REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATUCCI Alfonso - Presidente -
Dott. CARLEO Giovanni - Consigliere -
Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere -
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -
Dott. CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 23654/2008 proposto da:
B.S., D.M.G. , elettivamente domiciliate in ROMA, V.LE B.BUOZZI 77, presso lo studio dell'avvocato TORNABUONI FILIPPO, che le rappresenta e difende unitamente all'avvocato SCOPSI CLAUDIO giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
D.R.A., V.I., ITALIANA EDIZIONI PUBBLICAZIONI SEP SPA, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore Dott. P.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell'avvocato CONTALDI MARIO, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO LICONTI, GALLIANO GUIDO giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrenti -
e contro
M.P.;
- intimata -
Nonchè da:
M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO SIACCI 2-B, presso lo studio dell'avvocato DE MARTINI CORRADO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROMANELLI SILVIO giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- ricorrente incidentale -
contro
D.R.A., V.I., ITALIANA EDIZIONI PUBBLICAZIONI SEP SPA, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore Dott. P.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell'avvocato CONTALDI MARIO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati LICONTI FRANCESCO, GALLIANO GUIDO giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrenti all'incidentale -
e contro
D.M.G., B.S.;
- intimate -
avverso la sentenza n. 252/2008 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 29/02/2008 R.G.N. 807/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/03/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l'Avvocato FILIPPO TORNABUONI;
udito l'Avvocato SABINA LORENZELLI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

1. D.M.G., B.S. e M.P. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di La Spezia, la Società italiana edizioni e pubblicazioni s.p.a., nella qualità di proprietaria del quotidiano_____, nonchè il direttore responsabile D.R.A. e la giornalista V.I. per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni conseguenti all'avvenuta pubblicazione, nei giorni _____, di quattro articoli dal contenuto asseritamente diffamatorio.
Negli articoli in questione si riferiva di un esposto anonimo nel quale erano state denunciate presunte irregolarità verificatesi in occasione dello svolgimento delle prove di un concorso ordinario per l'assunzione di insegnanti di lingua inglese nella scuola secondaria; in particolare, le attrici lamentarono che dal tenore degli articoli fosse chiaramente deducibile che l'esposto si riferiva alle loro persone, integrando così gli estremi della diffamazione a mezzo stampa.
Aggiunsero, poi, che l'esposto era stato archiviato dal G.I.P. di La Spezia, dietro conforme richiesta del Procuratore della Repubblica.

Si costituirono i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale, accertata la natura diffamatoria degli articoli, condannò tutti i convenuti, in solido, al pagamento, a titolo di danno morale, della somma di Euro 50.000 in favore della D. e della somma di Euro 40.000 in favore della B. e della M., nonchè alla pubblicazione, a loro spese, del dispositivo della sentenza ed al pagamento delle spese di giudizio.
2. Proposto appello da parte dei convenuti soccombenti, la Corte d'appello di Genova, con sentenza del 29 febbraio 2008, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda proposta dalle originarie parti attrici, compensando per intero le spese del doppio grado di giudizio.
Ha osservato quella Corte che la sentenza di primo grado meritava condivisione in ordine al fatto che gli articoli in questione consentivano a tutti gli utenti del mondo scolastico della zona di individuare nelle tre appellate le persone componenti della commissione giudicatrice cui l'esposto anonimo addebitava di aver commesso gravi irregolarità; così come doveva essere condiviso il giudizio del Tribunale in ordine alla "valenza oggettivamente diffamatoria" dell'affermazione, contenuta nel citato esposto, secondo cui i componenti di tale commissione avrebbero sostituito gli elaborati scritti di alcuni candidati allo scopo di favorire la loro partecipazione agli esami orali, e tutto ciò dietro corresponsione di un illecito compenso.
Ciò nonostante, ad avviso della Corte ligure, non potevano ritenersi sussistenti tutti i requisiti necessari per la pronuncia di una sentenza di condanna. Ed infatti, le notazioni descrittive suscettibili di portare alla identificazione delle persone diffamate non erano da attribuire all'iniziativa della giornalista, bensì costituivano estrapolazioni del contenuto della missiva spedita dal Provveditore agli studi di La Spezia al Procuratore della Repubblica di quella città, nella quale si contestavano in modo netto tutte le accuse formulate nell'esposto anonimo. D'altra parte, la notizia divulgata dagli articoli contestati non aveva ad oggetto direttamente la commissione degli illeciti, "ma semplicemente l'avvenuta ricezione dell'esposto stesso, del quale veniva esplicitamente resa nota l'anonima provenienza e con essa l'impossibilità, allo stato, di garantirne la veridicità".
Ha rilevato, infine, la Corte d'appello che il fatto che la notizia divulgata avesse a che fare con "gravi fatti di devianza dalla correttezza amministrativa" non poteva, di per sè, consentire di escludere l'esistenza di un interesse pubblico alla diffusione, tanto più che negli articoli pubblicati mancava qualsiasi forma di malevola accentuazione e qualsiasi dettaglio superfluo.

3. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova propongono ricorso principale D.M.G. e B.S., con unico atto contenente tre motivi, nonchè ricorso incidentale M.P., con atto affidato a tre motivi.
Resistono la S.E.P. s.p.a., nonchè D.R.A. e V. I. con due diversi ed unici controricorsi.
M.P. ed i controricorrenti hanno presentato memorie.

Motivazione

1. Occorre innanzitutto dare conto del fatto che entrambi i controricorsi eccepiscono preliminarmente l'inammissibilità di tutti i singoli motivi di ricorso, sia per mancato rispetto dei principi enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di formulazione dei quesiti di diritto - trattandosi di ricorsi soggetti, ratione temporis, al regime dell'art. 366 bis c.p.c., - sia perchè le censure di vizio di motivazione sarebbero prospettate in modo da oltrepassare i limiti del sindacato consentito al giudice di legittimità.

1.1. Tali eccezioni sono tutte infondate.
E' noto, infatti, che, pur dovendosi ritenere in linea tendenziale inammissibile il quesito di diritto formulato in modo multiplo o cumulativo (v., tra le altre, la sentenza 29 febbraio 2008, n. 5471, citata nel controricorso), la giurisprudenza di questa Corte ha anche chiarito che, in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la ratio dell'art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all'oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l'illustrazione (Sezioni Unite, sentenza 9 marzo 2009, n. 5624).
Analogamente, si è detto che è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d'impugnazione vizi diversi, qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali si riferisca al singolo profilo dedotto, e sintetizzi le ragioni illustrate nel motivo in modo da consentire alla Corte di rispondere con l'enunciazione di una regula iuris idonea a trovare applicazioni ulteriori al di là del caso sottoposto all'esame del giudice che ha emesso la pronuncia impugnata (sentenza 12 settembre 2012, n. 15242).
Così come è pacifico che la proposizione, anche all'interno dello stesso motivo di ricorso, di censure di violazione di legge e censure di vizio di motivazione non determina, di per sè, l'inammissibilità del motivo, sempre che vi siano chiare e differenziate formulazioni dei quesiti relativi alle violazioni di legge nonchè indicazioni del punto controverso sul quale si appuntano le doglianze di vizio di motivazione (sentenze 23 aprile 2013, n. 9793, e 20 maggio 2013, n. 12248).
1.2. Alla luce di tali orientamenti giurisprudenziali, risulta evidente al Collegio che i motivi di ricorso in esame non incorrono in alcuna ragione di inammissibilità, contenendo la formulazione di singoli e diversificati quesiti di diritto, oltre alla precisa indicazione delle presunte insufficienze della motivazione; riguardo a queste ultime, poi, l'intima connessione con le lamentate censure di violazione di legge rende evidente come non vi sia alcun superamento dei limiti entro i quali è consentito a questa Corte il sindacato sulla motivazione.
Si deve dunque procedere all'esame del merito dei ricorsi.

