REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d'Appello di Roma
Sezione della Persona e della Famiglia
composta dai magistrati:
Enrica MAZZACANE -Presidente-
Mariagiulia DE MARCO -Consigliere relatore-
Anna Maria PAGLIARI -Consigliere-
riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente
sentenza
nella causa civile iscritta al n. 17 di Ruolo Generale contenzioso anno 2012 tra
V. G. appellante
e
R. C., appellata e appellante incidentale;
con la partecipazione del Procuratore Generale che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata;
conclusioni: all'udienza del 30.1.2014 i procuratori delle parti si riportano alle proprie conclusioni in atti e chiedono che la causa venga posta in decisione.

Svolgimento del processo

Con sentenza n.15524 emessa in data 10.6.2011 e depositata il 19.7.2011, il Tribunale di Roma:
-ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti il 9.11.1997, ordinando all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma di provvedere alla relativa annotazione;
-ha affidato ad entrambi i genitori la figlia minore L., nata il _____, con collocazione preferenziale presso la madre, con potestà disgiunta per le questioni di ordinaria amministrazione, e con previsione dei tempi e delle modalità di frequentazione padre-figlia;
-fermo per il passato il regime previsto dai provvedimenti provvisori, ha determinato, a decorrere dalla decisione, in €. 250,00 mensili, somma annualmente rivalutabile secondo gli indici Istat, l'assegno divorzile dovuto dal V. alla R. da versare, entro il giomo 5 di ogni mese, al domicilio della medesima, condannandolo ai relativi pagamenti;
-ha determinato in € 450,00 mensili il contributo paterno per il mantenimento della figlia a far data dalla domanda giudiziale (marzo 2007), condannando il V. al relativo pagamento da effettuarsi, quanto alle rate future, entro i primi 5 giorni di ciascun mese, al domicilio della R., ha disposto che l'assegno sia annualmente rivalutato secondo indici Istat;
-ha confermato l'ordine di pagamento diretto a R. C. degli assegni sopra indicati nei confronti del datore di lavoro del V. con detrazione dell'importo dagli emolumenti mensilmente percepiti dal dipendente;
-ha integralmente compensato tra le parti le spese di giudizio.

Ha proposto appello il V. chiedendo, previa sospensione dell'esecutorietà della sentenza impugnata:
-accertare e dichiarare che la R. non ha diritto a veder riconosciuto in suo favore l'assegno divorzile di € 250,00 nè alcun assegno ovvero, subordinatamente, quantificarlo in via equitativa;
-condannare la predetta alla restituzione all'appellante del pianoforte, dei quattro quadri dipinti dallo zio
D. L. e della vettura Lancia Y di sua esclusiva proprietà;
-con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio o, in subordine, con compensazione.
Deduce l'appellante l'erroneità della sentenza in ordine all' "an e al quantum" dell'assegno divorzile, assumendo che il giudice di primo grado ha ritenuto che tra le parti vi fosse un evidente squilibrio economico e che lo stipendio percepito dall'appellata fosse insufficiente ad assicurarle un autonomo e dignitoso tenore di vita.
Ritiene che il giudice abbia fondato il proprio convincimento non solo su una valutazione completamente errata della reale situazione economica della R. omettendo di accertare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il riconoscimento dell'assegno divorzile che, data la funzione assistenziale, può essere attribuito non solo per l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, da intendersi come insufficienza degli stessi a consentirgli un tenore di vita autonoma dignitoso, ma anche e soprattutto per l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Con riferimento all'inadeguatezza dei mezzi osserva che il giudice si è limitato a fondare il proprio convincimento solo sulla documentazione prodotta dalla parte omettendo ogni più opportuno accertamento e ogni valutazione sia sulla sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per la sua attribuzione sia sul comportamento processuale tenuto dalla predetta che, dopo aver più volte affermato, mentendo perfino al giudice, di non svolgere alcuna attività lavorativa pur di non perdere il cospicuo assegno di mantenimento attribuitole in sede di separazione, all'esito delle risultanze istruttorie, non potendo più negare l'evidenza, ha prodotto un contratto di lavoro a tempo indeterminato part-time comprovante una retribuzione mensile di €.500,00.
Rappresenta che già il giudice istruttore aveva revocato l'assegno di mantenimento riconosciuto all'appellata in sede di separazione, valutando la condotta processuale della predetta e le emergenze istruttorie.
Dubita che la somma documentata sia realmente quella percepita dall'appellata e ritiene che, comunque, manchi il requisito ulteriore dell'impossibilità oggettiva di procurarsi altrimenti adeguati mezzi di sostentamento, non avendo la medesima offerto alcuna prova al riguardo, tanto più in considerazione dell'età che le consente di svolgere qualunque attività lavorativa se solo lo volesse.
Deduce l'erroneità anche della decisione in ordine all'entità dell'assegno in relazione al suo reddito mensile di €. 1.400,00 con il quale deve provvedere non solo al suo mantenimento e a quello della figlia L., ma anche ai bisogni della nuova famiglia e al figlio in arrivo. Inoltre, il giudice non ha tenuto in considerazione le migliorate condizioni economiche dell'appellata per la stabile convivenza instaurata.
Lamenta la violazione dell'art. 112 c.p.c. per l'omessa pronuncia sulle richieste di restituzione di beni formulate già con il ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio e per l'integrazione e/o la riforma della sentenza sul punto.
Rappresenta di aver costituito nuovo nucleo familiare con la signora L.I. e di essere in attesa di un figlio da questa, con le inevitabili ripercussioni sulle disponibilità economiche dovendo egli provvedere anche agli obblighi nascenti dalla nuova paternità.
Anche alla luce di tali nuove circostanze chiede che la Corte provveda a revocare interamente l'assegno disposto a favore dell'appellata.

