REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Primo Presidente f.f. -
Dott. ROSELLI Federico - Presidente Sezione -
Dott. RORDORF Renato - Presidente Sezione -
Dott. MASSERA Maurizio - Consigliere -
Dott. DI AMATO Sergio - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13261/2013 proposto da:
M.G.K., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 50, presso lo studio dell'avvocato MAZZOLA EMANUELA, che la rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PISA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANDREA VESALIO, 22, presso lo STUDIO LEGALE IRTI, rappresentato e difeso dall'avvocato IRTI NATALINO, per delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
e contro
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PISA, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI FIRENZE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la sentenza n. 63/2013 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 22/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2013 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito l'Avvocato Natalino IRTI;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1.- Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza depositata il 22 aprile 2013, ha rigettato il ricorso proposto dall'avv. M. G.K. avverso la decisione del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Pisa che le aveva inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per un anno in relazione a due procedure disciplinari, l'una relativa all'acquisizione di pagamenti da un cliente in difetto di alcuna attività professionale, l'altra per negligenza nella conduzione di un procedimento di divorzio.
Con riguardo, in particolare, per quanto rileva nella presente sede, alla censura avente ad oggetto il vizio di costituzione del giudice per effetto del D.L. n. 138del 2011, art. 3, comma 5, conv., con modif., nella L. n. 148 del 2011, che ha autorizzato la emanazione di un regolamento governativo per la riforma degli ordinamenti professionali, prevedendo, tra l'altro, un organo nazionale di disciplina diverso da quello avente funzioni amministrative - regolamento adottato con D.P.R. n. 137 del 2012 - il C.N.F. ha escluso che le predette disposizioni siano applicabili ad esso, che opera in veste di giudice speciale, ed è, quindi, soggetto a riserva assoluta di legge ai sensi dell'art. 108 della Costituzione, con conseguente irrilevanza anche della questione di legittimità costituzionale del R.D. n. 1578 del 1933, art. 54, eccepita dalla ricorrente, questione peraltro ritenuta manifestamente infondata nel merito, avuto riguardo alla terzietà ed imparzialità del C.N.F., riconosciuta anche dalla Corte costituzionale.
2. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'avv. M. G. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il COA di Pisa, che ha anche depositato memoria illustrativa.

Motivazione

1. - Con la prima doglianza si deduce "violazione di legge: violazione del D.L. n. 138 del 2011, art. 3, comma 5, lett. f), - violazione del D.P.R. n. 137 del 2012, art. 8, comma 7, - nullità del processo per vizio di costituzione e/o capacità del giudice - incompetenza del giudicante - incompatibilità del giudice adito - violazione dei principi di terzietà ed imparzialità del giudice - violazione dell'art. 111 della Costituzione".
Si censura la decisione adottata dal CNF sul punto della contestata nullità del processo per vizio di costituzione e/o capacità del giudice. Richiamato il tenore del D.L. n. 138 del 2011, art. 3, comma 5, conv. in L. n. 148 del 2011, il quale ha stabilito l'obbligo di riformare gli ordinamenti professionali entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge mediante lo strumento del decreto del Presidente della Repubblica ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, (adottato con d.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, recante riforma degli ordinamenti professionali), e ricordata, in particolare, il citato art. 3, comma 5, lett. f), - a norma del quale gli ordinamenti professionali devono prevedere l'istituzione di organi a livello territoriale diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali vanno specificamente affidate l'istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina -, la difesa della ricorrente rileva che il CNF ha omesso di adottare il regolamento che avrebbe dovuto, alla stregua della invocata normativa, separare stabilmente le funzioni dei propri componenti. Si sottolinea nel ricorso la erroneità della tesi al riguardo sostenuta nella sentenza impugnata, là dove essa afferma che il predetto D.L. n. 138 del 2011, art. 3, comma 5, riguarderebbe solo i Consigli Nazionali operanti in veste amministrativa, e non quelli che, come il CNF, operano quali giudici speciali, garantiti da riserva assoluta di legge. Secondo la difesa della ricorrente, invece, la norma richiamata, nell'imporre la separazione tra funzione disciplinare e funzione di amministrazione degli Ordini professionali, si rivolge in modo indifferenziato ad ogni consiglio locale e nazionale di ciascuna professione, con la sola esclusione di quella sanitaria. Tale previsione non contrasterebbe con la riserva di legge di cui all'art. 108 Cost., essendo stato il principio della incompatibilità della funzione giurisdizionale con quella amministrativa del giudicante dell'Ordine professionale stabilito in una norma di legge, andata ben oltre il principio di delegificazione nel perseguire obiettivi primari e comuni ai diversi contesti professionali. Del resto, anche a voler ammettere che illegittimamente, perchè in contrasto con la riserva assoluta di legge di cui all'art. 108 Cost., si sia realizzato un trasferimento della disciplina della materia de qua dalla sede legislativa a quella regolamentare, si dovrebbe comunque giungere alla conclusione che il CNF, nella specie, non avrebbe potuto che adeguarsi al disposto normativo in attesa di una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale del D.L. n. 138 del 2011, per contrasto con l'art. 108 Cost..

