REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido - Presidente -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere -
Dott. BUFFA Francesco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 936-2008 proposto da:
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 131, presso lo studio dell'avvocato SERRA IGNAZIO, rappresentato e difeso dagli avvocati PILLI ROMANO, FERRADINI LANDO', giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
POLIGRAFICI EDITORIALE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato ROMEI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- controricorrente
avverso la sentenza n. 1743/2006 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 29/12/2006 R.G.N. 2159/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;
udito l'Avvocato ROMEI ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Firenze, confermando al sentenza del Tribunale di Firenze, rigettava la domanda di M.G., proposta nei confronti della società Poligrafici Editoriali Divisione La Nazione, diretta ad ottenere la declaratoria della sussistenza di un rapporto di lavoro giornalistico subordinato come collaboratore fisso con conseguente condanna al ripristino del rapporto di lavoro ed al pagamento di differenze retributive.
A fondamento del decisum la Corte del merito poneva la considerazione secondo la quale le emergenze istruttorie, pur evidenziando la continuità della prestazione, non provavano il vincolo di dipendenza e la responsabilità del servizio richiesta per il collaboratore fisso di cui alla formulazione dell'art. 2 del CCNL giornalistico rimasto invariato sino alla formulazione del novembre 1995.
Infatti, secondo la predetta Corte, premesso che la messa a disposizione di energie lavorative si realizzava soltanto quando il giornalista aveva assunto contrattualmente la responsabilità di un servizio, nella specie, doveva ritenersi che al M. non era stato affidato il compito di soddisfare per intero la domanda dei lettori e le esigenze redazionali essendosi la sua prestazione inserita nelle pagine del giornale, come uno dei numerosi contributi che arricchivano la già nutrita cronaca quotidiana di argomento calcistico. Nè, per la Corte territoriale, il M. aveva, di fatto, la responsabilità del servizio nel significato richiesto dalla fonte collettiva essendo dimostrato che la redazione sportiva, con variegate figure professionali era in grado di coprire ogni aspetto della cronaca calcistica.
Del resto, sottolineava la Corte del merito, il tenore letterale della lettera-proposta del 2000, con la quale si pattuiva la cessione di diritti d'autore e di utilizzazione di eventuali articoli, attestava che la comune volontà delle parti, così come la concreta attuazione del rapporto, aveva avuto sempre i connotati della collaborazione autonoma.
Avverso questa sentenza il M. ricorre in cassazione sulla base di tre censure.
Resiste con controricorso la società intimata

Motivazione

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell'art. 2 CCNL giornalistico del 10 gennaio 1959, reso obbligatorio dal D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153 in relazione agli artt. 2094 e 2095 c.c., pone il seguente interpello: "se configuri qualifica di collaboratore fisso, ai sensi dell'art. 2 del CCNL dei giornalisti reso obbligatorio erga omnes dal D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153, l'attività prestata (da un giornalista pubblicista) con continuità ed esclusiva per la compilazione di rubriche di uno specifico argomento e, dunque, sia errata la sentenza che non ha tenuto conto di detta ipotesi ai fini del domandato riconoscimento della qualifica di collaboratore fisso".

Con la seconda censura, articolata in via subordinata, il M. denunciando violazione dell'art. 1362 c.c. in relazione all'art. 2 CCNL citato, in relazione agli artt. 2094 e 2095 c.c., formula il seguente quesito: "se costituisca violazione del canone ermeneutico di cui all'art. 1362 c.c. per contrasto con la chiara lettera dell'art. 2 CCNL del settore giornalistico, reso obbligatorio erga omnes, la mancata individuazione della figura del collaboratore fisso nella attività prestata (da un giornalista pubblicista) con continuità ed esclusiva, per la compilazione di rubriche su specifico argomento; e dunque sia errata la sentenza che non ha tenuto conto di detta ipotesi ai fini del domandato riconoscimento della qualifica di collaboratore fisso".

Con la terza critica il ricorrente, allegando violazione degli artt. 2094 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all'art. 2095 c.c. e all'art. 2 CCNL giornalistico e vizio di motivazione, formula il seguente interpello: "se violi i principi della corretta qualificazione del rapporto ex art. 2094 c.c. il desumere l'autonomia dallo stesso contenuto delle pattuizioni contrattuali senza riferimento alle modalità di esecuzione della prestazione medesima e di attuazione del rapporto; e, dunque, sia errata la decisione fondata sull'elemento contrattuale ancorchè in contrasto con quello fattuale ove correttamente accertato". Le censure in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico e giuridico vanno trattate unitariamente.

