LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere -
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - rel. Consigliere -
Dott. CAMPANILE Pietro - Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 2963-2009 proposto da:
R.A. - ricorrente -
contro
M.M.; - intimata -
avverso la sentenza n. 230/2008 della Corte d'Appello di Firenze, depositata il 12/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2013 dal Consigliere Dott. Maria Cristina Giancola;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato Alessandro Fioravanti che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Capasso Lucio che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 3118 del 16.11.2005 il Tribunale di Firenze, nel contraddittorio delle parti, dichiarava la cessazione degli effetti civili di matrimonio concordatario contratto il 3.09.1987, dal ricorrente R.A. con M.M., confermava l'affidamento della figlia delle parti F. (nata il _____) alla madre, cui anche assegnava la casa coniugale, imponeva al R. di corrispondere alla M. un contributo mensile per il mantenimento della minore, le cui spese straordinarie poneva ad esclusivo carico dell'affidataria e rigettava la domanda di assegno divorzile svolta dal ricorrente.
Con sentenza del 18.01-12.02.2008 la Corte di appello di Firenze, nel contraddittorio delle parti, respingeva il gravame del R., ritenendo che:
il R. si era doluto dello statuito diniego di assegno in suo favore, assumendo che la maggiore consistenza dei redditi fruiti dalla M., avrebbe dovuto comportarne l'attribuzione per somma indicativamente pari ad Euro 750,00 mensili, essendosi il proprio tenore di vita drasticamente ridimensionato dopo la separazione personale;
l'appellante percepiva un reddito mensile stabile di Euro 1.400,00 circa, quale dipendente A.S.L., con cui doveva fare anche fronte con analoga cadenza, oltre che al versamento dell'assegno per il mantenimento della figlia, al pagamento a terzi della somma di Euro 336,00, quale rimborso prò quota di un mutuo acceso per l'acquisto insieme ad altra persona, dell'immobile adibito a sua abitazione;
emergeva, pertanto, che il R. non versava in stato di indigenza, mentre il diverso reddito vantato dalla M. non rilevava ai fini dell'attribuzione del chiesto assegno divorzile, d'indole assistenziale, a tale riguardo influendo soltanto le situazioni di macroscopica difficoltà economica, pregiudicanti un'esistenza dignitosa, nella specie insussistenti.
Avverso questa sentenza il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e notificato il 5.02.2009 alla M., che non ha svolto attività difensiva.

Motivazione

A sostegno del ricorso il R. denunzia:
1. "Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e/o falsa applicazione della L. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e successive modifiche, in punto di accertamento del diritto all'assegno divorzile e quindi di verifica dell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.".
Formula il seguente quesito, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, Dica la Suprema Corte di Cassazione se è configurabile la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nel caso in cui, ai fini dell'accertamento del diritto all'assegno divorzile, si tenga conto in via esclusiva del reddito del richiedente, senza attribuire rilevanza alcuna ai mezzi e al maggior reddito dell'altro coniuge e quindi alla disparità delle relative posizioni economiche, al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, e senza valutare ogni altro elemento indicato dalla norma in esame (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, durata del matrimonio).
2. Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e successive modifiche, in punto di esclusione del diritto all'assegno divorzile a motivo della sua natura meramente "assistenziale".
Formula il seguente quesito: Dica la Suprema Corte di Cassazione se è configurabile la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nel caso in cui si escluda il diritto all'assegno divorzile - a motivo del suo carattere assistenziale - in favore del coniuge che percepisca un reddito da lavoro e che sia pertanto economicamente autosufficiente, senza quindi verificare la inidoneità del richiedente a conservare, con i suoi soli mezzi, il tenore di vita goduto, o godibile, in costanza di matrimonio.
3. Art. 360 c.p.c., n. 5: insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in punto di esclusione del diritto all'assegno divorzile rilievo soltanto le situazioni di macroscopica difficoltà economica. Oltre ad incorrere nelle già denunciate violazioni di legge, il giudice a quo ha legato tra loro, confondendoli e male interpretandoli, dei concetti che non hanno molti punti di interferenza reciproca, quali il "carattere assistenziale" dell'assegno divorzile (irrilevante per quanto qui interessa), il "tenore di vita adeguato a quello tenuto in costanza di matrimonio" (di cui non viene focalizzato il carattere assorbente) e l"esistenza dignitosa" (anch'esso assai poco pertinente, in quanto non in relazione col tenore di vita matrimoniale.
I tre motivi del ricorso, suscettibili di esame unitario, sono fondati.
Nel negare qualsiasi rilevanza al reddito della M. e focalizzando tutta la sua attenzione su quello del R., a suo dire sufficiente ad una "esistenza dignitosa", il giudice a quo si è palesemente discostato dai parametri legali di valutazione dettati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.
L'accertamento del diritto all'assegno divorzile va infatti effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontate ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto. Verificata l'esistenza del diritto all'assegno in astratto, secondo il succitato parametro di inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, il giudice deve procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale degli elementi indicati nello stesso art. 5, comma 6 (nel testo modificato dalla L. n. 74 del 1987): condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio. Nè è necessario che sussista uno stato di bisogno dell'avente diritto (il quale può essere anche economicamente autosufficiente), rilevando, invece, l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche (cfr., tra le altre, cass n. 7541 del 2001).
Conclusivamente il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione dell'impugnata sentenza e rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione. Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2013


 

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