REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TORINO
SEZIONE PRIMA CIVILE



Il Tribunale in composizione collegiale formato dai giudici:
dott.ssa Maria Cristina Contini presidente
dott.ssa Maria Gabriella Rigoletti giudice
dott. Luca Martinat giudice relatore
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nel giudizio civile iscritto al ruolo generale n. 4406/2011, discusso nella camera di consiglio del 27.09.2011, promosso da:
Fallimento Florilandia s.r.l., in persona del curatore dott. Guglielmo Pomatto, elettivamente domiciliato in Torino, via Alfieri n. 19, presso lo studio dell’avv. Giovanna Buffa che lo rappresenta e difende per delega a margine dell’atto di citazione in forza di
autorizzazione del Giudice delegato 17.02.2010 in atti. (Attore)

CONTRO
Lumio Pasquale, Convenuto contumace)

Conclusioni di parte attrice rese all’udienza del 18.09.2013:
Previa ammissione delle istanze istruttorie dedotte, 1.Dichiarare il sig. Pasquale Lumio, nella qualità di Amministratore unico della Florilandia s.r.l. nel periodo 17 giugno 2008 / 8 settembre 2009, responsabile dei danni arrecati ai creditori sociali ai sensi del combinato disposto degli artt. 146 L.F., comma 1, lett. a), e 2394 c.c.;
2.Condannare per l’effetto il sig. Pasquale Lumio, nella qualità di Amministratore unico della Florilandia s.r.l. nel periodo 17 giugno 2008 / 8 settembre 2009, al risarcimento dei danni nella misura di € 222.943,71, ovvero in quell’altra minore o maggiore che risulterà in corso di causa, con gli interessi di legge;
3.Con vittoria di spese ed onorari del procedimento, oltre Iva e Cpa
”.

