REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. ARMANO Uliana - Consigliere -
Dott. FRASCA Raffaele - rel. Consigliere -
Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere -
Dott. STALLA Giacomo Maria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25571/2010 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 187, presso lo studio dell'avvocato MAGNANO DI SAN LIO GIOVANNI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati EBERLE PATRIZIA e MAUCERI FRANCESCO giusta procura del Dott. Notaio CAROLA PORTALE in CATANIA 6/6/2012, REP. n. 45757;
- ricorrente -
contro
ITAS ISTITUTO TRENTINO ALTO ADIGE PER ASSICURAZIONI SOCIETA' MUTUA DI ASSICURAZIONI, in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore Dott. MA.PA., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio dell'avvocato SPINELLI GIORDANO TOMMASO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PORTO MAURO giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
e contro
R.A., NUOVA TIRRENA ASSICURAZIONI SPA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 1121/2009 della CORTE D'APPELLO di CATANIA, depositata il 07/08/2009, R.G.N. 684/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;
udito l'Avvocato FRANCESCO MAUCERI;
udito l'Avvocato NICOLA RIVELLESE per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

p.1. M.M. ha proposto ricorso per Cassazione contro la s.p.a. ITAS -Istituto Trentino Alto Adige per Assicurazioni, Società Mutua Assicurazioni, nonchè contro R.A. e la Nuova Tirrena Assicurazioni s.p.a. avverso la sentenza del 7 agosto 2009, con cui la Corte d'Appello di Catania ha accolto parzialmente l'appello da lui proposto avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Mascalucia, la quale, investita da esso ricorrente di una domanda di risarcimento del danno sofferto a causa delle lesioni riportate in un sinistro stradale, avvenuto l'____ in _____ tra il motociclo da lui condotto e quello condotto da R.A., aveva condannato costui in solido con l'ITAS, quale sua assicuratrice per la r.c.a., al pagamento della somma complessiva di Euro 102.229,25, oltre accessori a titolo di danno non patrimoniale.
p.2. La sentenza qui impugnata, in parziale riforma della sentenza di primo grado ed accogliendo parzialmente l'appello, riconosceva al ricorrente l'ulteriore importo di Euro 43.050,00, oltre a rivalutazione e interessi, come riconoscimento del "pregiudizio patrimoniale temporaneo" subito dal danneggiato nel periodo di malattia e convalescenza, a causa della perdita di introiti verificatasi nella sua attività professionale per il tempo per cui era rimasto impedito dalle lesioni riportate ad un arto superiore. La Corte d'Appello, viceversa, confermava, per quanto ancora interessa, la sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva riconosciuto il "danno futuro" di natura patrimoniale derivante dalla riduzione della capacità lavorativa specifica accertata nella misura del 18% con pronuncia passata in giudicato.
p.2. Al ricorso, che propone tre motivi, resisteva con controricorso soltanto l'ITAS. p.3. Con ordinanza del 16 novembre 2011, a seguito di trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., la Sesta Sezione civile di questa Corte, rilevato in adesione alla relazione depositata ai sensi di detta norma, che era nulla la notificazione del ricorso nei riguardi del R. e della s.p.a. Nuova Tirrena Assicurazioni in quanto figurava eseguita presso i difensori dei medesimi nel primo grado di giudizio, nonostante che essi fossero rimati contumaci in grado di appello.
p.4. L'ordine di rinnovo veniva ritualmente eseguito ed all'esito gli intimati non si costituivano. Veniva, quindi, fissata l'odierna udienza.
p.5. In vista di essa il ricorrente ha depositato memoria.

