REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -
Dott. DI AMATO Sergio - rel. Consigliere -
Dott. CAMPANILE Pietro - Consigliere -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere -
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3117-2011 proposto da:
T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUGGIA 21, presso l'avvocato RENDINA SIMONA, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato DI NARDO ANTONELLA CATERINA, giusta procura speciale per Notaio dott. ANDREA LETIZIA di GANDINO (BERGAMO) - Rep. n. 42358 del 14.2.2014;
- ricorrente -
contro
S.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso l'avvocato MANCA BITTI DANIELE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MINA ANDREA, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1112/2009 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 16/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/02/2014 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato RENDINA SIMONA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l'Avvocato MANCA BITTI DANIELE che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso con condanna alle spese.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 9 luglio 2008, dichiarava cessati gli effetti civili del matrimonio contratto da T. V. e S.N., rigettando la domanda di assegno divorzile formulata dalla seconda. La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 16 dicembre 2009, in parziale riforma della sentenza di primo grado, disponeva, in favore dell'appellante S. ed a carico del T., un assegno mensile di mantenimento di Euro 1.300,00, annualmente rivalutabile secondo gli indici ISTAT. In particolare, per quanto ancora interessa, la Corte territoriale osservava che: 1) l'appellante, al momento della separazione, era priva di reddito in quanto disoccupata e percepiva dal coniuge un assegno di mantenimento; 2) l'appellato non aveva dimostrato che fossero intervenuti fatti che avessero alterato tale situazione e la S. aveva, anzi, prodotto in sede di udienza una certificazione dell'Agenzia delle entrate attestante che negli anni 2006-2008 non aveva presentato la dichiarazione dei redditi e non risultava essere stata percettrice di redditi in dichiarazioni di sostituti d'imposta; 3) la rilevante sproporzione tra le condizioni economiche delle parti era documentata dalle dichiarazioni dei redditi presentate dall'appellato nell'ultimo triennio nonchè dalle allegazioni e dagli accertamenti investigativi effettuati dall'appellante; 4) la convivenza more uxorio non giustifica, per la sua natura intrinsecamente precaria, la definitiva cessazione dell'obbligo di corrispondere un assegno divorzile e, comunque, le deduzioni del T. circa la formazione da parte della S. di una nuova famiglia di fatto, nella quale era nato un figlio, erano rimaste indimostrate sia quanto all'instaurazione della convivenza sia quanto ad un contributo del preteso convivente al mantenimento dell'appellante; 5) per la determinazione dell'importo dell'assegno doveva aversi riguardo all'età dei coniugi (entrambi cinquantenni), alla durata del matrimonio (diciassette anni), alla sperequazione dei loro redditi, al tenore di vita nel matrimonio ed alle difficoltà di reperimento di un lavoro, nell'attuale situazione di crisi, per una persona priva, come la S., di una specifica professionalità; un significativo indice di riferimento poteva essere rappresentato dall'assetto economico relativo alla separazione, con la precisazione che i patti negoziali sulla temporaneità dell'assegno, intervenuti tra le parti prima dell'omologazione della separazione e non trasfusi in questa, non potevano avere rilievo.
Avverso detta sentenza T.V. propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi illustrati anche con memoria.
S.N. resiste con controricorso.

Motivazione

Si devono anzitutto esaminare e respingere le eccezioni di inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale e per tardività.
Quanto alla prima eccezione, il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione, essendo per sua natura speciale, non richiede ai fini della sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso, sicchè risultano irrilevanti sia la mancanza di uno specifico richiamo al giudizio di legittimità sia il fatto che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al giudizio di merito (e plurimis Cass. 17 dicembre 2009, n. 26504). E' irrilevante, pertanto, il fatto che il mandato a margine sia stato conferito, con formula impropria, per ogni stato e grado del presente giudizio anche di opposizione e/o di esecuzione.

Quanto alla seconda eccezione, il principio, derivante dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale, secondo cui la notificazione a mezzo posta deve ritenersi perfezionata per il notificante con la consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario, ha carattere generale, e trova pertanto applicazione anche nell'ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anzichè dall'ufficiale giudiziario, dal difensore della parte ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1 essendo irrilevante la diversità soggettiva dell'autore della notificazione, con l'unica differenza che alla data di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato (Cass. 30 luglio 2009, n. 17748; conf. Cass. 20 febbraio 2013, n. 4242).
Ne consegue la tempestività del ricorso spedito con raccomandata del 31 gennaio 2011.

Con il primo motivo di ricorso T.V. deduce la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 4 e dell'art. 347 c.p.c. nonchè il vizio di motivazione, lamentando che la S. soltanto con l'atto di appello aveva dedotto la propria mancanza di mezzi ed aveva prodotto un'indagine patrimoniale sull'appellato e che soltanto nel successivo corso del giudizio aveva depositato la certificazione dell'Agenzia delle entrate attestante che per gli anni dal 2006 al 2008 non aveva denunciato redditi; ciò nonostante la Corte di appello aveva preso in considerazione le nuove allegazioni ed i nuovi documenti, dei quali non era stata neppure affermata l'indispensabilità ai fini della decisione e non aveva ammesso la prova per testi richiesta dall'appellato con l'atto di costituzione in appello e già richiesta in primo grado, ma non ammessa dal Tribunale solo perchè superflua, in quanto l'attrice non aveva neppure allegato le condizioni necessarie ad ottenere l'assegno.