Osserva, preliminarmente, il Collegio che l'ultimo motivo con il quale si deducono contemporaneamente violazione di legge e vizi di motivazione è solo in parte ammissibile.
Infatti la censura non è esaminabile in relazione al dedotto vizio di motivazione in quanto, a parte ogni considerazione circa l'ammissibilità della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione che non si traduce in una pluralità di quesiti - pur negata da alcune sentenze di questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770 e da ultimo Cass. SU 5 luglio 2011 n. 14661) - vi è di contro il rilevo assorbente che manca la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass. 1 ottobre 2007 n. 2063) che si deve sostanziare in una sintesi riassuntiva omologa al quesito di diritto (Cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063).
Nè del resto può demandarsi a questa Corte di estrapolare dal quesito di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali alle violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell'art. 366 bis c.p.c.. Tanto, d'altro canto, corrisponde alla regola della specificità dei motivi del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 4. Nè è consentito a questa Corte di sostituirsi alla parte nella individuazione concreta della situazione di fatto sottesa alla censura (Cass. 23 marzo 2005 n. 6225).
Pertanto, in difetto della relativa specificazione, la denuncia deve considerarsi limitata alla deduzione del solo vizio di violazione di legge (Cass. 9 marzo 2009 n. 5624).

Tanto precisato rileva la Corte che costituisce principio di diritto nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo la quale in tema di attività giornalistica sono configurabili gli estremi della subordinazione - tenuto conto del carattere creativo del lavoro - ove vi sia lo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell'organizzazione aziendale così da poter assicurare, quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo, la soddisfazione di un'esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, e permanga, nell'intervallo tra una prestazione e l'altra, la disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro, non potendosi escludere la natura subordinata della prestazione per il fatto che il lavoratore goda di una certa libertà di movimento ovvero non sia tenuto ad un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, nè per il fatto che la retribuzione sia commisurata alle singole prestazioni; costituiscono, per contro, indici negativi alla ravvisabilità di un vincolo di subordinazione la pattuizione di prestazioni singolarmente convenute e retribuite, ancorchè continuative, secondo la struttura del conferimento di una serie di incarichi professionali ovvero in base ad una successione di incarichi fiduciari (Cfr. per tutte Cass. 12 febbraio 2008 n. 33 20, Cass. 2 aprile 2009 n. 8068 e Cass. 7 ottobre 2013 n. 22785).
In particolare, poi, per quanto attiene i requisiti prescritti dall'art. 2 del contratto collettivo di lavoro giornalistico (reso efficace erga omnes dal D.P.R. n. 153 del 1961) per la configurabilità della qualifica di collaboratore fisso, questa Corte ha precisato che la "responsabilità di un servizio" deve essere intesa come l'impegno del giornalista di trattare, con continuità di prestazioni, uno specifico settore o specifici argomenti d'informazione, onde deve ritenersi collaboratore fisso colui che mette a disposizione le proprie energie lavorative per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell'informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell'impresa giornalistica, che si assicura così la "copertura" di detta area informativa, rientrante nei propri piani editoriali e nella propria autonoma gestione delle notizie da far conoscere, contando, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla piena disponibilità del lavoratore, anche nell'intervallo tra una prestazione e l'altra (Cass. 9 giugno 2000 n. 7931, Cass. 29 luglio 2004 n. 14427).
Nella specie la Corte del merito non si è attenuta ai principi di diritto sopra richiamati.
Invero, la detta Corte ha fondato il suo decisum sul rilievo secondo il quale la messa a disposizione da parte del collaboratore delle proprie energie lavorative, ai fini della sussistenza di una subordinazione, va desunta dalla assunzione della responsabilità del settore - quello della cronaca calcistica - cui l'attività del M. era riferibile. La Corte fiorentina, così argomentando, non ha, quindi, tenuto conto, sia che la responsabilità del servizio, secondo questa Corte di Cassazione - come sopra rimarcato - va intesa come l'impegno del giornalista di trattare, con continuità di prestazioni, uno specifico settore o specifici argomenti d'informazione, e non come responsabilità dell'intero settore, sia che la permanenza, nell'intervallo tra una prestazione e l'altra, della disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro costituisce un indice di stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell'organizzazione aziendale potendo in questo modo il datore di lavoro assicurare il soddisfacimento di una specifica esigenza d'informazione.

Nè è corretto desumere la mancanza di una messa a disposizione di energie lavorative dalla sole pattuizioni contrattuali, dovendosi avere riguardo, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato od autonomo, anche al concreto atteggiarsi dello stesso.
Infatti questo giudice di legittimità ha, più volte, sottolineato che, fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, occorre far riferimento ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento della prestazione, piuttosto che alla volontà espressa dalle parti al momento della stipula del contratto di lavoro, in particolare, nei casi di difficile qualificazione a causa della natura intellettuale dell'attività svolta - come nella specie - la sussistenza dell'essenziale criterio distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, deve necessariamente essere verificata sulla base di elementi sussidiari che il giudice di merito deve individuare con accertamento di fatto (Cass. 15 giugno 2009 n. 13858, Cass. 20 agosto 2012 n. 14573 e Cass. 9 agosto 2013 n. 19114).
La sentenza impugnata, pertanto, non è corretta in diritto e, conseguentemente, in accoglimento del ricorso va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione che si adeguerà ai principi di diritto sopra enunciati.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2014


 

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