REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente -
Dott. DI AMATO Sergio - rel. Consigliere -
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere -
Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -
Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 1044-2012 proposto da:
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis; - ricorrente -
contro
FEDERAZIONE ITALIANA CONSORZI AGRARI SOC. COOP. A. R.L. "FEDERCONSORZI" IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. PAULUCCI DE' CALBOLI 9, presso l'avvocato SANDULLI PIERO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE DEI BENI CEDUTI AI CREDITORI DELLA FEDERAZIONE ITALIANA CONSORZI AGRARI S.C. A R.L. - FEDERCONSORZI IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del Liquidatore Giudiziale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEODOSIO MACROBIO 3, presso l'avvocato NICCOLINI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati SANTOSUOSSO DANIELE UMBERTO, CARAVITA DI TORITTO BENIAMINO, giusta procura in calce al controricorso e procura speciale per Notaio dott. CARLO FEDERICO TUCCARI di ROMA - Rep. n. 83562 del 24.10.2013; - controricorrenti -
avverso la sentenza n. 4699/2010 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 14/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2013 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato Generale dello Stato G. DE BELLIS che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente Federazione Italiana Consorzi, l'Avvocato SANDULLI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi, per la controricorrente Liquidazione, gli Avvocati G. NICCOLINI, D. SANTOSUOSSO e C. CARAVITA DI TORITTO che hanno chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale che ha concluso per: in via principale, rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia sulla questione se il rapporto di mandato ex lege intercorrente tra l'Amministrazione statale e la Federazione Italiana Consorzi Agrari (Federconsorzi) per gli approvvigionamenti di prodotti agricoli, quale risultante dal D.Lgs. n. 169 del 1948 ed alla L. n. 1294 del 1957 rientri nella definizione di transazione commerciale come definità dall'art. 2, n. 1, della Dir. 16 febbraio 2011, n. 2011/7/UE ed in caso affermativo sulle questioni indicate nella pagine 29/30 della memoria ex art. 378 c.p.c. della Liquidazione giudiziale dei beni ceduti ai creditori della Federazione Italiana Consorzi Agrari soc. coop. a r.l.; in subordine, accoglimento del ricorso con applicazione del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 12, comma 6, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, art. 1, comma 1.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22 novembre 2004 la Corte di appello di Roma, in accoglimento dell'appello proposto dalla Federconsorzi - Federazione Italiana dei Consorzi Agrari s.c. a r.l. - in concordato preventivo (d'ora in avanti Federconsorzi) e dal liquidatore giudiziale del concordato (d'ora in avanti Liquidazione giudiziale), determinava in Euro 511.878.997,39 il credito vantato dalla prima nei confronti del Ministero dell'Agricoltura e Foreste (oggi Ministero delle politiche agricole alimentarie forestali e d'ora in avanti Ministero), in quanto cessionaria dei crediti maturati da 58 Consorzi agrari provinciali, a titolo di rimborso delle spese sostenute nel dopoguerra e fino al 1967 per la gestione degli ammassi obbligatori.
In particolare, la Corte di appello perveniva alla predetta quantificazione del credito, escludendo, anzitutto, l'applicabilità della L. n. 410 del 1999, art. 8, comma 1, secondo cui gli interessi dovevano essere calcolati sino al 1995 sulla base del tasso ufficiale di sconto maggiorato di punti 4,40, con la capitalizzazione annuale e per gli anni 1996 e 1997 sulla base dei soli interessi legali. Ciò posto, la Corte territoriale riferiva la decorrenza degli interessi alla data dell'accertamento del credito (31 dicembre 1982), come effettuato dalla pubblica amministrazione, anzichè a quella della domanda giudiziale, non essendo necessaria la costituzione in mora per gli interessi di natura corrispettiva. Pertanto, sulla base dell'incontestato conteggio fatto dagli appellanti, determinava il credito di Federconsorzi al 4 luglio 1991 in L. 407.504.519.630 e quello del Ministero, venuto in essere in tale data ed opposto in compensazione, in L. 153.674.593.489; sulla differenza di L. 253.829.926.141 calcolava gli interessi con capitalizzazione semestrale, in ragione di L. 737.306.020.141 per il periodo 5 luglio 1991 - 30 giugno 2004. A tale ultima data quantificava, infine, il credito della Federconsorzi in Euro 511.878.997,39=, oltre interessi sino all'effettivo pagamento.
