Svolgimento del processo

Con atto del 22 luglio 2013, l'Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Fermo, ha proposto appello avverso la sentenza n. 7/02/13 del 24 gennaio 2013 della Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno, con cui veniva dichiarata l'incompetenza territoriale dell'Ufficio impositore (Ufficio di Fermo dell'Agenzia delle entrate}, nel giudizio proposto dalla società semplice L.A. S.R., esercente attività agricola, avverso avviso di accertamento R9H020300367 per imposte sul reddito, lrap e lva anno 2004. Con la predetta sentenza la Commissione di primo grado ha accolto il ricorso, con spese compensate, ritenendo che la sede della società fosse stabilita a Montemonaco (AP), al di fuori della competenza territoriale dell'ufficio di Fermo dell'Agenzia delle entrate.

L'ufficio appellante svolge i seguenti motivi di impugnazione:
1) nullità assoluta della sentenza che si impugna per grave difetto di motivazione, per violazione del contraddittorio e del diritto di difesa della parte Agenzia delle Entrate, nonché per violazione ed errata applicazione di norme di legge, più precisamente per violazione dell'art. 36 del decreto legislativo n. 546/1992;
2) illegittimità assoluta della sentenza per violazione dell'art. 31, comma 2, sulle attribuzioni degli uffici delle imposte, dell'art. 58, comma 3, del d.P.R. 600/73, nonché per violazione degli artt. 18 e 24 del d. lgs. n. 546/1992 e per difetto di motivazione ed erronea valutazione dei fatti e questioni sottoposte all'esame del giudice tributario. In particolare l'ufficio lamenta che il Giudice abbia accolto l'eccezione di incompetenza territoriale, in quanto infondata, oltre che tardivamente proposta con memoria illustrativa dopo la scadenza dei termini per l'impugnazione. Chiede quindi che sia dichiarata la nullità assoluta della sentenza impugnata in relazione ai due motivi di impugnazione, con condanna alle spese.

La società appellata si è costituita con memoria del 18 marzo 2014, contrastando le pretese avversarie e deducendo che l'appello sarebbe tardivo, essendo stato consegnato in data 25 luglio 2013 rispetto al deposito della sentenza impugnata avvenuto in data 24 gennaio 2013, oltre il termine di sei mesi. Secondo l'appellata, il gravame sarebbe comunque da respingere nel merito. Conclude chiedendo la dichiarazione di non procedibilità dell'appello in quanto prodotto oltre i termini di cui all 'art. 327 c.p.c. come modificati da l. n. 69/2009; in subordine: il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza di primo grado; l'annullamento dell'avviso di accertamento impugnato; chiede riunione con altri fascicoli riguardanti diversi anni; con vittoria di spese.

L'ufficio insiste con memoria pervenuta in segreteria il 22 giugno 2020.

Motivazione

In primo luogo la Commissione ritiene di non procedere alla riunione con altri fascicoli riguardanti le parti per annualità diverse, al fine di evitare di rendere più gravosa la loro trattazione.

In via preliminare va trattata l'eccezione relativa alla asserita tardività nella proposizione dell'atto di appello. Al riguardo, il Collegio rileva che l'atto d'appello è stato spedito con raccomandata postale n. 14727685278 in data 23 luglio 2013. In materia, il giudice delle leggi ha affermato l'esistenza di un principio di ordine generale secondo cui la notificazione si intende perfezionata, per il notificante, nel momento in cui questi abbia completato le formalità poste a suo carico, in sostanza quando abbia provveduto a consegnare l'atto al notificatore (Corte Cast. 447/2002 e 132/2004); per il destinatario, la notificazione si intende completata allorché ottenga la conoscenza legale dell'atto notificato. Il predetto principio è stato accolto dal legislatore mediante inserimento nell'art. 149 c.p.c. con riguardo alla notificazione a mezzo del servizio postale. Per il notificante, la notificazione è dunque da considerare tempestiva per il solo fatto che egli abbia compiuto le formalità a suo carico, mentre per il destinatario gli effetti si producono al completamento del procedimento di notificazione, il cui perfezionamento è condizionato al completamento del procedimento di notificazione, come nel caso di specie, in cui la consegna è avvenuta il successivo 25 luglio 2013. L'effetto anticipatorio del perfezionamento della notificazione garantisce l'osservanza del termine perentorio entro cui essa deve essere eseguita, mentre, ad ogni altro fine, gli effetti si producono, sia per il notificante che per il destinatario, dal giorno in cui il procedimento di notificazione viene portato a compimento. L'eccezione di tardività, per i predetti motivi, va dunque respinta.