2. - La doglianza risulta immeritevole di accoglimento.
2.1. - Come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (v., di recente, Cass. S.U., sent. n. 27268 del 2013, e, in precedenza, Cass., S.U., sentt. n. 16349 del 2010, n. 1732 del 2002), e dalla stessa Corte costituzionale (sent. n. 114 del 1970; arg. altresì ex sent. n. 284 del 1986, pur pronunciata con riguardo al Consiglio nazionale dei geometri), il Consiglio Nazionale Forense, allorchè pronuncia in materia disciplinare, è un giudice speciale, istituito con D.Lgs. 23 novembre 1944, n. 382, e tuttora legittimamente operante giusta la previsione della sesta disposizione transitoria della Costituzione.
Le norme che concernono il predetto Organo, nel disciplinare la nomina dei componenti dello stesso ed il procedimento che innanzi ad esso si svolge, assicurano, per il metodo elettivo della prima e per la prescrizione, quanto al secondo, della osservanza delle comuni regole processuali e dell'intervento del P.M., il corretto esercizio della funzione giurisdizionale affidata al suddetto organo in tale materia con riguardo alla garanzia del diritto di difesa e all'indipendenza del giudice, che consiste nella autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette ovvero indirette di qualsiasi provenienza. Nè sul requisito in esame può influire la circostanza che i componenti del Consiglio Nazionale Forense appartengano all'ordine di professionisti nei confronti dei quali il detto organo deve esercitare le sue funzioni, poichè il tratto caratteristico della c.d. giurisdizione professionale è dato proprio dalla vasta partecipazione - anche indiretta tramite il sistema elettivo, garanzia di per se stesso della democraticità del sistema e costituzionalmente legittimo (cfr. art. 106 Cost., comma 2) - dei medesimi soggetti appartenenti alla categoria interessata, partecipazione che è giustificata dalla specifica idoneità dei singoli componenti il Collegio a pronunziarsi nella materia disciplinare, attinente, in sostanza, alle regole di deontologia professionale che l'Ordine ha ritenuto di dare a se stesso ed ai propri appartenenti riconoscendone la validità e la conformità alla communis opinio in un determinato momento storico ed in un determinato contesto sociale.
2.2. - Ne consegue che la disciplina della funzione giurisdizionale del CNF, anche per quanto attiene al momento della formazione dell'organo, è coperta da riserva assoluta di legge ex art. 108, primo comma, della Costituzione, e non può essere affidata alla regolamentazione governativa.
Deve, dunque, concludersi che il D.L. n. 138 del 2011, art. 3, comma 5, lett. f), non trova applicazione con riferimento al CNF nella sua veste di organo disciplinare. Non a caso la legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense", all'art. 34, nel regolare la composizione del predetto Organo, richiama il R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 52 e segg., e il R.D. n. 37 del 1934, art. 59 e segg., e, all'art. 38, che disciplina la eleggibilità e le incompatibilità dei componenti del CNF, non opera alcun riferimento alla separazione delle funzioni amministrative da quelle giurisdizionali.
3. - Le considerazioni svolte sub 2.1. danno altresì conto della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento all'art. 111 Cost., commi 1 e 2, con il secondo motivo di ricorso, degli artt. da 52 a 56, e, segnatamente, del R.D. n. 1578 del 1933, art. 54, e del D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, artt. 14 e 21, per la mancata esclusione del congiunto esercizio delle funzioni giurisdizionali ed amministrative in capo ai componenti del C.N.F. Secondo la difesa della ricorrente il Consiglio Nazionale Forense sarebbe un giudice privo dei requisiti della terzietà e della imparzialità.
Al riguardo, oltre a quanto già supra rilevato, giova richiamare quanto chiarito con la sentenza n. 284 del 1986, con riguardo, in via generale, alle giurisdizioni "professionali", dalla Corte costituzionale, che, in detta occasione, ebbe ad osservare, tra l'altro, che la giurisdizione professionale è conosciuta anche dagli ordinamenti di altri Stati e che, in particolare, la Corte Europea dei diritti dell'uomo, chiamata ad esaminare il medesimo problema (pur se, naturalmente, rispetto a una fonte normativa diversa e cioè all'art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955 n. 848), aveva riconosciuto, rispetto ad alcune decisioni del Consiglio nazionale dei medici belgi, la sussistenza del requisito dell'indipendenza degli organi della giurisdizione professionale (sent. 23 giugno 1981, nel caso Le Compte, Van Leuven, De Meyere e sent. 10 febbraio 1983, nel caso Albert e Le Compte). Di tali decisioni il giudice delle leggi ricordò anche l'importante notazione, indubbiamente da condividere, che i membri dei collegi professionali partecipano al giudizio non già come rappresentanti dell'ordine professionale, e quindi in una posizione incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, bensì a titolo personale e perciò in una posizione di terzietà, analogamente a tutte le magistrature.
Nella medesima sentenza la Corte chiarì anche che sulla legittimità costituzionale della normativa non poteva incidere la circostanza della spettanza in capo al Consiglio anche delle funzioni amministrative. In proposito - osservò il giudice delle leggi - non è pertinente la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto l'illegittimità di alcune giurisdizioni speciali a causa della coesistenza nello stesso organo di funzioni giurisdizionali e amministrative (cfr. sentt. n. 60 del 1969; n. 121 del 1970; n. 128 del 1974). Invero, secondo detta giurisprudenza, non è la semplice coesistenza delle due funzioni che menoma l'indipendenza del giudice (come la Corte ha espressamente ribadito nella sent. 73/1970), bensì il fatto che, nelle ipotesi considerate dalle decisioni suddette, le funzioni amministrative erano affidate all'organo giurisdizionale in una posizione gerarchicamente sottordinata, sicchè era immanente il rischio che il potere dell'organo superiore potesse indirettamente estendersi anche alle funzioni giurisdizionali e potesse così in definitiva pregiudicare altresì l'indipendenza del giudice.
Nella fattispecie, al contrario, le funzioni amministrative sono esercitate dal Consiglio senza che sussista un rapporto di subordinazione verso alcun altro soggetto e quindi in piena autonomia: con la evidente conseguenza che la loro coesistenza con quelle giurisdizionali non importa il rischio sopra menzionato e pertanto non incide sull'indipendenza del Consiglio stesso.