La predetta sentenza veniva cassata con rinvio da questa Corte con la sentenza 13 dicembre 2007, n. 26159. In particolare, detta sentenza, da un lato, confermava l'inapplicabilità alla fattispecie della L. n. 410 del 1999, citato art. 8 in quanto tale norma era diretta ad estinguere i contenziosi pendenti con i Consorzi agrari e, quindi, non si applicava a soggetti diversi, i quali si fossero resi cessionari dei loro crediti. D'altro canto, la decisione, quanto alla misura degli interessi, rilevava che nessun riconoscimento da parte del Ministero poteva desumersi dalla richiesta di applicazione del saggio previsto dalla L. n. 410 del 1999, sull'erroneo presupposto che la stessa si riferisse anche alla fattispecie in esame. Da ciò discendeva che dovevano ritenersi controversi tanto il tema del saggio degli interessi quanto quello dell'anatocismo. Con riferimento a quest'ultimo, ritenuto erroneamente dalla Corte territoriale come unico tema controverso, doveva ritenersi insufficiente la motivazione della sentenza impugnata che aveva rinvenuto la fonte negoziale "in "precedente prassi sulla base di disposizioni e circolari ministeriali" affermando che "tutto ciò è ammesso esplicitamente nella nota ministeriale del 30 luglio 1971 prot. 11/773 e confermato dallo stesso Ministero con atto ricognitivo del 17 ottobre 1988 e da ultimo con atto di riconoscimento dell'11 aprile 1996"; senza però fornire alcuna specificazione delle disposizioni delle circolari e meno ancora indicare il contenuto della nota e degli atti citati, del 1988 e del 1996, limitandosi a qualificarli apoditticamente ricognitivi e mancando di esplicitare il tenore delle espressioni usate per la manifestazione di tale volontà negoziale e ancor più di valutarne la legittimità".
Con sentenza 14 ottobre 2011, emessa in sede di rinvio, la Corte di appello di Roma accertava nuovamente che il debito del Ministero era "alla data del 30 giugno 2004 di complessive L. 991.135.946.282 pari ad Euro 511.878.997,39 oltre ulteriori interessi pari al tasso ufficiale di sconto aumentato del 4,40% capitalizzato semestralmente maturato e maturando dal 1 luglio 2004 fino alla data dell'effettivo pagamento". In particolare, per quanto ancora interessa, la Corte di appello osservava che: 1) dal quadro normativo offerto dal D.Lgs. n. 169 del 1948 e dalla L. n. 1294 del 1957 risultava la previsione di un mandato ex lege avente ad oggetto la delega da parte dello Stato alla Federconsorzi della funzione di garantire l'approvvigionamento dei prodotti agroalimentari; il mandato si svolgeva con piena autonomia gestionale e finanziaria (cui conseguiva la necessità per i Consorzi agrari di accedere al credito bancario alle condizioni di libero mercato), con obbligo di rendiconto annuale e con diritto al rimborso delle spese secondo quanto previsto dalla L. n. 1294 del 1957, art. 5; 2) poichè il rapporto traeva origine da disposizioni di legge non era richiesta nè la forma scritta nè la necessità dell'attivazione di una specifica procedura contrattuale ad evidenza pubblica; conseguentemente, la liquidazione delle spese era avvenuta non attraverso atti comportanti assunzione di obblighi di spesa, ma attraverso atti con i quali l'Amministrazione ricostruiva unilateralmente la "misura dell'obbligazione solutoria rintracciando in piena autonomia nelle operazioni effettuate da Federconsorzi (come evidenziate nei rendiconti mai contestati), le spese da rifondere e i crateri di calcolo degli accessori nella misura sopportata dalla mandataria nei rapporti con il credito bancario pervenendo ad una vasta ricognizione del mercato del denaro allo scopo di autodeterminare la propria obbligazione di natura esclusivamente "ripianatoria"". In questa prospettiva le note, le circolari e le disposizioni interne emanate dall'Amministrazione non erano atti ricognitivì di debito, ma atti integrativi della fonte legale, finalizzati alla autodeterminazione del quantum dell'obbligazione ripianatoria; ne conseguiva la "natura non costitutiva dell'obbligazione, ma meramente ricostruttiva dei parametri fattuali della sua corrispondenza ai non contestati rendiconti annuali ed al verificato "costo del denaro" in libero mercato".