Motivazione

p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 2056, 1223, 1226, 2727 e 2729 c.c., nonchè degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, con riferimento all'esclusione di qualsivoglia risarcimento per danno futuro".
Nella illustrazione si riferisce in primo luogo che la sentenza di primo grado era stata appellata là dove aveva escluso la sussistenza in capo al ricorrente del "danno patrimoniale permanente" ai sensi dell'art. 1223 c.c., sotto il profilo del decremento dei redditi dopo il sinistro in ragione della riconosciuta diminuzione della capacità lavorativa specifica e, di seguito, si rileva (ma senza che poi se ne tragga censura, almeno ai fini di questo motivo) che alla Corte catanese era stato richiesto ai sensi dell'art. 184 bis c.p.c., (all'epoca vigente) di consentire l'acquisizione all'uopo delle dichiarazioni dei redditi effettuate dopo il sinistro.
La critica alla sentenza impugnata, quindi, viene svolta richiamando preliminarmente il processo motivazionale della sentenza impugnata ed evidenziando, in particolare:
a) che essa, dopo avere riconosciuto, sulla base di dati espressamente assunti con riferimento alle dichiarazioni dei redditi negli anni dal 1996 al 2001, cioè per i quattro anni anteriori al sinistro e per quello dell'incidente ed il successivo, il danno patrimoniale temporaneo, derivante dalle perdite subite durante lo stato di inabilità totale e parziale, ha negato il danno patrimoniale permanente premettendo che "il danneggiato deve rigorosamente fornire la prova del danno, non potendo invocare il potere equitativo del giudice, che, come noto, non può supplire le carenze probatorie" e, quindi, aderendo alla valutazione della sentenza di primo grado con l'osservare che "peraltro, il primo giudice, con efficace argomentazione ha spiegato che, pur in presenza di postumi che possano ostacolare lo svolgimento di talune attività professionali, è ben possibile che il danneggiato, concentrandosi su altre attività rientranti nelle proprie competenze (per es., per restare al caso in esame, privilegiando la prestazione di consulenza, piuttosto che quella chirurgica), riesca ugualmente a non patire flessioni reddituali";
b) che la Corte territoriale da quanto sub b) ha tratto la conseguenza che "ovviamente quanto svolto impone disattendersi le cospicue proiezioni di danno futuro, peraltro ancorate a stime di pura fantasia e di pregiudizio da perdita della clientela".
p.1.1. La critica viene, quindi, svolta sostenendo che erroneamente la Corte etnea si sarebbe rifiutata di far luogo all'applicazione del criterio di valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., richiamato dall'art. 2056 c.c., pretendendo che il M. fornisse rigorosamente la prova del danno senza considerare che detta normativa consente di liquidare il danno persino senza bisogno di prova, ma prima ancora omettendo di considerare elementi probatori esistenti.
In particolare sarebbe stato violato l'art. 115 c.p.c., per non essere state poste a fondamento della decisione nozioni di fatto di comune esperienza, sulla base dei dati certi coperti dal giudicato interno, costituiti dall'essere il M. un chirurgo odontoiatra che aveva patito gravi lesioni all'arto superiore, sofferto una inabilità temporanea del 50% per oltre sei mesi, postumi di invalidità permanente del 24% e di invalidità lavorativa specifica nella misura del 18%. La "comune esperienza", infatti, ad avviso del ricorrente "postula che menomazioni dell'intensità di quelle subite dal M. incidano sicuramente sulla carriera di un chirurgo - specie se odontoiatra - e ne diminuiscano lo sviluppo e gli introiti futuri in misura rilevante.
La Corte territoriale avrebbe per la stessa ragione violato anche le norme degli artt. 2727 e 2729 c.c., rifiutandosi di desumere su base presuntiva la diminuzione della capacità di guadagno.
Si riprende, quindi, l'argomento della violazione del potere di liquidazione equitativa, per avere la Corte di merito asserito che esso non potrebbe supplire alle carenze probatorie, là dove il suo presupposto è proprio quello della impossibilità rigorosa di una prova dell'ammontare del danno e, quindi, si evoca Cass. n. 1690 del 2008 come relativa a fattispecie sorprendentemente simile a quella oggetto della controversia. Di tale decisione si richiama un ampio brano motivazionale siccome giustificativo dell'esistenza di una presunzione per cui un danno da invalidità permanente non riconducibile alla categoria delle c.d. micro permanenti determina una riduzione della capacità di guadagno futuro del danneggiato, salvo il superamento con una prova contraria.
Si argomenta, quindi, che nel caso di specie non solo non ricorreva alcuna prova contraria, ma il ricorrente aveva anzi offerto "prove significative della riduzione subita nel tempo a cagione della menomazione, quali, ad esempio, i dati relativi ai redditi dei periodi riportati nella sentenza di appello come elementi non controversi (a pag. 7)".

