REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Arezzo Sezione Civile in persona del giudice Carlo Breggia, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta a ruolo presso la sezione distaccata di Montevarchi il 8.3.2011 al numero 194/11 del Registro generale, indi, a seguito della riforma introdotta con D. Lgs 155/12, iscritta nel ruolo generale del Tribunale di Arezzo al numero 20194/11 del Registro generale pendente fra
F.F., con l'avv. B.G.;
PARTE ATTRICE
contro
E.L. S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'avv. L.D.;
PARTE CONVENUTA
sulle conclusioni precisate come in atti all'udienza del 17.12.2013.

Svolgimento del processo

F.F. chiede il risarcimento del danno asseritamente subito a causa di un erroneo trattamento estetico praticato presso E.L. e F.C. nell'aprile 2010, consistito nella depilazione definitiva dell'addome con tecnica del laser a luce pulsata, che aveva dato luogo a forti arrossamenti e dolori nella zona del corpo interessata, sfociati in vere e proprie ustioni.
E.L. resiste alla domanda, contestandola nell'an debeatur, perché l'intervento era stato effettuato con macchinario adeguato e correttamente, perché la F., all'epoca minorenne, e sua madre, erano state adeguatamente informate dei possibili rischi, e perché la F. evidentemente non si era attenuta alla raccomandazione di non esporsi a raggi solari, e nel quantum, osservando che la F. aveva continuato brillantemente, pur dopo il fatto lesivo, a partecipare a concorsi di bellezza.
La causa è stata istruita documentalmente e oralmente ed è stata svolta c.t.u. medico-legale, conclusa con relazione depositata dal dott. P.C. il 6.12.2012.
Indi, all'udienza del 17.12.2013, le parti hanno precisato le conclusioni, parte attrice anche in via istruttoria, e il giudice ha trattenuto la causa in decisione, assegnando i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e le memorie di replica, tutte ritualmente versate in cancelleria.

Motivazione

La domanda è, per quanto di ragione, fondata.

È pacifico che fra le parti v'è stato rapporto contrattuale in base al quale la società E.L., esercente l'attività di estetista (L. 4.1.1990 n. 1 e L. Reg. Toscana 31.5.2004 n. 28), nell'aprile 2010 ha sottoposto F.F., all'epoca minorenne (nata il 21.6.1992), un trattamento per la depilazione definitiva dell'addome con la tecnica del laser a luce pulsata.
E' poi certo che il 22.4.2010 la F. si recò al pronto soccorso di Siena per dolore ed arrossamento sulla linea mediana dell'addome per esiti di depilazione 7 gg. fa e che le fu ivi diagnosticata in uscita ustione di primo grado (referto p.s., doc. 2 p. att.).

Il nesso causale fra il trattamento e la lesione refertata è certo. Infatti, l'avverarsi di un forte arrossamento all'addome e i lamenti immediati della F. per un subitaneo dolore proprio dopo la sessione estetica è dimostrato dalla deposizione di L.P. (ud. 14.6.2012), madre dell'attrice, ma non smentita da fonti di prova diverse su questo specifico punto. Inoltre, il rapporto di causalità diretta è stato asseverato, sotto il profilo medico-legale, dal c.t.u. dott. C., sul punto incontestato. Infine, posto che il trattamento può essere collocato al 15.4.2010 (lo afferma parte convenuta e il modulo di consenso informato, di cui infra, è datato 14.4.2010), è evidente che la stretta consecuzione temporale fra sessione estetica e necessità di ricorrere al pronto soccorso, tale da configurare sul piano causale un propter hoc e non un mero post hoc, e l'identità fra la localizzazione della lesione e l'area del corpo interessata dalla depilazione (addome), nonché la corrispondenza fra tipologia di intervento (a luce laser pulsata) e tipologia di lesione (ustione) sono elementi insuperabili per l'affermazione certa e sicura del nesso causale.