In via gradata, va esaminata la questione attinente l'incompetenza territoriale rilevata dalla Commissione tributaria provinciale e che ha dato luogo al rigetto del ricorso.

Va osservato al riguardo che l'eccezione di che trattasi, riguardante le attribuzioni dell'ufficio impositore, rientra tra quelle rilevabili d'ufficio (Cass. 13335/2019), e quindi non è rilevante la questione della tardiva formulazione dell'eccezione in memoria illustrativa di primo grado, invece che nel ricorso introduttivo. In ordine alla competenza territoriale dell'ufficio, la giurisprudenza del Giudice di legittimità indica in modo esplicito che essa è determinata (ai sensi dell'art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 40, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972) sulla base del domicilio fiscale indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche in variazione rispetto alle precedenti indicazioni, sicché, in ragione del principio di affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario, il contribuente che abbia indicato il domicilio fiscale in luogo diverso da quello precedente, non può invocare tale difformità, sfruttando a suo vantaggio anche un eventuale errore, al fine di eccepire, sotto il profilo dell'incompetenza per territorio, l'invalidità dell'atto (Cass. 4412/2020, 1170/2013, 5358/2006).

In linea con il predetto orientamento della giurisprudenza, condiviso e fatto proprio da questo Giudicante, il quale non ha motivo per discostarsene, la competenza territoriale dell'ufficio impositore è radicata nell'Ufficio di Fermo, sulla base delle indicazioni del domicilio indicate nei frontespizi delle dichiarazioni dei redditi della società semplice appellata (pag. 5 dell'atto di appello). La sentenza impugnata contiene una pronuncia in rito e non contiene indicazioni sul merito. Tuttavia, per la tassatività delle ipotesi di rimessione al Giudice di primo grado di cui all'art. 59 del d. lgs. n. 546/1992, non risulta possibile rimettere la parti in primo grado, in quanto il riferimento alla competenza, richiamato alla lettera "a" del comma 1, è da intendersi alla competenza territoriale del giudice, e non a quella dell'ufficio.

Occorre dunque fare applicazione della regola secondo cui i vizi della sentenza impugnata si convertono in motivi di gravame (art. 161 c.p.c.), e quindi decidere nel merito la controversia. L'ufficio impositore contesta alla parte versamenti e prelevamenti bancari, ripartendo il valore che ne discende in proventi agrari per metà e in proventi di impresa per l'altra metà, riconoscendo quindi una parte di costi. Viene quindi calcolato un reddito di impresa da imputare ai soci, e successivamente un valore della produzione ai fini lrap e un imponibile lva. Parte appellata deduce: violazione del diritto di difesa, non essendo stata consegnata l'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria all'uso, ai fini fiscali, dei dati reperiti all'esito delle indagini; violazione del diritto di difesa relativamente all'accesso presso l'abitazione dei ricorrenti L. A. S. R.; violazione delle norme sulla trasparenza relative alla mancata consegna della documentazione sulla richiesta di accesso ai conti bancari e postali; erronea attribuzione dei redditi ai soci, in quanto L.A. era titolare del 10% delle quote e non del 50% e non viene considerato il terzo socio L. R. Infine gli appellati rimarcano che trattasi di società semplice esercente attività agricola, come tale da tassarsi secondo i criteri del reddito agrario e dominicale, mentre soltanto l'eventuale eccedenza di capi allevati andrebbe tassata nei modi ordinari; tuttavia l'ufficio non ha compiuto alcuna analisi al riguardo, pur avendo avuto a disposizione i prospetti dei contributi Agea contenenti le estensioni dei terreni adibiti a pascolo e foraggere (parte appellata precisa che i documenti sono stati restituiti dall'Ufficio alla parte stessa il 30 gennaio 2009). Secondo parte appellata, l'ufficio avrebbe inoltre sommato prelevamenti e versamenti, senza tener conto di partite di giro tra gli stessi conti; gli importi verrebbero quindi, almeno in parte, duplicati. Da ultimo, parte appellata evidenzia che la detrazione lva per euro 29.170 non riconosciuta dall'ufficio era riferita a fatture non esibite in quanto temporaneamente prodotte alla Regione Marche per le verifiche sui contributi per le attività agricole, e le stesse sono state allegate nel corso del giudizio di primo grado; una parte di lva al 20% per euro 5.166,58 è riferibile a cessione di beni ammortizzabili. Conclude chiedendo la dichiarazione di non procedibilità dell'appello per tardività e, in subordine, il rigetto dell'appello con conferma della sentenza di primo grado; l'annullamento dell'avviso di accertamento.