Si è costituita la R. chiedendo, previo il rigetto dell'istanza di sospensione dell'esecutorietà della sentenza impugnata:
- rigettare le domande proposte dall'appellante in quanto infondate in fatto e in diritto, per l'effetto confermando integralmente la sentenza impugnata;
-in via incidentale, stabilire che l'appellante corrisponda all'appellata l'assegno mensile di € 485,00 a titolo di assegno divorzile;
-con vittoria di spese di entrambi gradi del giudizio.
Ritiene l'appellata che la sentenza sia corretta e adeguatamente motivata sulla base delle risultanze dell‘istruttoria che ha dimostrato che presta attività lavorativa con la quallfica di impiegata presso l'autocarrozzeria di O. M., percependo, come provato dalla produzione del contratto di lavoro part-time a tempo determinato, un reddito mensile di circa € 500,00; inoltre è gravata dal canone di locazione dell'immobile in cui vive con la figlia minore pari a € 477,00 mensili.
Osserva che l'appellante, invece, appartenente al Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, percepisce una retribuzione netta annuale di almeno € 20.300,00 -pari a circa € 1.700,00 mensili- stando alle risultanze dell'ultimo CUD prodotto in atti e risalente all'anno 2007 e non risulta gravato da spese abitative perchè vive nell'abitazione della compagna, dalla quale ha avuto una figlia.
Richiama la costante giurisprudenza della cassazione in ordine ai presupposti per il riconoscimento dell‘assegno divorzile con riferimento alla mancanza di mezzi adeguati e alla impossibilità di conseguire mezzi tali da consentire il raggiungimento non già della mera autosufficienza economica ma di un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio sicchè l'accertamento della relativa capacità lavorativa va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell'astrattezza bensì in quella dell'effettività e della concretezza.
Fa presente che in costanza di rapporto matrimoniale lei aveva sempre svolto attività lavorativa, dando, quindi, il suo contributo economico oltre che personale alla vita familiare fin quando, nell'anno 2002, costretta a letto da una gravidanza con minacce di aborto, aveva smesso l'attività lavorativa. Sin dalla nascita della figlia non aveva mai avuto alcun aiuto dal marito e solo a giugno del 2009 era riuscita a trovare una collocazione lavorativa, non avendo potuto prima, per la tenera età della bambina e per l'impossibilità di contare su un sostegno familiare, svolgerne alcuna. L'impiego, sia pure modesto, è l'unico che le consente di prendersi cura della piccola L., della cui crescita si è sempre occupata da sola. La retribuzione è appena sufficiente al pagamento del canone di locazione della casa couiugale, pari a € 485,00.
Tenuto conto di quanto rappresentato, ritiene che il tribunale avrebbe dovuto rilevare che le sue condizioni economiche, non erano nelle more sostanzialmente cambiate essendo la modesta retribuzione netta da lei percepita interamente azzerata dal canone di locazione.
Attesa l'evidente sperequazione tra le parti e l'impossibilità oggettiva di procurarsi autonomamente mezzi adeguati a conservare lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, tenuto conto degli oneri per spese di locazione su di lei gravanti, ritiene che il tribunale avrebbe dovuto determinare l'entità dell'assegno divorzile nella misura richiesta anzichè in quella liquidata.
Deduce l'irritualità del deposito dei documenti da parte dell'appellante, relativi a fatti successivi all‘emissione della sentenza di divorzio ovvero non tempestivamente prodotti nel corso del giudizio di primo grado.
Ricorda che l'appello costituisce un mezzo devolutivo di impugnazione in cui il giudice viene investito del potere di esaminare ciò che è già stato oggetto di esame da parte del giudice di prima istanza, nei limiti delle questioni che le parti hanno devoluto, cristallizzando quindi la situazione di fatto così come si presentava al tempo della pronuncia della sentenza impugnata. Ciò comporta l'irrilevanza, nell'ambito giudizio di appello, di tutte le vicende modificative del diritto controverso che possano eventualmente essersi verificate dopo l'emissione della sentenza impugnata e che potrebbero eventualmente formare oggetto di un separato giudizio di merito.
Richiama l'articolo 345, c.p.c. che prevede il divieto di “ius novo rum” nel giudizio di appello con riferimento ai mezzi istruttori, non ammettendone di nuovi a meno che il giudice li ritenga indispensabili per la decisione ovvero che la parte dimostri non averli potuti precedentemente dedurre per causa non imputabile.
Per questi motivi chiede lo stralcio dei documenti prodotti dall'appellante in questa fase in quanto relativi a circostanze ininfluenti ai fini del decidere e successive rispetto a quelle che hanno formato oggetto del giudizio di primo grado e che dovranno trovare ingresso in autonomo procedimento.
Quanto all'eccepita violazione dell'articolo 112 c.p.c., osserva che la decisione sulle domande restitutorie doveva formare oggetto di separato giudizio di merito non potendo trovare ingresso nel giudizio promosso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Rappresenta che, comunque, l'appellante ha proposto un nuovo giudizio di merito avente ad oggetto proprio le domande restitutorie già avanzate in questa sede.

