REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -
Dott. GIANCOLA Maria C. - Consigliere -
Dott. CAMPANILE Pietro - rel. Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.F. elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Suprema Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall'avv. Prinzi Nunziatina Rita, giusta procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
T.F. - Curatrice speciale della minore M.E. S. elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Suprema Corte di cassazione; rappresentata e difesa dall'avv. Guerci Luciana, giusta procura speciale a margine del controricorso.
- controricorrente -
e contro
CONSORZIO SOCIO ASSISTENZIALE CUNEESE;
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI TORINO;
avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, n. 37/2013, depositata in data 26 febbraio 2013;
sentita la relazione svolta all'udienza pubblica del 6 febbraio 2014 del consigliere dott. Pietro Campanile;
sentito per la ricorrente l'avv. Dosi, munito di delega;
sentito per la controricorrente l'avv. Marucci, munito di delega;
Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto dott.ssa Francesca Ceroni, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso p.q.r.

Svolgimento del processo

1 - Con sentenza in data 16 maggio 2012 il Tribunale per i Minorenni di Torino dichiarava lo stato di adottabilità della minore M.E.S., nata in data 12 ottobre 2006.
1.1 - Avverso tale decisione proponeva appello la madre, M. F., deducendone la nullità per difetto di valida rappresentanza della minore, affidata al curatore speciale in luogo di un difensore nominato dal tutore, ed eccependo, nel merito, l'insussistenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità, in relazione sia alla propria capacità di svolgere il ruolo materno, sia ai buoni rapporti della minore con l'affidataria.
1.2 - La corte di appello di Torino, sezione per i minorenni, con la sentenza indicata in epigrafe ha confermato la decisione di primo grado, ponendo in evidenza, in primo luogo, la carenza di legittimazione della M. a far valere il difetto di rappresentanza della minore, per altro ritenuto insussistente, essendo stata la nomina della curatrice speciale giustificata dal conflitto di interessi in capo al tutore della minore stessa, in quanto dedito all'assistenza anche della madre.
1.3 - Quanto al merito, si è osservato che l'insussistenza di capacità genitoriale in capo alla M. era stata correttamente desunta non solo dalla dedizione all'alcool, ma, soprattutto, dalle sue condizioni patologiche di natura psichica, gravi e complesse, prevalenti sulle buoni intenzioni della madre stessa, sorrette da un sincero affetto materno. Si è posto in evidenza, in particolare, come fosse risultato che le manifestazioni del disturbo bipolare della M., unica genitrice ad avere riconosciuto la minore, influissero negativamente sullo stato di salute e sul benessere psicofisico della bambina, tanto da far temere, con il protrarsi della frequentazione - associando la piccola E.S. l'immagine della madre a una vera e propria sofferenza, - la produzione di gravi ed irreversibili danni.
Per altro il legame forte creatosi con l'affidataria, con la quale la bambina non poteva rimanere, trattandosi di suora laica, andava considerato nell'ambito dell'inserimento della stessa in una famiglia adottiva, cui pure la minore aveva urgente necessità di entrare a far parte.
1.4 - Per la cassazione di tale decisione la M. propone ricorso, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la curatrice speciale della minore.

Motivazione

2 - Con il primo motivo, denunciando violazione dei principi del contraddittorio e del giusto processo, nonchè della L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 4, artt. 75 e 78 c.p.c. e artt. 320, 343 e 357 c.c., la ricorrente sostiene che nel giudizio la minore avrebbe dovuto essere rappresentata dal tutore provvisorio e non già dal curatore speciale, non essendo la presenza di quest'ultimo giustificata, in assenza di un concreto conflitto di interessi con il tutore.

