LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - rel. Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25754/2011 proposto da:
M.M.;
- ricorrente -
contro
B.M.G.;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 131/2011 della Corte D'Appello di Trento, depositata il 07/06/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/05/2012 dal Consigliere Dott. Maria Rosaria San Giorgio;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fucci Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. - Il ricorrente, M.M., chiede la cassazione della sentenza depositata il 7 giugno 2011 con la quale la Corte d'appello di Trento ha rigettato il gravame dallo stesso proposto nei confronti della decisione del Tribunale per i minorenni di Trento che, su richiesta di B.M.G., lo aveva dichiarato padre naturale di S., il bimbo da lei partorito il _____.
Ha ritenuto la Corte di merito che correttamente il giudice di primo grado aveva interpretato il rifiuto del M. di sottoporsi all'esame del DNA come elemento a sostegno della fondatezza delle ragioni della donna, in presenza, tra l'altro, dei riscontri probatori offerti dalla B. in ordine alla pregressa intimità con l'attuale ricorrente, il quale, invece, aveva negato perfino di conoscerla, venendo smentito dalla documentazione versata in atti dalla donna (tabulati telefonici, contenuto di sms).
Secondo la Corte di merito, la motivazione addotta del rifiuto dell'uomo di sottoporsi al predetto esame, fondata esclusivamente sul suo diritto a non essere costretto ad esami clinici, era in contraddizione con la scelta di rendere pubbliche le proprie difficoltà nel rapporto sessuale, che lo avevano determinato all'età di venti anni a sottoporsi all'impianto di una protesi, circostanza peraltro irrilevante ai fini dell'accertamento di cui si tratta, non valendo essa ad escluderne la capacità di generare.
L'appellante si era doluto di aver dovuto rivelare il proprio problema, senza considerare che avrebbe potuto evitare tale delicato percorso sottoponendosi al semplice, e non invasivo, esame richiestogli.
2. - Al ricorso, che si fonda su tre motivi, resiste con controricorso la B.