Era allora onere di E.L., conformemente alla disciplina della responsabilità contrattuale, dimostrare di avere adempiuto la propria obbligazione in maniera esatta e con la diligenza e la perizia dovute (cfr, in tema generale di riparto dell'onere della prova fra debitore e creditore, Cass. sez. un. civ. 30.10.2001 n. 13533, nonché, in tema di responsabilità del sanitario, fattispecie del tutto analoga a quella in esame, vedi, ex multis, Cass. 3 A civ. 12.12.2013 n. 27855 rv 629796).
Nel caso in esame, vero è che la F. - e, per essa minorenne, la madre - sottoscrissero modulo di consenso informato (doc. 1 p. conv.): tuttavia, non vi si legge - né lo si potrebbe, essendo ovviamente insostenibile - che la depilazione col laser a luce pulsata possa, quale conseguenza avversa statisticamente possibile, l'ustione di primo grado. Si legge nel documento che possono esservi fastidi, temporanei eritemi, lievi desquamazioni epidermiche, sensazioni di bruciore, ma non anche ustioni.
La difesa convenuta sostiene poi che la F. si espose, contrariamente alle raccomandazioni ricevute, a lampade UVB, ma la circostanza non è stata provata.
L'unica fonte in proposito è la deposizione di A.T. (ud. 14.6.2012), dipendente di E.L. e sorella di una delle socie amministratrici, la quale, peraltro, a domanda "5 - V.C. nel periodo successivo alla seduta del 15.04.2010, la F. si è rivolta al centro estetico E.L. chiedendo di potersi sottoporre a delle lampade UVB.", ha risposto solo che "(...) all'incirca verso i primi di giugno 2010 la F.F. venne per sapere quando avrebbe potuto fare qualche lampada UVB (...)" e che le fu detto che non era ancora possibile, le furono dati in omaggio prodotti di protezione solare e le fu sconsigliato di esporre le parti depilate al sole o lampade. Non solo, dunque, è fallita la prova che la F. si sia esposta, nelle parti depilate, a sole o lampade, ma è anzi emerso che ella, molto coscienziosamente, si rivolse a E.L. per essere informata (la F. venne per sapere quando avrebbe potuto fare qualche lampada UVB e non, come preteso dalla difesa convenuta, chiedendo di potersi sottoporre a delle lampade UVB), atteggiamento che, dunque, depone inequivocabilmente per uno scrupoloso rispetto da parte della F. delle linee di condotta a lei consigliate, modo di fare, che, del resto, è del tutto
comprensibile, dal momento che in gioco c'era la stessa salute della F., ciò che fa presumere una sua particolare attenzione a non recare a sé stessa danni fisici.
Inoltre, il c.t.u. dott. C., con assai maggiore obiettività, ha potuto accertare che i dati disponibili rendono inverosimile ipotizzare, quali fattori concausali o di aggravamento, incaute esposizioni al sole.

Per il resto, la citata teste T. ha dichiarato - essendo ella colei che praticò la sessione estetica - di avere usato in macchinario adeguato, ma, a parte qualche dubbio di attendibilità da parte di un soggetto che potrebbe essere chiamato a rispondere personalmente, quale autrice materiale del danno, sta l'obiettiva circostanza che le lesioni non rientrano nel novero delle possibili complicanze note e che, pur tuttavia, si produssero, così che, evidentemente, l'apparecchio, per quanto adeguato, non fu manovrato correttamente. Il margine di dubbio che possa residuare grava comunque su parte convenuta, che doveva dare una prova rigorosa e certa del contrario.
Infine, parte convenuta dimostra (suo doc. 3 allegato alla 2 memoria ex art. 183 co. 6A c.p.c.) che la F. continuò a servirsi di E.L. dopo il 15.4.2010: è un elemento presuntivo che, però, se pure potrà essere tenuto in conto per ridimensionare talora le pretese attoree, non vale a negarne in radice la fondatezza. È ovvio che se la F. ha continuato a mettersi nelle mani di E.L., il danno che ha subito non poteva essere così marcato come ella pretende in causa (in particolare, per quanto riguarda il danno da perdita di chance e da ridotta capacità produttiva: vds infra), nondimeno il
mantenimento di un rapporto di fiducia non può di per sé sovvertire il giudizio di responsabilità come sopra esposto.