Previo invito alle parti alla produzione della documentazione fiscale aggiornata nonché della ulteriore documentazione analiticamente indicata e relativa alle rispettive condizioni economiche e patrimoniali, all'udienza del 30.1.2014, sulle conclusioni dei procuratori, come riportate in epigrafe, la Corte ha riservato la decisione.

Motivazione

Preliminarmente deve disattendersi l'eccezione dell'appellata in ordine all'inammissibilità di produzione di ulteriore documentazione oltre quella già acquisita in primo grado in quanto relativa ad accadimenti verificatisi in seguito all'emissione della sentenza di divorzio, cioè la riduzione del reddito dell'appellante e la costituzione, da parte di questi, di un nuovo nucleo familiare con la nascita anche di una figlia.
Invero, per costante giurisprudenza sul punto, la determinazione o rideterminazione del contributo dovuto dal coniuge e/o genitore onerato va effettuata con riferimento alla situazione in atto al momento della decisione e, a tal fine, deve essere considerata anche l'evoluzione delle condizioni economiche delle parti nel corso del giudizio. Proprio in applicazione del principio viene dalla Corte puntualmente richiesta alle parti, d'ufficio, la documentazione fiscale aggiornata ed ogni altra documentazione utile al fine di adottare una decisione il più possibile aderente all'attualità.
Del resto, sarebbe oltre che contrario al principio enunciato anche contrario a ragionevolezza e al principio di economia processuale ritenere la possibilità del ricorso ad altro procedimento ex art. 9 legge cit. quando già si possono far valere le eventuali sopravvenute circostanze nel giudizio in corso.
Per costante giurisprudenza, dunque, nel rito camerale in appello l'acquisizione dei mezzi di prova e segnatamente dei documenti, è ammissibile sino all'udienza di discussione in camera di consiglio, sempre che sulla produzione si sia instaurato un pieno e completo contraddittorio, che costituisce esigenza irrinunciabile anche nei procedimenti in discorso -vedi Cass. civ. sez. I, 28 maggio 2003 n. 8547; sez. I, 25.1.2007, n. 1656-.
Ebbene, nel caso in esame la documentazione prodotta dall'appellante deve ritenersi rilevante al fine di fornire elementi sulle condizioni economiche attuali, comprensive cioè di eventuali modifiche intervenute anche dopo la pronuncia di primo grado e, dunque, rispondente a quanto richiesto dalla Corte con l'ordinanza emessa all'udienza del 25.10.2012 per l'esigenza di adottare la decisione sulla base di situazioni aggiornate e ciò per le ragioni evidenziate.

Nel merito, ritiene la Corte che l'appello debba essere accolto.
Invero, con riferimento all'assegno divorzile va osservato in punto di diritto che, per quanto attiene alla natura del detto assegno, la giurisprudenza della S.C. ha ritenuto la sua funzione esclusivamente assistenziale e che la sua attribuzione è determinata dall'impossibilità del coniuge richiedente di procurarsi adeguati mezzi per ragioni obiettive, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre l'istante, a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del matrimonio -Cass. 3101/2000; 432/2002.

