LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente -
Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano - Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - rel. Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 22890-2009 proposto da:
CONDOMINIO VIA___ - ricorrente -
contro
P.G. - controricorrente -
avverso la sentenza n. 247/2009 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 27/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/11/2011 dal Consigliere Dott. PASQUALE D'ASCOLA;
udito l'Avvocato GERMANI Luigia Carla, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito l'Avvocato ROMANO Angelo, con delega depositata in udienza dell'Avvocato MESSINA Gabriella, difensore della resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Tra P.G. e il condominio di ___ si è instaurato sin dal 1990 un contenzioso relativo a pretesi danni patiti dalla condomina per infiltrazioni di acqua piovana, che avrebbero causato l'impossibilità di godimento del suo bene immobile, costituito da un appartamento posto al quinto piano dello stabile.
L'odierno ricorso è relativo a due cause riunite, la prima instaurata nel 1997 da G. P. con opposizione a decreto ingiuntivo relativo al mancato pagamento da parte sua di contributi e spese condominiali per gli anni dal 1995 al 97, per circa Euro 6.700;
la seconda instaurata con citazione del marzo 1998, chiedendo l'accertamento negativo del debito per contributi e spese condominiali maturati nella gestione 97/98; con richiesta - nel primo giudizio - del risarcimento del danno subito per il mancato godimento dell'appartamento.
Le due cause venivano riunite nel 2000. Dopo il rigetto di ricorso ex art. 700 c.p.c., il tribunale di Milano con sentenza del 29 maggio 2004 respingeva l'opposizione a decreto ingiuntivo e ogni altra domanda di P.G.
L'appello della soccombente, dopo l'esame di altro ricorso ex art. 700 c.p.c. e del relativo reclamo, veniva accolto, previa nuova istruttoria con sentenza del 27 gennaio 2009, la quale condannava il condominio a restituire all'attrice la somma di Euro 123 circa, a titolo di spese condominiali versate in eccesso nel 96/97; dichiarava dovute al Condominio le residue spese condominiali; condannava il condominio pagare all'appellante, a titolo di risarcimento danni, la somma di circa Euro 92.000, oltre che le spese legali per due terzi.
Il condominio di via ______ ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sette motivi.
P.G. ha resistito con controricorso.

Motivazione

Va premesso che il ricorso è soggetto ratione temporis alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006.
2) Con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 346 c.p.c.; sostiene che l'appellante P. sarebbe decaduta delle domande ed eccezioni non accolte in primo grado, in guanto avrebbe omesso di riproporre espressamente e specificamente tali istanze nel giudizio di appello.
La censura, relativa ad eccezione preliminare sollevata in appello, è infondata.
La corte milanese ha avuto ben presente la giurisprudenza relativa alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. e ha ritenuto congrue le conclusioni formulate dalla parte appellante mediante il richiamo a quelle assunte in primo grado "da intendere integralmente trascritte", formula sufficiente allo scopo. La statuizione, correttamente motivata con il richiamo del puntuale passo dell'atto di appello, è conforme alla giurisprudenza di legittimità, a mente della quale "per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all'art. 346 cod. proc. civ., l'appellante ha l'onere di riproporre, a pena di formazione del giudicato implicito, le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, manifestando in modo chiaro e preciso la propria volontà di riaprire la discussione e di chiederne il riesame al giudice superiore, e sollecitando la decisione su di esse" (Cass. 9878/05).
3) Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2043 c.c..
Dopo una lunga dissertazione in ordine all'onere della prova del danno e alle modifiche progressivamente portate dalla resistente alle domande risarcitorie, parte ricorrente afferma che la Corte d'appello male ha fatto a considerare il mancato godimento dell'immobile quale danno patrimoniale subito dalla attrice per effetto delle infiltrazioni, atteso che ella non avrebbe mai provato di aver speso alcuna somma a titolo di canone o albergo per vivere altrove (in grassetto nel testo del ricorso). Cita inoltre (pag. 96) alcuni documenti che sarebbero stati malvalutati dalla Corte di appello.