p.2. Con il secondo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 184 bis (nel testo al tempo vigente) e 359 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, - Error in procedendo per erronea ovvero omessa valutazione delle prove acquisite; il tutto, con riferimento all'esclusione del dedotto danno futuro".
Si lamenta che la Corte etnea, pur avendo dato rilievo ai dati reddituali sia anteriori, sia successivi all'evento in funzione della liquidazione del danno patrimoniale per perdita di introiti durante il periodo di inabilità totale e parziale, non li avrebbe poi considerati ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza del danno patrimoniale futuro, affermando a torto che il motivo di gravame si era risolto in un mero teorema privo di prove.
Con riferimento alla denunciata violazione dell'art. 184 bis, si lamenta che nell'atto di appello - alla pagina 7 - era stato richiesto di acquisire i CUD successivi al 2001, in quanto documenti che in primo grado non avrebbero potuto prodursi perchè di formazione successiva alla scadenza del termine per le deduzioni probatorie di cui all'art. 184 c.p.c..

p.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia "insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e con riferimento alla prova del chiesto danno futuro".
Vi si censura, sotto il profilo del vizio motivazionale, la contraddittorietà e l'illogicità di argomentazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, avendo per un verso dato atto della sussistenza di documentazione e di prove relative ai redditi del ricorrente e del relativo decremento ai fini dell'accertamento del danno patrimoniale durante l'inabilità, e, per altro verso, affermato l'assenza delle stesse prove in relazione all'esame della questione del danno futuro e permanente nell'erroneo presupposto del non poter ricorrere al potere equitativo. Il vizio motivazionale si anniderebbe anche nell'adesione all'argomento del giudice di primo grado circa la possibilità di concentrazione su talune delle attività professionali rientranti nelle competenze del M., perchè se pure sarebbe vero che "un soggetto possa persino migliorare la propria capacità reddituale cambiando mestiere o professione (che, la professione del chirurgo è quella di operare mentre la prestazione del consulente attiene al clinico), ciò non consente di presumere che siffatta ipotesi appartenga all'id quod plerumque accidit, essendo invece, riferibile a fenomeni eccezionali". Sicchè la Corte territoriale sarebbe incorsa in una vera e propria forzatura, perchè essa, pur avendo accertato la sussistenza del danno ne avrebbero escluso il rilievo individuando un modo del tutto ipotetico ed astratto con cui il ricorrente avrebbe potuto evitare la perdita della capacità di guadagno inibitagli dalla sofferta menomazione.

p.4. Con il quarto motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, con riferimento al regolamento delle spese processuali", per avere la Corte regolato le spese del giudizio in base alla parziale soccombenza attribuita erroneamente al ricorrente, che "però confida nell'accoglimento del ricorso e, pertanto, nell'annullamento anche del capo di tale capo di sentenza": si tratta, dunque, in realtà, di un "non motivo", dato che si auspica che la statuizione sulle spese cada per effetto dell'accoglimento di alcuno o di tutti i primi tre motivi, il che accadrebbe in via automatica.