Motivazione

1. - Con il primo motivo del ricorso si denuncia carenza e/o contraddittorietà della motivazione in ordine alla esistenza di un rapporto tra le parti. Il ricorrente sottolinea che l'impianto della protesi cui è stato costretto per superare le difficoltà nel rapporto sessuale, dovute alla disfunzione erettile dalla quale è affetto, interferisce con le proprie relazioni personali, comportando una limitazione della spontaneità nel rapporto. In tale situazione, sarebbe poco verosimile che egli intrattenga per mesi una relazione intima con una donna senza che costei sia messa al corrente del problema, e senza che se ne avveda, come ha sostenuto la B.
Nè sussisterebbe la prova che le parti si fossero mai conosciute, e, tanto meno, che avessero intrattenuto una relazione, non potendo la indicazione corretta del numero telefonico del M. da parte della B. costituire elemento sufficiente a comprovare dette circostanze, tenuto conto che la donna non aveva prodotto, come richiesto dal giudice di merito, i tabulati telefonici relativi alla sua utenza.
2.1. - La doglianza non può trovare ingresso nel presente giudizio.
2.2. - Essa si limita, invero, a rappresentare una lettura del materiale probatorio acquisito difforme rispetto a quella fatta propria dalla Corte territoriale sulla base di motivazione sufficiente ed immune da vizi logici, e pertanto insindacabile in questa sede di legittimità.
In effetti, il giudice di secondo grado ha in modo non illogico valorizzato particolarmente, al fine di ritenere provata la relazione tra la B. e il M., la falsità dell'affermazione di quest'ultimo in ordine alla circostanza della non conoscenza della prima, smentita dai tabulati telefonici e dal contenuto dei messaggi inviati dall'utenza intestata allo stesso M.
3. - Con la seconda censura si deduce violazione dell'art. 269 c.c., e carenza e/o contraddittorietà della motivazione. Richiamato il tenore della disposizione invocata, a norma della quale la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale, il ricorrente deduce che la B. avrebbe fornito una versione confusa e priva di dettagli e riscontri delle circostanze della sua pretesa relazione con lui.
4.1. - Anche tale doglianza è inammissibile.
4.2. - Essa, infatti, risulta sostanzialmente volta - al di là del formale richiamo dell'art. 269 c.c., asseritamente violato dalla sentenza impugnata - a conseguire il risultato di una inammissibile rivisitazione in sede di giudizio di legittimità delle circostanze di fatto poste dalla Corte di merito a fondamento della propria decisione sulla scorta di una motivazione esauriente e priva di vizi logici.
5. - Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge, carenza e/o illogicità della motivazione in ordine al rifiuto dell'attuale ricorrente di sottoporsi all'esame ematico. Premesso che la ragione di tale rifiuto sarebbe da ravvisare nella esigenza del M. di non subire ulteriori pesanti violazioni della sua privacy, dopo essere stato costretto a rivelare dati sensibili attinenti alla sua salute, sostiene il ricorrente che, nel giudizio per la dichiarazione giudiziale della paternità naturale, il rifiuto del presunto padre di sottoporsi alle prove ematologiche ed all'esame del DNA costituisce solo un comportamento valutabile ex art. 116 c.p.c., comma 2, ma non è sufficiente a fondare un giudizio di paternità naturale, in mancanza di altre concomitanti, convergenti ed univoche prove. Sottolinea inoltre che l'esame ematogenetico non può essere giustificato alla stregua della innocuità del prelievo, tale da non violare la personalità del presunto genitore, essendo in giuoco il limite posto alla libertà personale, conseguente alla indiretta coercizione processuale. Aggiunge che, avuto riguardo alla avvenuta eliminazione del vaglio di ammissibilità dell'azione di accertamento giudiziale della paternità, sarebbe contrario al diritto di difesa e ai doveri di provare le allegazioni l'attivare il giudizio limitandosi alla richiesta dell'esame genetico senza fondare la prova richiesta su alcun riscontro documentale o testimoniale.
6.1. - La censura è immeritevole di accoglimento.
6.2. - Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (v., ex plurimis, Cass. n. 12198 del 2012, n. 14976 del 2007, n. 6694 del 2006), la corretta interpretazione dell'art. 269 c.c., commi 2 e 4, conduce ad escludere che possa sussistere un ordine gerarchico delle prove riguardanti l'accertamento giudiziale di paternità e maternità. Il secondo comma stabilisce espressamente che la prova può essere data con ogni mezzo, con l'unico limite, indicato nel comma 4, costituito dal fatto che il quadro probatorio non può consistere nelle sole dichiarazioni della madre e nella sola esistenza di rapporti tra la madre ed il preteso padre all'epoca del concepimento. All'interno di questo perimetro, il giudice può liberamente valutare le prove, non sussistendo al riguardo limiti legali (art. 116 c.p.c., comma 1), e può trarre argomenti di prova dal contegno processuale delle parti (art. 116 c.p.c., comma 2).
6.3. - Deve, pertanto, escludersi che il rifiuto ingiustificato di sottoporsi alla prova ematologica possa essere valutato solo se sia stata provata aliunde l'esistenza di rapporti sessuali tra il presunto padre e la madre naturale. In proposito, questa Corte, con la sentenza n. 6694 del 2006, ha espressamente affermato che, in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall'art. 269 c.c., comma 2, non tollera surrettizie limitazioni, nè mediante la fissazione di una sorta di gerarchia assiologica tra i mezzi di prova idonei a dimostrare la paternità o la maternità naturale, nè, conseguentemente, mediante l'imposizione al giudice di merito di una sorta di "ordine cronologico" nella loro ammissione ed assunzione, a seconda del "tipo" di prova dedotta, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova in materia pari valore per espressa disposizione di legge.
E la successiva sentenza n. 14976 del 2007, nel confermare integralmente il principio sopraesposto, ha aggiunto che "una diversa interpretazione si risolverebbe in un sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost., in relazione ad un'azione volta alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status". Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici costituisce, dunque, un comportamento valutabile da parte del giudice ai sensi dell'art. 116 c.p.c., anche in assenza di prove dei rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi assolutamente certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l'effettivo concepimento a determinare l'esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti, potendosi trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda anche soltanto dal rifiuto ingiustificato a sottoporsi all'esame ematologico del presunto padre, posto in opportuna correlazione con le dichiarazioni della madre.
6.4. - Ne consegue, contrariamente a quanto sostenuto nel terzo motivo di ricorso, che non sono necessari, ai fini dell'accoglimento della domanda, ulteriori riscontri probatori a conferma delle dichiarazioni della madre naturale perchè possa darsi rilievo a detto rifiuto, dovendo essere valorizzate, proprio per la natura e l'oggetto delle circostanze di fatto da accertare, le ragioni dello stesso, che, nella specie, la Corte di merito ha ritenuto non fondate su alcuna giustificazione plausibile, attesa la tipologia, del tutto non invasiva ed innocua, dell'esame da svolgere, il cui esito consente, in effetti, non solo di escludere in modo assoluto la paternità, ma anche di confermarla con un grado di probabilità che, alla stregua delle attuali conoscenze scientifiche, supera normalmente il 99 per cento.
7. - Conclusivamente, devono essere dichiarati inammissibili il primo ed il secondo motivo del ricorso, del quale va rigettato il terzo motivo. In applicazione dei principio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico del ricorrente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo ed il secondo motivo del ricorso, ne rigetta il terzo. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2700,00, di cui Euro 2500,00 per compensi, oltre agli accessori di legge. A: sensi dei D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2012


 

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