Motivazione

1. Con atto di citazione regolarmente notificato il Fallimento Florilandia s.r.l. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Torino Pasquale Lumio, nella sua qualità di ex amministratore unico della società Florilandia s.r.l. in bonis nel periodo 17 giugno 2008 /8 settembre 2009, rappresentando come in data 4-8 settembre 2008 il Tribunale di Torino avesse dichiarato il fallimento della predetta società a causa della persistente condizione di insolvenza verificatasi in conseguenza delle condotte distrattive del patrimonio sociale tenute dal convenuto, il quale inoltre neppure ebbe a tenere regolarmente le scritture contabili obbligatorie.
In particolare, il Fallimento contestava al Lumio di aver quasi interamente distratto il magazzino della Florilandia s.r.l. nel periodo immediatamente precedente la dichiarazione di fallimento, nonché di aver omesso di tenere le scritture contabili ed i libri sociali obbligatori, ragion per cui domandava che il convenuto, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 146 L.F., comma 1, lett. a), e 2394 c.c., venisse condannato al risarcimento del danno patito, danno che, nell’impossibilità di individuare con precisione il magazzino a causa dell’omessa tenuta delle scritture contabili, veniva indicato nella differenza fra attivo e passivo fallimentare come emerso dagli incassi effettuati dalla curatela (per complessivi € 2.800,00) e i crediti ammessi al passivo (per complessivi € 225.744,01).
2. Tanto esposto, il Tribunale in via preliminare osserva come il curatore abbia espressamente fatto valere nel presente giudizio l’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali prevista dall’art. 2394 c.c. in forza dei poteri a lui attribuiti dall’art. 146 L.Fall.
Circa, quindi, la legittimazione per il curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ad esercitare l’azione di responsabilità di cui all’art. 2394 c.c. a seguito della riforma del diritto societario operata con la novella di cui al D.Lgs. n. 6/2003 e successive modificazioni (ipotesi assai dibattuta tanto in dottrina quanto in giurisprudenza per l’assenza di un’esplicita estensione normativa alle società a responsabilità limitata dell’azione di responsabilità dei creditori sociali disciplinata nel capo del codice civile dedicato alle società per azioni, a differenza della situazione ante novella, non essendo più detta azione espressamente richiamata dall’art. 2476 c.c. disciplinante la responsabilità degli amministratori delle società a responsabilità limitata, a differenza di quanto statuiva l’art. 2487 c.c. ante riforma), il Collegio in questa sede si limita a richiamare, facendoli propri, i recenti arresti con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto l’esperibilità della predetta azione.
In particolare, è stato affermato che “in tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, la riforma societaria di cui al d.lg. n. 6 del 2003, che pur non prevede più il richiamo, negli art. 2476 e 2487 c.c., agli art. 2392, 2393 e 2394 c.c., e cioè alle norme in materia di società per azioni, non spiega alcuna rilevanza abrogativa sulla legittimazione del curatore della società a responsabilità limitata che sia fallita, all'esercizio della predetta azione ai sensi dell'art. 146 l.fall., in quanto per tale disposizione, riformulata dall'art. 130 del d.lg. n. 5 del 2006, tale organo è abilitato all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società, così confermandosi l'interpretazione per cui, anche nel testo originario, si riconosceva la legittimazione del curatore all'esercizio delle azioni comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli art. 2393 e 2394 c.c.” (Cassazione civile, sez. I, 21/07/2010, n. 17121, mentre Cassazione civile, sez. I, 20/09/2012, n. 15955 pare dare per presupposta l’esperibilità dell’azione di cui all’art. 2394 c.c.).
Ritiene quindi il Collegio condivisibile l’appena ricordato orientamento, dovendosi affermare che l’assenza di un’esplicita previsione della possibilità di esperire l’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti dei sindaci e degli amministratori di una società a responsabilità limitata non sia il frutto di un intento innovatore ed abrogatore da parte del Legislatore, quanto piuttosto di un mancato esplicito coordinamento fra le disposizioni novellate, sicché, sotto questo profilo, deve essere ritenuta sussistente una perfetta continuità normativa fra il testo ante e post riforma.
Il curatore fallimentare, in effetti, quale sostituto dell’ente societario fallito rispetto al quale deve essere considerato terzo, è rappresentante e titolare (e quindi legittimato ad agire in giudizio) dell’intera sfera dei diritti patrimoniali riconducibili alla società medesima, senza che sia possibile addivenire ad artificiose differenziazioni fra le diverse situazioni giuridiche soggettive riconducibili alla società fallita, pena ingiustificate disparità di trattamento nelle corrispondenti situazioni in presenza di società per azioni. Tale assunto pare poi supportato tanto dalla lettura dell’art. 146 L. Fall, quanto dalla lettura dell’art. 2476 c.c.
La prima delle due norme citate, infatti, legittima il curatore ad esercitare le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori, senza operare alcuna distinzione fra i vari tipi di società o fra i vari tipi di azioni esercitabili, fra le quali quindi devono essere incluse anche quelle ex art. 2393, 2394 e 2476 c.c. (e tale circostanza assume particolare rilievo nelle fattispecie in esame dal momento che detto articolo è stato novellato successivamente alla riforma del diritto societario, quando cioè già ampia anche se contrastata giurisprudenza di merito continuava a ritenere il curatore di una s.r.l. legittimato all’esercizio delle azioni di responsabilità sopraccitate sicché, se il Legislatore davvero avesse voluto escludere dette azioni con l’intervento riformatore del 2003, ben avrebbe potuto esplicitare tale intenzione con la novella apportata all’art. 146 L. Fall. nel 2006).
La seconda delle norme citate, invece, nell’attribuire al socio la legittimazione all’esperimento dell’azione di responsabilità verso gli amministratori, ha attribuito allo stesso un’eccezionale azione in veste di sostituto processuale dell’avente diritto ex art. 81 c.p.c., vale a dire la società, la quale a sua volta, lungi dall’essere stata esclusa dal novero dei soggetti legittimati a promuovere l’azione, essendo lei stessa la titolare del diritto fatto valere, non necessita, secondo i principi generali dell’ordinamento, di alcuna espressa attribuzione normativa per far valere in giudizio la tutela di una situazione giuridica ad essa riconducibile (Trib. Roma, 21/05/2007, Trib. Treviso, 16/01/2006,
Trib. Marsala, 01/04/2005), con la conseguenza che, una volta fallita la società a responsabilità limitata, spetta al curatore, nella sua veste di tutore degli interessi giuridici patrimoniali sociali, azionare le predette azioni sociali di responsabilità, nessuna esclusa.
Tale conclusione ermeneutica è stata in effetti pure condivisa da un corposoorientamento sviluppatosi nella giurisprudenza di merito ancor prima del citato arresto della Suprema Corte, orientamento secondo il quale, anche in caso di fallimento di una società a responsabilità limitata, “considerata la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori nei confronti della società ex art. 2393 c.c., e considerata la natura extracontrattuale degli stessi nei confronti dei creditori sociali ex art. 2394 c.c., nel caso della dichiarazione di fallimento della s.r.l., l'art. 146 l.fall. - R.D. n. 267/1942 - determina una sostituzione nella legittimazione ad esercitare le azioni di responsabilità, in favore, in via esclusiva, del curatore fallimentare” Trib. Napoli, 24/01/2007.
Analogamente il Tribunale di Mantova si era espresso nel senso che “benché, dopo la riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. 6/2003, non vi sia più una norma di carattere generale che disciplina l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di società a responsabilità limitata - prevista invece per le società per azioni dall'art. 2394 c.c. -, si deve ritenere che in virtù del divieto del neminem laedere disciplinato dall'art. 2043 c.c., i creditori sociali possano comunque agire nei confronti degli amministratori che con la loro condotta attiva o omissiva abbiano cagionato l'insufficienza del patrimonio sociale. In caso di fallimento della società, detta azione potrà essere pertanto esercitata dal curatore che, in forza dell'art. 146 legge fall. - R.D. n. 267/1942, è legittimato a proporre un'azione unica ed inscindibile che cumula i presupposti di entrambe le azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. ed è volta ad acquisire all'attivo fallimentare ciò che sia stato sottratto al patrimonio sociale per fatti imputabili agli amministratori” (Trib. Mantova, 20/12/2007).
Identiche conclusioni sono evincibili anche da Trib. Roma, 21/04/2008, secondo cui, in una fattispecie concernente una s.r.l., premesso che “gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato nei confronti della società (artt. 2392 e 2393 c.c.), dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) e dei singoli soci o terzi (art. 2395 c.c.)” ne deriva che “laddove l’azione di responsabilità venga promossa dal fallimento di una società di capitali le azioni di responsabilità previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. confluiscono nell’azione di cui all’art. 146, R.D. n. 267 del 1942 la cui titolarità spetta al curatore, chiamato a reintegrare il patrimonio sociale quale garanzia del ceto creditorio, con riferimento al momento in cui esso risulti insufficiente al soddisfacimento dei creditori della società”.
Successivamente quindi, all’arresto della Corte di Cassazione citato, è stato ribadito che “anche alla luce della legislazione riformata deve reputarsi che il curatore sia legittimato all'esercizio dell'azione sociale e dell'azione dei creditori della s.r.l. Se si dovesse opinare diversamente si verificherebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori di una s.r.l. e quelli di una s.p.a. Ciò deve indurre l'interprete a ravvisare la legittimazione in capo al curatore anche per l'azione dei creditori sociali, in ragione dell'irragionevole sfasatura tra la disciplina della s.r.l. e quella della s.p.a. La norma di cui all'art. 2394 c.c. deve dunque essere applicata in via analogica alle s.r.l., sicché, in caso di fallimento, il curatore sarebbe legittimato a esperirla, e in via esclusiva, ex art. 2394 bis c.c. In altre parole, l'applicazione analogica alle s.r.l. discende dalla constatazione di un vuoto normativo che pare ascrivibile più a una svista di coordinamento della normativa in tema di s.r.l., piuttosto che a una specifica scelta legislativa di cui non si trova traccia nella legge delega e nella relazione alla legge” (Tribunale Milano, 18/01/2011).

