LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente -
Dott. GOLDONI Umberto - Consigliere -
Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - rel. Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8285-2005 proposto da:
Condominio ____;
- ricorrente -
contro
P.F.;
- intimato -
sul ricorso 8544-2005 proposto da:
P.F;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
Condominio ___;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 88/2004 della Corte D'Appello di Lecce, depositata il 27/02/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/01/2012 dal Consigliere Dott. Pasquale D'Ascola;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Golia Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

La controversia concerne le infiltrazioni d'acqua verificatesi in un deposito di proprietà di P.F., sito nel condominio _____.
In accoglimento della domanda proposta nel 1991 da P., il tribunale di Lecce, sez. stralcio, il 7 marzo 2000 condannava il Condominio a rimuovere l'intercapedine dalla quale provenivano le infiltrazioni e a ricostruirla convenientemente. Inoltre condannava il Condominio al risarcimento dei danni, quantificati in L. 2.100.000 per costo delle opere, 600.000 per deterioramento materiali depositati e 10.080.000 per mancata locazione del bene dal 1978 al 2000.
L'appello proposto dal Condominio veniva accolto parzialmente, quanto al risarcimento, dalla Corte d'appello locale, che, con sentenza 27 febbraio 2004:
a) confermava soltanto la prima voce di danni, così rigettando l'appello incidentale sul punto.
b) dichiarava il Condominio carente di legittimazione in ordine alla riconvenzionale volta a far dichiarare la nullità del contratto di vendita del locale interrato dall'impresa ______ al P.
Il Condominio ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 23 febbraio 2005, articolato su dieci motivi.
P.F. ha resistito con controricorso e ha svolto ricorso incidentale, al quale il Condominio ha opposto controricorso.
Con ordinanza 7 luglio 2010, revocata successivamente con ordinanza 6 ottobre 2011, questa Corte disponeva trattazione in camera di consiglio, sul rilievo della mancata produzione della delibera di autorizzazione ad impugnare rilasciata dal Condominio all'amministratore.
P. ha depositato memoria. I ricorsi sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c., essendo stati rubricati con numero diverso.

Motivazione

2) Il primo motivo del ricorso principale lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 36, 97, 104, 107, 108 e 109 Cost., in relazione alla questione, posta in appello, sulla istituzione, con L. n. 276 del 1997, delle Sezioni stralcio. Denunciando anche ogni possibile vizio di motivazione, parte ricorrente sostiene che il giudice di appello non ha affrontato tutti i profili di incostituzionalità esposti.
Lamenta la distinzione tra cause vecchie e nuove, l'istituzione di giudici con status diverso, diverso trattamento economico e diversa preparazione tecnica rispetto a quelli ordinari, reclutati per la decisione di cause dello "stesso livello di importanza", ripartite tra giudici togati e onorari.
Lamenta che i giudici onorari aggregati potevano svolgere l'attività di avvocato in diverso distretto, con pregiudizio dell'indipendenza del giudice ed evidenzia che si doveva provvedere a un reclutamento straordinario nella magistratura ordinaria, previa verifica professionale. La doglianza è priva di pregio.
Come opportunamente rilevato dalla Corte di appello, rientra nei poteri del legislatore la scelta effettuata con la L. n. 276 del 1997 di istituire una figura temporanea di giudice onorario. Il giudice onorario aggregato di tribunale è stato destinato all'esame di cause civili, onde favorire una più celere definizione di esse e consentire di avviare la coeva riforma del giudice monocratico, senza appesantire i ruoli dei giudici togati con il ponderoso arretrato esistente.
La sua istituzione, coerente con il meccanismo di selezione in passato utilizzato per l'individuazione di altre figure di magistrati onorari, aveva dichiarati limiti temporali, che hanno condotto al conseguimento in buona parte dell'obbiettivo prefissato: ne è uscita confermata la eccezionalità della situazione, tale da giustificare una misura che non ha rivoluzionato il sistema esistente e non ha pregiudicato strutturalmente, come avrebbe voluto parte ricorrente, il meccanismo di selezione dei magistrati ordinari.