Conclude il motivo con il seguente quesito di diritto: "stabilisca la Suprema Corte di Cassazione se il danno da mancato godimento dell'immobile da adibire ad abitazione principale debba essere considerato come danno patrimoniale e non come danno non patrimoniale, e se, qualora il danno da mancato godimento dell'immobile da adibire ad abitazione principale dovesse essere fatto rientrare tra i danni patrimoniali, possa questo essere provato, mancando totalmente altre prove, soltanto sulla base di una c.t.u. che stimi e ipotizzi una quantificazione del danno basata sulla mera potenzialità di affittanza dell'immobile e sull'indicazione del canone di affitto di mercato della zona e non equitativamente del giudice ai sensi dell'art. 1226 c.c., il tutto nella totale assenza dell'intenzione dell'asserito danneggiato di porre a reddito l'immobile e/o di allegazione di elementi di prova circa l'effettivo tentativo o l'intenzione di locare dell'immobile stesso".
La censura è priva di pregio.
3.1) In primo luogo occorre rilevare che essa si manifesta principalmente non come censura ex art. 360 c.p.c., n. 2 (violazione di legge), ma come denuncia di vizio di motivazione, per il riferimento alla mancanza di prova del danno, alla documentazione negletta, all'uso di una consulenza tecnica.
Trattasi inoltre di censura che non è formulata in ossequio al principio di autosufficienza e di specificità del ricorso per cassazione, cioè riportando integralmente e per esteso le risultanze asseritamente malvalutate e spiegando dettagliatamente in qual modo esse possano risultare decisive.
Quanto al profilo della violazione di legge, va rilevata la completa infondatezza di essa.
Una volta fornita dall'istante, su cui incombeva il relativo onere, la prova del danno, costituito dalla indisponibilità dell'appartamento a causa delle infiltrazioni addebitate al condominio, il giudice di merito aveva l'obbligo di stabilire l'entità del pregiudizio conseguente a questa perdita patrimoniale.
Ciò ha fatto utilizzando il criterio del valore locativo dell'immobile (Cass. 11611/09 per ipotesi identica; 13242/07) e affidando opportunamente a un consulente il compito di fornire elementi utili alla determinazione della perdita economica de qua (cfr Cass. 3990/06).
4) Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 61 e dell'art. 115 c.p.c..
Anche questa volta la censura si esprime in termini incerti tra la violazione di legge e il vizio di motivazione, poichè indugia sul presupposto della violazione, costituito dalla ricostruzione del fatto, di cui si nega la prova.
Il quesito di diritto è così articolato: "stabilisca la Suprema Corte di cassazione se le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio possono costituire fonte oggettiva di prova dei danni asseritamente subiti in conseguenza di infiltrazioni d'acqua all'interno di un appartamento senza che vi sia stata alcuna dimostrazione della loro esistenza da parte del danneggiato, e/o prova della situazione precedente, e se la quantificazione dei danni operata dal c.t.u., sulla base di presunzioni di potenziale affittanza dell'immobile, possa, da sola, costituire l'unica prova in ordine all'entità degli stessi danni, senza che il danneggiato ne abbia in alcun modo dimostrato l'esistenza, e quindi essere l'unico elemento probatorio sul quale si fonda la decisione del giudicante".
Non mette conto smentire la pretesa inammissibilità di una consulenza percipiente, cioè volta ad accertare fatti che il consulente può affidabilmente rilevare, meglio di ogni altra fonte di prova, grazie alle sue peculiari competenze tecniche, giacchè lo stesso ricorso lo ammette.
La censura si risolve pertanto in una generica critica all'uso della prima consulenza e all'affermazione che nel corso del tempo vi sarebbe stata progressione nel degrado dell'appartamento abbandonato.
