TRIBUNALE DI CALTANISSETTA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Gaetano Sole, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 462 R.G. dell’anno 2012
TRA
C. M., nato a ____, elettivamente domiciliato a Caltanissetta presso lo studio dell’avv. D. G. P. che lo rappresenta e difende, unitamente all’avv. L. E. G., giusta procura a margine dell’atto di citazione
ATTORE
Contro
- P. G., ____, in proprio e n.q. di amministratore e legale rappresentante della GI.PA. s.r.l., elettivamente domiciliato in Caltanissetta presso lo studio dell’avv. G. I., che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta
- M. G. M., nata a ____, elettivamente domiciliata in Caltanissetta presso lo studio dell’avv. M. D. U., che la rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta
CONVENUTI
Avente ad oggetto: azione di regresso e risarcimento danni.

All’udienza del 28.04.2014 i procuratori delle parti concludevano come da verbale di pari data al quale si rinvia; quindi, posta la causa in decisione ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c., dopo il deposito delle comparse conclusionali, ed all’esito della discussione orale avvenuta all’udienza del 3.11.2014, la causa veniva trattenuta in decisione

Svolgimento del processo

Oggetto della presente causa è la richiesta di pagamento in regresso ex art. 1954 c.c. delle somme asseritamente versate dall’attore nella qualità di fideiussore della società GI.PA. s.r.l., per l’ammontare di € 200.000,00, con contestuale richiesta di risarcimento dei danni subiti dallo stesso, quantificati nella somma di € 500.000,00.

A sostegno delle proprie pretese l’attore rappresenta:
- che nel 1991 subentrava, con la quota nominale di Lit. 15 milioni, quale socio della società GI.PA. s.r.l., che vedeva quali altri soci gli odierni convenuti;
- che il 13.9.1991 la Cassa Centrale di Risparmio V.E. concedeva alla società GI.PA. s.r.l. un’apertura di credito ipotecaria di Lit. 500 milioni, offrendo quali garanzie un’ipoteca su un’immobile di proprietà della società, nonché la fideiussione dei soci P. (convenuto) e C. (attore);
- che il 20.4.1995 veniva notificato all’attore titolo esecutivo e precetto, con intimazione a pagare la somma di Lit. 834 milioni circa, stante l’inadempimento della società rispetto al debito assunto; all’esito veniva notificato atto di pignoramento che dava origine ad una procedura esecutiva immobiliare (n. 173/95 R.G.Es.) nei confronti della società GI.PA. s.r.l. (doc. 4 all. fascicolo di parte attrice), in conseguenza della quale il bene pignorato alla società veniva posto in vendita, e trasferito a terzi, e che in sede di distribuzione del ricavato, rilevata l’incapienza delle somme a soddisfare integralmente i diritti del creditore (divenuto frattanto Sicilcassa s.p.a.), veniva allo stesso assegnata la somma di € 178.036,71 (doc. 8 all. fascicolo di parte attrice);
- che a seguito di una serie di vicende meglio descritte in citazione, in data 28.1.2003 l’attore fuoriusciva definitivamente dalla società, e successivamente rimaneva quale unico socio il convenuto P.;
- che in data 7.4.2003 la società GI.PA. s.r.l. veniva sciolta e posta in liquidazione, venendo nominato come liquidatore il P.; successivamente il 30.6.2003 veniva deliberata l’approvazione del bilancio 2002; in tale occasione veniva dichiarato in Assemblea che la società GI.PA. s.r.l. non avrebbe avuto alcun debito nei confronti di terzi; la società veniva, quindi, cancellata dal registro delle imprese;
- che contrariamente a quanto dichiarato in assemblea, la società, nonostante la vendita del bene pignorato, rimaneva debitrice del creditore (il quale vantava un credito assai maggiore del ricavato della vendita forzata);
- che, pertanto, la Italfondiario s.p.a. (a sua volta succeduta a Sicilcassa) spiegava intervento nella procedura esecutiva immobiliare n. 117/95 R.G. Es. già esperita da Sicilcassa s.p.a. nei confronti dell’attore, all’esito della quale in data 20.9.2010, gli immobili dell’attore venivano venduti per il prezzo di aggiudicazione di € 120.000,00;
- che a causa della condotta dei convenuti l’attore, non potendosi rivalere nei confronti della società ex art. 1950 c.c., avrebbe subito un grave danno patrimoniale;
- che, ai sensi dell’art. 1954 c.c. l’attore avrebbe diritto a rivalersi nei confronti del P. in qualità di confideiussore, per l’ammontare di € 200.000,00;
- che, inoltre, il bilancio redatto relativo all’esercizio 2002 avrebbe contenuto una serie di inesattezze, meglio descritte in citazione (pag. 6-7), rilevanti civilisticamente ex art. 2423 c.c., nonché penalmente ai sensi dell’art. 2621 c.c. ante riforma, le quali legittimerebbero la richiesta risarcitoria dell’attore ai sensi degli art. 2394 e 2395 c.c., oltre che ex art. 2043 c.c.