La temporaneità dell'incarico e la provenienza dai ranghi dell'avvocatura, alla stregua della superata figura del vice pretore onorario, giustificava ovviamente la individuazione di un meccanismo di retribuzione e di incompatibilità con l'esercizio della professione forense tali da consentire la continuazione dell'esercizio dell'attività principale da parte dei neo magistrati onorari e la loro dignitosa retribuzione, ideata con meccanismo incentivante.
Lo statuto dei giudici onorari non è stato sottoposto ad anomale subordinazioni ad altri poteri, ditalchè ogni diversa ipotesi di soluzione dei problemi affrontati in tal modo dal legislatore e ogni critica condotta in ricorso pongono una questione manifestamente infondata di costituzionalità.
Sono state infatti adottate soluzioni che, quantomeno per la loro transitorietà, escludono in radice la possibilità di lesione dei valori costituzionali portati dalle norme invocate e sono espressione delle facoltà del legislatore ordinario.
3) Secondo, terzo e quarto motivo di ricorso attengono alla parte della decisione che ha disatteso la domanda riconvenzionale, relativa alla nullità del contratto di vendita del locale interrato dall'impresa ______ al P.
Parte ricorrente deduce in proposito violazione degli artt. 101, 102 e 112 c.p.c., nullità della sentenza per mancata integrazione contraddittorio con tutti i condomini.
Sostiene che la Corte di appello non poteva esaminare la questione della legittimazione dell'amministratore di condominio senza preventivamente integrare il contraddittorio con l'impresa ____, salvo provvedere ad accertamento incidenter tantum, profilo rimasto non esaminato.
La censura è priva di fondamento, giacchè l'integrazione del contraddittorio non è dovuta - e costituirebbe anzi grave vulnus al principio di ragionevole durata del processo (se ne veda una significativa applicazione in Cass S.U. 6826/10), qualora sia ravvisata la carenza di legittimazione attiva della parte istante o la carenza insanabile di altro presupposto della domanda. In particolare il Condominio, che lamenta con il terzo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 1130 e 1131 c.c., sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, non era necessaria l'autorizzazione assembleare per l'esperimento di azioni conservative, quali quella volta a recuperare locali che avrebbero dovuto essere di proprietà del condominio L. n. 765 del 1967, ex art. 18 e quella subordinata volta alla dichiarazione di servitù di passaggio per accedere ad intercapedine condominiale. La tesi è errata.
Si controverte infatti in tal modo di beni, siti al piano interrato, mai entrati in condominio, perchè venduti dal costruttore al P. (pag. 23 ricorso). Era quindi ogni singolo condomino, se intendeva vantare qualche pretesa fondata sulla necessaria condominialità del piano interrato, a dover agire per far coattivamente cedere dal costruttore beni che mai erano stati condominiali e che non potevano quindi essere oggetto di azioni conservative.
La legittimazione ad agire per l'accertamento del vincolo di destinazione a parcheggio di appositi spazi in edificio di nuova costruzione ai sensi della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-sexies spetta infatti non già all'amministratore del condominio, ma ai singoli compratori delle varie unità immobiliari dello stabile, in base ai rispettivi titoli di acquisto, trattandosi di diritti spettanti non alla collettività condominiale, ma separatamente a ciascuno dei predetti compratori (Cass. 3393/09).
3.1) Non miglior sorte merita il quarto motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 99 c.p.c. con riferimento alla nullità del contratto tra la società costruttrice f.lli C. e P. e vizio motivazione con riguardo alla legittimazione del resistente a promuovere azione di risarcimento del danno.
La censura presuppone infatti che il contratto concluso tra P. e C. fosse nullo, il che non poteva essere oggetto di accertamento sulla base di azione proposta da soggetto privo di legittimazione, quale l'amministratore del Condominio.
Invano si sostiene pertanto che l'amministratore poteva far valere detta nullità nel resistere all'azione risarcitoria: non risulta che i singoli condòmini abbiano dato mandato sostanziale all'amministratore (si veda anche Cass. 18331/10) per far valere, in loro rappresentanza, diritti individuali.
