REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi - Presidente -
Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 7225/2013 proposto da:
N.D.S., N.M.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELL'ACQUA TRAVERSA 195, presso lo studio dell'avvocato DAPEI ENRICO, che li rappresenta e difende giuste procure speciali per Atti Ambasciata d'Italia a Beirut del 27/7/2012 rep. n. 33/2012 (il primo) e 27/07/2012, rep. n. 34/2012(la seconda) allegate in atti;
- ricorrenti -
contro
MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1190/2012 della CORTE D'APPELLO di ROMA del 9/01/2012, depositata il 05/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO;
udito l'Avvocato Dapei Enrico difensore dei ricorrenti che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
è presente il P.G. in persona del Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

N.D.S. e N.M.S. hanno convenuto il Ministero dell'Interno al fine di richiedere il riconoscimento del diritto ad acquisire la cittadinanza italiana.
A sostegno della domanda hanno dedotto:
- di essere nati a ____ rispettivamente nel _____ e nel ______ e di essere figli di L.B.M. la quale, in conseguenza di matrimonio con cittadino libanese aveva perso la cittadinanza italiana come previsto dall'allora vigente L. n. 555 del 1912;
- di avere conseguito il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana in virtù della sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1975, con la quale era stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della L. n. 555 del 1912, art. 10, comma 3, nella parte in cui prescriveva la perdita della cittadinanza italiana, da parte della cittadina che sposava uno straniero indipendentemente dalla sua volontà.
Nel giudizio di primo grado, il Ministero dell'Interno rimaneva contumace ed il Tribunale accoglieva la domanda.
Il medesimo Ministero, tuttavia, proponeva appello deducendo che nella fattispecie in esame non era applicabile il principio espresso nella sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 dal momento che la madre degli attori non aveva perso la cittadinanza per l'acquisto automatico di quella libanese in virtù del matrimonio ma per aver acquisito spontaneamente tale cittadinanza. Alla fattispecie doveva, conseguentemente, applicarsi la L. n. 555 del 1912, art. 8, comma 1. In tale ipotesi il riacquisto tempestivo della cittadinanza italiana poteva avvenire soltanto in conseguenza della dichiarazione prevista dalla L. n. 151 del 1975, art. 219. La L. invece aveva riacquistato la cittadinanza italiana in virtù della L. n. 91 del 1992, solo il 21 giugno 1994, quando i figli erano già maggiorenni. Ad essi, di conseguenza non poteva applicarsi la citata L. n. 91 del 1992, art. 14.
Gli appellati chiedevano il rigetto dell'appello evidenziando tra l'altro la novità dell'eccezione prospettata. La Corte d'Appello di Roma con la sentenza impugnata ha accolto l'appello sulla base delle seguenti argomentazioni:
a) la circostanza relativa all'acquisto volontario della cittadinanza libanese non costituisce un'eccezione in senso stretto ma una mera difesa in quanto si fonda sulla negazione in radice di uno dei fatti costituitivi del diritto azionato.
b) Nel merito la documentazione prodotta dagli stessi attori in primo grado evidenzia che L.B.M. aveva perso la cittadinanza italiana il 12 giugno 1967 per aver acquisito spontaneamente quella libanese. Ciò in virtù della L. n. 555 del 1912, art. 8, comma 1.
L'applicazione di questa norma escludeva l'applicabilità dei principi contenuti nella sentenza n. 87 del 1975 della Corte Costituzionale. Inoltre dal documento proveniente dall'Ambasciata italiana in Libano emergeva che la madre degli appellati aveva riacquistato la cittadinanza italiana il 21 giugno 1994, per effetto della L. n. 91 del 1992, art. 17. Tale norma consentiva proprio a chi avesse perso la cittadinanza ex art. 8 di riacquistarla con effetto ex nunc, mediante una dichiarazione da rendersi nei due anni dall'entrata in vigore della L. n. 91 del 1992. Non poteva, inoltre, trovare applicazione nella specie l'art. 14 che consentiva ai figli minori conviventi di chi avesse perso la cittadinanza italiana di riacquistarla, in quanto i due appellati alla data del 21 giugno 1994 erano maggiorenni.
Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione N. D.S. e N.M.S., affidandosi ai seguenti quattro motivi:
- nel primo motivo viene dedotta la violazione del principio del contraddittorio per non avere la Corte d'Appello dichiarato l'improponibilità delle eccezioni non prospettate in primo grado;
- nel secondo motivo viene dedotto il vizio di omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia per non essersi la Corte d'Appello pronunciata sulla domanda subordinata volta a richiedere all'Ambasciata d'Italia a Beirut se le autorità italiane in applicazione delle circolari del ministero degli Affari Esteri non abbiano considerato le cittadine italiane decadute dalla cittadinanza italiana per il solo fatto del matrimonio con uno straniero;
- Nel terzo motivo viene dedotta sotto il profilo della violazione delle norme costituzionali, l'erroneità della sentenza impugnata per non essere stati applicati i principi stabiliti nelle sentenze n. 4466 e 4467 del 2009 delle Sezioni Unite e nelle ordinanze n. 55 e 56 del 2011 della prima sezione della Corte di cassazione secondo i quali per poter abdicare al diritto di rango costituzionale di cittadinanza la rinuncia deve essere libera.
- Nel quarto motivo viene censurato il mancato riconoscimento della decorrenza ex tunc del riacquisto della cittadinanza. La Corte d'Appello non si è uniformata ai principi delle citate pronunce della Corte di Cassazione nelle quali è stato stabilito che il riacquisto della cittadinanza, quando ciò è consentito dall'ordinamento giuridico italiano, ha effetto retroattivo quanto meno dal 1/1/1948. In queste pronunce alla stregua dei principi contenuti nelle sentenze della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e 30 del 1983, è stato escluso che il riacquisto della cittadinanza operi ex nunc in quanto tale stato integra una qualità essenziale della persona con caratteri di assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità che lo rendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non esaurito se non quando risulti denegato o riconosciuto con sentenza passata in giudicato. La dichiarazione ha, pertanto, mero valore di ricognizione amministrativa, con carattere vincolato.

Motivazione

Il primo motivo è infondato. E' sufficiente al riguardo richiamare il recente orientamento delle Sezioni Unite espresso nell'ordinanza n.10531 del 2013, così massimata:
"Il rilievo d'ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto".

Nella specie la Corte d'Appello ha esclusivamente fornito un'interpretazione del sistema normativo relativo alla cittadinanza italiana, così come conseguente dalla L. n. 55 del 1912, diverso da quello del primo grado, qualificando come volontario, nel legittimo esercizio del potere di autonoma qualificazione giuridica dei fatti che le è proprio, l'acquisto della cittadinanza libanese da parte della madre delle parti alla stregua dell'art. 8 della l. n. 55 del 1912. Gli altri motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi.
La trattazione dei medesimi richiede una sintetica illustrazione del quadro normativo applicabile alla fattispecie, così come integrato dalle pronunce della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e 30 del 1983 e dai principi fissati dalle S.U. con le sentenze n. 4466 e 4467 delle S.U. di questa Corte.
Il punto di partenza è costituito dalle norme della L. n. 55 del 1912, dichiarate incostituzionali.
Si tratta dell'art. 1, n. 1), nella parte in cui prevede: "è cittadino per nascita il figlio di padre cittadino"; (Corte Cost. n. 30 del 1983); dell'art. 1 n. 2) nella parte in cui collega l'acquisto della cittadinanza materna da parte del figlio soltanto ad ipotesi di carattere residuale; (Corte Cost. n. 30 del 1983); dell'art. 2, comma 2, in quanto prevede che il riconoscimento da parte del padre straniero automaticamente comporta, per il figlio minorenne, l'acquisto della cittadinanza straniera e la perdita di quella italiana acquisita per il previo riconoscimento materno (Corte Cost. n. 30 del 1983); ed in particolare dell'art. 10, in quanto stabilisce che il matrimonio con un cittadino straniero determina l'automatica perdita della cittadinanza italiana e l'acquisto automatico di quella straniera se ciò sia previsto dalle norme sulla cittadinanza applicabili al coniuge.
Gli interventi della Corte Costituzionale hanno rimosso sia nei confronti della donna coniugata, originariamente cittadina italiana, sia nei confronti dei figli di una cittadina italiana coniugata con un cittadino straniero, tutte le norme che facevano discendere la perdita della cittadinanza italiana, o la mancata trasmissione della stessa ai propri figli esclusivamente da un regime discriminatorio fondato sul genere, senza alcun margine di scelta individuale in ordine alla conservazione della cittadinanza originaria sia da parte della madre che dei figli.