La critica è apodittica, e quindi inammissibile, perchè enuncia che ciò "non corrisponde alle risultanze istruttorie" e sarebbe illogico "perchè tutte le perizie svolte sia in primo grado sia in grado di appello" avrebbero "accertato la stessa identica situazione". Il testo di tali risultanze è riportato parzialmente, mediante un passo della ctu Ca., che giunge però a confermare l'ingravescente degrado, dal consulente attribuito alla "mancata manutenzione immobiliare di cui si tratta" e all'evidente "stato di abbandono in cui versa" l'appartamento, il cui degrado generale sarebbe - anche secondo questo consulente - "aumentato nel tempo".
Se ne desume che la progressione del degrado vi è stata e che una volta addebitata al Condominio l'origine del pregiudizio, avrebbe potuto soltanto essere dedotto ed evidenziato - ma non risulta in ricorso che sia stato fatto - un concorso colposo del danneggiato; in mancanza, il progredire del danno restava imputabile all'autore di esso.
5) Il quarto motivo espone violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 324 c.p.c..
Viene censurato il seguente passo della sentenza della sentenza della corte d'appello di Milano: "deve, pertanto, escludersi, sulla scorta di tali motivate valutazioni (a proposito delle quali è da notare che il c.t.u. svolge un attento esame di tutti gli elementi a sua disposizione, confrontando anche il contenuto dei successivi accertamenti tecnici), che nei fatti oggetto della sentenza appellata siano compresi quelli di cui al precedente giudizio fra le stesse parti, conclusosi con sentenza passata in giudicato, potendo dirsi accertata una costante progressione nella gravita delle infiltrazioni e conseguentemente dei danni subiti dall'immobile di proprietà dell'appellante".
Parte ricorrente deduce che la sentenza del 2000 della Corte di Milano su un primo giudizio risalente al 1990 aveva definito la materia del contendere e che la sentenza era stata confermata da pronuncia inammissibilità di cui a Cass. 16354/03.
Anche questa censura è inammissibilmente formulata. Essa pone come vizio di violazione di legge un interrogativo retorico, poichè chiede, come si delinea nel quesito conclusivo, se un accertamento passato in giudicato possa essere oggetto di nuova pronuncia. In tal modo si pone un quesito inammissibile perchè non concreto, giacchè la Corte di appello ha escluso esplicitamente, nel rigettare l'eccezione già svolta davanti ad essa, che i fatti oggetto della sentenza qui appellata siano identici a quelli già giudicati. Per rendere concreto e ammissibile il quesito, parte ricorrente avrebbe pertanto dovuto criticare efficacemente quella parte della sentenza di cui si afferma che nuove erano le lesioni subite dall'immobile dell'appellante, a causa di una costante progressione di esse.
6) Il quinto motivo, che denuncia omessa denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, mira a far affermare che la corte di appello abbia dichiarato la responsabilità del condominio per il ritardo nell'attuazione dell'ordinanza cautelare di esecuzione dei lavori di ripristino dell'appartamento, omettendo di valutare le cause del ritardo.
Anche questa censura è inammissibile. Essa si risolve nella contrapposizione tra le motivate affermazioni della Corte di appello e la pretesa del ricorrente di una diversa valutazione dei fatti. Fa leva infatti su pretese difficoltà addotte dalla attrice all'esecuzione dei lavori, difficoltà di cui si dice genericamente che sarebbero circostanze "tutte provate e dimostrate in sede di gravame, sia in quanto confermate negli atti e nei provvedimenti di causa e sia perchè riportate nelle stesse ordinanza della corte d'appello di Milano".
In tal modo la censura si traduce in una richiesta di rivisitazione degli atti inammissibile in sede di legittimità.
7) Il sesto motivo è relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 62 e 194 c.p.c..
Il quesito posto è il seguente: "stabilisca la Suprema Corte di cassazione se sia legittimo e conforme al diritto che la corte d'appello fondi la propria decisione sulla condanna al risarcimento dei danni per opere di ripristino, nonchè la sua quantificazione, unicamente su di una consulenza tecnica di ufficio che ha quantificato detti danni per opere di ripristino nonostante questa quantificazione e valutazione non fosse stato oggetto del quesito peritale formulato dal giudice istruttore, e quindi extra petitum anche con riferimento alle domande attoree formulate nell'atto di citazione".