4) Il quinto motivo espone violazione degli artt. 99, 112 e 345 c.p.c. e art. 1117 c.c. in relazione alla "inammissibile qualificazione della domanda ex art. 2051 c.c." che sarebbe stata compiuta in appello.
La censura concerne la qualificazione dell'azione risarcitoria proposta dal proprietario del piano interrato nei confronti del Condominio.
Il ricorso rileva che il P. non aveva indicato in primo grado l'art. 2051 "come fonte della dedotta responsabilità del Condominio", indicata per la prima volta in appello.
La doglianza è infondata. Non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice d'appello il quale dia alla domanda od all'eccezione una qualificazione giuridica diversa da quella adottata dal giudice di primo grado, e mai prospettata dalla parti, essendo compito del giudice (anche d'appello) individuare correttamente la legge applicabile, con l'unico limite rappresentato dall'impossibilità di immutare l'effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire (Cass. 15383/10).
Si badi che la Corte d'appello non ha mutato la qualificazione ritenuta dal primo giudice, ma ha solo confermato la pronuncia di accoglimento della domanda risarcitoria, inquadrandola esplicitamente nel paradigma giuridico rimasto inespresso nella penna del primo giudice, così agendo nell'ambito dei suoi poteri.
5) Infondata è anche la denuncia di violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2043 e 2055 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p. esposta, unitamente a vizi di motivazione, con il sesto motivo.
La censura si riferisce alla condanna del Condominio, confermata dalla Corte di appello, all'esecuzione di opere di "ripristino dello stato del locale", per un costo determinato dal primo giudice in lire 2.100.000.
La Corte di appello, che ha escluso, giova ricordare, le altre due voci di danno (rottura di materiali posti nell'ambiente e perdite di reddito da mancata locazione) ha rilevato (pag. 17) che su tale voce l'appellante "non ha formulato specifici motivi di doglianza".
Si è poi occupata della doglianza con cui il condominio, condannato a provvedere a lavori di ristrutturazione dell'intercapedine" ha lamentato che il P. avrebbe potuto eseguire opere di coibentazione "eliminando gli inconvenienti che lo riguardavano". La sentenza ha superato questo rilievo osservando che il difetto era imputabile alle parti comuni dell'edificio e che ciò, assorbendo ogni altra argomentazione, comportava l'obbligo del condominio di eliminare, ex art. 2051 c.c., "le caratteristiche lesive insite nella cosa propria" (pag. 18).
Ha qui ribadito un passaggio (di pag. 12) in cui aveva precisato che essendo l'intercapedine un bene comune, non competeva al singolo condomino danneggiato alcun obbligo di impermeabilizzazione del muro interno o di pavimentazione del locale.
La censura muove da questa affermazione e lamenta che siano state trascurate le concause del danno, che avrebbe potuto essere limitato coibentando le pareti e pavimentando il locale. Inoltre il giudice non avrebbe prestato attenzione alle cause del mancato prosciugamento dei muri.
La censura non coglie nel segno, perchè non allega alcunchè circa la sussistenza del proprio interesse a ricorrere sul punto.
Per rendere esaminabile la doglianza, parte ricorrente doveva allegare, e far constare da risultanze già in atti, che sul costo del ripristino dello stato del locale posto a carico del condominio vi era qualche incidenza della umidità capillare da risalita del pavimento e doveva dimostrare che fosse obbligo del singolo condomino intervenire su pavimento e pareti con opere di impermeabilizzazione e piastrellatura.
Già il primo rilievo esclude l'interesse a ricorrere. Stabilito che le carenze strutturali dell'intercapedine, parte comune dell'edificio, erano la fonte dell'obbligo di rifacimento di essa, il peggioramento della condizione dell'ambiente, in ipotesi attribuito al singolo proprietario per via di omissione di possibili interventi, era infatti privo di rilievo sui costi di rifacimento.