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi. La Federconsorzi e la Liquidazione hanno resistito con separati controricorsi; la seconda ha anche presentato memoria con la quale ha denunciato la contrarietà ai principi comunitari e, comunque, l'illegittimità costituzionale del D.L. n. 16 del 2012, art. 12, comma 6, convertito con L. n. 44 del 2012, che ha previsto - per i crediti derivanti dalle gestioni di ammasso obbligatorio e di commercializzazione dei prodotti agricoli nazionali, quali risultanti dai rendiconti approvati con decreti definitivi ed esecutivi del Ministro dell'agricoltura e delle foreste e registrati dalla Corte dei conti - l'estinzione, nei riguardi di coloro che risulteranno averne diritto, con la corresponsione degli interessi calcolati, fino al 31 dicembre 1995, sulla base del tasso ufficiale di sconto maggiorato di 4,40 punti, con capitalizzazione annuale e per il periodo successivo sulla base dei soli interessi legali. Anche il Ministero ha presentato memoria, invocando l'applicazione dello jus superveniens.

Motivazione

2. I MOTIVI DI RICORSO. Con il primo motivo il ricorrente Ministero deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1283 c.c., della L. n. 154 del 1992, art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 6, del D.Lgs. n. 169 del 1948 e della L. n. 1294 del 1957, lamentando che la Corte di appello non aveva spiegato come gli atti amministrativi, ritenuti atti integrativi della fonte legale, potessero derogare alle norme primarie che vietano l'anatocismo. Il ricorrente osserva anche che, secondo la L. n. 1294 del 1957, art. 10, "alla copertura degli eventuali oneri che potranno derivare allo Stato dalla esecuzione della presente legge si provvedere con stanziamenti di bilancio a carico degli esercizi finanziari 1955-1956 e seguenti da autorizzarsi con apposita legge la quale dovrà anche indicare i mezzi di copertura degli oneri" e che tale apposita legge era appunto la L. n. 410 del 1999 della quale aveva (inutilmente) chiesto l'applicazione.
In ogni caso la procedura prevista dalla L. n. 1294 del 1957 si era chiusa con la regolare approvazione dei rendiconti, avvenuta con 89 DD.MM., registrati alla Corte dei conti, alla data del 31 gennaio 1982 (nella sentenza impugnata, peraltro, viene indicata come data dei DD.MM. quella del 31 dicembre 1982, n.d.e.). Ne conseguiva che alla predetta data il credito della Federconsorzi, per crediti ceduti dai Consorzi, ammontava a L. 49.055.514.605 (Euro 25.335.058,96) e doveva escludersi che tale somma potesse continuare a produrre interessi anatocistici.
Con il secondo motivo il Ministero deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1283 c.c., della L. n. 154 del 1992, art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 6 e del D.Lgt. n. 5799 del 1946, art. 3, lamentando che la Corte di appello, riconoscendo alla Federconsorzi il diritto ad interessi anatocistici, aveva dato erroneamente rilievo a quest'ultima disposizione (secondo cui "gli interessi sulle somme anticipate dagli Istituti di credito per il pagamento delle quote e dei premi suddetti sono assunti a carico del bilancio dello Stato") anche per il periodo successivo all'approvazione dei rendiconti; in ogni caso, l'illegittima pretesa di interessi anatocistici da parte degli istituti di credito non avrebbe mai potuto essere riversata sullo Stato.