Ricorso principale.
2. Col primo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell'art. 595 c.p., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Rilevano le ricorrenti D. e B. che la lettura congiunta degli articoli di giornale pubblicati nelle due date del _____ consentiva al lettore di identificare agevolmente nelle loro persone i commissari d'esame che si sarebbero resi responsabili dei brogli atti a falsare i risultati del concorso. Tale identificazione è da ricondurre ad opera della giornalista, sicchè la diffamazione sarebbe da considerare perfezionata già nel momento della pubblicazione. Nella diffamazione, d'altra parte, è sufficiente il dolo generico, non essendo necessario il dolo specifico.

3. Col secondo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell'art. 21 Cost., e degli artt. 51 e 595 c.p., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Secondo le ricorrenti, la sentenza impugnata avrebbe errato nel riconoscere la sussistenza del diritto di cronaca, in particolare là dove ha stabilito che la giornalista assolve al proprio obbligo di riferire fatti reali anche quando dichiara di non averne verificato la veridicità. Un fatto idoneo ad offendere la reputazione può essere discriminato solo quando il diritto di cronaca sia stato correttamente esercitato; nel caso in esame, invece, la sentenza impugnata ha dimenticato che il giornalista non può dare una notizia di cui non abbia controllato la veridicità senza correre il rischio di ledere l'altrui reputazione.

4. Col terzo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 595 c.p., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Si rileva, in proposito, che l'esimente del diritto di cronaca non può applicarsi ad informazioni che rivestano una connotazione diffamatoria intrinseca. Nel caso di specie, la lettura degli articoli in questione - nei quali si collega l'episodio verificatosi a ____ ad altri analoghi in altre parti d'Italia, i quali avevano dato luogo anche a provvedimenti di carcerazione - dimostrerebbe l'esistenza di una valenza oggettivamente diffamatoria.

Ricorso incidentale.
5. Col primo motivo del ricorso incidentale M.P. lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell'art. 595 c.p., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il motivo in esame è di contenuto assai simile al primo motivo del ricorso principale. Si specifica ulteriormente, poi, che la possibilità di individuare chi fossero le persone cui l'esposto anonimo si riferiva è da ricondurre alla maliziosa abilità della giornalista, la quale ben avrebbe potuto evitare di indicare, negli articoli pubblicati il 3 agosto 2000, una serie di altri dati che consentivano senza alcun dubbio di procedere alla identificazione (ci si riferisce al fatto che si trattava di una commissione di tre persone, tutte donne, una delle quali con la qualifica di preside prossimo ad andare in pensione).

6. Col secondo motivo del ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell'art. 21 Cost. e degli artt. 51 e 595 c.p., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il motivo, che contiene argomentazioni simili a quelle del secondo motivo del ricorso principale, insiste in particolar modo sul fatto che nessuna dignità può essere attribuita ad un esposto anonimo, specie quando riferisca notizie gravemente diffamatorie dell'altrui reputazione. Il giornalista, quindi, sarebbe tenuto non solo a controllare l'attendibilità della notizia, ma anche ad accertarne la verità, potendo solo in tal caso beneficiare dell'esimente di cui all'art. 51 c.p..

7. Col terzo motivo del ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell'art. 21 Cost., e degli artt. 51 e 595 c.p., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Analogamente a quanto già sostenuto nel terzo motivo del ricorso principale, si afferma che la sentenza avrebbe errato nel ritenere sussistente il diritto di cronaca, poichè i fatti sono stati presentati con una tale gravità da superare certamente il limite della continenza.