Il danno alla persona va senz'altro stimato in base ai dati offerti dal c.t.u. dott. C., che ha scrupolosamente approfondito il suo accertamento e va esente dalle censure che parte attrice gli muove.
Il dott. C. ha, per quanto di interesse, accertato, oltre a quanto già ricordato, i seguenti dati:
- F. riportò ustioni di I grado della regione addominale e di II grado della regione sternale;
- l'invalidità temporanea si protrasse per giorni 10 al 50% e per altri giorni 10 al 25%;
- residuano postumi permanenti (menomazioni permanenti precipuamente a connotazione distrofico-discromica e lievemente inestetica: sono allegate alla c.t.u. anche due fotografie dell'addome dell'attrice), incidenti sull'integrità psico-fisica nella misura dell'i -2%: sul punto, il giudice, valutati tutti gli elementi raccolti e preso atto che non vi sono contestazioni di alcun tipo dalla parte convenuta, reputa più congrua la valutazione del 2%, perché maggiormente adeguata a rappresentare i pur lievissimi reliquati antiestetici;
- le spese documentate in Euro 476,31 sono congrue.
Si deve rilevare che le pretese di parte attrice, come riepilogate all'udienza di precisazione delle conclusioni, sono identiche per l'i.t. (10 gg. al 50% e 10 gg. al 25%), ma superiori per l'i.p., che si pretende del 3-4%: nondimeno, lo stesso c.t.p. di parte attrice non risulta avere sollevato, all'interno del contraddittorio tecnico ex art. 195 c.p.c., alcuna questione sulla percentuale di i.p. (vds rel. dott. C. e allegati), così che la richiesta attorea pare priva di fondamento.
Sulla base di tali dati, avuto riguardo all'età della danneggiata all'epoca del fatto (anni 17), si procede innanzitutto alla liquidazione del danno non patrimoniale, secondo la sua accezione unitaria (cfr Cass. sez. un. civ. 26972/08), ancorché ripartitale al suo interno (nel caso in esame: danno biologico da i.t. e da i.p. e danno morale per il collegato reato di lesioni colpose, emerso in via incidentale), in base alle vigenti tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, recentemente rielaborate (c.d. edizione 2013), aventi valore paradigmatico e utilizzabili su tutto il territorio nazionale (Cass. sez. 3 civ. 30.6.2011 n. 14402, rv. 618049).

Per i.t., avuto riguardo alla natura delle lesioni, in particolare alla loro evidente dolorosità, si stima congruo liquidare, come chiesto, Euro 144,00 al giorno per inabilità assoluta. Spettano quindi: Euro 720,00 per i.t. di 10 gg al 50% ed Euro 360,00 per i.t. di 10 gg al 25% così in totale Euro 1.080,00.
Per i.p., sulla scorta di un punto base unitario non patrimoniale di Euro 1.543,05 e di un demoltiplicatore per l'età pari a 0,92, si ha la somma di Euro 2.839,00. Il danno può essere personalizzato nella misura non superiore al 30% (rispetto al 50% massimo di tabella, preteso da parte attrice), perché l'unico fattore noto e degno di nota sul punto è che la ragazza ha propensione verso forme di attività che privilegiano l'aspetto fisico perfetto (concorsi di bellezza, pubblicità),
così che, se da un alto, non si può certo negare una particolare afflittività per lei di un danno permanente squisitamente estetico, dall'altro mancano elementi ulteriori per commisurarlo al massimo previsto. Il danno ascende a Euro 3.690,70.