Si costituivano in giudizio i convenuti, i quali deducevano variamente l’infondatezza delle pretese avanzate da parte avversa.
In particolare, quanto al convenuto P., veniva eccepita la prescrizione ed in subordine l’infondatezza sia della domanda di regresso (in difetto di prova circa l’effettivo pagamento da parte dell’attore), sia della domanda risarcitoria; quanto alla M. (convenuta unicamente in relazione alla domanda risarcitoria) veniva evidenziato come la stessa al momento dell’approvazione del bilancio del 2002, non fosse socia della società in liquidazione, il cui capitale sociale era intestato unicamente al P., essendo intervenuta la M. unicamente in qualità di segretaria; in subordine veniva dedotta l’assoluta inammissibilità e infondatezza delle pretese avanzate, spiegando in via riconvenzionale domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c.

Motivazione

Le domande spiegate dall’attore non meritano accoglimento.
Preliminarmente giova osservare che costituisce fatto pacifico tra le parti, che l’attore nel 1991 prestava volontariamente una fideiussione a garanzia dell’obbligazione gravante sulla società GI.PA. s.r.l., della quale lo stesso faceva parte all’epoca della sottoscrizione del contratto.
Ora, l’istituto della fideiussione trova la propria ragion d’essere nell’interesse ad un rafforzamento della tutela del credito, realizzato attraverso l’estensione della garanzia patrimoniale al patrimonio del fideiussore.
Nondimeno, la legge fa salva, a determinate condizioni, la possibilità che il fideiussore possa agire in regresso nei confronti del debitore principale (art. 1950 c.c.), ovvero del confideiussore (art. 1954 c.c.), e tuttavia presupposto per poter esperire un’azione di regresso è quello di aver effettivamente effettuato il pagamento (cfr. Cass. n. 1955/2009).
Nel caso in cui l’adempimento da parte del fideiussore non sia, per così dire, volontario, bensì transiti attraverso la soggezione del garante ad un’azione esecutiva, ai fini dell’esperibilità dell’azione ex art. 1954 c.c. è necessario accertare l’effettivo soddisfacimento del creditore mediante attribuzione del ricavato della vendita in sede distributiva (così Cass. n. 4835/1989).

Il che è ovvio, atteso che la ratio sottesa alla disposizione in esame è quella di far sì che il confideiussore non sopporti da solo il peso economico dell’obbligazione oggetto di garanzia.

Nel caso di specie l’attore non ha dato prova della ricorrenza di tale presupposto.
Difatti, dall’esame della documentazione prodotta dall’attore, si evince: a) che il C. risulta soggetto a diverse procedure esecutive riunite (n. 117/95, 68/97, 50/05 R.G. Es.), donde è ragionevole ritenere che diversi siano i creditori che abbiano esperito azione esecutiva nei suoi confronti; b) che in particolare il creditore procedente nella procedura portante (n. 117/95 R.G. Es.), risulta essere un soggetto del tutto estraneo alla vicenda in esame (la Banca Agricola Etnea), così come si evince dal verbale di aggiudicazione prodotto dall’attore (sub 13), avendo il cessionario del creditore garantito (Italfondiario s.p.a.) spiegato semplicemente un intervento nell’ambito di tale procedura.

