REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto - Presidente -
Dott. BURSESE Gaetano Antonio - rel. Consigliere -
Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere -
Dott. MATERA Lina - Consigliere -
Dott. MANNA Felice - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17564/2008 proposto da:
OCMA S.p.a.,, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONCA D'ORO 184/190, presso l'avvocato DISCEPOLO Maurizio (STUDIO Avv. DISCEPOLO), rappresentata e difesa dall'avvocato BRUNETTI MARCO MARIA;
- ricorrente -
contro
D.B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUTEZIA 8, presso lo studio dell'avvocato ROSI FRANCESCO, rappresentato e difeso da se medesimo;
- controricorrente -
avverso l'ordinanza del TRIBUNALE di ASCOLI PICENO, depositata il 30/06/2007, proc. n. 114/07 V.G.Rg.;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/02/2014 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1 - la spa OCMA propone ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., avverso l'ordinanza depositata in data 30.06.2007, resa, ai sensi della L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, dal Tribunale di Ascoli Piceno, con la quale era stata liquidata in favore dell'avv. D. B.A. la somma complessiva di Euro 67.091,06, oltre le spese di giudizio, che veniva posta a carico della cliente soc. OCMA a titolo di onorari professionali. Il tribunale aveva in tal modo ridotta l'originaria richiesta del legale pari a Euro 96.658,53, non riconoscendo alcuni rapporti e riducendo alcune voci, non tenendo conto di accordi forfettari intesi a contenere e determinare la misura dei compensi del professionista in misura inferiore ai minimi tariffari.
In modo particolare, in relazione alla causa contro la soc. Gedip, osservava il tribunale, che doveva ritenersi radicalmente nulla anche la relativa convenzione che prevedeva che il professionista fosse remunerato in modo indistinto e a forfait per una pluralità di prestazioni; tutto ciò in quanto ritenuto in contrasto con il principio dell'inderogabilità dei minimi della tariffa forense; di conseguenza il tribunale aveva provveduto a liquidare l'ammontare dell'onorario in misura non inferiore al minimo tabellare.

Il ricorso per cassazione si articola su 2 mezzi con cui si chiede l'annullamento dell'ordinanza impugnata soltanto nel punto in cui si statuisce sul compenso dovuto per la causa promossa contro la Gedip. Resiste con controricorso l'avv. D.B.

Motivazione

1 - Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. "per omessa decisione ed esame di un documento in atti" e vizio di motivazione circa un fatto decisivo.
Osserva l'esponente che tra le parti era stato raggiunto un accordo, prima dell'introduzione del contenzioso, volto a stabilire forfettariamente e preliminarmente il compenso dovuto al professionista per l'intero giudizio contro la GEDIP, accordo successivamente del tutto disatteso dall'avv. D.B.. Tale accordo denominato: "prospetto del 13.10.2006" è del seguente testuale tenore: "...OCMA/GEDIP ...... Causa avanti il Tribunale AP - - in base agli accordi saranno dovute solo le somme che verranno recuperate dalla controparte, salvo la somma minima concordata in ogni caso dovuta di Euro 3.600,00 (L. 7.000.000)". L'avv. D. B. non ha rispettato tale accordo, mentre il Tribunale ne ha sanzionata la nullità in quanto recante, a suo avviso una somma inferiore agli onorari minimi per le prestazioni di avvocato, inderogabili per legge. Si tratta di una pattuizioni la quale, "ben lungi dall'essere contraria al divieto .... di pattuire compensi inferiori ai minimi tariffari è invece espressione delle piena e valida rinunciabilità preventiva ... ai compensi medesimi perchè esprime, senza dubbio alcuno, la volontà di consentire la disponibilità, in capo al professionista del diritto patrimoniale al compenso". Invero il collegio ha definito a torto "amichevoli" detti accordi intercorsi con il legale, quando in realtà si trattava di "affari" e più propriamente di contratti:" 2- Con il 2 motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell'art. 1322 c.c., art. 1372 c.c., art. 1218 c.c., nonchè il vizio di motivazione circa un fatto controverso.
Ribadisce l'esponente che il patto "in esame costituisce sempre un contratto che come tale ha forza di legge tra le parti, per cui il Collegio è incorso in grave errore di diritto per avere definito gli accordi predetti come accordi amichevoli". In effetti la clausola di cui sopra si configura come un contratto vero e proprio e non come un "mero accordo "amichevole", come invece ritenuto dal tribunale.

Entrambe le doglianze - congiuntamente esaminate in quanto strettamente connesse - non hanno pregio.
Invero la ricorrente mostra di non cogliere la ratio decidendi del giudice di merito, che si riferisce unicamente alla sancita nullità del patto relativo al compenso riguardante la causa con la Gedip, in quanto ritenuto in contrasto con il principio dell'inderogabilità dei minimi della tariffa forense previsto dalla L. n. 794 del 1992, art. 24, all'epoca vigente; di conseguenza lo stesso tribunale ha provveduto a liquidare l'ammontare dell'onorario in misura non inferiore al minimo tariffario. Si ricorda che secondo il citato art. 24: "Gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili. Ogni convenzione contraria è nulla".
Questa S.C. ha precisato al riguardo che, "qualora le parti abbiano stabilito espressamente o per facta concludentia un compenso inferiore ai minimi stabiliti dalla tariffa, il giudice è tenuto a determinare l'ammontare dell'onorario in una cifra fra il minimo ed il massimo tabellare ed in nessun caso potrà esser deciso un compenso in misura inferiore a quella tabellare" (v. Cass. n. 3221 del 28/04/1988; Cass. n. 1043 del 19/02/1981). Il tribunale in sostanza ha puntualmente seguito, nel caso in esame, la predetta giurisprudenza, allorchè ha riliquidato i compensi convenzionalmente stabiliti in misura inferiore al minimo tariffario.
Sotto tale profilo non ha alcun rilievo al questione della natura del patto stesso se integrante un contratto vero e proprio, ovvero un patto "amichevole", anche se, è bene precisare che in ogni caso l'avvocato non può considerarsi vincolato da richieste di compenso fatte in via amichevole quando, venuto poi a mancare, come nel caso in esame, l'accordo, sia costretto ad adire l'autorità giudiziaria per ottenere la condanna del cliente a pagargli quanto gli è dovuto nei limiti delle tariffe professionali (Cass. n. 2143 del 25/06/1968). Va ribadito in proposito che la ricorrente soc. Ocma, cliente del professionista, non aveva mai corrisposto al legale l'importo che era stato pattuito a titolo di compenso, costringendo il medesimo a rivolgersi al giudice.
Conclusivamente il ricorso dev'essere rigettato; per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico dell'esponente.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
A norma dell'art. 132 c.p.c., u.c., la presente sentenza viene sottoscritta dall'estensore anche quale componente più anziano del collegio, a seguito di decesso del Presidente d'udienza.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2014


 

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