Con il terzo subordinato motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 410 del 1999, art. 8, comma 1, premettendo che il giudice di rinvio e la Corte di cassazione, in sede di successivo ricorso, non sono vincolati dai principi affermati nella pronuncia di cassazione con rinvio qualora risulti che gli stessi siano in contrasto con il diritto dell'Unione, come interpretato dalla Corte di giustizia europea (CGUE 20 ottobre 2011 in causa n. C-396/09). Nella fattispecie, in particolare, in violazione degli artt. 87 e 88 del Trattato CE, che vietano gli aiuti di Stato, l'impugnata pronunzia avrebbe discriminato i Consorzi agrari, rispetto ai soggetti resisi cessionari dei crediti prima del 1999, consentendo solo per questi ultimi l'applicazione, secondo quanto ritenuto dalla Corte di appello, di un tasso maggiore.

3. LE CONSIDERAZIONI PRELIMINARI DI QUESTA CORTE DI CASSAZIONE. Dall'esame complessivo dei motivi emerge che i primi due attengono soltanto alla questione dell'anatocismo e non toccano il saggio di interessi determinato dalla Corte di appello, in sede di rinvio in 4,40 punti sopra il tasso di sconto. La questione della misura degli interessi, tuttavia, è toccata dal terzo motivo subordinato nella parte in cui, come sopra riferito, lamenta che la mancata applicazione della L. n. 410 del 1999, art. 8 avrebbe comportato un aiuto di Stato in favore della Federconsorzi che, per effetto di detta disposizione, avrebbe goduto di interessi superiori a quelli goduti dai Consorzi.
In tale situazione, al momento dell'entrata in vigore della L. n. 16 del 2012, sia la questione relativa all'applicazione dell'anatocismo sia quella relativa al tasso di interesse non possono ritenersi passate in giudicato. Infatti, soltanto all'esito di uno scrutinio positivo dei primi due motivi resterebbe assorbito il terzo motivo, con conseguente formazione di un giudicato sul saggio degli interessi. Ne consegue l'applicabilità alla fattispecie della predetta L. n. 16 del 2012, art. 12, comma 6, che disciplina in modo inscindibile, sotto i profili del saggio e dell'anatocismo, il calcolo degli interessi dovuti dallo Stato sui crediti dei Consorzi agrari, anche se ceduti ad altri soggetti.
Si deve ulteriormente premettere che la disciplina dettata dalla L. n. 16 del 2012 si sovrappone non semplicemente al regolamento della controversia come dettato dalla impugnata sentenza della Corte di appello, ma alla situazione di incertezza determinata dal ricorso. E' evidente, infatti, che la nuova disciplina si è sovrapposta ad un regolamento che potenzialmente poteva individuarsi alternativamente in quello dettato dalla sentenza impugnata (interessi pari al TUS maggiorato di punti 4,40 e capitalizzazione semestrale a partire dal consolidamento del credito con i DD.MM. del 31 gennaio 1982, registrati dalla Corte dei conti) o in quello conseguente all'accoglimento dei primi due motivi del ricorso con assorbimento del terzo (interessi pari al TUS maggiorato di punti 4,40=, esclusa ogni capitalizzazione, a partire dal consolidamento del credito con i DD.MM. del 31 gennaio 1982) ovvero, infine, in caso di rigetto dei primi due motivi e di accoglimento del terzo, in un regolamento sostanzialmente coincidente con quello dettato dallo jus superveniens. Pertanto, nell'ambito di tale situazione di incertezza l'applicazione della L. n. 16 del 2012, art. 12, comma 6, comporterebbe, nei primi due casi ed a far tempo dal 31 dicembre 1995, la riduzione del tasso di interessi sul credito vantato dalla Federconsorzi, che infatti passerebbe dal TUS maggiorato di punti 4,40 al tasso legale; nel primo caso, inoltre, comporterebbe anche il passaggio dal 1 febbraio 1982 al 31 dicembre 1995 da una capitalizzazione semestrale degli interessi ad una annuale mentre nel secondo caso comporterebbe una capitalizzazione annuale altrimenti non attribuibile.