Ne consegue che stante la pluralità di creditori concorrenti, essendo predisposto il progetto di distribuzione tenendo conto delle cause legittime di prelazione, non può affatto escludersi – essendo un’evenienza tutt’altro che infrequente – che il creditore intervenuto Italfondiario s.p.a. (cessionario della posizione creditoria originariamente riconducibile alla Cassa Centrale di Risparmio V.E.), possa rimanere insoddisfatto, per incapienza del compendio pignorato.
Peraltro, ove dovesse ritenersi, seguendo la prospettazione dell’attore – ammissibile la domanda di regresso prima ancora della concreta corresponsione delle somme in sede distributiva – occorrerebbe una rigorosa prova circa le concrete chance di soddisfacimento da parte del creditore garantito tramite produzione di tutta la documentazione da cui inferire, sia le spese sostenute per l’espletamento delle operazioni di vendita (che com’è noto vanno poste in prededuzione), sia il rango privilegiato, ovvero chirografario dei vari creditori: documentazione utilizzata dal giudice dell’esecuzione (ovvero dal suo delegato) per predisporre il progetto di distribuzione.
Ebbene, tale documentazione non è stata prodotta dall’attore che si è limitato a produrre il solo verbale di aggiudicazione degli immobili pignorati.
La domanda di regresso ex art. 1954 c.c. va, quindi, rigettata per carenza di prova circa la sussistenza del presupposto della stessa (il soddisfacimento del creditore garantito sui beni del fideiussore).

Quanto alla domanda di risarcimento del danno, anch’essa non merita accoglimento.
Preliminarmente, giova osservare che secondo la più recente giurisprudenza di legittimità – che questo giudice condivide pienamente - la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito decorre da quando il danneggiato, con l'uso dell'ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell'illecito, ovverosia da quando il danno si è manifestato all’esterno (cfr. Cass. SS.UU. n. 27337/08; Cass. nn. 1263/12; 17572/13).
E tuttavia, nel caso di specie, ciò che difetta tenendo conto della stessa prospettazione dell’attore, è proprio la sussistenza di un danno che – anche in forma ipotetica – possa essere eziologicamente ricondotto al fatto posto in essere (secondo l’attore) dai convenuti.
E invero, (non essendo stato dedotto alcun pregiudizio non patrimoniale da parte attrice) giova osservare che il danno patrimoniale altro non è che la decurtazione del patrimonio subita da un soggetto (danneggiato) in conseguenza della condotta di un altro soggetto (danneggiante).
Ebbene, premessa la ricostruzione dei fatti così come prospettata dall’attore, e sostanzialmente non contestata dai convenuti (se non in relazione alla qualità di socio della convenuta M.), non si comprende quale sarebbe stato il danno subito dall’attore in conseguenza della dedotta falsità della delibera di approvazione di bilancio del 30.6.2003: non certamente il fatto di avere subito personalmente un’azione esecutiva, che – si è già osservato – è stata iniziata da altro creditore del tutto estraneo alla vicenda oggetto del giudizio (Banca agricola Etnea); non certamente il fatto di aver subito l’intervento, in seno alla predetta procedura esecutiva, del cessionario del creditore, stante che l’intervento in questione trova giustificazione nel contratto di fideiussione stipulato, la cui validità ed efficacia non sono state in alcun modo messe in discussione dall’attore.
Né infine può sostenersi che la cancellazione dal registro delle imprese abbia impedito all’attore di esercitare un’azione di regresso ex art. 1950 c.c. nei confronti della società: anzitutto perché, come s’è detto, non v’è prova di alcun “pagamento” da parte del fideiussore; in secondo luogo, perché l’attore non evidenzia alcun elemento da cui inferire la sussistenza di beni sociali o disponibilità finanziarie della società residui, che avrebbero potuto essere utilizzati a proprio vantaggio (essendo stato l’unico bene immobile della società pignorato e venduto); in terzo luogo perché, ove anche fossero residuati beni sociali, gli stessi sarebbero stati legittimamente aggrediti dal creditore il quale, a seguito della vendita forzata dell’area di località Palmintelli, aveva visto il proprio credito solo parzialmente soddisfatto.
Non avendo l’attore provato la sussistenza di un danno – elemento fisionomico della fattispecie di responsabilità aquiliana - riconducibile al fatto (asseritamente) posto in essere dai convenuti, la domanda non può che essere rigettata.