Per quanto sopra espresso, di conseguenza, ritiene il Collegio, pur nella consapevolezza dell’esistenza di orientamenti giurisprudenziali di diverso segno, sussistente la legittimazione del curatore di una società a responsabilità limitata ad esperire l’azione di cui all’art. 2394 c.c.
3. Ammessa, dunque, la legittimazione del curatore ad esperire l’azione di cui all’art. 2394 c.c., il Collegio procede ora ad esaminare la fondatezza nel merito della domanda risarcitoria formulata dalla curatela, la quale, nell’allegare l’avvenuta e quasi integrale distrazione del patrimonio sociale da parte del convenuto e l’omessa tenuta delle scritture contabili da parte del medesimo, premette di non essere in grado di provare con precisione l’entità della distrazione, ragion per cui individua il danno nella differenza fra attivo e passivo fallimentare.
A tal proposito il Tribunale osserva in via generale circa la ripartizione degli oneri probatori che spetta al curatore dimostrare tanto il compimento dei fatti di mala gestio imputati all’amministratore quanto il nesso di causa fra i predetti fatti e il danno in quanto “l’azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi dell'art. 146 l. fall., ha natura contrattuale e carattere unitario ed inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli art. 2393 e 2394 c.c.; ne consegue che, mentre su chi la promuove grava esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, su amministratori e sindaci l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti” (Cassazione civile, sez. I, 29/10/2008, n.25977).