Nello svolgimento del motivo, parte ricorrente si duole del fatto che il consulente incaricato in primo grado, il cui elaborato è stato valorizzato dalla Corte di appello in sede decisoria, non si sia attenuto strettamente al quesito postogli relativamente alla "presenza di provenienza di infiltrazioni d'acqua", al loro carattere e continuità, alla inabitabilità dell'appartamento dell'attrice e alla quantificazione del danno, ma non si sia soffermato anche sulla descrizione dei lavori da eseguirsi alla gronda condominiale e al cordolo dei terrazzi e abbia ricalcolato danni già oggetto di precedente giudizio. Ma non avrebbe tenuto in debita considerazione le condizioni dell'appartamento descritte in quella prima consulenza.
Infine la corte d'appello avrebbe errato nel recepire la quantificazione del valore locativo effettuata con riferimento a un appartamento in stato di conservazione buono. La censura è, come è palese, inammissibile e infondata. E' inammissibile nella parte in cui pone un quesito che non ha congruità piena con le critiche svolte nel motivo.
E' infondata, perchè mette in dubbio il potere del giudice di utilizzare ogni indicazione utile acquisita legittimamente, quale è ogni rilievo del consulente d'ufficio se pertinente alle questioni esaminate, come nel caso della indicazione dei danni oggetto di controversia risarcitoria.
8) L'ultimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1123 e 1126 c.c. e art. 102 c.p.c..
Parte ricorrente lamenta che in presenza di responsabilità per mancata manutenzione del lastrico solare ex art. 1126 c.c., quale apparentemente affermata dalla Corte d'appello, i giudici di merito avrebbero dovuto disporre "l'integrazione del contraddittorio dei proprietari dei terrazzi sovrastanti l'appartamento della signora P. ai sensi dell'art. 102 c.p.c.".
La tesi è infondata.
Questa corte ha insegnato che il lastrico solare, anche se attribuito in uso esclusivo o di proprietà esclusiva di uno dei condomini, svolge funzione di copertura del fabbricato e perciò l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi, da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti i condomini, con ripartizione delle relative spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 cod. civ.; di conseguenza il condominio risponde, quale custode ex art. 2051 cod. civ., dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare (Cass. 642/03; 15131/01).
Nella specie non risulta - e non è neppure dedotto - che vi fosse responsabilità esclusiva di un singolo condomino, ditalchè non vi è luogo per negare la legittimazione del condominio.
Ciò ha fatto utilizzando il criterio del valore locativo dell'immobile (Cass. 17677/09 per ipotesi identica;
13242/07) e affidando opportunamente a un consulente il compito di fornire elementi utili alla determinazione della perdita economica qua (cfr Cass. 3990/06).
4) Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 61 e dell'art. 115 c.p.c..
Anche questa volta la censura si esprime in termini incerti tra la violazione di legge e il vizio di motivazione, poichè indugia sul presupposto della violazione, costituito dalla ricostruzione del fatto, di cui si nega la prova.
Il quesito di diritto è così articolato: "stabilisca la Suprema Corte di cassazione se le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio possono costituire fonte oggettiva di prova dei danni asseritamente subiti in conseguenza di infiltrazioni d'acqua all'interno di un appartamento senza che vi sia stata alcuna dimostrazione della loro esistenza da parte del danneggiato, e/o prova della situazione precedente, e se la quantificazione dei danni operata dal c.t.u., sulla base di presunzioni di potenziale affittanza dell'immobile, possa, da sola, costituire l'unica prova in ordine all'entità degli stessi danni, senza che il danneggiato ne abbia in alcun modo dimostrato l'esistenza, e quindi essere l'unico elemento probatorio sul quale si fonda la decisione del giudicante".
Non mette conto smentire la pretesa inammissibilità di una consulenza percipiente, cioè volta ad accertare fatti che il Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 3.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 22 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2012


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.