E', conseguentemente, alla luce dell'automaticità (incostituzionale) della perdita della cittadinanza italiana sancita nelle norme sopra illustrate che deve essere compresa la portata del precedente art. 8, sulla base del quale la sentenza impugnata ha rigettato la domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana dei ricorrenti.
La norma prescrive espressamente:
"Perde la cittadinanza:
1. Chi spontaneamente acquista una cittadinanza straniera e stabilisce o ha stabilito all'estero la propria residenza;
2. chi, avendo acquistata senza concorso di volontà propria una cittadinanza straniera, dichiari di rinunziare alla cittadinanza italiana e stabilisca o abbia stabilito all'estero la propria residenza".
Come risulta palese dal mero esame testuale della norma, la perdita della cittadinanza italiana non viene ancorata esclusivamente all'acquisto di una cittadinanza straniera, richiedendosi, oltre a tale elemento oggettivo anche la partecipazione volontaristica nella forma alternativa dell'acquisto spontaneo e preventivo di una diversa cittadinanza, o di un espresso atto abdicativo alla cittadinanza italiana successivo all'acquisto, ancorchè automatico, della cittadinanza straniera.
Il quadro normativo deve essere completato mediante l'esame delle disposizioni che, partendo dalla peculiarità del regime giuridico contenuto nella legge n. 55 del 1912, in quanto largamente permeato dal principio della supremazia del genere maschile, hanno predeterminato, una volta mutato il quadro costituzionale, le modalità di riacquisto della cittadinanza italiana da parte dei soggetti che avevano perso tale status in virtù della legge predetta.
La norma più significativa è la L. n. 151 del 1975, art. 219, secondo la quale: La donna che, per effetto di matrimonio con straniero o di mutamento di cittadinanza da parte del marito, ha perduto la cittadinanza italiana prima dell'entrata in vigore della presente legge, la riacquista con dichiarazione resa all'autorità competente a norma dell'art. 36 disp. att. c.c., è abrogata ogni norma della L. 13 giugno 1912, n. 555, che sia incompatibile con le disposizioni della presente legge.
Anche nella L. n. 91 del 1992, che contiene l'attuale disciplina normativa della cittadinanza, vi sono disposizioni di raccordo tra il vecchio regime ed il nuovo, incentrato sul principio di uguaglianza tra i generi.
L'art. 17, in particolare, consente a chi abbia perduto la cittadinanza italiana, non direttamente in virtù della norma incostituzionale contenuta nella L. n. 555 del 1912, art. 10, ma ex artt. 8 (ovvero per effetto di una scelta volontaria) o 12 (riacquisto della cittadinanza italiana da parte dei figli una volta divenuti maggiorenni) di riacquistarla mediante una dichiarazione da rendere entro due anni dall'entrata in vigore della legge stessa.
Al riguardo nella pronuncia delle S.U. n. 4466 del 2009, è stato espressamente riconosciuto, difformemente dall'orientamento anteriormente affermatosi nella giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. 3331 del 2004) che la dichiarazione resa ai sensi dell'art. 219 legge 151 del 1975 opera ex tunc e non ha carattere costitutivo, in quanto l'autorità amministrativa svolge una funzione meramente ricognitiva, tesa a riconoscere un diritto soggettivo preesistente e, una volta rimossa l'incostituzionale discriminazione di genere, sempre esercitabile e giustiziabile senza soluzione di continuità.
Coerentemente con tale premessa, la L. n. 91 del 1992, art. 17, viene ritenuto dalle sezioni Unite, una norma di conferma del principio già espresso nell'art. 219, ovvero un ulteriore strumento legislativo volto ad eliminare gli effetti distorsivi della L. n. 555 del 1912 (p.3.1. della sentenza delle S.U. n. 4466 del 2009), pervenendo alla conclusione che, alla luce del nuovo sistema delineato dagli interventi della Corte Costituzionale, soltanto una rinuncia volontaria, così come prevista dall'art. 11 della l. n. 91 del 1992 (e non dall'art. 17, come invece ritenuto dalla Corte d'Appello), può far venire meno il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana nelle condizioni sopra delineate.