p.5. I primi tre motivi di ricorso possono trattarsi congiuntamente atteso che concernono sotto distinti profili, in iure e - sebbene asseritamente sotto il profilo motivazionale art. 360 c.p.c., ex n. 5, il terzo - il mancato riconoscimento del danno futuro.
L'apprezzamento dei tre motivi, peraltro, dev'essere condotto considerando tutta la motivazione della sentenza impugnata sul punto.
Essa si è così articolata: "Le risultanze in atti confermano la correttezza della decisione del primo giudice circa l'insussistenza di un danno patrimoniale permanente, dipendente dall'invalidità lavorativa specifica. Dai redditi sopra riportati va escluso possa trarsi il convincimento che i redditi professionali del M., quando nel 2000 incorse nell'incidente stradale, fossero in logaritmica ascesa, come invece oggi si sostiene. Dopo i primi tre anni di naturale consolidazione professionale, infatti il predetto stazionava attorno ai Euro 38.000 l'anno; difatti, il reddito del 1999 è inferiore di alcune centinaia di Euro rispetto a quello dell'anno precedente. Di talchè l'ipotesi dell'inarrestabile crescita, troncata dall'incidente, non solo appare poco probabile, ma trova precisa smentita negli stessi dati reddituali richiamati dall'appellante. Affermato ciò, il ragionamento del tribunale, peraltro non criticato precipuamente dall'appellante, il quale, dati alla mono, ha verificato che proporzionalmente alle giornate effettivamente lavorate, sia nel 2000, che nel 2001, il M. non ha patito flessione di capacità reddituale di sorta, appare condivisibile. Di conseguenza deve reputarsi un mero teorema, privo di riscontri plausibilità, la pretesa che dal fatto sia derivato al M. un pregiudizio patrimoniale permanente. Nè, la detta constatazione, fondata su dati probatori certi e non controversi, può essere ribaltata sulla base del mero asserto che una invalidità del 18% incidente sulla vita lavorativa debba, intuitivamente, procurare un danno patrimoniale. Nella detta materia, il danneggiato deve rigorosamente fornire la prova del danno, non potendo invocare il potere equitativa del giudice, che, come noto non può supplire alle carenze probatorie. Per altro, il primo giudice, con efficace argomentazione, ha spiegato che, pur in presenza di postumi che possano ostacolare lo svolgimento di talune attività professionali, è ben possibile che il danneggiato, concentrandosi su altre attività rientranti nelle proprie competenze (per es., per restare al caso in esame, privilegiando la prestazione di consulenza, piuttosto che quella chirurgica), riesca ugualmente a non patire flessioni reddituali. Ovviamente, quanto svolto impone disattendersi le cospicue proiezioni di danno futuro, peraltro ancorate a stime di pura fantasia e di pregiudizio da perdita della clientela".
p.5.2. Dalla riportata motivazione emergono alcune affermazioni che non risultano sottoposte a critica dal ricorrente in alcuno dei tre motivi.
p.5.2.1. La prima è quella concernente l'esclusione dell'esistenza di un danno patrimoniale futuro da c.d. lucro cessante, nella specie prospettato sotto il profilo dell'arresto della capacitò di crescita della produttività reddituale dell'attività lavorativa del M..
I tre motivi non censurano la motivazione della sentenza impugnata sotto tale profilo e, dunque, deve ritenersi formata cosa giudicata interna sul fatto che l'attività professionale del M. non fosse destinata a determinare una aumento della sua capacità reddituale, onde i redditi futuri che in ipotesi egli avrebbe potuto produrre e sui quali andava valutata la possibile incidenza negativa della diminuzione della capacità lavorativa specifica debbono ritenersi proporzionalmente equivalenti a quelli che egli produceva all'epoca del sinistro, semmai con l'aggiornamento dei relativi valori all'aumento generale del costo della vita.
Ne segue che il mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro di cui discutono i motivi è limitato esclusivamente al profilo del danno, derivante non già dalla perdita della potenzialità lavorativa in funzione dell'aumento del reddito, bensì dalla perdita della capacità di mantenere lo stesso livello di reddito esistente al tempo del sinistro.

p.5.2.2. La motivazione sopra riportata evidenzia, poi, un'altra considerazione che nello svolgimento della critica di cui ai tre motivi viene del tutto ignorata: si tratta della condivisione del ragionamento del Tribunale - che, peraltro, adombrando forse un difetto di specificità del motivo ai sensi dell'art. 342 c.p.c., ma non è detto espressamente, si assume "non criticato precipuamente dall'appellante" - là dove aveva verificato che non vi era stata alcuna flessione del reddito del M. nè nel 2000 nè nel 2001 proporzionalmente alle giornate effettivamente lavorate in dipendenza della inabilità assoluta e di quella parziale, che furono rispettivamente, per come la sentenza dice nel riferire del primo motivo di appello, non più oggetto di discussione, pari a 233 ed a 188 giorni.
E' proprio sulla condivisione di tale rilievo del primo giudice che la Corte territoriale appoggia la successiva affermazione che doveva reputarsi mero teorema privo di riscontro e plausibilità la deduzione del danno patrimoniale permanente, nonchè quella che tale constatazione non era ribaltabile in ragione del mero asserto che un'invalidità del 18% della capacità lavorativa dovesse determinare danno patrimoniale futuro.
p.6. Ora, l'apprezzamento della forza di resistenza della motivazione della Corte siciliana alle critiche prospettate con i motivi deve aver luogo verificando se tali critiche possano reputarsi fondate, là dove non hanno posto in discussione che non fosse stata data prova, per un verso di una forza espansiva della capacità reddituale al momento del sinistro, e, per altro verso non hanno censurato la condivisione da parte di quella Corte dell'avviso del Tribunale, là dove Esso aveva rilevato che nell'anno 2000, quello del sinistro, e nell'anno successivo, nei quali si era distribuita l'inabilità totale e parziale del M., costui non aveva accusato una diminuzione di reddito proporzionale alle giornate non lavorate per quello stato.
p.6.1. Le critiche, una volta considerata la motivazione e particolarmente i due aspetti accennati, appaiono prive di pregio nella parte in cui imputano alla Corte territoriale di aver considerato le risultanze reddituali degli anni dal 1996 al 2001 ai fini dell'accoglimento del motivo di appello relativo al riconoscimento del danno patrimoniale durante il temporaneo stato di invalidità totale e parziale e di non averle considerate invece ai fini del danno patrimoniale futuro: è vero, infatti, che, avallando il ragionamento del primo giudice, i giudici d'appello hanno considerato proprio quei redditi e lo hanno fatto condividendo il rilievo della non incidenza della diminuzione della capacità lavorativa specifica proporzionalmente al minor periodo lavorato.

