REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGONESI Vittorio - Presidente -
Dott. CRISTIANO Magda - Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - rel. Consigliere -
Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 17364-2014 proposto da:
D.W., W.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MACHIAVELLI 25, presso lo studio dell'avvocato TELESCA GABRIELLA, rappresentati e difesi dall'avvocato FEROCI CONSUELO giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DEI MINORI DI ANCONA, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI ANCONA;
- intimati -
avverso il decreto n. R.G. 154/2014 V.G. della CORTE D'APPELLO di ANCONA del 9/04/2014, depositata il 17/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO;
udito l'Avvocato Consuelo Feroci difensore dei ricorrenti che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Motivazione

Rilevato che è stata depositata la seguente relazione in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 17364 del 2014:

"Gli odierni ricorrenti sono cittadini cinesi che, giunti nel 2002 in Italia in cerca di un futuro migliore, non hanno mai regolarizzato la loro posizione di stranieri - benchè, vale precisare, altro giudizio penda innanzi al Giudice di merito per accertare la legittimità del provvedimento col quale è stato negato loro il permesso di soggiorno.
Genitori di due bambini ( D.S.J., ___ anni, e D.W. F., ___ anni), nel 2012 essi presentavano ricorso al Tribunale per i Minorenni delle Marche (Ancona) ai sensi dell'art. 31, comma 3, T.U.I., chiedendo di essere autorizzati a permanere in Italia, per un periodo di tempo determinato, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico dei minori presenti; in particolare, i ricorrenti fondavano la loro istanza sul diritto all'unità familiare, sul diritto dei bambini all'assistenza e, più in generale, sulla primazia che l'interesse dei minori deve vantare su differenti, se non anche antitetici, interessi.

Il Giudice di primo grado negava l'autorizzazione richiesta con decreto, che veniva reclamato dagli odierni ricorrenti innanzi alla Corte d'Appello delle Marche. A sostegno del gravame, i signori W. e C. lamentavano la sommarietà del giudizio di primo grado e il mancato rispetto della normativa sulla tutela dei minori figli di immigrati irregolari (T.U.I., in particolare), ribadendo l'importanza dei diritti già ricordati in prime cure.

La Corte d'Appello rigettava il reclamo con decreto e, per l'effetto, confermava il provvedimento del Tribunale, sostenendo che:
- il decreto del Tribunale, pur effettivamente sommario, si era conformato all'interpretazione che il Giudice della nomofilachia ha da ultimo fornito del D.Lgs. n. 386 del 1998, art. 31;
- in particolare, nel caso che ne occupa non sarebbe ravvisabile un concreto pregiudizio per i minori nel caso di allontanamento dei genitori dal territorio nazionale, anche perchè non è escluso che, lasciando l'Italia, essi portino con sè i figli.

Avverso il decreto della Corte d'Appello hanno proposto ricorso in Cassazione i signori W. e C., affidandosi ai seguenti motivi:
1. Violazione dell'art. 31 DEL T.U.I., in particolare alla luce del concetto di "gravi motivi" comma 3) per come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità prevalente in seguito alla pronuncia Cass. sez. un. n. 21799 NB. e non 21779, come erroneamente scritto nel ricorso) del 2010, per aver il Giudice di secondo grado interpretato in senso irricevibilmente restrittivo la norma, non considerando che i "gravi motivi" di cui al cit art. 31 non debbono necessariamente afferire ad una situazione "eccezionale" o ad un imminente pericolo per la salute del minore;
2. Violazione dell'art. 19 del T.U.I., anche alla luce della Convezione di New York sui Diritti del Fanciullo, per aver il Giudice di secondo grado di fatto violato il divieto di espulsione di soggetti minori e/o ingiustificatamente leso il diritto all'unità familiare. In particolare, i ricorrenti sostengono che la loro espulsione dall'Italia comporterebbe come inevitabile conseguenza la rottura dell'unità familiare, perchè i figli rimarrebbero in Italia con lo zio; e che, a tutto voler concedere, se invece portassero con loro i figli, il decreto oggi impugnato ne avrebbe di fatto deliberato l'espulsione, illegittima perchè rivolta a soggetti minorenni;
3. Carenza e illogicità della motivazione, per non aver il Giudice di secondo grado effettuato il giudizio prognostico che l'art. 31, comma 3, T.U.I. richiede in ordine alla prospettiva di un danno grave allo sviluppo psico-fisico del minore.

Il primo motivo è infondato.
Infatti, è vero che la Suprema Corte (cfr. Cass., sez. un., n. 21799 del 2010, citata anche dai ricorrenti) ha precisato che l'art. 31, comma 3, T.U.I. non richiede necessariamente l'eccezionalità della situazione o l'imminenza di un grave pericolo alla salute del minore, ma è altrettanto vero che il Giudice della nomofilachia peraltro nella medesima pronuncia poc'anzi menzionata) ha ribadito come la norma non possa parimenti essere intesa in senso tanto estensivo da ricomprendere, nel concetto di "grave danno", la mera possibilità che i minori crescano (in Italia) separati dai genitori, questi ultimi venendo espulsi dal Paese - tanto varrebbe, altrimenti, vietare l'espulsione degli stranieri che abbiano figli minorenni. Per contro, questa Corte ha precisato che il pregiudizio alla salute psico-fisica del minore (che, in potenza, può ben derivare dall'espulsione dei genitori dall'Italia, in ragione della conseguente separazione dai figli che ivi rimanessero) deve essere di volta in volta dimostrato esistente, ciò che non è avvenuto nel caso che ne occupa, di cui l'infondatezza del motivo di ricorso.

