REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi - Presidente -
Dott. D'ANTONIO Enrica - rel. Consigliere -
Dott. BLASUTTO Daniela - Consigliere -
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere -
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14265-2013 proposto da:
C.P. , rappresentato e difeso da sè medesimo, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRO MENOTTI 24, presso il suo studio;
- ricorrente -
contro
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso cui uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12, giusta atto di costituzione del 02/05/2014;
- resistente con mandato -
avverso la sentenza n. 2783/2013 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 15/05/2013 R.G.N. 5007/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2015 dal Consigliere Dott. D'ANTONIO ENRICA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso, in subordine rigetto.

Svolgimento del processo

Il Ministero della Giustizia, vittorioso in giudizio d'appello, ha notificato all'avv. C.P. un' ingiunzione di pagamento R.D. n. 639 del 1910, ex art. 3, per ottenere la restituzione delle spese processuali allo stesso corrisposte quale procuratore antistatario in base alla sentenza del Tribunale.
L'avv. C. ha proposto opposizione all'ingiunzione del Ministero ed il Tribunale di Roma, con sentenza n. 13631/2012, ha rigettato l'opposizione.

Con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., del 15/5/2013 la Corte d'appello di Roma ha rigettato l'appello proposto dall'avv. C.
La Corte territoriale ha affermato la legittimità formale dell'ordinanza ingiunzione, essendo la firma riferibile al soggetto indicato quale direttore dell'ufficio che aveva emanato l'atto ed essendo l'atto chiaramente riferibile all'ufficio contenzioso del DAP. Ha rilevato, inoltre, che l'eccepita mancanza del responsabile del procedimento non inficerebbe la legittimità dell'atto dovendo essere individuato nel dirigente che aveva adottato il provvedimento finale.
Ha rilevato, altresì, che l'ingiunzione era basata su sentenza di secondo grado esecutiva; che era irrilevante, nel presente giudizio, la circostanza della successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma su cui era fondata la sentenza posta a base dell'ingiunzione.
Ha osservato inoltre che legittimato passivo alla restituzione delle somme era il procuratore antistatario e che la pretesa inidoneità della sentenza posta a base dell'ingiunzione per mancanza di contenuto condannatorio era eccezione inammissibile in quanto non formulata in precedenza in questi termini, ma solo introdotta in sede di discussione orale e comunque la mancanza di un capo condannatorio non impediva l'emanazione dell'ingiunzione.
Infine la Corte territoriale ha rilevato che l'eccezione di compensazione sollevata dall'avv. C. per aver opposto il mancato compenso per l'attività di vicepretore onorario da lui svolta era basata su circostanze generiche.

Avverso la sentenza ricorre in Cassazione l'avv. C. con sei motivi.
Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all'udienza di discussione.

Motivazione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia motivazione abnorme ed apparente, violazione dell'art. 281 sexies c.p.c., art. 132 c.p.c., (contenuto della sentenza), art. 113 c.p.c. (il giudice deve seguire le norme di diritto), art. 115 c.p.c., (disponibilità delle prove) (ex art. 360 c.p.c., n. 3).
Lamenta che la sentenza non conteneva la succinta esposizione dei fatti rilevanti e delle ragioni giuridiche.
Rileva che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'appello, l'ingiunzione non era formalmente legittima per la mancata individuazione del soggetto che l'aveva emessa e del responsabile del procedimento. Il motivo è inammissibile.

Circa le censure formulate avverso la sentenza impugnata si osserva che la Corte territoriale ha esposto i fatti rilevanti (e che cioè il Ministero della Giustizia, vittorioso in giudizio d'appello, aveva notificato all'avv. C.P. un' ingiunzione di pagamento R.D. n. 639 del 1910, ex art. 3, per ottenere la restituzione delle spese processuali allo stesso corrisposte quale procuratore antistatario in base alla sentenza del Tribunale)e le ragioni per cui ha ritenuto formalmente legittima l'ordinanza ingiunzione.
Non sussistono, pertanto, le violazioni denunciate.
Quanto ai rilievi avanzati dal ricorrente avverso l'ordinanza ingiunzione contro la quale ha proposto l'opposizione davanti al Tribunale, deve rilevarsi che il ricorrente non ha depositato detta ordinanza in violazione dell'art. 369 c.p.c., nè ha riportato il contenuto dell'atto, trascrivendone quantomeno i suoi tratti salienti (cfr. SSUU n. 8077/2012), ai fini dell'autosufficienza del ricorso.
Il principio di autosufficienza del ricorso impone, infatti, che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa. (cfr da ultimo Cass. n. 1926/2015).
Il motivo pertanto risulta del tutto inammissibile.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Deduce che l'ingiunzione aveva solo valore di precetto e che la Corte non aveva valutato che la sentenza posta a base dell'ingiunzione era priva di un capo di condanna restitutorio contenendo soltanto una pronuncia di incompetenza del giudice.

Con il terzo motivo denuncia violazione dell'art. 118 disp. att. c.p.c., dell'art. 281 sexies c.p.c., dell'art. 1173 c.c., nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
Censura l'affermazione della Corte secondo cui l'eccezione di assenza di un titolo esecutivo posto a base dell'ingiunzione sarebbe inammissibile perchè non formulata nei precedenti scritti e richiama gli atti dei giudizi di merito dai quali era ricavabile l'erroneità dell'affermazione della Corte.