Peraltro, la determinazione dell'assegno di divorzio è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate a diversificate situazioni ed alle rispettive decisioni giudiziali, l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione -Cass. 15722/2005; 25010/2007; 15610/2007.

Occorre rilevare come l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articola in due fasi.
Nella prima il Giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio.
Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione, in concreto, dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nella L. n.898 del 1970, art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerabile in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione -Cass. 12 luglio 2007 n. 15610; 22 agosto 2006 n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040-.

Pertanto, ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno divorzile si impongono l'accertamento della situazione economica familiare al momento della cessazione della convivenza matrimoniale e la sua comparazione con quella del coniuge richiedente al momento della pronuncia per verificare se quest'ultima gli permetta di conservare il tenore di vita corrispondente a quello precedente.

Tanto premesso, deve osservarsi, sotta il profilo della capacità lavorativa, che la R., che in sede di udienza presidenziale aveva negato di svolgere attività lavorativa, nonostante le allegazioni del V. - il quale nel ricorso introduttivo affermava che la stessa lavorava in qualità di segretaria presso un'autocarrozzeria - solo successivamente alle acquisizioni istruttorie con la deposizione del teste ____ ammetteva di recarsi presso l'autocarrozzeria ma solo per amicizia con i titolari e senza percepire alcunchè. Successivamente ha documentato di svolgere attività lavorativa part-time, nella stessa autocarrozzeria, ove già si recava per amicizia, a partire dal 25.6.2009 – vedi contratto di lavoro depositato- con una retribuzione mensile di circa € 495,00.
Tanto, unitamente a quanto riferito dal teste escusso -che dichiarava di averla vista nel 2006, di mattina, intenta a svolgere attività di segretaria nell'autocarrozzeria- induce a ritenere che la R. in realtà abbia lavorato sin dal 2006 ma "in nero".
Del resto è la stessa R. che dichiara di avere sempre lavorato in costanza di matrimonio salvo durante la gravidanza a causa di minacce di aborto ma di non averlo più potuto fare per la necessità di accudire la bambina -la separazione tra le parti è intervenuta quando la bambina aveva pochi mesi-.
Ebbene, l'assiduità della sua presenza su quello che sarebbe stato successivamente il suo dichiarato luogo di lavoro, fa ritenere che le esigenze di accudimento della figlia in realtà non le impedivano di trascorrere la mattinata "per amicizia" nell'autocarrozzeria, nella quale già nel 2006 era stata vista trascorrere la sua mattinata seduta ad una scrivania intenta a svolgere attività di segretaria.
Dunque, la R. anche per motivi anagrafici, possiede indubbia capacità lavorativa come evidenziato dalle pregresse esperienze lavorative e da quella più recente presso l'autocarrozzeria, a partire dal 2006, potendo contare inoltre sul titolo, certamente qualificante sul piano professianale, di ragioniera.
Deve osservarsi che, quanto ai redditi conseguiti, quelli documentati non appaiono attendibili attesa la scarsa "credibilità" dell'appellata, per come già emersa nel corso del procedimento, e l'abitudine a prestare attività lavorativa non dichiarata, il che impedisce di accertare le sue reali condizioni economiche.
Tale atteggiamento non si è modificato nemmeno nel corso del presente grado di giudizio non avendo la predetta adempiuto all'invito della Corte alla produzione della documentazione analiticamente richiesta nell'ordinanza emessa all'udienza del 25.10.2012. Si è, infatti, limitata a produrre i CUD, che non danno contezza della situazione patrimoniale e reddituale complessiva, senza depositare la pur richiesta dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante di non essere tenuta a presentare dichiarazione dei redditi -si può essere titolari anche più CUD e si possono avere altri redditi oltre quelli da lavoro- e neanche ha provveduto al deposito degli estratti di conto corrente bancario relativi all'ultimo triennio, pur risultandone titolare, limitandosi alla produzione di due saldi al 30.11.2012 e al 30.11.2013. Inoltre, solo dopo che l'appellante ha rilevato la mancata prova del dedotto contratto di locazione per l'abitazione, ha depositato una denuncia per la registrazione telematica del nuovo contratto, ma priva di sottoscrizione e di qualsivoglia attestazione dell'inoltro, non documentando il pagamento dei canoni.
Tale comportamento certamente rileva, ex art. 116, c. 2, c.p.c. in senso sfavorevole per l'appellata dovendo ritenersi che la predetta non abbia provveduto alle produzioni richieste allo scopo di non consentire alla Corte di accertare le sue reali condizioni economiche giacchè, diversamente, alcun motivo avrebbe avuto per non adempiervi.
Quanto alle condizioni economiche dell'appellante le stesse sono documentate dalle dichiarazioni reddituali che documentano un reddito netto mensile di circa € 1.968,00 -vedi il più recente Modello 730 del 2013 per l'anno di imposta 2012: reddito complessivo € 28.104,00 da cui detratta l'imposta netta di € 4486,00 residuo reddito netto mensile di € 1.968,16; Modello 730 del 2012 per l'anno d'imposta 2011: reddito complessivo € 29.427,00 da cui detratta l'imposta netta di € 6.317,00 residua un reddito netto mesile di € 1.925,83; Modello 730 del 2011 per l'anno d'imposta 2010: reddito complessivo €.31.474,00 da cui detratta l'imposta netta di € 6.648,00 residuo reddito mensile netto di € 2.068,23. Inoltre, il predetto non risulta proprietario di immobili e dagli estratti di conto corrente bancario non emergono movimenti incompatibili con i redditi dichiarati.
Tanto premesso, considerata la natura esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile, ben diversa da quella dell'assegno di mantenimento dovuto in sede di separazione, avuto riguardo alla capacità lavorativa della R., all'assenza di riscontri deponenti per un tenore di vita diverso da quello consentito dai limitati redditi familiari -non essendo state fornite prove di viaggi e abitudini di vita particolarmente costose-, alle rispettive condizioni delle parti -dovendo ritenersi al riguardo ex art. 116 c.p.c., per il comportamento processuale, che la R. si trovi in condizioni economiche sicuramente migliori rispetto a quelle che ha inteso avallare nel corso del giudizio-, considerata la breve durata del matrimonio -meno di sei anni dal 9.11.'97- e, da ultimo, tenuto conto degli oneri gravanti sull'appellante per la nascita dell'altra figlia -che comporta esborsi equivalenti a quelli dovuti per L.- si ritiene di dover confermare la decisione del Tribunale con riferimento al riconoscimento dell'assegno divorzile per l'appellata ma solo sino al gennaio 2012. A decorrere da tale data va, pertanto, va disposta la revoca dell'assegno in quanto la modifica delle condizioni personali dell'appellante per effetto della nascita della figlia ___ - avvenuta il 18.1.2012 – e dei conseguenti oneri su di lui gravanti, tenuto conto dei criteri indicati, non giustifica il mantenimento dell'assegno per la resistente, dovendo ritenersi una sostanziale equiparazione tra le rispettive condizioni economiche delle parti, per come devono intendersi rappresentate e valutate per le ragioni sopra esposte anche ex art. 116, c.2, c.p.c.