Il danno patrimoniale emergente passato per spese mediche, sanitarie e collegate, per Euro 476,31, è documentato (docc. 2, 4 e 5 allegati alla 2 memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c.) e giudicato congruo dal c.t.u. - Si tratta dei seguenti esborsi: Euro 91,81 dell'11.5.2010 (visita dermatologica), Euro 84,50 del 25.6.2010 (acquisto medicinali) ed Euro 300,00 del 13.10.2010 (consulenza del proprio consulente in fase stragiudiziale). Le somme rivalutate secondo gli indici Istat. dalle date dei rispettivi esborsi a oggi ascendono a Euro 98,70, Euro 90,84 ed Euro 320,70, e così, in totale, Euro 510,24.
Per contro, i costi di c.t.p. sostenuti in causa, che parte attrice pretende di sommare al danno, costituiscono, a differenza di quelli pagati prima del giudizio, esborsi da regolare con le spese processuali e non già danno in senso stretto, perché le deduzioni del c.t.p. all'interno della causa hanno natura di allegazione difensiva tecnica (cfr, a es., Cass. sez. 2 civ. 3.1.2013 n. 84 rv. 624396).
Non si può riconoscere l'ulteriore somma a forfait di Euro 500,00 per accertamenti medici successivi, perché si tratta di esborsi che potevano e dovevano essere dimostrati in modo specifico, così che non può soccorrere il potere equitativo del giudice ex art. 1226 c.c., né, d'altra parte, le lesioni sono di natura e gravità tali - semmai il contrario - da far presumere così tante spese sanitarie da non poterle documentare tutte adeguatamente.
Il danno globale vale oggi Euro (1.080,00 + 3.690,70 + 510,24 =) 5.280,94.
Trattandosi di debito di valore, in quanto avente natura risarcitoria, esso è stato espresso in moneta attuale, effettuando una liquidazione equitativa a oggi per il danno non patrimoniale e provvedendo a rivalutare le somme del danno patrimoniale.

Residua da compensare il nocumento che il danneggiato patisce per il ritardo con il quale percepisce le somme riparatorie. Si provvede dunque, secondo criterio equitativo (cfr Cass. sez. un. civ. 1712/95 e succ. conformi), a devalutare da oggi alla data del fatto illecito (15.4.2010) la somma che esprime il danno (la somma devalutata è di Euro 4.912,50 con indice di devalutazione 0,93) e poi a rivalutarla anno per anno, secondo gli indici I.Stat., calcolando sulle somme via via rivalutate gli interessi al tasso legale, assunto qui quale adeguato criterio equitativo.
Si ottiene a oggi la somma per interessi pari a Euro 398,54 e così, in totale, Euro 5.679,48.
La liquidazione giudiziale trasforma l'originario debito di valore in uno di valuta, così che sulla predetta somma decorrono ex art. 1282 c.c. dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo effettivo gli interessi al saggio legale.