Devono ritenersi assorbite le ulteriori questioni dedotte dalle parti convenute.
Quanto alla domanda di condanna al risarcimento del danno non patrimoniale sotto il profilo dell’art. 96 comma 2 c.p.c., avanzata dalla convenuta M., essa è infondata.
Sul punto è appena il caso di osservare che l’art. 96 c.p.c. non deroga al principio secondo il quale colui che intende ottenere il risarcimento dei danni deve dare la prova sia dell’an che del quantum ed il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente l’esistenza (da ultimo Cass. n. 9080/2013).
In assenza di prova circa la sussistenza del danno lamentato, la domanda non può essere accolta.
E tuttavia, nel caso di specie, alla luce della totale infondatezza delle ragioni di parte attrice, si ritengono sussistenti ragioni sufficientemente gravi per pervenire ad una condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c.
Deve osservarsi che la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. integra una forma particolare di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave: elemento imprescindibile per l’accoglimento della domanda in questione è, dunque, il carattere della temerarietà della pretesa azionata, elemento che, secondo consolidata giurisprudenza (cfr. Cass. Civ. nn. 9060/2003; 9579/2000; 2475/1995), va ravvisato nella coscienza dell’infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza.
Ebbene, da quanto precede consegue non soltanto la totale infondatezza delle domande, bensì la temerarietà della pretesa in relazione alla richiesta (iperbolica) di risarcimento di un danno, invero, neanche ben individuato dall’attore.
E infatti, non può non censurarsi l’atteggiamento dell’attore il quale, dopo essersi lungamente soffermato su una serie di fatti e circostanze, in ipotesi integranti gli estremi dell’illecito, ometta totalmente di specificare quale sia stato il danno subito in conseguenza dello stesso: danno che, nel nostro ordinamento (nel quale non trovano spazio i c.d. punitive damages), costituisce elemento essenziale del giudizio di responsabilità.
Peraltro, va sottolineato come la convenuta M., così come correttamente evidenziato dalla stessa, all’epoca dell’approvazione della delibera in contestazione non fosse più socio della società, avendo partecipato alla delibera in qualità di segretario (fatto questo che, a ben vedere, risulta dalla stessa prospettazione di parte attrice: cfr. atto di citazione pag. 2 ultimo rigo e pag. 3 righi 1 e 2; nonché relazione di parte della dott.ssa E. I., allegata al fascicolo di parte attrice), con la conseguenza che non si comprende a che titolo la stessa possa aver partecipato all’illecito, imputato da parte attrice.

Da quanto precede, consegue che l’attore va condannato ex art. 96 comma 3 c.p.c. al pagamento della somma complessiva di € 3.000,00 a favore della convenuta M. G. M., e di € 1.000,00 a favore di P. G., somme determinate in via puramente equitativa.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo sula base dei criteri di cui al D.M. 55/2014.

PQM

Il Tribunale di Caltanissetta, in persona del dott. Gaetano Sole, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda eccezione o difesa, così provvede:
- rigetta le domande avanzate dall'attore;
- condanna C. M. al pagamento in favore di M. G. M. della somma di € 3.000,00 ex art. 96 c.p.c., oltre alle spese di lite che si liquidano in € 10.300,00 per compensi oltre spese generali nella misura del 10%, IVA e CPA come per legge;
- condanna C. M. al pagamento in favore di P. G. della somma di € 1.000,00 ex art. 96 c.p.c., oltre alle spese di lite che si liquidano in € 10.300,00 per compensi oltre spese generali nella misura del 10%, IVA e CPA come per legge;
Caltanissetta, 17.11.2014
Il Giudice
Gaetano Sole


 

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