Esame congiunto dei motivi.
8. Ritiene la Corte di dover procedere alla trattazione congiunta del primo e del secondo motivo di entrambi i ricorsi, in quanto essi, oltre a porre in sostanza le medesime questioni, sono tra loro strettamente connessi.
8.1. L'esame dei motivi ora richiamati impone a questa Corte di prendere le mosse dalle precedenti pronunce nelle quali si è affrontato lo specifico argomento oggi in discussione, che è quello della valenza degli scritti anonimi in relazione ai giudizi risarcitori conseguenti alla diffamazione a mezzo stampa.
8.2. La materia è stata oggetto di trattazione da parte della sentenza 19 maggio 2011, n. 11004, di questa stessa Sezione, la quale ha enunciato il principio di diritto secondo cui in tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, nel caso in cui l'articolo giornalistico riporti il contenuto di uno scritto anonimo offensivo dell'altrui reputazione, l'applicazione dell'esimente del diritto di cronaca (art. 51 c.p.) presuppone la prova, da parte dell'autore dell'articolo, della verità reale o putativa dei fatti riportati nello scritto stesso (non della mera verità dell'esistenza della fonte anonima); con la conseguenza che, laddove siffatta prova non possa essere fornita, proprio in ragione del carattere anonimo dello scritto, la menzionata esimente non può essere applicata.
Questa sentenza - alla quale l'odierno Collegio presta integrale e convinta adesione, come già ha fatto l'ordinanza 10 ottobre 2013, n. 23042 - ha affrontato lo snodo cruciale della questione, ossia il dilemma "se, al cospetto di una fonte anonima, l'autore dell'articolo, per invocare l'applicazione dell'esimente del diritto di cronaca, deve limitarsi a provare (oltre alla continenza espressiva ed all'interesse pubblico alla notizia) la mera verità dell'esistenza della fonte stessa, oppure deve altresì provare di avere svolto ogni controllo possibile in ordine al contenuto della fonte ed alla sua attendibilità"; ed ha ritenuto corretta la seconda alternativa, in base ad una serie di considerazioni.
Da un lato, innanzitutto, la richiamata pronuncia ha rilevato che la diffusione di uno scritto anonimo ha attitudine "a suggestionare inevitabilmente il lettore medio almeno circa la possibilità o la probabilità che quella circostanza sia vera", sicchè "scriminare siffatto comportamento significa consentire la diffusione di ogni notizia diffamante proveniente da fonte anonima, solo perchè essa è di pubblico interesse e solo perchè in un determinato ambiente ha suscitato scalpore". Ma, oltre a questo, la pronuncia in esame ha anche posto in risalto il fatto che la diffusione "incontrollata ed incontrollabile" dello scritto anonimo non può giustificarsi per il fatto che tale fonte non consente un controllo di veridicità, perchè allo stesso modo si deve dire che "l'accusa anonima è di per se stessa immeritevole di interesse pubblico", il che fa venire meno uno dei tradizionali requisiti indispensabili per consentire che l'altrui reputazione venga lesa tramite l'esercizio del diritto di cronaca. Ed è evidente, d'altra parte, che il carattere stesso dello scritto anonimo comporta, una volta esclusa la responsabilità del giornalista, che la parte lesa non abbia la possibilità di rivolgersi contro alcuno per ottenere tutela della propria lesa onorabilità.
Di qui la conclusione, sopra riportata, per cui l'applicazione dell'esimente del diritto di cronaca presuppone, ove si utilizzi uno scritto anonimo, che l'autore dell'articolo provi la verità, reale o putativa, dei fatti riportati nell'articolo.