Va infine dichiarata l'inammissibilità della domanda svolta dall'appellante di restituzione di beni.
Ai sensi dell'articolo 40 c.p.c., novellato dalla legge numero 353 del 1990, è consentito nello stesso processo il cumulo di domande soggette a riti diversi, soltanto in presenza di ipotesi qualificate di connessione (articolo 31, 32, 34, 35 e 36), rimanendo esclusa la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente ai sensi dell'art. 33 e dell'art. 183 c.p.c. ma soggette a riti diversi.
Conseguentemente, deve ritenersi esclusa la possibilità del simultaneus processus, nell'ambito dell'azione di divorzio, soggetta al rito della camera di consiglio, con quella di restituzione di beni mobili, soggetta al rito ordinario, trattandosi di domande non legate dal vincolo di connessione, ma in tutto autonome e distinte -vedi Cass. Civ., sez. I, 12.1.2000, n. 266; Cassazione Civile, Sez. 1, 15 maggio 2001, n. 6660-.

L'esito della controversia per la parziale reciproca soccombenza comporta l'integrale compensazione tra le parti delle spese anche del presente grado.

PQM

la Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da V. G. nei confronti di R. C. avverso la sentenza n. 15524 del Tribunale di Roma in data 10.6.2011/19.7.2011, ogni altra istanza ed eccezione disattesa così provvede: in parziale accoglimento dell'appello, revoca, con decorrenza da gennaio 2012, l'assegno divorzile posto a carico del V. e in favore della R.; dichiara l'inammissibilità della domanda di restituzione beni proposta dall'appellante; compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.
Così deciso in Roma nella Comera di Consiglio del 6.2.2014.
Depositato in cancelleria il 28.2.2014


 

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