REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto - Presidente -
Dott. CARLEO Giovanni - rel. Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. RUBINO Lina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 16000/2010 proposto da:
I.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE VATICANO 84, presso lo studio dell'avvocato SERANI GIANFRANCO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;
- ricorrente -
contro
UGF ASSICURAZIONI SPA (già AURORA ASS.NI SPA, già MEIE AURORA ASS.NI SPA, già SIAD ASSICURAZIONI SPA), in persona del suo procuratore ad negotia, Dott.ssa G.G., elettivamente domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato DORIA BRUNO giusta delega a margine;
- controricorrente -
e contro
A.R.; - intimato -
avverso la sentenza n. 490/2009 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 18/06/2009 R.G.N. 375/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2014 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;
udito l'Avvocato GIANFRANCO SERANI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con citazione ritualmente notificata I.E. conveniva in giudizio la S.I.A.D. Assicurazioni Spa ed A.R. per fare accertare l'esclusiva responsabilità dei convenuti in ordine alla causazione di un sinistro stradale nel quale era stato coinvolto e per farli condannare al risarcimento dei danni subiti. Esponeva che, in data ____, mentre percorreva il centro abitato di ____, a bordo della propria moto Honda 600, era stato investito dalla Fiat Panda condotta dal R., che aveva invaso l'opposta corsia di marcia e lo aveva colpito alla gamba sinistra facendolo cadere dalla moto.
In esito al giudizio in cui si costituiva la compagnia assicurativa il Tribunale adito condannava i convenuti al pagamento della somma di Euro 93.773,05 oltre interessi legali sino al soddisfo. Avverso tale decisione lo I. proponeva appello lamentando tra l'altro il mancato riconoscimento del danno per effetto della riduzione della capacità lavorativa specifica perchè, anche se aveva continuato a percepire la retribuzione quale assistente medico di ortopedia, era presumibile il carattere maggiormente usurante delle prestazioni svolte. In esito al giudizio, in cui si costituiva la Aurora Assicurazioni, già Siad e Meie Aurora, la Corte di Appello di Catanzaro con sentenza depositata in data 18 giugno 2009 condannava i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 2.169,11 con rivalutazione dalla data del 10.10.1990 ed interessi graduali sul capitale via via rivalutato sino alla data della decisione e ulteriori interessi sino al soddisfo; dichiarava che sulla somma liquidata in primo grado pari a 2.592,48 per danni al mezzo andava riconosciuta la rivalutazione dalla data di deposito dell'ATP sino alla data della decisione di primo grado e interessi graduali sul capitale devalutato alla data del sinistro e rivalutato sino alla data della prima decisione condannando i convenuti al relativo pagamento, confermava nel resto la sentenza di primo grado e compensava le spese del grado di appello.
Avverso la detta sentenza lo I. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste l'Aurora Assicurazioni con controricorso.

Motivazione

Con la prima doglianza, deducendo la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alle prove dedotte, l'insufficiente motivazione sul punto della non liquidazione del danno da capacità lavorativa specifica, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello errato in quanto, in corrispondenza della presenza documentata di una riduzione della capacità lavorativa specifica nella misura del 15 % e del provato svolgimento di lavoro autonomo oltre quello dipendente, avrebbe dovuto riconoscere al danneggiato il diritto al risarcimento da perdita di reddito, posto che la perdita di chance non va intesa come deminutio patrimonii ma come deminutio spei. Peraltro, la motivazione della Corte ai fini dell'esclusione del danno da riduzione specifica della capacità lavorativa sarebbe stata altresì inadeguata in relazione alle risultanze peritali che avevano accertato l'impossibilità di accovacciamento del danneggiato.

La censura è infondata. Invero, costituisce principio giurisprudenziale ormai consolidato quello, secondo cui in tema di risarcimento del danno alla persona, sussiste la risarcibilità del danno patrimoniale soltanto qualora sia riscontrabile la eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della "cenestesi lavorativa", che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa (c.d. perdita di chance), risolvendosi in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo, va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute (Cass. n. 5840/2004). Ai fini della risarcibilità di un siffatto danno patrimoniale, occorre quindi la concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico (Cass. n. 3290/2013, n. 4493/2011) e la prova del danno grava sul soggetto che chiede il risarcimento. Invero, anche se tale prova può essere anche presuntiva, la riduzione della capacità di guadagno deve essere dimostrata in termini di sufficiente certezza ed il danneggiato ha l'onere di provare come ed in quale misura la menomazione fisica abbia inciso ed incida sulla capacità di guadagno.
Nel caso di specie, la Corte di merito ha statuito che l'invalidità riscontrata non era di entità tale da consentire di ritenere, anche in via presuntiva, che il Dott. I. non potesse continuare a svolgere l'attività di medico chirurgo, lavorando in sala operatoria o in sala gessi, seppure con maggiore sforzo ed usura. Senza trascurare che essa appariva di nessun rilievo nell'ambito dell'esercizio di uno studio ortopedico, come libero professionista, attività che di per sè non necessita di rilevante impegno fisico.
Ed è appena il caso di evidenziare come la motivazione, riportata nella sua essenzialità, che costituisce espressione di un giudizio di mero fatto, in quanto tale, sottratto al sindacato di legittimità, sia in linea con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, se è possibile presumere che la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura, occorre necessariamente che la riduzione della capacità di lavoro specifica sia di una certa entità e non rientri tra i postumi permanenti di piccola entità (Cass. n. 2644/2013). Ne deriva il rigetto della doglianza in esame.

E' invece inammissibile la seconda censura, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 8, e dell'art. 90 c.p.c. e ss, nonchè della motivazione omessa, con cui il ricorrente ha lamentato che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto di tutte le attività svolte in primo grado ed avrebbe disatteso arbitrariamente la specifica depositata.
L'inammissibilità deriva dal rilievo che il motivo non è accompagnato da alcun quesito di diritto. Ed invero, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione, nei casi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3), 4), devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità - giusta la previsione dell'art. 375 c.p.c., n. 5 - dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta - negativa od affermativa - che ad esso si dia, discenda in modo univoco l'accoglimento od il rigetto del gravame (Sez. Un. n. 23732/07).
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame deve essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, ed Euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2014


 

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