Il danno preteso da parte attrice per le perdite patrimoniali collegate alla capacità lavorativa specifica e per le perdita di chance non può essere riconosciuto.
La F. ha dimostrato - vedi documenti prodotti - di partecipare a concorsi di bellezza e di svolgere l'attività di modella.
Il c.t.u. ha spiegato che il periodo di maggior evidenza delle ustioni è stato quello estivo del 2010, sino, indicativamente, ai primi quindici-venti giorni di settembre 2010.
Il c.t.p. di parte attrice, dott. S.C., non ha contestato, a ben vedere, tale dato, limitandosi a trarne la conseguenza che in quel periodo la F. non poté indossare il bikini, ciò che le costò la rinuncia al concorso di Miss Italia.
Il c.t.u., nella sua riposta ex art. 195 c.p.c., ha precisato che, pur essendo certo che il periodo sino al 15 o 20 settembre resta quello di maggior incidenza delle lesioni, si deve negare che ne sia derivato una diminuzione della capacità lavorativa specifica, semmai da giudicare menomata al 75-50% nella prima quindicina di luglio 2010.
Si duole la difesa attorea di questa risposta del c.t.u., giudicata confusa e fuorviante (comparsa conclusionale, pagg. 15 e 16).
La conclusione del c.t.u. va confermata.
Il dott. C., in maniera quanto mai inequivocabile, ha attestato, a fondamento del suo ragionamento, un fatto elementare: la prosecuzione dei trattamenti farmacologici topici locali è documentata da parte attrice sino al 16.7.2010 e non oltre.
Ne deriva sul piano logico l'obbligatoria conseguenza che dopo il 16.7.2010 la lesione era scemata al punto da non richiedere più applicazioni di farmaci topici: se dunque c'è una censura nel ragionamento del c.t.u. è, semmai, quella di avere ecceduto nel concedere alla difesa F. che il periodo di massima incidenza arrivò sino al settembre inoltrato, coprendo un periodo che non prevedeva più alcuna cura. Il c.t.u, verosimilmente, ha voluto tenere conto, correttamente, del periodo estivo come di particolare rischio per l'esposizione al sole, ma resta indiscutibile che dalla
metà di luglio in poi è impossibile, in base a prove certe e obiettive (ossia non derivanti solo da scelte personali tanto insindacabili, quanto non necessariamente obbligate dalla situazione medica), pensare che la F. non abbia potuto svolgere le proprie attività.
Ma v'è di più.
Le stesse rassegne stampa prodotte da parte attrice (doc. 3) - e a ragione enfatizzate dalla difesa convenuta in comparsa conclusionale (pag. 6) - dimostrano che la F., alla data del 29.6.2010, si classificò quarta in una delle selezioni per Miss Toscana (ritaglio de La Nazione del 29.6.2010) e che ebbe accesso alle prefinali del concorso Miss Italia, andando a Salsomaggiore e fermandosi solo in quella fase, alla data del 30.8.2010 (ritaglio del Corriere Arezzo del 30.8.2010). Se allora è accertato che nel momento in cui la ragazza, alla fine di giugno 2010, stava subendo la maggior ripercussione dell'ustione, poté avere accesso alle prefìnali di Miss Italia e che la cessazione dei trattamenti topici avvenne proprio in quel momento, non v'è davvero spazio per riconoscere alla F. il benché minimo danno sotto questo profilo. È inutile, ad avviso del giudice, insistere, come fa parte attrice, per l'ammissione di prove orali intese a dimostrare che nella competizione per Miss Italia era d'obbligo il bikini e che la F. dovette andare col costume intero (in particolare, capitoli da 24 a 29 della seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c.), perché, avuta la prova che in quel periodo la F. era comunque abbastanza in forma per partecipare con buoni risultati al concorso, mai si potrebbe istituire un nesso causale ben definito fra l'avere indossato il costume intero e l'essersi fermata alle prefinali. In un contesto in cui moltissime ragazze di particolare avvenenza partecipano al concorso, esiste anche un'ampia gamma di possibilità, che le prove addotte non potrebbero ex se eliminare, che il mancato accesso in finale sia dipeso da altri fattori.