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile. Nel giudizio di divorzio in appello - che si svolge secondo il rito camerale, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, comma 12, (nel testo sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 8 ed applicabile ratione temporis prima delle ulteriori modifiche dettate dal D.L. n. 35 del 2005) l'acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, è ammissibile sino all'udienza di discussione in camera di consiglio, sempre che sulla produzione si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio, che costituisce esigenza irrinunziabile anche nei procedimenti camerali (Cass. 13 aprile 2012, n. 5876).
Per quanto riguarda la mancanza di mezzi e l'impossibilità di procurarseli, la relativa deduzione, come riconosce lo stesso ricorrente, era stata formulata sin dall'atto introduttivo del giudizio, sia pure con l'indicazione, quale impedimento, della necessità di attendere alle cure del figlio in tenera età.
Per quanto riguarda, infine, la mancata ammissione della prova per testi, il motivo manca di autosufficienza, non essendo stati neppure riportati i capitoli di prova, in modo di consentire a questa Corte di valutarne la decisività.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione della L. n. 898 del 1970, n. 5 ed il vizio di motivazione, lamentando che l'assegno mensile era stato determinato dalla Corte di appello senza effettuare la necessaria indagine sulla mancanza di mezzi adeguati, in relazione all'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, e senza considerare, in particolare, che la S. aveva sempre lavorato dall'età di 17 anni e fino al 27 dicembre 2000, come risultava dal libretto di lavoro in atti, prima come operaia cucitrice e poi come impiegata. Soltanto dopo la separazione (16 ottobre 2001) la S. aveva smesso di lavorare e, con la nascita di un figlio (14 aprile 2003) avuto dal nuovo compagno, si era messa volontariamente nella condizione di non potersi procurare mezzi adeguati per un periodo che, comunque, non poteva eccedere i primi mesi di vita del bambino. Inoltre, la Corte di appello aveva desunto la mancanza di mezzi della S. dal fatto che la stessa godeva di assegno di separazione, senza considerare che questo era stato concordato dai coniugi soltanto per un periodo di due anni, allo scopo espressamente specificato di consentire alla S. di trovare un lavoro. Infine, l'assegno di mantenimento, sul presupposto che l'istante godeva di assegno di separazione di Euro 774,68, era stato incongruamente determinato in Euro 1.300,00 senza specificare il concreto atteggiarsi, nella specie, dei parametri previsti dalla legge e senza un riferimento alla capacità patrimoniale dell'obbligato, quale risultava dalle sue denunce dei redditi.
Il motivo è fondato nei limiti di seguito precisati. Nella disciplina dettata dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5 come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10 l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto - in relazione all'inadeguatezza dei mezzi, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e in relazione all'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive - e, quindi, a procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione. (Cass. 19 marzo 2003, n. 4040).
A tali principi il giudice di merito si è uniformato nel determinare il diritto astratto della S. ad un assegno per superare l'inadeguatezza dei suoi mezzi, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Al riguardo, con motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, la Corte di appello ha fatto riferimento, da un lato, all'assenza di redditi della S. e, dall'altro, ai patti intervenuti tra i coniugi al momento della separazione, quale elemento induttivo dal quale desumere, in via presuntiva, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Quanto, poi, all'oggettiva impossibilità della S. di procurarsi mezzi adeguati, la stessa è stata adeguatamente motivata, in base al principio che l'accertamento della capacità lavorativa va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell'astrattezza, bensì in quella dell'effettività e della concretezza (e plurimis Cass. 16 luglio 2004, n. 13169); infatti, la notoria grave difficoltà attuale del mercato del lavoro (anche nel settore di pertinenza) e la conseguente oggettiva difficoltà di reperimento del lavoro per persone prive di specifiche professionalità (la S. era stata in gioventù operaia cucitrice e poi impiegata)rappresentano circostanze idonee ad escludere una effettiva e concreta capacità lavorativa. Nè può assumere rilievo, per escludere il diritto astratto all'assegno divorzile la circostanza che la crisi del mercato del lavoro sarebbe sopravvenuta al momento della proposizione della domanda; infatti, l'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati rappresenta una condizione dell'azione e per tale ragione è sufficiente che sussista al momento della decisione.
La motivazione della sentenza impugnata è, invece, del tutto insufficiente laddove determina l'importo dell'assegno. Invero, da un lato, la Corte territoriale, pur facendo riferimento alle dichiarazioni reddituali dell'ultimo triennio ed agli accertamenti investigativi effettuati dall'appellante non ha indicato quali fossero gli elementi emersi da tali fonti di prova in ordine alle disponibilità economiche del T.. D'altro canto, anche con riferimento alle pattuizioni intervenute tra i coniugi, non è stato esplicitato il ragionamento in base al quale la Corte di appello è pervenuta ad una determinazione dell'assegno nella misura di Euro 1.300,00 mensili partendo da un assegno di Euro 774,68 pattuito, per di più, soltanto per un periodo di due anni ed allo scopo espressamente specificato di consentire alla S. di trovare un lavoro. Ne consegue la cassazione sul punto della sentenza impugnata.

PQM

rigetta il primo motivo; accoglie il secondo nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione;
dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2014


 

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