REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo - Presidente -
Dott. BURSESE Gaetano Antonio - rel. Consigliere -
Dott. BUCCIANTE Ettore - Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
Dott. ORICCHIO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 21739/2008 proposto da:
L.I.V. IN PROPRIO E NELLA QUALITA' DI LEGALE RAPP.TE DELLA SOCIETA' ICB ENTERPRISES INC., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. ZANARDELLI 36, presso lo studio dell'avvocato PUCCIONI Paolo, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
COSPAO COSTRUZIONI DELL'ING. V.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 7, presso lo studio dell'avvocato RAMAZZOTTI Marco Claudio, che lo rappresenta e difende;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 109/2008 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 10/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/03/2014 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;
udito l'Avvocato Cesare Romano Carello con delega depositata in udienza dell'Avv. Ramazzotti Marco Claudio difensore del controricorrente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 14.1.97 l'ing. L.I.V., in proprio e quale legale rappresentante della ICB ENTERPRISES INC. corr. in ____, citava in giudizio la COSPAO Costruzioni dell'ing. V.D. chiedendo la risoluzione del contratto d'appalto con la medesima stipulato in data 13.7.95 per inadempimento della stessa convenuta, con la conseguente sua condanna al risarcimento dei danni.
Si costituiva la società appaltatrice contestando la domanda attrice e chiedendo in via riconvenzionale la condanna della committente al pagamento del prezzo per l'esecuzione dei lavori non previsti nel contratto originario e mai pagate.
L'adito Tribunale di Roma, sentiti i testi ed espletata una CTU, con sentenza n. 8575/02 rigettava la domanda attrice ed in accoglimento della riconvenzionale della Cospao, condannava l'ing. L., "in proprio e quale legale rappresentante della ICB ENTERPRISES, al pagamento della somma di L. 318.304.500 quale residuo sul dare per i lavori eseguiti, oltre al pagamento delle spese processuali.
La sentenza era appellata dall'ing. L.I.V., in proprio e quale legale rappresentante della ICB ENTERPRISES deducendo - per quanto qui interessa - che le opere realizzate dall'impresa di cui si chiedeva il pagamento erano, al momento della loro realizzazione, illegittime sotto il profilo edilizio - urbanistico (perchè prive della concessione edilizia o da essa difformi ovvero perchè non asseverate da un provvedimento amministrativo), per cui dovevano ritenersi nulle le pattuizioni, successive al contratto d'appalto, che tali opere avevano previste. In relazione a ciò gli appellanti a corredo della domanda di nullità, depositavano le ordinanze comunali di sospensione dei lavori e remissione in pristino, una sentenza penale passata in giudicato ed una relazione tecnica riassuntiva.
Resisteva la società appaltatrice e l'adita Corte d'Appello di Roma, con sentenza n. 109/2008 depositata in data 10 gennaio 2008, rigettava l'appello condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado. La corte capitolina rigettava il motivo riguardante la dedotta nullità del contratto d'appalto per l'avvenuta realizzazione di opere abusive siccome questione nuova, non dedotta in primo grado, rilevando al riguardo che, in ogni caso, in quella sede le parti e lo stesso CTU avevano considerato regolari le opere in questione, in relazione alle quali peraltro erano state richieste numerose varianti in corso d'opera.
Nel caso in esame comunque le asserite irregolarità dedotte con l'appello non riguardavano l'intera e complessa costruzione ma solo elementi ad essa marginali, e quindi non incidevano sulla validità dell'opera (rectius: del contratto d'appalto), nè potevano essere esaminati, a prova dell'allegata nullità, i documenti allegati, tardivamente prodotti nel giudizio d'appello, nè era rilevabile d'ufficio la dedotta nullità del contratto o la mancanza di concessione edilizia, mai eccepiti in primo grado.
Avverso la pronuncia l'ing. L.I.V., in proprio e quale legale rappresentante della ICB ENTERPRISES propone ricorso per cassazione sulla base di n. 8 mezzi. La Cospao Costruzioni resiste con controricorso.

