REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. SAVINO Mariapia Gaetana - Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.R.;
avverso la sentenza n. 4223/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 19/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/05/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli, che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Firenze con sentenza 19.4.2013 - per quanto ancora interessa in questa sede - ha confermato la colpevolezza di B.R. per i reati di cui alla L. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8, in relazione all'anno di imposta 2005, rilevando, per quanto interessa, che egli rivestiva il ruolo di amministratore di fatto nella ditta I. S. intestata formalmente alla moglie K.S. (ditta utilizzatrice delle fatture emesse dalla RB Auto Import) e che, quanto al calcolo della prescrizione del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, in caso di emissione di pluralità di fatture, il reato si perfeziona nel momento di emissione dell'ultima fattura.
Contro la sentenza vengono proposti due identici ricorsi, rispettivamente dal difensore e dall'imputato, denunziandosi sulla base di tre censure.

Motivazione

1. Col primo motivo si denunzia l'inosservanza dell'art. 2639 c.c., e la mancanza, contraddittorietà illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento della qualifica di gestore di fatto della ditta individuale I. S., con riferimento all'imputazione di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, di cui è stato ritenuto responsabile in concorso con la moglie K.S., che ne era la titolare. Rimprovera in sostanza alla Corte di merito di avere omesso di motivare in ordine alla sussistenza dei caratteri di continuità e significatività della condotta, che secondo la giurisprudenza, sono necessari ai fini della qualifica di amministratore di fatto.

Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di reati fallimentari - ma il principio può estendersi logicamente anche al campo dei reati tributari - la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 35346 del 20/06/2013 Ud. dep. 22/08/2013 Rv. 256534; Sez. 5, Sentenza n. 43388 del 17/10/2005 Ud. dep. 30/11/2005 Rv. 232456; cfr. altresì Sez. 5, Sentenza n. 35249 del 03/04/2013 Ud. dep. 21/08/2013 Rv. 255767 sempre in materia fallimentare, quanto alla natura dell'accertamento della qualifica, che investe un giudizi di merito, insindacabile se congruamente e logicamente motivato).

La Corte d'Appello di Firenze, nel caso di specie, ha motivato il suo giudizio sul ruolo di amministratore di fatto rivestito dal B., evidenziando innanzitutto che il titolare formale della legale rappresentanza della I. S., cioè la K., moglie del B., era una ballerina di night club, come tale priva di competenze in materia di compravendita di auto; ha poi osservato che, secondo quanto riferito dal teste M.llo A., era il B. ad intrattenere i rapporti della ditta con TACI, ad eseguire i relativi pagamenti con gli assegni firmati (ovviamente dalla moglie), a recarsi all'estero - unitamente alla moglie - per effettuare gli acquisti; la Corte ha altresì osservato che dopo gli accertamenti della GDF subiti dal Be. il B. aveva creato la RB Auto Import per proseguire ugualmente la medesima attività fraudolenta e che, infine, secondo il C. (titolare della Auto Import, ndr), aveva in precedenza proposto a quest'ultimo di comparire formalmente come intestatario della Auto Import, alla quale fece assolvere la funzione di soggetto intermediario fittizio in varie compravendite (v. pag. 10 sentenza impugnata).
Trattasi, come si vede, di tipico accertamento in fatto, esplicitato attraverso un percorso logicamente plausibile e, come tale, insindacabile in questa sede.

2. Col secondo motivo si denunzia la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, e dell'art. 157 c.p., (erronea disciplina della prescrizione in ordine al contestato reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti in qualità di titolare della ditta R.B. Auto Import, con riferimento all'anno 2005).
Secondo il ricorrente ai fini dell'accertamento dell'intervenuta prescrizione si deve fare riferimento al momento dell'emissione della singola fattura e non già al momento di emissione dell'ultima di esse. Di conseguenza, considerando un periodo di sospensione di poco più di cinque mesi e applicandosi la disciplina introdotta dalla L. n. 251 del 2005, (più favorevole), al momento della pronuncia della Corte d'Appello risultavano prescritte le fatture n. 1 del 13.4.2005, 2 del 14.4.2005, 3, del 18.4.2005, 4 del 20.4.2005 e 5 del 28.4.2005, non potendosi applicare, per il principio di irretroattività della legge penale, la disposizione dell'art. 161 c.p., comma 2, che eleva a due terzi l'aumento per l'interruzione nei confronti dei recidivi reiterati, trattandosi appunto di norma entrata in vigore l'8.12.2005 e quindi dopo la consumazione delle fattispecie contestate.