Detti costi risalgono infatti all'obbligo del condominio di garantire che dalle cose comuni non derivi pregiudizio al condomino (Cass. 3753/99; 12211/03; 15291/11) e non consta che siano stati aggravati dall'omissione di interventi suppletivi del danneggiato.
Questi ultimi avrebbero potuto incidere forse sulle altre due voci di danno, che sono però state escluse dal giudice di appello.
6) Il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2947, 2697 e 2943 c.c. e art. 116 c.p.c. e vizi di motivazione in ordine alla eccezione di prescrizione del diritto azionato.
La Corte di appello in proposito ha affermato che vi sono state varie lettere di interruzione della prescrizione, nonchè il riconoscimento dei danni provenienti dal condominio, che aveva incaricato il tecnico M. di redigere un progetto per la rimozione della situazione dannosa.
Il ricorso sostiene che aveva negato di aver ricevuto le lettere, che sarebbero prive di date e firmate da tal sig. O., il quale all'inizio della causa non era più amministratore del condominio ____.
La censura è infondata. La sentenza ha precisato che O. aveva firmato la ricevuta delle missive quale amministratore, come recato dal timbro apposto e che il Condominio non aveva fornito prova che allora non lo fosse.
Neanche in ricorso viene indicato da dove fosse possibile desumere questa prova, ditalchè la critica risulta apodittica e la motivazione offerta dalla Corte non ne è intaccata.
7) L'ottavo motivo concerne "omessa motivazione" in ordine a censura in appello su violazione degli artt. 2043 e 2055 c.c. e art. 35 c.p.c..
Si discute della responsabilità solidale del P. per i danni patiti dagli altri condomini. Parte ricorrente sostiene che anche altri locali adiacenti all'intercapedine sarebbero stati danneggiati e che il P. ne sarebbe responsabile, circostanza che fonderebbe un'eccezione di compensazione ignorata in sentenza.
La censura, che per la sua asfittica esposizione è poco comprensibile, non può avere fondamento.
Qualora altri singoli condomini abbiano subito danni derivanti dalla cosa comune, saranno costoro ad essere legittimati ad agire nei confronti del Condominio e il P. chiamato indirettamente a risponderne quale condomino, restando escluso che sia il Condominio a poter opporre in compensazione crediti dei singoli che non siano stati oggetto di azione e di relativo accertamento in questa sede.
8) Infondato è anche il nono motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2051 e 1100 c.c. e artt. 1117, 1108, 1121, 1135 e 1476 e vizi di motivazione.
Parte ricorrente sostiene che le sarebbero state imposte (pag 18 sentenza) opere eccedenti rispetto alla straordinaria manutenzione che sarebbe il massimo richiedibile a un condominio e che le opere sarebbero eccessivamente gravose nonchè attuabili solo con il rilascio dell'immobile P. al condominio.
La Corte osserva che non risulta in atti che si verta in ipotesi di innovazione eccessivamente gravosa ai sensi degli artt. 1108 e 1121 c.c.: il ricorso non indica da dove emerga questa valutazione e non indica neppure quale sia l'importo gravoso previsto. Vi è un riferimento a statuizioni della sentenza di tribunale che vengono genericamente indicate (modifiche strutturali riguardanti la sostituzione di muri portanti, pag. 35 tra parentesi), ma non sono nè precisate nè riportate testualmente, ditalchè non è possibile comprendere in qual modo si sia dato spazio a imposizioni eccedenti i doveri del Condominio di manutenzione delle cose comuni. Giova in ogni caso precisare che qualunque bene comune, ove sia fonte di danno a cagione della propria difettosa consistenza, va ripristinato a cura e spese del Condominio, a meno che non si deliberi che sia possibile riparare diversamente il danno e scongiurare pericolo di ulteriore pregiudizio - e la delibera resista a eventuali impugnazioni.
Nella specie par di comprendere invece che la doglianza attenga solo alla costosità di opere, dovute, di riparazione o rifacimento delle cose comuni, che non potrebbero essere addebitate al singolo condomino.