In relazione alla disciplina dettata dalla L. n. 16 del 2012, la controricorrente Liquidazione ha sollevato questioni sulla sua compatibilità con il diritto dell'Unione Europea e, in subordine, sulla sua legittimità costituzionale. In proposito, quanto all'ordine di esame delle questioni, si deve rammentare che la Corte costituzionale ha chiarito che i giudici nazionali devono dare la priorità alle pregiudiziali comunitarie, essendo chiamati ad applicare il diritto comunitario disapplicando, se necessario, le contrastanti norme nazionali. Pertanto, il dubbio sulla compatibilità della norma nazionale rispetto al diritto comunitario va risolto, eventualmente con l'ausilio della Corte di Giustizia, prima che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale, pena l'irrilevanza della questione stessa (Corte cost. nn. 75/2012, 284/2007, 170/1984).
All'esame delle questioni sollevate dalla controricorrente si deve, inoltre, premettere che il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 TUEF, presuppone che la questione interpretativa riguardi norme comunitarie, che la stessa sia rilevante ai fini della decisione e che sussistano effettivi dubbi sulla interpretazione, essendo il rinvio inutile (o non obbligato) quando l'interpretazione della norma sia evidente o il senso della stessa sia già stato chiarito da precedenti pronunce della C.G.U.E. (e plurimis Cass. S.u. 24 maggio 2007, n. 12067; Cass. ord. 22 ottobre 2007, n. 22103, con riferimento al cd. acte claire; Cass. 19 luglio 2000, n. 9485; Cass. 7 giugno 2000, n. 7699; Cass. 9 giugno 1998, n. 5673). Si deve anche premettere che deve ritenersi inammissibile l'istanza di rinvio pregiudiziale per la risoluzione di questioni di interpretazione della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo. Invero, sebbene sia costante l'affermazione che i diritti fondamentali, quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalla Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, fanno parte dei principi giuridici generali di cui essa garantisce l'osservanza (a far tempo da CG sent. 12 novembre 1969, Stauder, causa 29/69) e sebbene ciò sia stato espressamente affermato dal Trattato di Lisbona, la Corte di Giustizia ha limitato la verifica del rispetto dei diritti fondamentali alle situazioni in cui rileva una disciplina comunitaria e siano investiti gli atti comunitari e gli atti o comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto comunitario (CG 11 luglio 1985, Cineteque, cause 60 e 61/84: la Corte "ha il compito di garantire il rispetto dei diritti fondamentali nel settore specifico del diritto comunitario, non le spetta tuttavia di esaminare la compatibilità con la Convenzione europea di una legge nazionale").
Con riferimento ai diritti fondamentali si deve anche escludere la possibilità di un rinvio pregiudiziale consultivo alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo in quanto tale rinvio, ancorchè previsto dal Protocollo n. 16 della Convenzione EDU, approvato il 10 luglio 2013 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, non è ancora operativo.

4. LE CONSIDERAZIONI DELLE PARTI. Tanto premesso, si osserva che la controricorrente Liquidazione ha sollevato la questione della compatibilità del D.L. n. 16 del 2012, art. 12, commi 6 e 7, con le direttive europee 2000/35/CE e 2011/7/UE, in tema di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepite in Italia rispettivamente con il D.Lgs. n. 231 del 2002 e con il D.Lgs. n. 192 del 2012. Al riguardo ha lamentato che lo Stato Italiano, con un atto di autorità (successivo all'adozione di entrambe le citate direttive), pretende di imporre alla Liquidazione, suo creditore, non solo la riduzione degli interessi moratori maturati sino al 1995 (sostituendo alla capitalizzazione semestrale quella annuale), ma anche l'applicazione dei soli interessi legali dal 1995. La controricorrente, a sostegno della sua doglianza, afferma che le direttive debbano essere interpretate: a) estensivamente, nel senso che esse, pur riferendosi, ad accordi, clausole contrattuali o prassi inibiscano al legislatore nazionale anche di intervenire su un rapporto di credito già esistente, per il quale era previsto il maturare di interessi moratori, adottando norme di legge che escludano il diritto del proprio creditore al conseguimento di interessi moratori; b) estensivamente, nel senso che esse, pur riferendosi obbligatoriamente ad accordi conclusi rispettivamente dopo l'8 agosto 2002 e dopo il 16 marzo 2013 (anche se in quest'ultimo caso il legislatore italiano ha scelto la data del 1 gennaio 2013), non consentono allo Stato, dopo le predette date, di intervenire d'autorità su rapporti ad esse antecedenti, modificando in peius la posizione del creditore ed escludendo l'applicazione di interessi moratori.