p.6.2. La doglianza relativa al non avere la Corte dato rilievo alla richiesta di produzione delle dichiarazioni reddituali (CUD) successive al 2001, basata sulla invocazione della loro ammissibilità ai sensi dell'art. 184-bis in quanto trattavasi di documenti formatasi dopo la scadenza delle preclusioni probatorie in primo grado è prima inammissibile e poi manifestamente infondata.
L'inammissibilità deriva dal fatto che il ricorrente si limita a dire di averla formulata nell'atto di appello e fornisce al riguardo l'indicazione specifica, che questa Corte riscontra nell'atto di appello alla pagina sette, per come indicato. Senonchè, nulla si dice del se detta richiesta, sulla quale neppure si precisa se la Corte ebbe a provvedere, venne mantenuta in sede di precisazione delle conclusioni. Ne consegue che, non essendo dimostrato che la richiesta rimase oggetto del dovere decisorio della Corte territoriale, non è lecito lamentarsi in questa sede che non essa sia stata accolta, perchè non è stato dedotto che quella Corte ne era stata investita ed essa non fosse stata abbandonata all'atto di precisare le conclusioni.
p.6.3. L'infondatezza della doglianza deriverebbe comunque gradatamente perchè la detta richiesta non avrebbe potuto essere accolta.
Se anche fosse vero e dimostrato che i CUD si erano formati dopo la non meglio specificata preclusione istruttoria della non identificata udienza ex art. 184 c.p.c., (vigente durante il giudizio di primo grado), si dovrebbe rilevare che, propri perchè formatisi dopo di essa, non erano in alcun modo soggetti alla rimessione in termini di cui all'art. 184 bis c.p.c., ed avrebbero potuto prodursi senza bisogno di essa, dato che quella norma, come ogni mezzo di rimessione in termini serviva a consentire lo svolgimento di un'attività ormai preclusa, ma possibile prima del formarsi della preclusione ed impedita in concreto per causa non imputabile alla parte. Ne segue che la produzione sarebbe potuta avvenire già nel giudizio di primo grado per tutti i CUD redatti prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni di quel giudizio, che dall'esame della sentenza presente nel fascicolo di parte del ricorrente, risulta essere avvenuta il 28 giugno 2005 (essendo stata, poi, la sentenza pronunciata il 22 dicembre 2005). Viceversa, non sarebbe potuta avvenire in appello, stante il divieto dell'art. 345 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis) e meno che mai attraverso il meccanismo dell'art. 184 bis. Semmai in appello si sarebbero potute produrre le dichiarazioni dei redditi successive alla detta udienza di precisazione delle conclusioni.