Ciò posto, va osservato che le questioni riproposte da parte appellata sulla mancata consegna dell'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria all'uso, ai fini fiscali, dei dati reperiti all'esito delle indagini e all'accesso presso l'abitazione dei ricorrenti L. A. S. R. e sulla mancata consegna della documentazione sull'accesso ai conti bancari e postali non possono trovare ingresso in questo grado di appello, in quanto non impugnate in via incidentale dalla parte appellata.

Nel merito, la decisione può essere assunta in applicazione del principio della ragione più liquida, quale principio che consente al Giudice di esaminare prioritariamente il motivo suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di questioni antecedenti, secondo l'ordine logico-giuridico (Cass. 9936/2014, 23542/2015, 9218/2018). Le presunzioni su cui si basa l'ufficio per ricostruire il reddito di impresa della società semplice esercente attività agricola, facendo riferimento alle movimentazioni bancarie, non appaiono sostenute da un adeguato impianto probatorio. Trattandosi di attività basata sullo sfruttamento di beni sottoposti a determinazione catastale del reddito, l'ufficio non è stato in grado di identificare, se non in via meramente ipotetica e senza alcun elemento obiettivo, quale sia la parte dei proventi eccedenti rispetto ai proventi derivanti dai beni (terreni agricoli) soggetti a determinazione catastale del reddito. L'ufficio ha infatti proceduto ad una ripartizione "secondo equità" dei maggiori redditi contestati pari a 1.197.504,60 - quale somma di versamenti per euro 578.139,89 e prelevamenti per euro 923.621,58 al cui totale di euro 1.508.763,47 è stata detratta la quota corrispondente ai prodotti ceduti con lva 4% per euro 304.256,87- per un 50% ai proventi agrari e per un 50% ai proventi d'impresa. Tale ripartizione del 50% si presenta sfornita di qualunque elemento probatorio e motivazionale, se non per il riferimento ad un ipotetico criterio di equità che, secondo questo giudicante, nel caso di specie non può essere validamente invocato dall'amministrazione. Appare evidente, infatti, che la tassazione dei redditi agrari e dominicali secondo criteri catastali ai sensi dell'art. 34 t. u. 917/1986, come riportato anche nell'avviso di accertamento, non consente di imputare il coacervo delle movimentazioni bancarie - peraltro assommate sia dal lato dei versamenti che dal lato dei prelievi - a singole operazioni economiche, se non per la eventuale parte eccedente il reddito fondiario ai sensi dell'art. 32, comma 3 t. u. 917/1986, su cui l'atto impositivo non offre alcun elemento di approfondimento o valutazione, se non per il richiamo al criterio di equità, da ritenersi in concreto non applicabile. L'atto impositivo si basa infatti soltanto sulle movimentazioni bancarie, che, ai fini della determinazione dei redditi, nel caso di specie non possono essere significativamente trasposte in elementi reddituali, in assenza di adeguata contestazione sullo svolgimento di attività eccedente o estranea all'esercizio dell'azienda agricola (cfr. Cass. 15708/2009). Le contestazioni mosse dall'ufficio sull'eccedenza di ricavi rispetto al reddito fondiario appaiono quindi insufficienti, in quanto costruite in modo generico e senza carattere di perspicuità e non costituiscono quindi, a parere del Collegio, una presunzione idonea a sostenere l'accertamento. Alla luce di quanto sopra esposto, ritiene quindi il Collegio che l'atto impositivo non sia assistito da adeguato impianto probatorio. Conclusivamente, assorbita ogni altra questione, l'appello dell'ufficio va accolto per la parte relativa all'incompetenza territoriale, ma va respinto nel merito. Data la reciproca soccombenza, le spese possono essere compensate.

PQM

La Commissione Tributaria Regionale delle Marche accoglie l'appello dell'ufficio per la questione pregiudiziale relativa all'incompetenza territoriale e lo respinge nel merito, confermando con diversa motivazione la sentenza di primo grado. Spese compensate.


 

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