8.3. L'approdo cui è giunta la sentenza ora esaminata è in perfetta armonia, del resto, con la (più numerosa) giurisprudenza penale sull'argomento.
In tema di diffamazione a mezzo stampa, infatti, è stato affermato in più occasioni che l'esimente putativa del diritto di cronaca può essere invocata se ed in quanto l'agente abbia scelto le fonti informative con grande oculatezza (sentenza 31 marzo 1999, n. 12024, Liberatore); per cui detta esimente è comunque da escludere nel momento in cui la notizia venga riportata utilizzando uno scritto anonimo (sentenze 2 dicembre 2008, n. 46528, Parlato, e 11 gennaio 2013, n. 10964, Allam e altri). La stessa giurisprudenza penale, del resto, ha riconosciuto, in ottemperanza al disposto dell'art. 333, comma 3, cod. proc. pen., che la denuncia anonima non può essere utilizzata a fini probatori, ma può, semmai, costituire spunto per l'investigazione del pubblico ministero o della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi gli estremi utili per la individuazione di una valida notitia criminis (sentenza 28 ottobre 2008, n. 4329, P.G. in procedimento Chiocci e altro).
8.4. Ritiene questa Corte, nel dare continuità alle pronunce ora citate, di dover affermare che la denuncia giudiziaria sporta in forma di anonimo non modifica la propria natura per il fatto di essere diretta all'autorità giudiziaria. Il coinvolgimento di quest'ultima, infatti, potrà tradursi, se del caso, nello svolgimento di indagini e nell'eventuale promozione dell'azione penale, ma ciò non altera i termini del problema, perchè il carattere anonimo della denuncia non permette comunque di risalire alla fonte.
Di talchè il riferimento, contenuto nell'articolo di giornale, alla presentazione di una denuncia anonima fa sì, per così dire, che la notizia non sia costituita dalla presentazione in sè della denuncia, bensì dal carattere anonimo della medesima.
Ora non si può - in linea teorica astratta - escludere in assoluto che la diffusione di una denuncia anonima abbia quei connotati di pubblico interesse che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente indicato come uno dei requisiti per poter invocare l'esimente del diritto di cronaca. Ma, allo stesso modo, non si può neppure escludere - sempre ragionando in astratto e senza alcun riferimento alla presente vicenda - che tale diffusione diventi uno strumento che consente a chi voglia strumentalmente diffamare una persona di predisporre direttamente l'anonimo che poi verrà usato ai fini di diffusione giornalistica, in modo da ottenere un risultato illecito che però non va incontro ad alcuna sanzione.
La complessità e la potenziale varietà della casistica - che questa Corte non può disegnare in modo esaustivo, poichè non è possibile inquadrare in schemi fissi il fluire di una realtà sempre più complessa - impone comunque la massima cautela. Da tanto deriva la necessaria conclusione secondo la quale consentire che sia invocata l'esimente del diritto di cronaca quando l'informazione diffusa a mezzo della stampa tragga il proprio fondamento da uno scritto anonimo pone il rischio - quanto mai concreto in una società come quella odierna, dove la diffusione delle notizie avviene ormai in tempo reale - del dilagare di una sorta di moderna barbarie, poichè la vittima si trova nella sostanziale impossibilità di tutelare efficacemente il proprio onore.

9. Alla luce di siffatte premesse va valutata la decisione della Corte d'appello di Genova oggi in esame.
La motivazione della sentenza - i cui passaggi principali sono stati già indicati in precedenza - può essere così sintetizzata: 1) gli articoli di giornale consentivano certamente, tramite il confronto tra quelli del giorno 2 agosto con quelli del giorno successivo, di individuare i soggetti sospettati del comportamento illecito nello svolgimento del concorso a cattedre; 2) il contenuto degli articoli aveva carattere oggettivamente diffamatorio; 3) tuttavia la responsabilità civile doveva essere esclusa, perchè la notizia nulla diceva sul merito dei presunti illeciti, limitandosi a riferire della avvenuta presentazione di un esposto anonimo e della conseguente risposta che il Provveditore agli studi aveva dato al Procuratore della Repubblica.
9.1. La conclusione cui è pervenuta la Corte di merito non può essere condivisa.
Ed invero, essa presta il fianco ad obiezioni che sono decisive ai fini dell'accoglimento dei primi due motivi di ricorso proposti.
E' evidente, innanzitutto, che la sentenza impugnata è incorsa proprio nell'errore che la citata pronuncia n. 11004 del 2011 ha inteso stigmatizzare. Essa, cioè, ha confuso la verità del fatto in sè (l'avvenuta presentazione di un esposto anonimo al Procuratore della Repubblica) con la verità del contenuto dell'esposto medesimo, ritenendo che il fatto puro e semplice di dare conto dell'anonimato della fonte ù con conseguente impossibilità di "garantirne la veridicità" - fosse ragione sufficiente ad applicare l'esimente del diritto di cronaca.
Oltre a ciò, la sentenza della Corte ligure ha tratto la giustificazione del contenuto diffamatorio degli articoli dal fatto che essi si limitavano a dare conto, come si è detto, del contenuto della lettera di risposta che il Provveditore agli studi di La Spezia aveva inviato al Procuratore della Repubblica; senza porre la dovuta attenzione al fatto che tale circostanza - alla luce delle considerazioni giuridiche svolte in precedenza - non sposta i termini del problema e non vale ad esonerare il giornalista dall'obbligo di verifica della verità, reale o putativa, della fonte, perchè il tutto trae pur sempre origine da uno scritto anonimo. Ed è appena il caso di osservare - come la stessa sentenza d'appello riconosce - che fu proprio il contenuto di quella lettera di risposta a consentire la sicura individuazione delle odierne parti ricorrenti, contenendo informazioni tali da eliminare ogni dubbio (una commissione composta da tre donne e presieduta da una preside molto nota in città, ormai prossima alla pensione).

