REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere -
Dott. CAMPANILE Pietro - Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14837/2008 proposto da:
CURATELA DEL FALLIMENTO DELL'ISTITUTO FINANZIARIO POPOLARE S.P.A., in persona del Curatore avv. S. S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARENULA 21, presso l'avvocato LESTI ISABELLA, rappresentata e difesa dall'avvocato SPADARO Vincenzo, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
F.S., G.D.), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso l'Avvocato ABRIGNANI Ignazio, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato MESSINA GIOVAN BATTISTA, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 200/2008 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 25/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2014 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito, per i controricorrenti, l'Avvocato TIBERIO SARAGO', con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Svolgimento del processo

1. - Con atto di citazione notificato il 6 marzo 1992 F. S. e G.D. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Marsala l'Istituto Finanziario Popolare s.p.a. chiedendo che venisse dichiarata la nullità, ai sensi dell'art. 1963 cod. civ., di un atto pubblico del 18 marzo 1987 con il quale il F. aveva dichiarato di vendere all'Istituto convenuto, per il prezzo di L. 70.000.000, una casa di civile abitazione con annesso terreno in ____. Chiesero inoltre gli attori che il Tribunale adito dichiarasse anche la nullità di una scrittura privata del 19 marzo 1987, con la quale l'Istituto aveva promesso di rivendere al F., per il prezzo di L. 134.000.000, gli stessi immobili che erano stati trasferiti il giorno prima, nonchè la nullità di un'altra scrittura privata del 29 aprile 1988, con la quale detto Istituto aveva ceduto in locazione ai coniugi F. - G. per un anno la predetta casa di abitazione. Infine, gli attori chiesero che venisse accertato che il reale ammontare del debito del F. era pari a L. 40.000.000 e che esso era stato estinto il 24 novembre 1987.
Sostennero gli attori che il F. era stato costretto alla vendita del 1987 dalla esigenza di rimborsare all'Istituto, per il quale aveva svolto l'attività di procacciatore di affari, la somma di L. 40,000.000, avendo l'Istituto medesimo estinto due debiti che il F. aveva contratto con due istituti di credito per detto importo.
A seguito del fallimento dell'Istituto gli attori proseguirono la causa nei confronti della Curatela.
Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 9 marzo 2004, rigettò la domanda.
2. - A seguito di gravame dei soccombenti, la Corte d'appello di Palermo, con sentenza depositata il 25 febbraio 2008, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarò nulli l'atto di compravendita del 18 marzo 1987, la scrittura privata del 19 marzo 1987 e quella del 29 aprile 1988.
Osservò il giudice di secondo grado che, se pure la sentenza impugnata correttamente, da un punto di vista formale, aveva ritenuto che nell'atto di vendita di cui si invocava la nullità per violazione delle disposizioni di legge enunciate, dovesse ravvisarsi una datio in solutum e non l'intento di garantire l'adempimento della obbligazione, tuttavia la promessa dell'I.F.I. di rivendere l'appartamento appena acquistato allo stesso venditore, pur in sè lecito, andava valutata, come il precedente atto di vendita, non isolatamente, ma sotto il profilo globale del complessivo scopo perseguito dalle parti con l'assetto negoziale rappresentato dai due contratti. Esaminata in tale ottica la vicenda descritta, essa configurava, ad avviso della Corte di merito, un patto commissorio.
3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Curatela del Fallimento dell'Istituto Finanziario Popolare s.p.a. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso il F. e la G.. Le parti hanno depositato memorie.

Motivazione

1. - Con il primo motivo di ricorso si deduce nullità della citazione in appello per difetto della vocatio in ius, ai sensi dell'art. 342 cod. proc. civ., art. 163 cod. proc. civ., comma 1, n. 7 e art. 164 cod. proc. civ., nonchè per violazione del principio del contraddittorio ai sensi dell'art. 101 cod. proc. civ., nonchè nullità derivata del procedimento di appello e della sentenza impugnata. Si chiede, pertanto, la declaratoria di giudicato con riferimento alla sentenza di primo grado. Si lamenta che la copia dell'atto di citazione in appello notificata alla Curatela non contenesse l'indicazione del giorno della udienza di comparizione: ne sarebbe conseguita la nullità dello stesso, irrilevante essendo la circostanza che nell'originale dell'atto, depositato dagli appellanti al momento della loro costituzione in giudizio, figurasse detta indicazione, tra l'altro all'evidenza inserita in un momento successivo alla compilazione dell'atto stesso. Comunque la curatela non si era costituita nel giudizio, e quindi il vizio non si era sanato. Ciò avrebbe determinato, ove si ritenga l'applicabilità nel giudizio di secondo grado dell'art. 164 cod. proc. civ., non solo la nullità dell'atto di citazione in appello, ma anche, in virtù degli effetti estensivi di cui all'art. 159 cod. proc. civ., la nullità dell'intero procedimento di secondo grado e la invalidità della sentenza, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Marsala.