L'Avvocatura dello Stato, con note d'udienza avverso le conclusioni del P.M., che ha condiviso la richiesta della Liquidazione di rinvio pregiudiziale alla CGUE, ha contestato l'applicabilità alla fattispecie della Direttiva 2000/35/CE e del D.Lgs. n. 231 del 2002 sia perchè nella specie non ricorreva una transazione commerciale, ma un rapporto pubblicistico, con conseguente operatività delle deroghe di cui al 13 considerando della Direttiva 2000/35/CE e di cui all'8 considerando della Direttiva 2011/7/UE, sia perchè la Direttiva 2000/35/CE ed il D.Lgs. n. 231 del 2002 si applicano soltanto ai contratti conclusi prima dell'8 agosto 2002.

5. LE CONSIDERAZIONI DI QUESTA CORTE DI CASSAZIONE. Entrambi i rilievi dell'Avvocatura dello Stato non consentono di escludere con evidenza l'applicabilità delle Direttive in questione al caso in esame. Invero, per quanto riguarda il tipo di rapporto, il considerando n. 22 della Direttiva 2000/35/CE fa riferimento a "tutte le transazioni commerciali a prescindere dal fatto che esse siano effettuate tra imprese pubbliche o private o tra imprese ed autorità pubbliche"; nello stesso senso il considerando n. 9 della Direttiva 2011/7/UE, mentre il considerando n. 11 della stessa Direttiva ne precisa l'applicabilità alla "prestazione di servizi dietro corrispettivi". Pertanto, non può escludersi con chiarezza la riconducibilità del mandato ex lege (Cass. s.u. 13 giugno 2012, n. 9589), intercorso tra i Consorzi agrari e lo Stato, per la gestione degli ammassi, alla categoria delle transazioni commerciali.
Giova a questo punto chiarire che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, i consorzi agrari, che hanno maturato i crediti poi ceduti alla Federconsorzi, hanno natura privatistica poichè "il D.Lgs. 7 maggio 1948, n. 1235, art. 1, stabilisce che "i consorzi agrari e la federazione italiana dei consorzi agrari sono società cooperative a responsabilità limitata". E la natura privatistica dei consorzi è indiscussa nella giurisprudenza di questa Corte, appunto in ragione della disciplina innovativa introdotta con tale decreto (Cass., sez. la, 13 dicembre 1969, n. 3952, m. 344384, Cass., sez. la, 21 febbraio 1970, n. 419, m. 345493, Cass., sez. la, 18 luglio 1913, n. 2111, m. 365298, Cass., sez. la, 23 ottobre 1914, n. 3052, m. 311512), confermata poi dalla L. 28 ottobre 1999, n. 410" (Cass. 28 agosto 2004, n. 17201).
Per quanto concerne, invece, la data del contratto, non appare manifestamente infondata la tesi della controricorrente Liquidazione secondo cui le due Direttive di lotta ai ritardi nei pagamenti (le quali prevedono la possibilità ma non la necessità che siano esclusi dal loro ambito di applicazione rispettivamente i contratti conclusi prima dell'8 agosto 2022 e quelli conclusi prima del 16 marzo 2013) non consentono l'emanazione di norme che, con riferimento a rapporti sorti prima delle predette date, escludano la corresponsione di interessi moratori.
Nessun dubbio sussiste, poi, sulla rilevanza della questione poichè, ove l'interpretazione delle norme comunitarie fosse tale da non comportare l'obbligo di disapplicazione, la controversia per cui è causa dovrebbe essere regolata dal D.L. n. 16 del 2012, art. 12, comma 6. La questione della rilevanza, peraltro, non deve essere confusa con quella dell'interesse poichè l'eventuale disapplicazione comporterebbe la necessità di sciogliere l'incertezza della situazione, sopra illustrata al punto 3; l'eventuale relativa decisione di questa Corte potrebbe, pertanto, condurre anche ad una soluzione meno favorevole per la controricorrente Liquidazione, il cui interesse, tuttavia, deve essere ovviamente affermato in relazione alla tesi da essa sostenuta in giudizio.