Anche tale censura è manifestamente infondata.
Secondo la consolidata giurisprudenza, il termine di prescrizione del delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti inizia a decorrere, per l'unità del reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, comma 2, non dalla data di commissione di ciascun episodio ma dall'ultimo di essi, anche nel caso di rilascio di una pluralità di fatture nel medesimo periodo di imposta (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 10558 del 06/02/2013 Ud. dep. 07/03/2013 Rv. 254759; Sez. 3, Sentenza n. 6264 del 14/01/2010 Ud. dep. 16/02/2010 Rv. 246193; Sez. 3, Sentenza n. 1684 del 5.12-14.1.2013).
E' stato precisato che tale principio costituisce attuazione della chiara disposizione che, al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, in deroga agli ordinari principi previsti dall'art. 81 cpv. c.p. in tema di continuazione, prevede un regime di favore per l'imputato mediante la riconduzione ad unità dei plurimi episodi di emissione di fatture per operazioni inesistenti commessi nell'arco del medesimo arco di imposta. A fronte di tale regime favorevole, che riconduce la pluralità ad unico reato e in tal modo esclude l'aumento di pena che sarebbe applicato in via ordinaria, corrisponde la conseguenza che il termine prescrizionale non decorre dalla data di commissione di ciascun episodio, bensì dall'ultimo di essi (cfr. Sentenza n. 6264/2010 cit.).
L'interpretazione qui accolta non trova smentita nella decisione adottata da questa Sezione (sentenza n. 13908 del 18 febbraio - 31 marzo 2009, Buscaglione, rv 243457) - ed espressamente richiamata dal ricorrente - secondo la quale l'applicazione dell'indulto introdotto della L. n. 241 del 2006, impone di valutare singolarmente gli episodi di emissione di fatture per operazioni inesistenti commessi nel corso dell'anno. Tale soluzione è, infatti, imposta dal dettato della legge che individua nella data del 2 maggio del 2006 il termine finale di applicazione del beneficio, con la conseguenza che, pena la disapplicazione del dato normativo al reato in esame, la Corte ha ritenuto di dover procedere in deroga rispetto al generale principio di unicità del reato per anno d'imposta fissato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, (cfr. sentenza n. 6264/2010 cit.).
Alla stregua dell'esposto principio di diritto - peraltro richiamato anche dalla Corte fiorentina - anche volendo considerare il termine di prescrizione di sette anni e mezzo (art. 157 c.p., e ss.), al momento della pronuncia della sentenza di appello (19.4.2013) non era decorso, dovendosi avere riguardo, come dies a quo, al 30.12.2005 (data di emissione dell'ultima fattura relativa all'anno 2005).

3. Infine, il ricorrente denunzia la violazione della L. n. 74 del 2000, art. 9, per essere stato chiamato a rispondere e poi condannato sia ai sensi dell'art. 8 (Capo e, emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte della RB AUTO IMPORT nell'anno 2005), sia ai sensi dell'art. 2 (Capo b) per la dichiarazione fraudolenta presentata dalla I. S. sempre nell'anno 2005, nella quale sarebbero state utilizzate anche le summenzionate fatture dallo stesso emesse.
La censura non risulta aver formato oggetto del giudizio di appello e pertanto è inammissibile (art. 606 c.p.p., u.c.).
L'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (Cass. sez. 3, Sentenza n. 42839 del 08/10/2009 Ud. dep. 10/11/2009; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Ud. dep. 22/04/2004; sez. un., Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. (dep. 21/12/2000): il tema della prescrizione non può dunque essere affrontato in questa sede.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 c.p.p., nella misura indicata in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2014


 

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