REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore - Presidente -
Dott. MACIOCE Luigi - Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
Dott. DE CHIARA Carlo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 4284/2013 proposto da:
M.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 78, presso lo studio dell'avvocato ALESSANDRO FERRARA, rappresentata e difesa dall'avvocato FERRARA SILVIO, giusta procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELL'INTERNO, QUESTURA DI ROMA;
- intimati -
avverso il decreto R.G. 81835/2012del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositato il 30/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA.

Svolgimento del processo

Il Giudice di pace di Roma ha convalidato il decreto con cui il Questore di Avellino aveva disposto il trattenimento della sig.ra M.N., cittadina ucraina, in un centro di identificazione ed espulsione ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14. Alle difese dell'interessata, che eccepiva l'infondatezza dei motivi di pericolosità sociale posti a base del decreto di espulsione e la mancata graduazione della misura coercitiva applicata, il giudice ha risposto che l'interessata "non è in possesso di alcun documento identificativo, inoltre le eccezioni sollevate non sono in grado di superare la validità e la legittimità del provvedimento del questore".
La sig.ra M. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi di censura, cui l'amministrazione intimata non ha resistito.
Con relazione ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., il consigliere relatore ha proposto il rigetto del ricorso. La relazione è stata notificata all'avvocato delle ricorrente e comunicata al P.M..
L'avvocato della ricorrente ha presentato memoria.

Motivazione

1. - Con il primo motivo di ricorso si deduce che il trattenimento, disposto in esecuzione di espulsione intimata alla ricorrente perchè ritenuta persona socialmente pericolosa ai sensi della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, (come modif. dalla L. 3 agosto 1988, n. 327, art. 2) e giustificato con il pericolo di fuga, viola i principi di gradualità e di proporzionalità delle misure esecutive dell'espulsione dello straniero previsti dalla direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008.
2. - Con il secondo motivo, subordinato al primo, si chiede sollevarsi questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia Europea per verificare la compatibilità, con la direttiva predetta, della normativa nazionale nella parte in cui prevede la sola misura del trattenimento, senza alcuna graduazione, per i soggetti espulsi che siano presunti socialmente pericolosi ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. c).

3. - Con tali motivi, tra loro connessi e dunque da esaminare congiuntamente, la ricorrente lamenta, in definitiva, che la misura del trattenimento sia stata nei suoi confronti applicata automaticamente, sulla base della sola considerazione del titolo dell'espulsione e senza valutare la possibilità dell'applicazione di misure meno coercitive.

La complessiva censura, però è inammissibile per due ragioni.
Anzitutto essa non si confronta con la ratio effettiva della decisione impugnata, nella quale non si fa alcun riferimento alla ragione dell'espulsione indicata dalla ricorrente, ossia alla sua pericolosità, e il trattenimento non viene giustificato per tale ragione, bensì per il fatto che l'interessata non era in possesso di alcun documento identificativo.
Inoltre dallo stesso testo del decreto del Questore riportato nel ricorso risulta che il trattenimento era stato disposto "non essendo possibile applicare altre misure meno coercitive e sussistendo un concreto rischio di fuga" per una serie di ragioni, tra le quali la mancanza di un documento valido per l'espatrio, il disinteresse manifestato a fare rientro nel paese d'origine, la mancanza di mezzi finanziari provenienti da fonti lecite, di un alloggio stabile ove essere rintracciata senza difficoltà, di un lavoro regolare, oltre che dalla ritenuta pericolosità per la sicurezza e l'ordine pubblico. La censura della ricorrente, pertanto, non si attaglia alla fattispecie concreta, risultando dalla stessa narrativa del suo ricorso che in realtà una valutazione in concreto della impossibilità di applicare misure meno coercitive era stata effettuata dal questore.

4. - Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 5, 6 e 13, della Convezione Europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali perchè, nell'ordinamento interno come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, il sindacato del giudice della convalida del trattenimento è meramente formale, essendo limitato al solo decreto di trattenimento e non comprendendo la legittimità del provvedimento di espulsione presupposto, del quale va verificata la sola esistenza ed efficacia.

5. - Neanche tale motivo può essere accolto.
L'art. 5 CEDU consente, al par. 1, lett. f), la privazione della libertà personale "se si tratta dell'arresto o della detenzione regolari di una persona (...) contro la quale è in corso un procedimento d'espulsione". La pendenza di un procedimento espulsivo giustifica dunque la detenzione dell'interessato purchè quest'ultima sia "regolare". Il significato del riferimento alla "regolarità" della detenzione va accertato, trattandosi dell'interpretazione di una disposizione della Convenzione, anzitutto sulla scorta della giurisprudenza del giudice appositamente creato dalla Convenzione stessa, la Corte Europea dei diritti dell'uomo (sul carattere vincolante dell'interpretazione delle norme della Convenzione fornita dalla Corte Europea cfr., per tutte, Corte cost. 349/2007).
Secondo tale giurisprudenza, l'art. 5, p.1, cit., rinvia essenzialmente alla legislazione nazionale, sancendo l'obbligo di osservarne le norme sia procedurali che sostanziali, e tuttavia lo stesso successivo annullamento del titolo su cui è basata non comporta necessariamente l'irregolarità della detenzione per il periodo anteriore all'annullamento, occorrendo piuttosto distinguere tra titoli manifestamente non validi e titoli prima facie validi ed efficaci fino al momento in cui vengono annullati da un altro giudice interno.
Questo è quanto risulta, in particolare, da due precedenti della Corte Europea dei diritti dell'uomo - le sentenze 8 febbraio 2011, ric. n. 12921/04, Seferovic c. Italia, e 1 dicembre 2009, ric. n. 3449/05, Hokic e Hrustic c. Italia - aventi specifico riferimento all'ordinamento italiano e riguardanti fattispecie di detenzione in un centro di permanenza temporanea di stranieri raggiunti da provvedimenti di espulsione annullati dal giudice dopo che erano stati convalidati i connessi provvedimenti di trattenimento.