La controricorrente Liquidazione, inoltre, premesso che la materia dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ricade tra le materie sulle quali il legislatore comunitario è intervenuto (con le due citate direttive), lamenta la contrarietà della disciplina dettata dalla L. n. 16 del 2012 con i principi dell'Unione Europea, con i diritti consacrati nella Carta di Nizza e con i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione Europea sui diritti dell'Uomo sotto i seguenti profili: a) principio di proporzionalità, in quanto Federconsorzi aveva acquistato i crediti dei Consorzi provinciali ad un prezzo di acquisto che comprendeva anche gli interessi maturati calcolati ad un saggio pari al TUS, maggiorato di punti 4,40, con capitalizzazione semestrale; con la conseguenza, quindi, che il nuovo sistema di calcolo degli interessi incideva sul valore dei crediti, con effetti sostanzialmente espropriativi; b) tutela del legittimo affidamento a vedere realizzato il credito nel suo valore capitale, accresciuto degli interessi calcolati al saggio del TUS aumentato di punti 4,40 e con capitalizzazione semestrale, come riconosciuto da numerosi atti amministrativi (circolari, note e relazioni) e da due sentenze della Corte di appello di Roma, violato senza che ricorresse un interesse pubblico (tale non potendo considerarsi lo scopo di preservare le casse dello Stato) che potesse giustificare la riduzione del credito; c) divieto di abuso del diritto, violato in quanto il legislatore italiano aveva di fatto modificato il criterio di computo degli interessi su una somma di cui era debitore nei confronti della Federconsorzi, procurandosi l'indebito vantaggio dell'abrogazione di qualsivoglia interesse moratorio a partire dal 1996; d) diritto ad un ricorso effettivo (art. 47 della Carta) ed al giusto processo (art. 6 CEDU) violati in quanto il legislatore aveva rispettivamente reso privo di effettività il diritto della Liquidazione di adire l'autorità giudiziaria per la tutela della propria pretesa creditoria ed era intervenuto adottando una norma favorevole ad una delle parti del contenzioso in corso.
Al riguardo, tuttavia, occorre ricordare, come si è accennato nelle considerazioni preliminari (punto 3), che la Corte di giustizia non ha una competenza generale in tema violazione di un diritto fondamentale o di un principio generale ed essa può essere chiamata ad intervenire soltanto se si dimostra l'esistenza di un nesso tra il caso concreto e il diritto dell'Unione. Questa necessità non pone particolari problemi quando l'accusa di violare un diritto fondamentale o un principio generale riguarda istituzioni dell'Unione o un atto emanato da una di queste. Se la violazione è imputata ad uno Stato membro o ad una sua autorità occorre, invece, dimostrare che l'atto o il comportamento "incriminato" è stato adottato in attuazione di un obbligo o di una facoltà attribuita allo Stato membro dai trattati. Solo a questa condizione il comportamento o l'atto dello Stato membro sono soggetti al diritto dell'Unione e devono pertanto rispettare i diritti fondamentali e i principi generali di cui la Corte di giustizia garantisce la tutela.
Orbene, nella specie la legge nazionale rappresentata dal D.L. n. 16 del 2012, art. 12 non è stata certo emanata in attuazione delle Direttive comunitarie in tema di lotta ai ritardi di pagamento e si discute, invece, della compatibilità della predetta legge nazionale con tali Direttive. Ne consegue l'inconfigurabilità, nella specie, della competenza della CGEU circa la pretesa violazione di un diritto fondamentale o di un principio generale riconducibile al diritto comunitario.
Non sussistono, pertanto, sotto tale aspetto, i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla CGUE.