2. - Con il secondo motivo si denuncia nullità dell'atto di citazione in appello notificato il 27 luglio 2004 in quanto non conforme alle prescrizioni di cui all'art. 342 cod. proc. civ. ed inidoneo allo scopo di impedire il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, inammissibilità dell'appello, decadenza dall'impugnazione. Alla medesima conclusione dell'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza, di cui al precedente motivo, si perverrebbe nella specie, secondo la ricorrente, ove si ritenga inapplicabile l'art. 164 cod. proc. civ., al giudizio di appello. In tal caso dovrebbe, infatti, ritenersi comunque non conforme alle prescrizioni dell'art. 342 cod. proc. civ., la citazione in appello di cui si tratta. Essa sarebbe, pertanto, nulla, e, quindi, inidonea ad impedire la decadenza dalla impugnazione, con la conseguenza che anche in tal caso andrebbe dichiarato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

3. - Le censure, da esaminare congiuntamente per la evidente connessione logico-giuridica, meritano accoglimento nei termini che seguono.
3.1. - Deve premettersi che, secondo l'orientamento di questa Corte, la validità dell'atto di citazione - e cioè l'idoneità dello stesso ad assolvere la propria funzione - va valutata con riferimento alla copia notificata, indipendentemente dal ricorso ad integrazioni, in quanto la parte destinataria non ha il dovere di eliminare le incertezze o di colmare le lacune dell'atto che le viene consegnato.
Ne consegue che, in caso di discordanza tra l'originale e la copia dell'atto notificato, assume rilievo ciò che risulta nella copia, perchè è su questa che la parte citata regola il proprio comportamento processuale (v. Cass., sentt. n. 20993 del 2013, n. 3205 del 2008).
Ne deriva la irrilevanza nella specie, correttamente sottolineata nel ricorso, della indicazione, nell'originale dell'atto di citazione in appello, depositato dagli appellanti al momento della costituzione in giudizio, della udienza di comparizione, e ciò a prescindere dalla considerazione della eventuale aggiunta, ipotizzata dalla ricorrente, di tale indicazione in un momento successivo alla compilazione della pagina corrispondente contenuta nella copia notificata dell'atto.

3.2. - Ciò posto, ai fini della soluzione della questione sottoposta all'esame della Corte, appare opportuno richiamare la sentenza delle Sezioni Unite n. 16 del 2000, resa con riferimento ad un problema attinente all'onere di specificazione dei motivi di impugnazione.
In tale occasione, questa Corte ebbe modo di affermare che l'inammissibilità non è la sanzione per un vizio dell'atto diverso dalla nullità, ma la conseguenza di particolari nullità dell'appello e del ricorso per cassazione, e non è comminata in ipotesi tassative ma si verifica ogniqualvolta - essendo l'atto inidoneo al raggiungimento del suo scopo (nel caso dell'appello, evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) - non operi un meccanismo di sanatoria. Pertanto, essendo inapplicabile all'atto di citazione di appello l'art. 164 cod. proc. civ., comma 2 (testo originario), per incompatibilità - in quanto solo l'atto conforme alle prescrizioni di cui all'art. 342 cod. proc. civ. è idoneo a impedire la decadenza dall'impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza -, l'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi, imposto dall'art. 342 cit., integra una nullità che determina l'inammissibilità dell'impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, senza possibilità di sanatoria dell'atto a seguito di costituzione dell'appellato - in qualunque momento essa avvenga - e senza che tale effetto possa essere rimosso dalla specificazione dei motivi avvenuta in corso di causa.

3.3. - Il ragionamento operato dalla Corte a Sezioni Unite con riferimento al mancato assolvimento dell'onere di specificazione dei motivi può trovare applicazione anche con riguardo alla ipotesi di mancata indicazione, nella copia notificata dell'atto di citazione in appello, della data della udienza di comparizione: adempimento, codesto, del pari richiesto dall'art. 342 cod. proc. civ., attraverso il richiamo, in esso contenuto, all'art. 163 cod. proc. civ.
In definitiva, solo l'atto di appello conforme alle prescrizioni di cui all'art. 342 del codice di rito è idoneo ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza. Ed infatti, la predetta sentenza chiarisce che la costituzione dell'appellato, nel giudizio di appello, idoneo, a raggiungere uno dei suoi scopi (costituzione del rapporto giuridico processuale), è inidonea a raggiungere l'altro (impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata), che si consegue solo con il comportamento dell'appellante conforme alle previsioni di cui all'art. 342 c.p.c., senza alcuna possibilità per l'appellato di rimuovere gli effetti che derivano dalla inosservanza di quest'ultima norma, attesa l'indisponibilità degli effetti stessi o per l'appellante di rimediare alla nullità attraverso la specificazione dei motivi in corso di causa.
Inosservanza che determina la pronuncia di inammissibilità dell'appello proposto, proprio perchè il giudice, rilevato il vizio dell'atto, inducente il passaggio in giudicato della sentenza, non può non rilevare che il giudizio d'impugnazione non può giungere alla sua naturale conclusione e cioè al giudizio sulla denunciata ingiustizia della pronuncia impugnata.
Nella specie, per quanto fin qui esposto, l'appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

4.- In tali termini, il ricorso deve essere accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio ex art. 382 cod. proc. civ., poichè la rilevata inammissibilità dell'appello, comportando il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, impediva che il giudizio potesse essere proseguito (v., sul punto, Cass., n. 1505 del 2007, n. 17026 del 2004).
Non vi è luogo a provvedimenti sulle spese del giudizio di appello, in cui la parte appellata non aveva svolto alcuna attività. Le spese del giudizio di legittimità, che, in applicazione, del criterio della soccombenza, devono essere poste a carico dei controricorrenti, si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata.
Condanna i controricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 6 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2014


 

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