Motivazione

Con il 1 motivo parte ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1343, 1344, 1345, 1346 e 1418, c.c.; L. n. 1150 del 1942, art. 31, L. n. 765 del 1967, art. 10, artt. 115 e 116 c.p.c.. Deduce l'esponente che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte capitolina, la nullità può colpire anche singole opere extrappalto per le quali non era stata rifasciata la concessione edilizia ovvero prive di titolo amministrativo che le abilitasse. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:
"se, in tema di nullità del contratto d'appalto avente ad oggetto opere edilizie sfornite di titolo amministrativo, tale nullità sanzioni - al contrario di quanto affermato dal giudice a quo, secondo il quale si riferirebbe alle sole ipotesi in cui l'opera realizzata sia completamente priva di licenza o quando l'edificio realizzato sia completamente diverso da quello per cui è stata rilasciata la concessione edilizia - anche i singoli capitoli o singoli accordi, o le pattuizioni intervenute in corso d'opera, di un contratto d'appalto per la realizzazione di un fabbricato, in parte qua aventi ad oggetto opere prive di titolo amministrativo, indipendentemente da ogni valutazione circa la diversa rilevanza delle parti viziate da difetto del titolo amministrativo sulla complessiva opera".

Il motivo è fondato.
Secondo i principi generali del nostro ordinamento (art. 1418 c.c.), deve ritenersi nullo per illiceità dell'oggetto, l'accordo per l'esecuzione di una variante dell'opera, quando la stessa non è assentita dall'autorità amministrativa in relazione ad un progetto approvato costituente oggetto di un contratto d'appalto. Peraltro tale nullità non si estende all'intero contratto d'appalto, ma esclude la possibilità di far valere i diritti nascenti dall'accordo per l'esecuzione della variante che non era stata assentita.
Al riguardo si rileva che il contratto d'appalto avente ad oggetto una costruzione abusiva - cioè non assentita da concessione edilizia o da altro provvedimento della P.A. - è nullo perchè è illecito l'oggetto in quanto contrario alle norme urbanistico - edilizie, da cui è vietato, potendo altresì costituire illecito penale. Ciò impedisce sin dall'origine al contratto di produrre gli effetti che gli sono propri, con la rilevante conseguenza che l'appaltatore non può pretendere, in forza di siffatto contratto nullo, il corrispettivo pattuito o dovuto ovvero dell'indennizzo ex art. 1671 c.c.
In tal senso si è espressa questa S.C.: "Il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia è nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., avendo un oggetto illecito per violazione delle norme imperative in materia urbanistica, con la conseguenza che tale nullità, una volta verificatasi, impedisce sin dall'origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell'art. 1423 c.c., onde l'appaltatore non può pretendere, in forza del contratto nullo, il corrispettivo dovuto, senza che rilevi l'ignoranza del mancato rilascio della concessione edilizia, che non può ritenersi scusabile per la grave colpa del contraente, il quale, con l'ordinaria diligenza, ben avrebbe potuto avere conoscenza della reale situazione, incombendo anche sul costruttore, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 6, l'obbligo giuridico del rispetto della normativa sulle concessioni. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha cassato l'impugnata sentenza che non aveva rilevato la richiamata nullità per l'illiceità dell'oggetto contrattuale e, decidendo la causa nel merito, ha rigettato la domanda del costruttore-appaltatore diretta all'ottenimento del prezzo dovuto per la realizzazione dell'immobile abusivo). Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4015 del 21/02/2007; V. Cass. Sentenza n. 13969 del 24/06/2011; v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21475 del 19/09/2013).
Dall'affermazione di tale principio discende che deve ritenersi parimenti illecita ogni altra opera costruita, non compresa nel contratto d'appalto e non assentita dall'atto amministrativo, in relazione alla quale dunque l'appaltatore non può pretendere compenso o indennità alcuna. La contraria affermazione della corte capitolina - secondo cui in buona sostanza sarebbe irrilevante ai fine del compenso dell'appaltatore, che i lavori extrappalto di cui trattasi (piscina, muro di contenimento, realizzazione di 6 scalini e dell'accesso alla strada nonchè trasformazione del garage in vano abitabile) non fossero stati previamente autorizzate dalla P.A., - è errata e non conforme al principio generale sopra richiamato con riferimento alla non debenza de compenso all'appaltatore per la realizzazione delle opere abusive extrappalto, sia pure "marginali" rispetto all'intera opera appaltata. Non si comprende peraltro l'apodittica affermazione del giudice distrettuale secondo cui talune di dette opere extrappalto sarebbero "prive di rilevanza da un punto di vista urbanistico-edilizio", tali non potendo ritenersi quelle sopra menzionate.

