69 c.p., laddove non lo consentiva.
In tali caso, infatti, la norma previgente, secondo la quale il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, aveva natura circostanziale, risulta per le droghe leggere in concreto più favorevole, e deve trovare applicazione ex art. 2 c.p., comma 4, in quanto consente al giudice, pur in presenza di circostanze aggravanti o di recidiva, di applicare la sola pena di cui al comma 5.

Può affermarsi, dunque, il principio per cui l'art. 73, comma 5, nella formulazione oggi vigente, introdotta dalla L. n. 79 del 2014, trova applicazione a tutti i processi ancora in corso per fatti di lieve entità relativi a droghe "pesanti".
Per quelli relativi alle c.d. "droghe leggere" per fatti commessi fino al 23.12.2013 occorrerà verificare, a parità di pena, se in concreto sia più favorevole per l'imputato l'applicazione della ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, quale ipotesi circostanziale ovvero quale reato autonomo.
E ricorrerà la prima evenienza solo in quei casi in vi siano recidiva o circostanze aggravanti contestate e il giudice ritenga le stesse minusvalenti, ex art. 69 c.p., rispetto all'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.


6. Per quanto riguarda, invece, i profili processuali la norma di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, oggi vigente è in ogni caso più favorevole.
Già con il testo novellato dal D.L. n. 146 del 2013, e l'introduzione della figura di reato autonomo i termini di prescrizione del reato si erano fortemente ridotti.
Dal 24.12.2013, anche per i fatti pregressi per il principio del favor rei, gli stessi possono essere determinati ai sensi dell'art. 157 c.p., commi 1, 2 e 3, tenendo come riferimento il massimo della pena edittale e, comunque, trattandosi di delitto, un tempo non inferiore a sei anni.
In precedenza, poichè la normativa sulla prescrizione non consente di tenere conto delle attenuanti, anche se ad effetto speciale (qual era l'art. 73, comma 5, previgente), il termine di prescrizione si determinava comunque in 20 anni, pari al massimo edittale previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1.
A parità di termine prescrizionale rispetto al reato novellato ex D.L. n. 146 del 2013, (che resta di sei anni più un quarto in caso di atti interruttivi) il nuovo massimo edittale (quattro anni di reclusione) previsto dalla novella di cui alla L. n. 79 del 2014, ha delle ulteriori conseguenze favorevoli per l'imputato, in quanto continua a consentire l'arresto in flagranza ai sensi dell'art. 381 c.p.p., comma 1, (e il conseguente giudizio direttissimo in caso di convalida), ma rende inapplicabile, la misura della custodia cautelare in carcere in quanto, secondo il dettato di cui all'art. 280 c.p.p., novellato dal D.L. n. 78 del 2013 conv. con modif. nella L. n. 94 del 2013, la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per i delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
Inoltre, la riduzione a quattro anni della pena edittale massima determina, inoltre, la possibilità per l'imputato di richiedere la sospensione del processo con messa alla prova, ai sensi dell'art. 168 bis c.p. (introdotto dalla L. 28 aprile 2014, n. 67), con la prospettiva dell'estinzione del reato a lui ascritto, in caso di esito positivo della prova stessa.

7. Ebbene, nel caso che ci occupa, il giudice di Ancona, sez. dist. di Osimo, precorrendo i tempi, ha ritenuto che la riconosciuta ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, già costituisse reato autonomo.
L'opzione ermeneutica, pur non condivisibile in relazione all'epoca in cui la sentenza è stata emanata, deve oggi essere, tuttavia, convalidata da questa Corte Suprema alla luce del più favorevole ius superveniens di cui si è ampiamente detto, per cui deve ritenersi, per fatti risalenti al 14.9.2003, considerati gli atti interruttivi e le sospensioni, di cui da conto nella sentenza impugnata, che debba ritenersi corretta, alla data in cui è stata emessa la sentenza, la pronuncia con cui è stata dichiarata l'estinzione del reato per essere decorso il termine massimo di prescrizione, pari a sette anni e mezzo.

PQM

Rigetta il ricorso del PG. Così deciso in Roma, il 29 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2014


 

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