2.1 - La censura è infondata.
Questa Corte ha affermato che nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità la partecipazione del minore, necessaria fin dalla fase iniziale del giudizio, richiede la nomina di un curatore speciale soltanto qualora non sia stato nominato un tutore, o questi non esista ancora al momento dell'apertura del procedimento, ovvero nel caso in cui sussista un conflitto d'interessi, anche solo potenziale, tra il minore ed il suo rappresentante legale. Tale conflitto è ravvisabile "in re ipsa" nel rapporto con i genitori, portatori di un interesse personale ad un esito della lite diverso da quello vantaggioso per il minore, mentre nel caso in cui a quest'ultimo sia stato nominato un tutore, il conflitto dev'essere specificamente dedotto e provato in relazione a circostanze concrete, in mancanza delle quali il tutore non solo è contraddittore necessario, ma ha una legittimazione autonoma e non condizionata, che può liberamente esercitare in relazione alla valutazione degli interessi del minore (Cass., 19 maggio 2010, n. 12290).
La corte territoriale, fornendo al riguardo adeguata motivazione, ha posto in evidenza il conflitto di interessi sussistente in concreto, posto che il tutore, Consorzio Socio Assistenziale del Cuneese, si era trovato ad assistere contemporaneamente la madre e la minore, versando, pertanto, in una posizione che non gli consentiva di rappresentare, con valutazioni pienamente autonome, M.E. S.

3 - Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 12 della Convenzione di New York, della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 sull'esercizio dei diritti dei minori, dell'art. 315 bis c.c. e degli artt. 3, 21 e 111 Cost. per non essere mai stata disposta ed effettuata l'audizione della minore, senza alcuna motivazione al riguardo.
3.1 - Il motivo è infondato.
Con riferimento al procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, la L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 15, comma 2, nel testo novellato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, pone l'obbligo di audizione del minore che abbia compiuto i 12 anni esclusivamente nel giudizio di primo grado, mentre il giudice di appello è tenuto soltanto, per il disposto dell'art. 17, comma 1, a sentire le parti ed il P.M., nonchè ad effettuare "ogni altro opportuno accertamento" (Cass., 14 giugno 2010 n. 14216).
Questa Corte ha altresì precisato, quanto alle conseguenze dell'omessa audizione del minore, la cui obbligatorietà è normalmente riferita al giudizio di primo grado, che la nullità della sentenza per la violazione dell'obbligo di audizione può essere fatta valere nei limiti e secondo le regole fissate dall'art. 161 c.p.c., e, dunque, è deducibile con l'appello (Cass., 8 marzo 2013, n. 5847; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1251).
Dalla decisione impugnata non emerge che la mancata audizione della minore nel giudizio di primo grado, per altro nata nell'ottobre del 2006, sia stata in qualche modo censurata, nè la ricorrente ha dedotto, riportandone il tenore, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, di aver avanzato uno specifico motivo di appello al riguardo. Nè può ritenersi che l'obbligo di ascolto, già previsto dalla legge speciale sopra richiamata, fosse divenuto cogente per la corte territoriale a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 315-bis c.c., che, pur introducendo un importante principio di carattere generale, nulla ha innovato rispetto alla richiamata L. n. 184 del 1983.

4 - Del pari infondato, e per certi versi inammissibile (laddove attinge questioni di merito insindacabili in questa sede) è il terzo motivo, con il quale, denunciandosi violazione della L. n. 184 del 1983, art. 1 si pone in evidenza il forte legame affettivo fra la ricorrente e la figlia. Questa Corte ha più volte ribadito, anche di recente, che nel giudizio inerente alla verifica circa la sussistenza o meno dello stato di abbandono assume carattere assolutamente prioritario l'interesse del minore, in relazione alla esigenza di assicurargli quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità. La L. n. 184 del 1983, all'art. 1, afferma, infatti, il diritto del minore a vivere e crescere nella propria famiglia, ma solo fino a quando ciò non comporti un'incidenza grave ed irreversibile sul suo sviluppo psicofisico, e l'art. 8 della stessa legge definisce la situazione di abbandono come mancanza di assistenza materiale e morale. In altri termini, il diritto a vivere nella propria famiglia di origine incontra un limite, nello stesso interesse del minore, se si accerta la ricorrenza di una situazione di abbandono che legittimi la dichiarazione di adottabilità qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico - fisico, cosicchè la rescissione del legame familiare è l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva.
Deve quindi ribadirsi il principio secondo cui il minore ha diritto di rimanere nella propria famiglia di origine, con conseguente ricorso allo stato di adottabilità come soluzione estrema, quando ogni altro rimedio appare ormai inadeguato. In tale quadro, e la questione costituisce uno degli aspetti fondanti del ricorso in esame, deve ribadirsi l'irrilevanza delle mere espressioni di volontà da parte dei genitori, o degli altri stretti congiunti, ove prive di qualsiasi concreta prospettiva e quindi non idonee al superamento dello stato di abbandono (Cass. 17 luglio 2008 n. 16795).
L'apprezzamento, poi, della sussistenza in concreto della situazione sopra descritta si sostanzia in una valutazione rimessa al giudice del merito, mentre la prospettazione di un riesame del materiale probatorio acquisito nel processo, secondo giurisprudenza ampiamente consolidata (v., per tutte, Cass., sent. n. 18288 del 2011, n. 17915 del 2010, n. 18288 del 2011), è esclusa in sede di legittimità, qualora la motivazione non presenti vizi di carattere logico e giuridico.