9) L'ultimo motivo del ricorso principale concerne le spese di lite, di cui si lamenta la mancata compensazione integrale. La censura è infondata, poichè il Collegio di appello ha applicato la regola della soccombenza, avendo rigettato totalmente la determinante domanda riconvenzionale relativa alla nullità contrattuale e accolto solo parzialmente - e solo in punto di quantificazione - la censura relativa al danno arrecato al P.
Tenuto conto anche del rigetto dell'appello incidentale, la Corte ha ritenuto di compensare per un terzo le spese dei due gradi, statuizione logica e congrua in relazione all'esito complessivo della lite, che non è quindi sindacabile in questa sede.
10) Il ricorso incidentale denuncia con il primo motivo vizi di motivazione in ordine alla liquidazione del danno.
P. si duole del mancato riconoscimento del danno da mancata locazione dell'immobile. Afferma che le condizioni dell'immobile descritte in ctu non l'hanno consentita per trenta anni. Lamenta inoltre la mancata valorizzazione di due contratti di locazione del 1983 e 1984 considerati privi di data certa, che doveva invece ricavarsi quanto al primo dalla comunicazione di cessione fabbricato inviata alla questura indicando il nome del primo conduttore. Assume che da ciò si dovevano desumere le intenzioni del proprietario- locatore potenziale.
Il secondo motivo attiene invece al danno da rottura delle piastrelle ricoverate nell'immobile, danno che la Corte di appello non ha inteso attribuire all'umidità cagionata dai difetti delle parti comuni dell'edificio.
10.1) Entrambe le doglianze non meritano accoglimento. La Corte di appello ha negato la prima voce di danno perchè in sede di consulenza era stato rilevato che al momento del sopralluogo il locale non risultava inutilizzato, ma adibito dal proprietario a deposito di piastrelle, cioè a deposito, sua "funzione naturale".
Giova osservare che le cassette di piastrelle, secondo la sentenza, occupavano l'intera superficie, ditalchè non si trattava di utilizzo occasionale o parziale. La Corte ha poi aggiunto che non era stata data prova (per la quale era insufficiente la produzione dei contratti di affitto privi di data certa) del tempo in cui vi era stata mancata utilizzazione imputabile al Condominio. Ha precisato che sul punto la prova testimoniale offerta era stata ritenuta inammissibile. Queste motivazioni reggono validamente alle censure.
Alla prima, perchè l'uso diretto del bene esclude il danno da mancata locazione, essendo evidente che per procurarsi un immobile in cui ricoverare i propri beni, il P. avrebbe dovuto sostenere un costo che non ha avuto grazie all'uso del deposito de quo. Alla seconda perchè in mancanza di prova del tempo in cui vi sarebbe stata omessa utilizzazione diretta, non vi può essere individuazione del pregiudizio da mancata locazione; l'uso diretto avrebbe infatti potuto sostanzialmente seguire immediatamente i tentativi falliti di locazione, prevenendo il possibile verificarsi del danno.
10.2) E' invece fondato il terzo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1224 c.c. e art. 112 c.p.c. per mancata pronuncia o comunque omessa motivazione circa la rivalutazione sul danno all'immobile riconosciuto in sentenza.
Nell'ultima pagina di quest'ultima si legge che gli accessori vengono esclusi quanto alla voce di danno negata (fitto immobile), ma in nessun punto si provvede con riferimento ad analoga richiesta di interessi e rivalutazione che risultava formulata in sede di conclusioni di appello (cfr pag 3) quanto ai danni subiti dall'appellato.
Poichè la rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d'ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell'originario "petitum" della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi (Cass. 20943/09), la censura è meritevole di accoglimento.
10.3) Assorbito resta il quarto motivo relativo alle spese.
La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo testè accolto e la causa rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, che deciderà sul punto attenendosi al principio enunciato e provvederà sulla questione di cui al quarto motivo di ricorso incidentale e anche sulla liquidazione delle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale. Rigetta primo e secondo motivo del ricorso incidentale; accoglie il terzo;
dichiara assorbito il quarto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2012


 

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