La censura dev'essere, dunque, rigettata.
E' appena il caso di rilevare che la sentenza di primo grado, nel rigo ottavo della sua pagina quindici, dopo che nella pagina precedente e nei righi precedenti ha svolto le considerazioni sui redditi dal 1996 al 2001, espressamente osserva che "nessuna documentazione è stata prodotta relativamente agli anni successivi".

p.6.4. A questo punto resta da procedere all'apprezzamento della parte della motivazione su cui si accentra la residua critica espressa dai tre motivi.
La critica coglie nel segno, ma non si presta a giustificare la cassazione della sentenza, perchè il suo dispositivo appare conforma a diritto ed è dunque solo necessario far luogo a mera correzione della motivazione, possibile se si considerano per un verso i punti fermi sopra evidenziati, che non sono stati oggetto di critica da parte del ricorrente, e, per altro verso l'ora acquisita certezza che il ricorrente avrebbe potuto produrre già in primo grado i CUD dei quali instava infondatamente la produzione tramite la rimessione in termini in appello.
p.6.4.1. Va premesso che il principio di diritto sul quale è fermo l'orientamento della Corte in punto di danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica è certamente quello, richiamato nell'illustrazione del primo motivo dal ricorrente, cioè da Cass. n. 1690 del 2008 nel senso che "Il danno patrimoniale futuro, nel caso di fatto illecito lesivo della persona, è da valutare su base prognostica ed il danneggiato, tra le prove, può avvalersi anche delle presunzioni semplici. Pertanto, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità (cosiddette micropermanenti, le quali non producono danno patrimoniale ma costituiscono mere componenti del danno biologico), è possibile presumersi che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga un'attività o presumibilmente la svolgerà, in quanto prova presuntiva essa potrà essere superata dalla prova contraria che, nonostante la riduzione della capacità di lavoro specifico, non vi è stata alcuna riduzione della capacità di guadagno e che, quindi, non è venuto a configurarsi in concreto alcun danno patrimoniale".

Il principio è stato ribadito da ultimo da Cass. n. 2644 del 2013, che si è così espressa: "Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, è da valutare su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici. Pertanto, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga un'attività o presumibilmente la svolgerà; tuttavia, l'aggravio in concreto nello svolgimento dell'attività già svolta o in procinto di essere svolta deve essere dedotto e provato dal danneggiato".
A sua volta Cass. n. 26534 del 2013 ha così statuito: "Il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica non si riflette automaticamente, nè tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno della stessa. Tuttavia, nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorchè possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio".