4.1 - La Corte di appello di Torino non si è sottratta al delicato compito di valutare, nell'ottica dell'interesse della minore E. S., le risultanze processuali già acquisite nel corso del giudizio di primo grado e quelle dedotte in sede di gravame, con motivazione esente da censure sotto il profilo logico-giuridico.
Nella sentenza impugnata, invero, si da atto del grave quadro clinico che riguarda la ricorrente, come accertato tramite consulenza tecnica d'ufficio (disturbo borderline di personalità, disturbo depressivo, abuso di alcool pregresso, bulimia), dal quale deriva non solo una sostanziale incapacità di raggiungere un livello di accudimento quanto meno sufficiente, ma - come riferito dalla psicologa che ha seguito la minore - da trasmettere, al di là della dimensione affettiva, ansie ed angoscia alla bambina, di tal che gli incontri si sono rivelati "penosissimi" e devastanti, tali da arrecare "danni gravi ed irreversibili alla equilibrata crescita della minore". La valutazione della permanenza e dell'attualità, al momento della decisione, dello stato di abbandono, è implicita nel giudizio negativo formulato, anche in prospettiva, sulla capacità genitoriale della predetta.
Richiamate le superiori considerazioni circa l'irrilevanza delle manifestazioni di volontà da parte dei genitori che non trovino riscontro, nell'ottica del primario interesse del minore, nella realtà effettiva e in un giudizio probabilistico formulato dal giudice del merito, deve altresì rilevarsi che questa Corte ha più volte affermato che l'acquisto o il recupero della capacità genitoriale debbono in prospettiva inquadrarsi in una prognosi che preveda tempi compatibili con l'esigenza del minore di uno stabile contesto familiare (Cass., 14 giugno 2012, n. 9769; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1839). Sotto questo profilo deve constatarsi che la corte territoriale, fondando il proprio giudizio anche sulle risultanze peritali, ha posto in evidenza l'impraticabilità di qualsiasi soluzione alternativa al progetto adottivo, precisando che la stessa affidataria, suora laica, aveva da tempo segnalato il bisogno della minore di entrare a far parte di una famiglia, dopo il fallimento dei prolungati tentativi per "supportare" la madre, naufragati per le oggettive ed insormontabili difficoltà sopra evidenziate.

4.2 - Nel quadro delineato in maniera così incisiva dalla corte territoriale non possono, dunque, trovare spazio nè l'invocata prosecuzione dell'affidamento etero - familiare (cfr. Cass., 4 maggio 2010, n. 10706), nè le istanze affettive, con particolare riferimento al legame, fra la minore e la madre. Sulla prospettazione della ricorrente circa la superabilità di tale relazione, deve invero far premio la primazia dell'interesse della minore ad ottenere, nell'ambiente più idoneo, un sano sviluppo sul piano psico - fisico, interesse che trascende e nei casi estremi comporta la recisione dei legami biologici, nonchè il superamento delle relazioni affettive che non siano compatibili con un armonioso sviluppo psico-fisico del minore stesso (Cass., 8 maggio 2013, n. 10721; Cass., 26 gennaio 2011, n. 1837).

5 - La natura della vicenda e la particolare delicatezza del procedimento di sussunzione della fattispecie concreta consigliano l'integrale compensazione della spese processuali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 6 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2014


 

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