6. NORME RILEVANTI E QUESITI SOTTOPOSTI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA. In conclusione, dovendosi accertare la compatibilità con le norme comunitarie del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 12, comma 6, convertito con L. 26 aprile 2012, n. 44, del seguente testuale tenore:
"I crediti derivanti dalle gestioni di ammasso obbligatorio e di commercializzazione dei prodotti agricoli nazionali, svolte dai consorzi agrari per conto e nell'interesse dello Stato, diversi da quelli estinti ai sensi della L. 28 ottobre 1999, n. 410, art. 8, comma 1, come modificato dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 130, quali risultanti dai rendiconti approvati con decreti definitivi ed esecutivi del Ministro dell'agricoltura e delle foreste e registrati dalla Corte dei conti, che saranno estinti nei riguardi di coloro che risulteranno averne diritto, nonchè le spese e gli interessi maturati a decorrere dalla data di chiusura delle relative contabilità, indicata nei decreti medesimi, producono interessi calcolati: fino al 31 dicembre 1995 sulla base del tasso ufficiale di sconto maggiorato di 4,40 punti, con capitalizzazione annuale; per il periodo successivo sulla base dei soli interessi legali", si sottopongono alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea i seguenti quesiti:

1) se il rapporto di mandato ex lege intercorrente tra l'Amministrazione statale ed i Consorzi agrari (rapporto dal quale è nato il credito successivamente ceduto dai Consorzi alla Federconsorzi e da questa ai suoi creditori nell'ambito di una procedura concorsuale) per l'approvvigionamento e la distribuzione di prodotti agricoli, quale risultante dal D.Lgs. n. 169 del 1948 e dalla L. n. 1294 del 1957, rientri nella definizione di transazione commerciale, come definita dall'art. 2 della Direttiva 2000/35/CE e dall'art. 2 della Direttiva 2011/7/UE;
2) nel caso di positiva risposta al quesito sub 1, se l'obbligo di recepimento delle Direttive 2000/35/CE (art. 6 par. 2) e 2011/7/UE (art. 12 par. 3), con la possibilità di lasciare in vigore norme più favorevoli, implichi l'obbligo di non mutare in peius, o addirittura escludere, il tasso di mora applicabile ai rapporti già in corso al momento della entrata in vigore delle Direttive;
3) nel caso di positiva risposta al quesito sub 2, se l'obbligo di non mutare in peius il tasso di mora applicabile ai rapporti già in corso debba essere valutato come operante rispetto ad una regolazione unitaria degli interessi, che preveda fino ad un certo momento (nella specie dal 31 gennaio 1982 al 31 dicembre 1995) il riconoscimento di un saggio extralegale e di una capitalizzazione, sia pure annuale e non semestrale come richiesta dal creditore, e dopo il predetto momento soltanto la corresponsione di un interesse legale, con una disciplina, che, attesi gli estremi della controversia in atto (v. sopra punto 3), non è necessariamente sfavorevole per il creditore;
4) se l'obbligo di recepimento delle Direttive 2000/35/CE (art. 6) e 2011/7/UE (art. 12), nella parte in cui, in relazione alla proibizione dell'abuso della libertà contrattuale in danno del creditore, prevedono, rispettivamente agli artt. 3, par. 3, e 7, l'inefficacia di clausole contrattuali o prassi inique, implichi il divieto per lo Stato di intervenire con norme che, con riferimento a rapporti di cui lo Stato è parte e che sono in corso al momento di entrata in vigore delle Direttive, escludano la corresponsione di interessi moratori;
5) nel caso di positiva risposta al quesito sub 4, se l'obbligo di non intervenire in rapporti in corso, e nei quali lo Stato sia parte, con norma di esclusione degli interessi di mora sia operante rispetto ad una regolazione unitaria degli interessi, che preveda fino ad un certo momento (nella specie dal 31 gennaio 1982 al 31 dicembre 1995) il riconoscimento di un saggio extralegale e di una capitalizzazione, sia pure annuale e non semestrale come richiesta dal creditore, e dopo il predetto momento soltanto la corresponsione di un interesse legale, con una disciplina, che, attesi gli estremi della controversia in atto (v. sopra punto 3), non è necessariamente sfavorevole per il creditore.

Il rinvio comporta la sospensione del processo.

PQM

La Corte, letti l'art. 267 del Trattato sul Funzionamento della Unione Europea e l'art. 295 c.p.c., chiede alla Corte di Giustizia della Unione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale interpretativa sulle questioni indicate in motivazione. Ordina la sospensione del processo e dispone che copia della presente ordinanza venga trasmessa alla Cancelleria della Corte di Giustizia.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2014


 

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