4. - Con il terzo motivo si denuncia la violazione del D.P.R. n. 247 del 2012, artt. 56, 59 e 65, eccependosi la prescrizione con riferimento al procedimento disciplinare n. 4 del 2007. In relazione a tale procedimento, si rileva che l'incarico alla ricorrente fu conferito l'8 ottobre 2002, e che, nel mese di agosto del 2004 e nel mese di aprile del 2005, il mandante, in considerazione dei dubbi nutriti sul corretto operato della professionista, registrò due colloqui con la stessa. Dall'8 ottobre del 2002, ma anche dalla data della registrazione dell'agosto 2004, la ricorrente ritiene ampiamente violati i termini di cui all'art. 56, in combinato disposto con il D.P.R. n. 247 del 2012, art. 65, avuto riguardo alla data del deposito della decisione del CNF, intervenuto il 22 aprile 2013.

5. - La censura è inammissibile.
Non chiarisce il ricorso la ragione per la quale dovrebbe aversi riguardo, ai fini in esame, alla prima e non già alla seconda delle registrazioni dei colloqui intercorsi tra la professionista ed il cliente, posto che la condotta denunciata era proseguita anche fino all'aprile del 2005 (data della seconda registrazione). In tal modo, la doglianza rimane generica sulla indicazione della data dalla quale dovrebbe decorrere nella specie il termine prescrizionale.
Per di più, la genericità investe l'ulteriore profilo della mancata indicazione delle date della interruzione del periodo da considerare ai fini della prescrizione.

6. - Il ricorso deve, conclusivamente, essere rigettato. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, devono, in applicazione del criterio della soccombenza, essere poste a carico della ricorrente. Risultando dagli atti che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui all'art. 13, comma 1 quater, del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 17 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2014


 

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