Con il secondo motivo si denunzia l'omessa o insufficiente motivazione; si deduce che la suddetta affermazione della Corte distrettuale, "secondo cui la nullità del contratto di appalto si riferirebbe alle sole ipotesi in cui l'opera realizzata sia completamente priva di licenza edilizia o quando l'edificio realizzato sia completamente diverso da quello per cui è stata rilasciata la concessione edilizia, ma nel nostro caso si tratta di modifiche al progetto originale che non rendono illecito il tutto, con conseguente, asserita esclusione del caso de quo, confligge apertamente con le risultanze processuali, mai impugnate, nè contestate dalle parti, configurando una palmare vizio di motivazione".
Il motivo deve ritenersi assorbito, attese le considerazioni svolte con il primo motivo.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1343, 1344, 1345, 1346 e 1418 c.c., L. n. 1150 del 1942, art. 31, L. n. 765 del 1967, art. 10, artt. 115 e 116 c.p.c.; si censura l'asserita irrilevanza da un punto di vista urbanistico delle varianti la cui realizzazione era stata censurata in sede penale e l'esclusione della nullità della relativa pattuizione. In specie le singole opere abusive erano costituite: dal muro di contenimento, dalla realizzazione di 6 scalini e dell'accesso alla strada, trasformazione del vano garage e quindi non sono opere prive di rilevanza dal punto di vista edilizio - urbanistico... tant'è che più volte intervenne l'autorità comunale per bloccare i relativi lavori con ordinanze di sospensione, di demolizione ecc..
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:
"L'esecuzione di un muro di contenimento, la realizzazione di 6 scalini e di un accesso alla strada, siano opere prive di rilevanza da un punto di vista urbanistico - edilizio - alla luce delle norme che regolano l'attività edificatoria dei privati, dette opere necessitano di titolo amministrativo abilitante e pertanto, ove ne siano sprovviste, le pattuizioni tese alla loro realizzazione, siano viziate". Anche tale motivo deve ritenersi assorbito, come il precedente.
Con il quarto motivo si denunziando il vizio di motivazione sul punto di cui al motivo precedente: deduce la non pertinenza del rilievo della sentenza sull'irrilevanza urbanistico-edilizia delle varianti apportare all'edificio rispetto al progetto, in considerazione del fatto che il committente aveva inteso far valere la nullità degli accordi relativi alle varianti del contratto d'appalto. Il motivo va considerato assorbito.
Con il quinto motivo si denunzia la violazione della L. n. 1150 del 1942, art. 31, L. n. 765 del 1967, art. 10, artt. 115 e 116 c.p.c., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3. Assume che dai documenti prodotti risultava che le opere realizzate che non erano state assentite, non erano limitate a quelle indicate dalla sentenza ed erano significative da un punto di vista urbanistico, come comprovato dagli atti prodotti provenienti dall'autorità amministrativa o dalla magistratura penale. Il motivo deve ritenersi assorbito.
Con il sesto motivo si denuncia la violazione della L. n. 1150 del 1942, art. 31, L. n. 765 del 1967, art. 10, artt. 115 e 116 c.p.c., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, con riferimento all'autorimessa ed alla piscina; si lamenta che la sentenza abbia affermato l'estraneità dell'appaltatore all'illecito concernente il mutamento di destinazione d'uso dell'autorimessa in locali abitabili (realizzato tra l'altro attraverso opere edilizie) e l'irrilevanza, ai fini della legittimità dell'edificio realizzato, dell'abusiva collocazione di una piscina all'esterno di esso. Anche tale motivo è assorbito in considerazione di quanto sopra evidenziato.
Con il settimo motivo si denuncia la violazione di cui all'art. 112 c.p.c., oltre il vizio di motivazione: la sentenza ha omesso ogni esame della "storia del cantiere" redatta dall'ing. V., titolare prodotta dalla Cospao, datata 30 ottobre 1999, nella quale sono evidenziate le pattuizioni nulle relative: alle fondazioni, all'impianto termico, al locale garage e deposito, alla piscina, ai muri di contenimento, alle grate alle finestre, ai lavori di sistemazione esterna, all'impianto elettrico, all'altezza del fabbricato.
Anche tale motivo può ritenersi assorbito.
Infine, con l'ottavo motivo si deduce l'insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo: con riferimento al rigetto delle domande in appello di: a) declaratoria della nullità dell'appalto relativamente alle opere emergenti dai documenti prodotti in quanto nuova in appello rispetto alla domanda di risoluzione per inadempimento proposta in primo grado, b) di ammissione in appello della prova documentale.
Osserva il Collegio che la questione sub a) sarebbe fondata come violazione di legge, che però non è stata denunziata dal ricorrente il quale neppure ha formulato al riguardo il prescritto quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.. La questione sub b) rimane assorbita.
Si può osservare che, in effetti. Il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto avrebbe il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti ex actis, una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso (Cass. S.U. n. 14828 del 4.09.2012).
Conclusivamente: va accolto il 1 motivo del ricorso, rigettato l'8 motivo, assorbiti tutti gli altri; dev'essere cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma.

PQM

accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta l'ottavo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2014


 

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