Nella fattispecie in esame, quindi, se può ritenersi provata l’omessa tenuta delle scritture contabile da parte del Lumio alla luce della dichiarazione scritta dal medesimo resa al curatore (doc. n. 5 bis, allegato 8), tuttavia la distrazione non può essere ritenuta provata né sotto il profilo dell’an né – soprattutto – sotto il profilo del quantum.
La mancata indicazione da parte della curatela di qualsivoglia elemento utile volto a ricostruire, anche solo sommariamente, il compendio sociale, infatti, rende problematica ed incerta la prova della distrazione stessa, non essendo minimamente noti i beni che sarebbero stati sottratti all’attivo fallimentare, il che è più che sufficiente per rigettare la domanda risarcitoria formulata.
Peraltro, anche volendo ritenere provata la distrazione contestata al convenuto (alla luce delle dichiarazioni scritte rese da persone terze e prodotte in giudizio dall’attore secondo le quali il Lumio ebbe a trasportare via con dei camion della merce non altrimenti identificata dai magazzini sociali, sebbene non vi sia alcuna prova certa che i beni trasportati – e non identificati – fossero di pertinenza della società fallita, e non invece beni personali del Lumio o di proprietà di terzi, magari perché concessi in leasing alla fallita stessa), ritiene comunque il Tribunale non accoglibile la domanda risarcitoria per radicale difetto di prova sul quantum del danno patito.
Parte attrice, in effetti, limitandosi a dedurre l’impossibilità di determinare con certezza il contenuto del magazzino distratto, vorrebbe che il danno venisse determinato nella mera differenza fra attivo e passivo fallimentare, ma detta pretesa ad avviso del Collegio non può essere accolta.
Se è vero, infatti, che un importante filone giurisprudenziale consente in caso di omessa tenuta delle scritture contabili di determinare in via equitativa il danno nella differenza fra attivo e passivo fallimentare (Tribunale Bologna, sez. IV, 22/05/2007, n. 1214), tuttavia va pur sempre ricordato che detto criterio presuntivo ed equitativo non è generalmente applicabile in quanto in contrasto con il principio civilistico che impone di accertare l'esistenza del nesso di causalità tra la condotta illegittima e il danno, sicché può solamente costituire un succedaneo parametro di riferimento alle circostanze del caso concreto allorché sia impossibile ricostruire i dati con l'analiticità necessaria per individuare le specifiche conseguenze dannose riconducibili al comportamento illegittimo posto in essere dall'amministratore stesso (Tribunale Milano, sez. VIII, 20/12/2010, n. 14531; Tribunale Salerno, sez. I, 03/05/2011).
In altre parole, dunque, “qualora il curatore fallimentare di una società di capitali eserciti l'azione di responsabilità verso l'ex amministratore imputato di mala gestio, il mancato rinvenimento della contabilità d'impresa non determina in modo automatico che l'ex amministratore risponda della differenza tra l'attivo e il passivo accertati in sede fallimentare, potendo il giudice di merito applicare il criterio differenziale soltanto in funzione equitativa, attraverso l'indicazione delle ragioni che non hanno permesso di accertare gli specifici effetti pregiudizievoli della condotta e che rendono plausibile ascrivere al convenuto l'intero sbilancio patrimoniale” (Cassazione civile, sez. I, 04/07/2012, n. 11155).
Nella fattispecie in esame, quindi, osserva il Tribunale come il curatore, malgrado l’omessa tenuta delle scritture contabili, non abbia compiuto alcuno sforzo non solo a livello probatorio ma neppure a livello di mera allegazione al fine di offrire al giudicante elementi concreti volti alla determinazione, anche solo parziale, della tipologia dei beni distratti e del loro valore economico sebbene ciò fosse nelle sue possibilità materiali e giuridiche.
Dalla lettura dello stato passivo approvato, infatti, oltre ad emergere i crediti (invero assai modesti) dei lavoratori non pagati, emergono altresì i nominativi di diversi fornitori della Florilandia s.r.l., ragion per cui il curatore, alla luce dei crediti ammessi (e la loro ammissione implica ovviamente il riconoscimento delle prestazioni rese) ben avrebbe potuto offrire al giudicante un quadro (magari solo parziale) dei beni che il Lumio avrebbe distratto, operazione necessaria al fine di potere effettuare la liquidazione del danno in via equitativa, essendo comunque l’attore onerato di offrire tutti gli elementi di prova in suo possesso, non potendo certo il ricorso alla valutazione equitativa supplire al difetto di prova imputabile alla parte.

