REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano - Presidente -
Dott. MANNA Felice - rel. Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
Dott. PICARONI Elisa - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 7461/2013 proposto da:
P.S. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO CORRIDONI 23, presso lo studio dell'avvocato BALBONI BARBARA, rappresentato e difeso dall'avvocato TROISI MICHELE, giusta mandato speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
- controricorrente -
avverso il decreto nel procedimento R.G. 1304/2012 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI del 2.11.2012, depositato il 15/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;
udito per il ricorrente l'Avvocato Michele Troisi che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con ricorso del 5.6.2012 P.S. adiva la Corte d'appello di Napoli per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, in relazione all'art. 6, paragrafo 1 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con L. n. 848 del 1955, per l'eccessiva durata di una causa civile instaurata innanzi al Tribunale di Salerno il 21.12.2005 e ancora pendente in secondo grado, innanzi alla Corte d'appello del medesimo centro, alla data di presentazione del ricorso ex lege c.d. Pinto.
Il Ministero resisteva in giudizio.
Con decreto del 15.11.2012 la Corte partenopea accoglieva in parte la domanda, liquidando in favore del ricorrente la somma di Euro 1.667,00. Osservava detta Corte che sebbene la domanda avesse avuto riguardo al solo giudizio di primo grado, la cui durata era stata eccedente il limite di ragionevolezza, l'esame doveva essere complessivo e coinvolgere l'intera durata del processo. Diversamente, si sarebbe avuta un'inammissibile parcellizzazione della domanda per segmenti processuali, con possibilità di abuso del rimedio indennitario. Rilevava, quindi, che dalla documentazione prodotta era emerso che il giudizio presupposto era durato dal 7.7.2005 al 10.5.2012, data oltre la quale non era stata dimostrata l'ulteriore pendenza del processo d'appello, e che, considerati i due gradi di giudizio, l'eccedenza di durata era da calcolare in un anno e otto mesi.
Per la cassazione di tale decreto ricorre P.S., in base a due motivi.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivazione

1. - Col primo motivo è dedotta la violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4, artt. 6, 32 e 41 CEDU e artt. 132, 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.
Pare ricorrente lamenta che: a) la Corte territoriale abbia accertato d'ufficio il ritardo nella trattazione del giudizio presupposto in appello, benchè ciò non fosse stato richiesto, e che alla data del 10.5.2012 l'appello non era stato definito, sicchè la Corte partenopea avrebbe dovuto coerentemente dichiarare inammissibile il ricorso e non già accoglierlo ultra petita; b) la L. n. 89 del 2001, nel testo (applicabile ratione temporis) anteriore alle modifiche apportatevi dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, non imponeva al ricorrente di richiedere l'indennizzo in ragione dello sviluppo del processo sino al momento di proposizione della domanda; ba) inoltre, la Corte distrettuale nell'accertare il ritardo ha incluso nella durata complessiva anche il tempo intercorso fra il deposito della decisione di primo grado (27.1.2011) e la notifica dell'atto d'appello (11.5.2012); c) il decreto impugnato ha fatto malgoverno dei precedenti di questa Corte in materia, che hanno escluso il diritto della parte ricorrente di disporre della domanda riferendola al solo grado di giudizio la cui durata sia stata irragionevole, sul presupposto, però, che anche il giudizio d'appello si sia concluso, il che non è avvenuto nella specie, essendo stata fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni per la data del 24.9.2015.

2. - Il secondo mezzo d'annullamento denuncia la violazione degli artt. 101, 115 e 132 c.p.c., e art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, perchè la Corte territoriale non ha chiesto al ricorrente di fornire la prova del perdurare del giudizio d'appello, ma ha deciso ritenendo, contrariamente alle risultanze probatorie in atti e senza provocare il contraddittorio sul punto, che il giudizio si fosse concluso in data 10.5.2012, mentre la causa presupposta era stata semplicemente rinviata a tale data per "carico del ruolo del relatore/assenza del relatore".

3. - Il primo motivo di ricorso è fondato nei limiti che seguono, nel senso che la Corte territoriale è incorsa in una falsa applicazione dei precedenti di questa Corte in materia di frazionamento della domanda di equa riparazione.
In essi si afferma che pur essendo possibile individuare degli "standard" di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest'ultimo si sia articolato in vari gradi e fasi, agli effetti dell'apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, occorre avere riguardo all'intero svolgimento del processo medesimo, dall'introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi cioè addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva dell'unico processo da considerare nella sua complessiva articolazione; non rientra, pertanto, nella disponibilità della parte riferire la sua domanda ad uno solo dei gradi di giudizio, optando per quello nell'ambito del quale si sia prodotta una protrazione oltre il limite della ragionevolezza (Cass. n. 23506/08; conformi, nn. 14786/13 e 15974/13).
Tali precedenti suppongono che il ricorrente frazioni la domanda al solo scopo di evitare che il minor dispendio di tempo nell'un grado possa compensare, come in effetti può compensare, la maggior durata nell'altro, lucrando così un indennizzo che, diversamente, non gli sarebbe dovuto.
3.1. - Nello specifico, la Corte territoriale, pur avendo esattamente premesso che occorreva far riferimento "all'intero processo così come al tempo di proposizione della domanda si era effettivamente sviluppato e svolto", al momento di verificare la violazione ha considerato quale durata ragionevole per il giudizio d'appello quella standard di due anni (v. pag. 6 decreto impugnato), senza considerare che però nella specie quest'ultimo grado di merito non era stato ancora definito (come premesso nella narrativa del provvedimento). In tal modo la Corte partenopea non si è avveduta di confrontare tra loro due dati disomogenei, ossia il termine di due anni entro cui di regola va definito il giudizio d'appello, con quello inferiore in cui era stata svolta soltanto una parte del processo di secondo grado (tant'è che la stessa Corte campana ha rilevato al riguardo che il ricorrente non aveva comprovato "la perdurante pendenza" del giudizio presupposto alla data dell'udienza del 2.11.2012).
Per contro, la Corte d'appello avrebbe dovuto valutare la durata complessiva del giudizio presupposto sino alla data di proposizione della domanda e liquidare l'indennizzo in base alla differenza fra il temoo trascorso e quello, inferiore, che sarebbe stato ragionevole per compiere le medesime attività processuali, operando una giusta proporzione tra quest'ultimo e lo standard temporale di definizione dell'intero giudizio.

4. - L'accoglimento del motivo nei limiti anzi detti assorbe ogni restante censura, e cioè sia le altre doglianze del primo mezzo sia il secondo motivo.
5. - Pertanto, il decreto impugnato va cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli, la quale nel decidere il merito si atterrà al seguente principio di diritto (che ovviamente concerne la L. n. 89 del 2001, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012): "in tema di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, il giudice di merito, allorchè il giudizio presupposto sia ancora pendente alla data della proposizione della domanda, deve valutare la durata complessiva di esso così come svoltosi sino a tale momento, e liquidare l'indennizzo in base alla differenza fra il tempo trascorso e quello, inferiore, che sarebbe stato ragionevole per compiere le medesime attività processuali, operando una giusta proporzione tra quest'ultimo e lo standard temporale di definizione dell'intero giudizio".
6. - Il giudice di rinvio provvederà, altresì, sulle spese di cassazione, di cui questa Corte fa rimessione ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 3.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo nei limiti di cui in motivazione, assorbita ogni altra censura, cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli, che provvederà altresì sulle spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile - 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 18 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2014


 

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