9.2. Vale la pena di aggiungere, per completezza, che non sono invocabili nel caso in esame i principi elaborati in tema di cronaca giudiziaria.
Com'è noto, questa Corte ha affermato che, con riferimento alla cronaca giudiziaria, il criterio della verità sostanziale della notizia non riguarda il contenuto di una dichiarazione resa in sede giudiziaria e l'attendibilità del dichiarante. La verità va riferita al fatto rappresentato, cioè al fatto che vi sia stata effettivamente quella dichiarazione, con indicazione, se necessario, del contesto giudiziario nel quale è stata resa, sempre che quanto riportato corrisponda al reale contenuto della dichiarazione, senza alterazioni del significato sostanziale che possano creare nel lettore una realtà diversa da quella effettivamente attribuibile alla dichiarazione. In tal caso il giornalista si pone quale semplice intermediario tra i fatti e le situazioni realmente accadute nell'attività giudiziaria da un lato e l'opinione pubblica dall'altro, e non è tenuto a svolgere specifiche indagini sull'attendibilità del dichiarante (così la sentenza 24 maggio 2006, n. 12358, sostanzialmente ripresa, con ulteriori precisazioni, dalle sentenze 19 gennaio 2007, n. 1205, e 20 ottobre 2009, n. 22190).
Nei casi di cui alle menzionate pronunce, infatti, le dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria avevano comunque una sicura paternità; sicchè al giornalista non potrebbe chiedersi altro che la fedeltà nel riportarle e nell'inserirle nel relativo contesto giudiziario, senza che egli abbia alcun effettivo dovere di verifica della verità sostanziale della notizia.
Nel caso odierno, al contrario, il carattere anonimo della fonte obbligava il giornalista ad un controllo ben più penetrante.

10. Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo dei due ricorsi; il che esime questa Corte dall'esame del terzo, che rimane assorbito.
11. In conclusione, sono accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso principale e di quello incidentale, assorbito il terzo di entrambi i ricorsi.
La sentenza impugnata è cassata e il giudizio rinviato alla Corte d'appello di Genova, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi al seguente principio di diritto:
"In tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, nel caso in cui l'articolo giornalistico riporti il contenuto di una denuncia anonima inviata al Procuratore della Repubblica ed offensiva dell'altrui reputazione, l'applicazione dell'esimente del diritto di cronaca (art. 51 c.p.) presuppone la prova, da parte dell'autore dell'articolo, della verità reale o putativa dei fatti riportati nello scritto stesso (non della mera verità dell'esistenza della fonte anonima); con la conseguenza che, laddove siffatta prova non possa essere fornita, la menzionata esimente non può essere applicata. Nè a diversa conclusione può pervenirsi per il fatto che la concreta individuabilità dei soggetti diffamati non sia derivata dal contenuto della denuncia anonima, ma dalla diffusione di ulteriori atti conseguenti alla medesima (nella specie, lettera di chiarimenti fornita dal Provveditore agli studi al Procuratore della Repubblica)".
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale e di quello incidentale, assorbito il terzo di entrambi i ricorsi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Genova, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2014


 

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