2. Il secondo motivo è palesemente infondato.
Da una parte, infatti, il diritto all'unità familiare non può, sic et simpliciter, fondare il rifiuto dell'espulsione di uno straniero irregolare - perchè, ancora una volta, se una siffatta, iperestensiva interpretazione fosse da accogliere, tanto varrebbe vietare l'espulsione degli stranieri che hanno figli minori -; dall'altra, i ricorrenti stessi confessoriamente tradiscono la pretestuosità dell'altro motivo (violazione del divieto d'espulsione dei minori) giacchè sostengono che, probabilmente, i figli rimarranno a vivere in Italia con lo zio - di cui, se così non sarà, ciò dipenderà dalla volontà dei genitori, e non certo dal provvedimento di un giudice;

3. Il terzo motivo è palesemente infondato, in quanto il provvedimento oggi impugnato non è privo di motivazione, nè questa è meramente oracolare o carente sol perchè il convincimento del Giudicante, articolato in una logica coerente, non aderisce alla prospettazione dei ricorrenti. Pertanto, ove si condividano i predetti rilievi, si converrà sulla reiezione del ricorso".

Il Collegio, anche alla luce dei più recenti orientamenti della sezione (Cass.17739 e 15191 del 2015) rileva che dall'esame della sentenza impugnata si evidenzia la totale mancanza, così come puntualmente censurato nel terzo motivo, di un giudizio prognostico che tenga conto in concreto delle caratteristiche dei minori (età, nascita, luogo di allontanamento dei genitori, concreta possibilità di contatti etc.) e dell'irrilevanza ai fini del giudizio da svolgere della possibilità che i minori possano espatriare con i genitori.

Quest'ultima, infatti, non può essere ritenuta un'opzione valutabile dal giudice, in virtù del divieto di espulsione dei minori vigente nel nostro ordinamento e del conseguente diritto costituzionalmente e convenzionalmente garantito dei minori di soggiornare in Italia unitamente ai genitori ove ricorrano le condizioni di legge. A tale ultimo riguardo deve essere evidenziato che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3 costituisce uno strumento a favore del minore ed in funzione del suo "best interest" oltre che della realizzazione del diritto all'unità familiare. Poichè come rilevato ripetutamente dalla giurisprudenza della CEDU il diritto all'unità familiare non è assoluto ma deve essere verificato mediante un corretto bilanciamento, anche in funzione del principio di proporzionalità, con gli interessi pubblici statuali che ad essi, nella specie si contrappongono, il legislatore ha stabilito condizioni di temporaneità dell'autorizzazione al soggiorno dei genitori e requisiti oggettivi da accertarsi caso per caso. Tali ultimi requisiti non devono essere rinvenuti solo nelle ipotesi in cui si verifichino situazioni di emergenza o circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute ma anche quando si riscontri un danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave anche correlato all'età (Cass. S.U. n. 21799 del 2010).
La valutazione del danno, conseguente all'allontanamento dei genitori o dallo sradicamento del minore deve essere fondata su un giudizio prognostico che non trascuri in primo luogo l'età del minore o dei minori, il grado di radicamento del nostro paese, in relazione alla durata della vita del minore e del soggiorno e le prospettive, riferiti agli anni immediatamente successivi (trattandosi di misura temporanea, revocabile o rinnovabile), di concrete possibilità rapporto con i genitori medesimi nell'ipotesi del rimpatrio dei medesimi.
Tra questi indici quello dell'età, se prescolare, (Cass. 15191 del 2015) costituisce un elemento significativo che non deve essere trascurato così come quello del radicamento (costituente uno dei criteri Boultif per valutare la legittimità dell'ingerenza statuale nell'incidere il diritto alla vita familiare ex art. 8 CEDU).

Pertanto la valutazione di non specificità e gravità del disagio che non tenga conto di questi due fattori, anche affidandosi ad un'indagine tecnica ove necessario, non è compiuta alla stregua del canone normativo così come interpretato dalle S.U. Un minore nato da pochi anni in Italia da cittadini stranieri di nazionalità cinese, verosimilmente condivide con il proprio nucleo familiare la quasi totalità della propria esistenza, non avendo a causa dell'età e della nazionalità straniera dei genitori molti altri poli affettivi di riferimento. Nello stesso tempo il paese in cui è nato costituisce l'unico habitat ambientale che conosce e nel quale ha iniziato la propria esistenza e sviluppato la propria personalità sotto il profilo cognitivo e relazionale. Il grado di elaborazione dei cambiamenti traumatici è verosimilmente proporzionale alla crescita. Tutti questi fattori sono stati omessi dal giudizio prognostico effettuato dalla Corte territoriale, con riferimento ai minori, essendo sufficiente che la gravita del disagio psico-fisico possa riscontrarsi in uno di essi. Ciò impone l'accoglimento del terzo motivo ricorso, l'assorbimento degli altri e la cassazione con rinvio.

PQM

LA CORTE accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2016


 

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