La circostanza non può avere valore neppure sotto il profilo della perdita di chance.
Invero, "La perdita di "chance", consistente nella privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell'attività lavorativa, costituisce un danno patrimoniale risarcibile, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente non in un lucro cessante, bensì nel danno emergente da perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la "chance" è anch'essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta "chance" intesa come attitudine attuale." (Cass. sez. 3 civ. 25.5.2007 n. 12243 rv 597488; non tutti, anche in dottrina, concordano su questa ricostruzione della chance, essendo talora essa vista come un fenomeno di lucro cessante).
Si deve ribadire che si fa davvero fatica a individuare e definire come entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile la possibilità della F., in ultima analisi, di sfilare in bikini al concorso di Miss Italia: non perché si voglia acriticamente sminuire il valore estetico, in quel contesto, di una più ricca modalità espressiva della propria bellezza, ma perché, si ripete, se la F. era stata in grado, quando nel periodo immediatamente precedente aveva affrontato vittoriosamente una concorrenza non certo minore e in condizioni di maggior disagio per l'ustione, di accedere alle prefinali, non si può ammettere che la mancata progressione ulteriore sia dipesa da un fattore comunque secondario rispetto alla complessiva performance messa in campo dalla giovane.
Per il resto, la documentazione prodotta dimostra che la F. fa anche la modella in talune pubblicità: tuttavia, né vi è prova di contratti perduti nel periodo dell'estate 2010, né la misura dei reliquati è tale da dimostrare di per sé l'incapacità futura, totale o parziale, di svolgere tale attività.
Si aggiunga infine a mò di chiusura, riprendendo un tema già accennato in precedenza, che la difesa convenuta ha dimostrato che la F. continuò a recarsi da E.L. dopo il 15.4.2010 per ricevere prestazioni estetiche, compresa la depilazione (doc. 3 p. conv.).
Orbene, si è già argomentato che tale prova non è di per sé idonea a negare l'esistenza del danno alla persona, nelle sue componenti biologica e morale.
Nondimeno, l'elemento addotto dalla difesa convenuta è invece particolarmente pertinente al tema qui trattato e contribuisce a rafforzare la conclusione che nulla spetti per danno patrimoniale da ridotta capacità produttiva o da perdita di chance. Infatti, si può anche ammettere che la F., nonostante l'accaduto, abbia mantenuto sul piano umano una buona relazione con il personale di E.L., tale da non troncare il rapporto in modo netto, ma è più difficile credere che la ragazza, se davvero, come è ragionevole desumere dalle asserzioni della sua difesa in questa causa, avesse
creduto che la propria attività in fieri era a repentaglio, si sia affidata ancora a E.L. proprio per avere quei trattamenti indispensabili per migliorare la propria immagine.

C'è soccombenza reciproca, dal momento che tale figura ricorre anche nei casi, come il presente, in cui vi sia una parzialità dell'accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo (così, ancora da ultimo, Cass. sez. 6 ord. 23.9.2013 n. 21684 rv 627822).
Nella presente fattispecie, la domanda è stata ridimensionata, smentendo le pretese attoree, per il minor grado dei postumi permanenti (2% anziché 3-4%), per una personalizzazione di minor impatto, per una liquidazione del danno da i.p. in misura inferiore al massimo preteso, e, soprattutto, per l'avere escluso specifiche voci di danno, quali quelle da ultimo trattate.
Pertanto, restando pur sempre innegabile che la soccombenza è preponderante in capo a parte convenuta (per la quale nulla sarebbe dovuto), si ritiene equo compensare un terzo degli oneri e porre a carico della società convenuta i residui due terzi, nonché, per intero, i costi di c.t.u.
Le spese di c.t.p., in quanto documentate, concorrono a far parte delle spese vive degli oneri processuali.
Per la liquidazione, che segue nel dispositivo per l'intero, sul quale poi le parti provvederanno a calcolare la metà, il giudice, vista la nota prodotta, si provvede in dispositivo ex D.M. 55/14, assunto quale scaglione di riferimento quello corrispondente alla somma effettivamente riconosciuta.

PQM

Il Tribunale di Arezzo, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, anche istruttoria,
rigettata, così provvede:
1. condanna la società E.L. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a F.F., a titolo di risarcimento dei danni a lei cagionati durante il trattamento estetico praticato il 15.4.2010, la somma di Euro 5.679,48, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo;
2. condanna la società E.L. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a F.F. i due terzi delle spese processuali e compensa il residuo terzo, liquidando l'intero, sul quale operare il calcolo dei due terzi dovuti, in complessiva Euro 5.527,58, di cui Euro 392,58 per esborsi, Euro 300,00 per spese di c.t.p. ed Euro 4.835,00 per compensi professionali di avvocato, oltre rimborso di spese generali nella misura del 15% dei compensi, nonché oltre c.a.p. e i.v.a. secondo legge;
3. pone definitivamente a integrale ed esclusivo carico della società E.L. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, le spese di c.t.u già separatamente liquidate.
Così deciso in Arezzo, il 17 giugno 2014.
Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2014.


 

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