REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo - Presidente -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. SAVINO Mariapia G. - Consigliere -
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -
Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.C.,
avverso la sentenza della Corte d'appello di CALTANISSETTA in data 18/07/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DELEHAYE Enrico, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell'Avv. Guarnaccia R., che ha chiesto accogliersi il ricorso.

Svolgimento del processo

1. M.C. ha proposto ricorso, a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, avverso la sentenza della Corte d'appello di CALTANISSETTA, emessa in data 18/07/2013, depositata in data 8/10/2013, con cui, in parziale riforma della sentenza del tribunale di GELA del 9/10/2012, veniva ridotta la pena inflitta al ricorrente a mesi 1 di arresto ed Euro 5000,00 di ammenda per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), per aver realizzato, senza concessione edilizia, quale proprietario, alcune opere edilizie meglio descritte nel capo 1) dell'imputazione.
Fatti contestati come accertati nel periodo compreso tra il ____.

2. Con il ricorso, proposto a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b).
La censura investe l'impugnata sentenza per aver la Corte d'appello ritenuto responsabile il ricorrente del reato sub 1), nonostante l'intervento eseguito consistesse nella pavimentazione, con conglomerato cementizio battuto, di una piccola porzione di terreno (pari a mq. 750), che non avrebbe minimamente determinato la variazione della destinazione del fondo; in sintesi, il ricorrente avrebbe provveduto a realizzare, su una piccola porzione del fondo agricolo (pari al 9,55% dell'intero) uno spiazzo utile alla manovre ed alla sosta dei mezzi, senza creare nuovi volumi; la giurisprudenza richiamata dalla Corte d'appello a sostegno della condanna sarebbe erronea, riguardando la pavimentazione di un'area estesa di mq. 8800 relativamente ad un'area adibita a parcheggio.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all'art. 42 c.p., comma 4, nella parte in cui i giudici hanno escluso un errore sul fatto e, dunque, la buona fede del ricorrente.
La censura investe l'impugnata sentenza per non aver la Corte d'appello ritenuto esistente la buona fede del ricorrente, in quanto attesa la modesta consistenza dell'intervento edilizio, era indubitabile che il ricorrente non avesse la piena coscienza e volontà di commettere un reato, soprattutto laddove si consideri che il Comune aveva consentito al ricorrente la recinzione della superficie relativa alla predetta pavimentazione; in altri termini, poichè il Comune aveva comunicato al ricorrente che, per la realizzazione del muro di recinzione, non fosse necessario il permesso di costruire, questi sarebbe stato indotto a ritenere priva di rilievo penale la realizzazione della pavimentazione di un'esigua porzione del fondo agricolo, obiettivamente meno incisiva rispetto alla realizzazione di un muro di recinzione, sicchè la volontà del ricorrente sarebbe stata inficiata da una difettosa percezione della realtà e, quindi, da un errore sul fatto determinato da una situazione non ricollegabile alla sua volontà.

Motivazione

3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
4. I motivi, attesa l'omogeneità dei profili di censura dedotti, possono essere congiuntamente trattati.
Ambedue si appalesano, tuttavia, inammissibili a giudizio del Collegio. Ed invero, emerge dall'impugnata decisione che il ricorrente è stato condannato per aver realizzato nel suo terreno, esteso circa 750 mq., una pavimentazione con battuto di cemento armato; la Corte territoriale ha ritenuto del tutto privo di rilievo la circostanza, dedotta dal ricorrente, secondo cui la predetta pavimentazione riguardasse solo una parte del fondo, giacchè, in ogni caso, vi era stata una trasformazione urbanistica del territorio; nè, infine, rileva la circostanza che questi avesse ottenuto un'autorizzazione amministrativa che, in realtà, riguardava solo la realizzazione di una recinzione di conci in tufo, che il ricorrente aveva però costruito utilizzando cemento armato.
Osserva il Collegio, quanto all'intervento edilizio in sè, che è pacifico che per la realizzazione di una pavimentazione in cemento armato è necessario il massimo titolo abilitativo (permesso di costruire), a nulla rilevando la pretesa esiguità dell'intervento rispetto all'estensione complessiva del terreno. E' stato già affermato da questa Corte, infatti, che le opere di pavimentazione di un suolo con impiego di conglomerato cementizio importano una modificazione dello stato dei luoghi ottenuta con attività costruttiva che richiede la concessione edilizia (Sez. 3, n. 10127 del 06/03/1978 - dep. 25/07/1978, Galletto, Rv. 139840).

4.1. Quanto, poi, alla presunta configurabilità, nel caso in esame, di un errore sul fatto che costituisce reato ex art. 42 c.p., comma 4 (rectius, art. 47 c.p.), detto errore non può essere utilmente invocato nel caso in esame, in quanto il convincimento soggettivo del ricorrente secondo cui, per la pavimentazione non occorresse il permesso di costruire, non seguiva ad una erronea comunicazione del Comune (che, invece, aveva rilasciato l'autorizzazione ad eseguire la sola recinzione), con conseguente esclusione dell'invocata buona fede del contravventore.
Sul punto, infatti, è stato già in precedenza affermato da questa Corte che, per trovare applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 24 marzo 1988 (con la quale detta Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile) è necessario che dagli atti del processo risulti che l'agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge, sicchè nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, gli possa essere mosso, e che, pertanto, la violazione della norma sia avvenuta per cause del tutto indipendenti dalla sua volontà (v., sul punto: Sez. 3, n. 2698 del 18/01/1991 - dep. 01/03/1991, Sina, Rv. 186513).
Ne consegue che nell'ipotesi di esecuzione di un intervento edilizio in assenza di permesso di costruire non ricorrono gli estremi dell'esimente suddetta allorquando l'imputato abbia male interpretato una pur chiara disposizione di legge e non si sia premurato di consultare il competente ufficio per conoscere quali adempimenti egli avrebbe dovuto compiere, erroneamente formandosi il convincimento soggettivo, sulla base di un provvedimento della pubblica amministrazione riguardante opera edilizia diversa da quella abusivamente realizzata, che non fosse necessario alcun titolo abilitativo per la realizzazione di quest'ultima.

Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:
Nell'ipotesi di esecuzione di un intervento edilizio in assenza di permesso di costruire non ricorrono gli estremi della buona fede con efficacia esimente ex art. 5 c.p., nell'interpretazione datane dalla Corte cost. con la sentenza n. 364/1988, allorquando l'imputato abbia male interpretato una pur chiara disposizione di legge e non si sia premurato di consultare il competente ufficio per conoscere quali adempimenti egli avrebbe dovuto compiere, erroneamente formandosi il convincimento soggettivo, sulla base di un provvedimento della pubblica amministrazione riguardante opera edilizia diversa da quella abusivamente realizzata, che non fosse necessario alcun titolo abilitativo per la realizzazione di quest'ultima.

5. Per completezza, infine, rileva il Collegio che per il reato per cui si procede il termine di prescrizione massima, in assenza di sospensioni, maturerà in data 11 giugno 2014, successivamente alla decisione di questa Corte.
6. Il ricorso dev'essere, dunque, dichiarato inammissibile.
Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 (mille/00).

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2014


 

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