Ne consegue che la fattispecie dedotta nel presente giudizio deve essere affrontata all'interno di questo più ampio panorama di fonti costituzionali e normative, ed alla luce della natura permanente ed imprescrittibile del diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana, così come delineato dalle S.U. di questa Corte.
Al riguardo si deve rilevare che l'acquisto della cittadinanza libanese da parte della madre dei ricorrenti non può, alla luce delle risultanze di fatto indicate nella sentenza impugnata, essere inequivocamente ricondotta al paradigma della L. n. 55 del 1912, art. 8, n. 1, o comunque ad una libera scelta, così come erroneamente ritenuto dalla Corte d'Appello di Roma, dal momento che la perdita della cittadinanza italiana, in quanto derivante dell'applicazione di una norma imperativa (L. n. 55 del 1912, art. 10, comma 1) può non essere la conseguenza dell'acquisto "spontaneo" della cittadinanza libanese come richiede la norma ma la causa della necessità di acquistare la cittadinanza del coniuge, ai sensi del terzo comma dell'art. 10. ("La donna cittadina che si marita ad uno straniero perde la cittadinanza italiana, semprechè il marito possieda una cittadinanza che per il fatto del matrimonio le si comunichi").
Peraltro, le stesse ipotesi di perdita "volontaria" della cittadinanza stabilite nella L. n. 555 del 1912, citato art. 8, sono state ritenute dal legislatore del 1992, non equiparabili all'espressione di una volontà abdicativa liberamente determinatasi ma piuttosto come una delle conseguenze di un sistema normativo della cittadinanza, fortemente orientato verso una diversità di trattamento tra i coniugi, dal momento che sono state trattate in modo del tutto diverso dalla rinuncia come autonoma manifestazione di volontà, disciplinata dalla L. n. 91 del 1992, art. 11.
Non può, pertanto, ritenersi che la valutazione di spontaneità dell'acquisto della cittadinanza libanese da parte della madre delle parti ricorrenti, da cui si fa derivare l'esclusione del riconoscimento della cittadinanza italiana in capo ai figli maggiorenni, sia stata effettuata con adeguata conoscenza dei fatti e alla luce del complessivo panorama normativo e giurisprudenziale così come illustrato.
Al riguardo, deve evidenziarsi che la giurisprudenza di legittimità in una pronuncia recente di questa sezione ha evidenziato che nei procedimenti relativi al riconoscimento dello status di cittadino, "il rango di diritto di primaria rilevanza costituzionale" oggetto dell'accertamento giudiziale impone al giudice di attivare i suoi poteri istruttori officiosi al fine di ottenere tutte le informazioni necessarie per verificare l'esistenza o la mancanza dei presupposti richiesti dalla legge. (Cass. 20870 del 2011). Nella specie, la spontaneità della perdita della cittadinanza italiana posta a base del rigetto della domanda proposta dai ricorrenti, non è stata giustificata da un accertamento rigoroso delle condizioni e delle modalità di acquisto della cittadinanza libanese da parte della L., coniugata nel 1964 con un cittadino libanese nella piena vigenza della L. n. 55 del 1912. La documentazione prodotta dagli attori, posta a base della decisione, si limita, secondo quanto desumibile dalla sentenza impugnata e dagli atti difensivi esaminati, a ricondurre la fattispecie alle ipotesi normative di cui alla L. n. 55 del 1912, art. 8, e alla L. n. 91 del 1992, art. 17, senza fornire alcuna indicazione sulla natura, libera, od obbligata dell'acquisto della cittadinanza libanese da parte della madre dei ricorrenti.
La pronuncia della Corte d'Appello risulta, pertanto, censurabile sia sotto il profilo dell'interpretazione della L. n. 55 del 1912, art. 8, da compiersi alla luce dell'esegesi sistematica del testo normativo in cui la norma è inserita così come indicato dalle S.U., sia sotto il profilo del mancato approfondimento in fatto, mediante richiesta puntuale d'informazioni alle Ambasciate competenti e al Ministero degli Esteri, al fine di verificare se all'epoca del matrimonio della madre dei ricorrenti la cittadinanza del marito si comunicava ex lege o in presenza di peculiari presupposti al coniuge o poteva ritenersi il frutto di una libera scelta della medesima.
In conclusione il ricorso deve essere accolto e la pronuncia cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma perchè si attenga al principio di diritto sopra enunciato e regoli anche le spese di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2014


 

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