I due motivi , congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono inammissibili e comunque infondati.
Il ricorrente, in violazione dell'art. 369 c.p.c., ha omesso di depositare la sentenza avverso la quale appunta le sue censure.
La Corte territoriale ha, peraltro, fornito corretta motivazione della sua decisione osservando che, oltre che tardiva, l'eccezione di mancanza di un capo condannatorio era irrilevante, così come quella di mancanza del passaggio in giudicato della sentenza sulla cui base il Ministero aveva emesso l'ordinanza ingiunzione.
Il giudice di merito ha osservato infatti che si trattava, comunque, di sentenza esecutiva di secondo grado che ove si dovesse contestare l'idoneità del titolo parte opponente avrebbe dovuto dimostrare l'avvenuta riforma o revoca della sentenza e che la circostanza che la sentenza era fondata su norma (L. n. 354 del 1975, art. 69, comma 6) poi dichiarata incostituzionale (sent. Corte Cost. n. 341/2006) non ne faceva venire meno l'efficacia fino all'eventuale diverso esito nell'ulteriore grado del giudizio.
Deve rilevarsi, poi, che lo stesso ricorrente riconosce la correttezza della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che la mancanza di un capo condannatorio non avrebbe impedito all'amministrazione di procedere ex R.D. n. 639 del 1910, pur, poi, lamentando l'incertezza dell'importo da restituire e la mancata formulazione di una domanda di accertamento dell'an e del quantum di detto importo (cfr. pag. 23 e 24 del ricorso) e dunque il ricorso al procedimento ex art. 3 R.D. citato al di fuori dei casi consentiti.

Le doglianza del ricorrente sono infondate poichè nella specie il credito del Ministero era ben individuato nella sentenza del Tribunale di Roma e dunque si trattava di credito restitutorio, a seguito della riforma della sentenza del Tribunale, certo senza la necessità di ulteriori accertamenti e, del resto, deve rilevarsi che qualora la sentenza della Corte d'appello con cui era stata dichiarata l'incompetenza del giudice adito ai sensi dell'art. 69 citato avesse già contenuto un capo restitutorio, il Ministero avrebbe potuto procedere direttamente all'esecuzione, senza la necessità di dover ricorrere alla procedura di cui al RD citato ed emettere un ingiunzione opponibile.

Con il quarto motivo l'avv. C. denuncia violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., di norme di diritto comunitario nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
Lamenta che la Corte non si è pronunciata su motivi specifici ed in particolare che nelle more era intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l'illegittimità della L. n. 254 del 1975, art. 69, comma 6, circa la competenza del giudice di sorveglianza che nella specie il rapporto era ancora sub iudice e dunque era applicabile al giudizio, con la conseguenza dell'infondatezza della sentenza della Corte d'appello posta a base dell'ingiunzione.

Il motivo è infondato avendo la Corte esaminato la questione dell'avvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 69 citato e, dunque, non sussiste alcuna violazione dell'art. 112 c.p.c.. La Corte territoriale ha poi escluso qualsiasi rilevanza nel presente giudizio dell'avvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale poichè essa non faceva venire l'efficacia della sentenza della Corte d'appello fino all'eventuale diverso esito nell'ulteriore grado del giudizio.

Con il quinto motivo denuncia vizio di motivazione relativa all'eccezione di compensazione.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
La Corte di merito ha riferito che l'eccezione di compensazione era fondata su circostanze generiche relative ad un dedotto mancato compenso per l'attività di vicepretore e di GOT svolta dall'avv. C. "non adeguatamente specificate e documentate, nè suscettibili di prova testimoniale".
A fronte di tali rilievi della Corte territoriale il ricorrente ha omesso di riportare il contenuto dei propri scritti fin dal primo grado al fine di dimostrare che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'appello, egli aveva allegato e provato tutti i fatti posti a fondamento dell'eccezione di compensazione non riporta neppure il contenuto, quantomeno nei tratti salienti, dei documenti dai quali, a suo dire, sarebbe stato possibile ricavare l'attività dallo stesso svolta, non quantifica le somme che a suo dire aveva diritto a percepire, nè indica i criteri per la determinazione.

Con il sesto motivo denuncia vizio di motivazione, violazione dell'art. 2909 c.c., dell'art. 324 c.p.c., dell'art. 111 (giusto processo), artt. 24 e 3 Cost. e dell'art. 6 CEDU Eccepisce il suo difetto di legittimazione passiva non essendo parte dei giudizio e lamenta che sul punto nulla dice la Corte.
Si duole di non aver subito un giusto processo anche in violazione di principi comunitari con conseguente suo diritto al risarcimento del danno.

Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
Circa il difetto di legittimazione passiva per non essere stato parte del giudizio va rilevato che la Corte territoriale ha correttamente rilevato che l'avv. C. quale procuratore antistatario era tenuto alla restituzione delle somme pagate per spese processuali.

Questa Corte (cfr Cass. n., 10827/2007, n. 8215/2013) ha affermato, a riguardo, il principio che "In tema di distrazione delle spese, ai sensi dell'art. 93 c.p.c., allorchè sia riformata la sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna alle spese in favore del difensore della parte vittoriosa dichiaratosi antistatario, ad essere tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è il medesimo difensore distrattario, come titolare di un rapporto instauratosi con la parte già soccombente".

Le ulteriori censure del ricorrente sono inammissibili per la loro mancanza di specificità. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Nulla per spese poichè il Ministero, dopo essersi costituito al solo fine di partecipare all'udienza di discussione, non è tuttavia comparso.
Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso, nulla per spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2016


 

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