Infatti, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 cod. proc. civ., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall'altro non ricomprende anche l'accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno, “né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l'apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'"iter" della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno” (Cass. civ., Sez. II, 07/06/2007, n. 13288; Cass. civ., Sez. III, 26/02/2003, n.2874, Trib. Torino, Sez. IX, 21/04/2008).

Nella fattispecie in esame, quindi, stante l’omessa allegazione da parte della difesa attorea di qualsivoglia elemento utile a identificare i beni effettivamente distratti dal Lumio (osservandosi a tal riguardo che neppure le prove orali dedotte paiono idonee a fornire elementi concreti per la valutazione da parte del Tribunale), ritiene il Collegio di non poter procedere alla liquidazione in via equitativa del danno tramite l’addebito al convenuto della differenza fra attivo e passivo fallimentare.
L’omessa tenuta delle scritture contabile da parte del convenuto, infatti, non esonerava certamente ed automaticamente la difesa attorea dall’onere di allegare e provare la consistenza del compendio nella misura in cui ciò rientrava nelle sue possibilità di conoscenza tramite, a titolo esemplificativo, la formazione dello stato passivo, fornendo in tal modo al giudicante un quadro istruttorio che, seppure parziale, sarebbe comunque stato idoneo a consentire un giudizio di liquidazione del danno fondato su criteri equitativi e presuntivi avendo preliminarmente la parte soddisfatto all’onere probatorio ragionevolmente a lei richiedibile.
Non potendo, dunque, il Tribunale procedere all’invocata liquidazione equitativa del danno in presenza di un difetto di allegazione e di prova sia sotto il profilo dell’an che sotto il profilo del quantum imputabile alla parte che la predetta liquidazione ha richiesto (Cassazione civile, sez. I, 04/04/2011, n. 7606), la domanda attorea deve pertanto essere rigettata.
4. Nulla deve infine essere disposto in punto spese di lite, attesa la reiezione della domanda attorea e la mancata costituzione in giudizio del convenuto.

PQM

il Tribunale, in composizione collegiale definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione e istanza disattesa, nella contumacia di Lumio Pasquale,
Rigetta la domanda formulata da parte attrice.
Nulla in punto spese.


 

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