Si pone pertanto la questione della compatibilità tra l'art. 5, p.1, lett. f), CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, a mente del quale non è regolare la detenzione dell'espulso allorchè l'espulsione sia manifestamente illegittima secondo il diritto interno, e il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, come interpretato dalla consolidata giurisprudenza interna (cfr., fra le altre, Cass. 27331/2013, 24166/2010, 17575/2010, 20928/2009, 5715/2008) nella parte in cui, non consentendo al giudice della convalida alcun sindacato - se non quello di esistenza ed efficacia - sul decreto di espulsione, gli impedisce anche di rilevarne l'illegittimità nei casi in cui sia manifesta, e dunque di far valere l'irregolarità del trattenimento dello straniero espulso, con conseguente lesione del diritto di quest'ultimo a un ricorso effettivo ai sensi dell'art. 13 della medesima Convenzione. Il che si traduce nella questione di legittimità costituzionale del richiamato D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, per violazione dell'art. 117 Cost., comma 1, per effetto della violazione della norma convenzionale interposta; questione da rimettere al giudice delle leggi salva la possibilità di far luogo ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma interna (cfr. Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007).

Detta possibilità certamente sussiste per la questione in esame.
Posto, infatti, che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, - interpretato nel senso della totale esclusione del potere del giudice, nel procedimento di convalida del trattenimento, di sindacare la legittimità del decreto di espulsione presupposto - contrasta all'evidenza con il combinato disposto degli artt. 5, p.1, lett. f) - interpretato nel senso indicato dalla Corte Europea - e 13 CEDU, che imporrebbe invece l'esercizio del detto sindacato da parte del giudice adito allorchè l'illegittimità del decreto di espulsione sia manifesta, va osservato che tuttavia tale contrasto può essere superato attraverso una interpretazione "convenzionalmente" - e dunque costituzionalmente - orientata della norma interna. La lettera del richiamato art. 14, infatti, non è di ostacolo a un' interpretazione che riconosca al giudice della convalida il potere di rilevare incidentalmente la manifesta illegittimità del provvedimento di espulsione.
Va pertanto affermato, precisando il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, che, in sede di convalida del decreto del questore di trattenimento dello straniero raggiunto da provvedimento di espulsione, il giudice è investito del potere di rilevare incidentalmente, ai fini della decisione di sua competenza, la manifesta illegittimità del provvedimento di espulsione. Il medesimo principio vale ovviamente anche quanto alla disciplina - in tutto analoga sotto il profilo che qui rileva - della convalida dell'accompagnamento alla frontiera ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5 bis.
Che cosa poi debba intendersi, in concreto, per "manifesta" illegittimità è questione da risolvere, ancora una volta, in base alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
A tal riguardo può osservarsi che sia la sentenza Seferovic che la sentenza Hokic e Hrustic, sopra richiamate, menzionano anzitutto quale esempio di manifesta illegittimità, il fatto che l'autorità abbia provveduto al di fuori della sua sfera di competenza. La prima di esse argomenta poi la sussistenza, nella fattispecie considerata, della violazione dell'art. 5, p.1, CEDU in base al fatto che, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, la ricorrente non poteva essere espulsa perchè aveva partorito da meno di sei mesi e le autorità erano a conoscenza di tale fatto, e tutto ciò "si traduce in una irregolarità grave e manifesta ai sensi della sua ossia della stessa Corte Europea: n.d.r. giurisprudenza", richiamando espressamente, a contrario, la sentenza Hokic e Hrustic, cit. In quest'ultima si era invece esclusa la violazione dell'art. 5, p.1, CEDU perchè il decreto di espulsione era stato, sì, annullato successivamente dal giudice di pace italiano, ma solo in quanto basato su un motivo diverso da quello in effetti sussistente (il provvedimento faceva riferimento all'ipotesi di cui alla lett. a) del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 1, mentre ricorreva in realtà l'ipotesi di cui alla lett. b)). Sia l'una che l'altra sentenza attribuiscono, inoltre, carattere dirimente alla buona o cattiva fede delle autorità che avevano disposto l'espulsione e la conseguente detenzione della persona espulsa: la prima sentenza enunciando il principio che "per non essere tacciata di arbitrio, l'applicazione di tale misura di detenzione deve dunque essere fatta in buonafede" (e in connessione con tale affermazione va letto, evidentemente, il successivo rilievo che le autorità sapevano del recente parto della ricorrente); la seconda sentenza ribadendo in premessa generale, come la prima, il medesimo principio, e osservando alla fine, con riguardo alla fattispecie: "La Corte non ritiene che le autorità abbiano agito in malafede o che non si siano impegnate ad applicare correttamente la legislazione pertinente... Chiaramente, un malinteso ha indotto le autorità interne a temere che i ricorrenti avessero sempre avuto una situatone irregolare"; in continuità, del resto, con altri precedenti della medesima Corte, pure richiamati (in termini, 6 dicembre 2007, ric. n. 42086/05, Liu e Liu c. Russia).
Fatte queste premesse in diritto, deve concludersi che la censura articolata dalla ricorrente è inammissibile. Infatti, poichè deve ritenersi, per quanto sin qui osservato, che la CEDU imponga all'ordinamento interno di consentire al giudice della convalida un sindacato non già su tutte le ipotesi di illegittimità del decreto di espulsione, bensì solo su quelle di illegittimità "manifesta", da individuare in base alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, era onere - non osservato - della ricorrente allegare la sussistenza di una ipotesi siffatta.

6. - In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
In mancanza di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali.
Poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2014


 

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