p.6.4.2. Ebbene, l'affermazione della Corte territoriale che la mera esistenza di uno stato invalidante del 18% riguardo alla capacità lavorativa specifica non può essere considerata idonea a dimostrare il danno patrimoniale futuro in via automatico è certamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
p.6.4.3. Non lo è, viceversa, l'affermazione consequenziale che "Nella detta materia, il danneggiato deve rigorosamente fornire la prova del danno, non potendo invocare il potere equitativa del giudice, che, come noto non può supplire alle carenze probatorie".
E' sufficiente osservare che, venendo in rilievo nella specie una invalidità certamente non riconducibile al concetto della lesione micropermanente l'affermazione della Corte territoriale risulta erronea, per la ragione che lo stato invalidante del 18% certamente evidenziava come evidenzia in via presuntiva la sua idoneità a determinare un danno patrimoniale nella futura attività del M.
Come tale l'affermazione dev'essere corretta.
p.6.4.4. Tanto comporta, tuttavia, che il giudice d'appello avrebbe dovuto ritenere esistente per presunzione la prova nell'an dell'esistenza di un danno patrimoniale futuro, ma non giustifica la cassazione della sentenza, perchè, come si dirà fra breve, quel giudice si trovava comunque in una situazione nella quale il M. non aveva assolto all'onere di provare il quantum del danno.
p.6.4.5. Anche l'affermazione con cui il giudice d'appello ha escluso la sussistenza nell'an del danno in discorso ipotizzando, come quello di primo grado, che il M. avrebbe potuto indirizzare la sua attività professionale privilegiando le prestazioni di consulenza piuttosto che quelle di chirurgia, è affermazione scorretta in iure, sia perchè frutto di una valutazione non assistita da alcuna logica e, quindi, inidonea ad assurgere a presunzione ai sensi dell'art. 2729 c.c., sia perchè fuoriesce del tutto dall'ambito anche di quanto esigibile ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 2, dal danneggiato da lesione personale incidente sulla propria attività professionale, tenuto conto che il modo di svolgimento di essa anteriore al sinistro è quello su cui si deve parametrare il danno futuro, per l'assorbente ragione che la lesione della capacità lavorativa specifica si correla all'attività nel modo in cui essa veniva svolta e considerato che non è condotta esigibile che la successiva attività si debba estrinsecare indirizzandosi diversamente, con mortificazione della professionalità del danneggiato.
p.6.4.6. Anche la censura di tale motivazione comporta, però, soltanto la correzione della motivazione della sentenza e non la sua cassazione, perchè riguarda il profilo dell'esistenza del danno nell'an. p.6.4.7. Sciogliendo a questo punto la riserva espressa sopra, si deve, infatti, osservare che la sentenza non può essere casata, perchè il giudice di rinvio, a seguito della cassazione, si verrebbe trovare in una situazione nella quale, pur dovendosi prendere atto che il danno de quo era ed è assistito da una prova presuntiva nell'an, dovrebbe constatare che non lo era come non lo sarebbe nel quantum. Nè alla deficienza probatoria potrebbe rimediarsi attraverso l'esercizio del potere di cui all'art. 1226 c.c., perchè nella specie non si verserebbe in una situazione nella quale "il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare".
Invero, nella specie, essendo il M. un soggetto esercente attività lavorativa professionale ed avendo continuato tale attività, poichè egli lamenta il danno patrimoniale futuro (o meglio quello successivo alla cessazione dell'inabilità temporanea dopo il 2001 per gli anni successivi per i quali potrebbe estrinsecare la sua attività lavorativa), la prova del quantum del danno avrebbe potuto e dovuto darsi da lui dimostrando una contrazione del suo reddito patrimoniale a partire da quella data, quale elemento idoneo ad evidenziare anche per il futuro il pregiudizio da diminuzione della redditività dell'attività.
Senonchè egli non ha fornito tale prova e non la potrebbe fornire in un eventuale giudizio di rinvio, dato che, come s'è veduto, i CUD che avrebbe dovuto produrre in primo grado e che voleva produrre in appello, non possono entrare nel processo.

Il principio di diritto che viene allora in rilievo è il seguente:
"Fermo il principio secondo cui il danno patrimoniale futuro, nel caso di fatto illecito lesivo della persona, è da valutare su base prognostica ed il danneggiato, tra le prove, può avvalersi anche delle presunzioni semplici, con la conseguenza che, una volta provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità (cosiddette micropermanenti, le quali non producono danno patrimoniale ma costituiscono mere componenti del danno biologico), è possibile presumere che anche la capacità di guadagno di una vittima che eserciti già attività lavorativa risulti ridotta nella sua proiezione futura - peraltro non necessariamente in modo proporzionale - salvo superamento di tale presunzione per effetto di prova contraria, deve, tuttavia, ritenersi che, la presunzione copra solo l'an dell'esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro dando prova di quali siano stati i suoi redditi. In mancanza di tale prova, il giudice - salvo che per le circostanze concrete, non imputabili al danneggiato, sia impossibile o difficile la dimostrazione di tale contrazione - non può esercitare il potere di cui all'art. 1226 c.c., perchè esso riguarda solo la quantificazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produca reddito e, dunque, possa dimostrare di quanto il reddito sia diminuito".

E' appena il caso di rilevare che nel caso di specie è palese che non è stata allegata nè ricorre una situazione di impossibilità o difficoltà del M., quale soggetto esercente attività lavorativa, di dimostrare la contrazione dei redditi (ed anzi egli ha proprio invocato tardivamente, come s'è veduto, nel giudizio di merito, la produzione di documenti in appello a tale scopo). Ne segue che una cassazione con rinvio non potrebbe che costringere la Corte di merito, sebbene correggendo i suoi errori motivazionali, ad applicare il detto principio di diritto e negare l'esercizio del potere di liquidazione equitativa.
p.7. I primi tre motivi di ricorso sono, dunque, rigettati. Del quarto s'è detto che non era un vero e proprio motivo.
Le due correzioni di motivazione prospettate e l'affermazione dei principi appena enunciati giustificano la compensazione delle spese per giusti motivi, giusta il paradigma dell'art. 92 applicabile ratione temporis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese nel rapporto fra ricorrente e resistente.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2014


 

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