REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENTILE Mario - Presidente -
Dott. IANNELLI Enzo - Consigliere -
Dott. GALLO Domenico - rel. Consigliere -
Dott. RAGO Geppino - Consigliere -
Dott. VERGA Giovanna - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
L.P.R.;
avverso la ordinanza 17/2/2014 del Tribunale per il riesame di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. GALLO Domenico;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. VOLPE Giuseppe, che ha concluso chiedendo il rigetto;
udito per l'imputato, l'avv. PECORARO Cinzia, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 17/2/2014, il Tribunale di Palermo, a seguito di istanza di riesame avanzata nell'interesse di L.P. R., indagata per il reato di estorsione in concorso con il coniuge C.A., confermava l'ordinanza del Gip di Palermo, emessa in data 8/2/2014, con la quale era stata applicata alla prevenuta la misura cautelare dell'obbligo della periodica presentazione all'ufficio di P.G..
2. Il Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria fondato sulle dichiarazioni delle persone offese, i fratelli R. e V.G. e sulle circostanze che avevano portato all'arresto della prevenuta in flagranza di reato.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di reiterazione del reato alla luce della condotta spregiudicata della donna, ritenendo adeguata la misura dell'obbligo di presentazione ad un ufficio di pg.
3. Avverso tale ordinanza propone ricorso l'indagata, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando quattro motivi di gravame con il quali deduce:
3.1 Illegittimità della motivazione nelle parti in cui rinvia per relationem alle richieste del P.M.;
3.2 Errata qualificazione giuridica dei fatti, trattandosi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni;
3.3 Impossibilità di qualificare il fatto come estorsione, trattandosi di un'operazione suggerita dai Carabinieri alla p.o.;
4. Insussistenza dei presupposti delle esigenze cautelari riconosciute dal Tribunale.

Motivazione

1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
2. Il Tribunale, a fronte delle contestazioni della difesa, ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica del fatto come estorsione, riportandosi implicitamente alla motivazione del Gip che aveva osservato che quando la minaccia utilizzata si estrinseca (come nel caso di specie) in forme di tale forza intimidatoria e di tale pervicacia da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio (preteso) diritto, allora la coartazione dell'altrui volontà assume ex sè i caratteri dell'ingiustizia, trasformandosi in condotta estorsiva.

3. Tale motivazione non è condivisibile in punto di diritto ed è metodologicamente errata.
4. In punto di diritto, occorre richiamare la sentenza n. 51433/2013 di questa Sezione che, superando un precedente indirizzo giurisprudenziale ha statuito che: "l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e l'estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identico, ma per l'elemento intenzionale: nell'estorsione, l'agente mira a conseguire un profitto ingiusto con la coscienza che quanto pretende non gli è dovuto; nell'esercizio arbitrario, invece, l'agente è animato dal fine di esercitare un suo preteso diritto nella ragionevole opinione, anche errata, della sua sussistenza, pur se contestata o contestabile; - di conseguenza, deve affermarsi che l'intensità e/o la gravità della violenza o della minaccia non è un elemento del fatto idoneo ad influire sulla qualificazione giuridica del reato (esercizio arbitrario delle proprie ragioni - estorsione), atteso che, ove la minaccia o la violenza siano commesse con le armi, il reato diventa aggravato ex art. 393 c.p., comma 3 o art. 629 c.p. e art. 628 c.p., comma 3, n. 1 e, se la violenza o la minaccia ledano altri beni giuridici, fanno scattare a carico dell'agente ulteriori reati in concorso (lesioni, omicidio, sequestro di persona ecc.).
- pertanto, ove la violenza e/o la minaccia, anche se particolarmente intense o gravi, siano effettuate al solo fine di esercitare un preteso diritto, pur potendo l'agente ricorrere al giudice, non è mai configurabile il diverso delitto di estorsione che ha presupposti giuridici completamente diversi; tuttavia, ove la violenza e/o la minaccia, indipendentemente dalla intensità con la quale siano adoperate dall'agente, siano esercitate al fine di far valere un preteso diritto per il quale, però, non si può ricorrere al giudice, il suddetto comportamento va qualificato come estorsione ma non perchè l'agente eserciti una violenza o minaccia particolarmente grave ma perchè il suo preteso diritto non è tutelabile davanti all'autorità giudiziaria, sicchè, venendo a mancare uno dei requisiti materiali del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, il fatto diventa qualificabile come estorsione".


5. Tale indirizzo è stato consolidato da un concomitante arresto di questa Corte che ha ribadito che i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e di estorsione (la cui materialità è descritta dagli artt. 393 e 629 c.p., nei medesimi termini) si distinguono in relazione all'elemento psicologico: nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia. In motivazione la Corte ha evidenziato che l'elevata intensità o gravità della violenza o della minaccia di per sè non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 c.p., e tale lettura è confermata dal fatto che il legislatore prevede che l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni possa essere - come l'estorsione-aggravato dall'uso di armi (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 705 del 01/10/2013 Ud. (dep. 10/01/2014) Rv.258071).

6. Nel caso di specie il Tribunale ha commesso un errore di metodologia giuridica perchè, ha eluso il problema della sussistenza o meno del preteso diritto invocato dalla difesa, adagiandosi su una non corretta interpretazione della linea di discrimine fra il reato di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, ancorata esclusivamente al canone delle modalità della condotta violenta o minacciosa.
Al contrario, l'esame della plausibilità giuridica della pretesa vantata dalla difesa, deve necessariamente precedere ogni valutazione in ordine alla qualificazione giuridica della condotta.
7. Al riguardo deve essere affermato il seguente principio di diritto: "in tutti i casi in cui, a fronte di una imputazione di estorsione, venga eccepito dalla difesa dell'imputato di aver agito al fine di esercitare un preteso diritto, il Giudice non può determinare l'esatta qualificazione giuridica della condotta se preliminarmente non procede all'esame della pretesa vantata dall'agente per verificare se abbia i requisiti dell'effettività e della concretezza, tali da renderla idonea ad essere azionata in giudizio; solo dopo aver svolto tale accertamento, il giudice può procedere all'esame dell'elemento psicologico per verificare se l'imputato abbia agito nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero abbia agito per perseguire il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia".

8. Di conseguenza, l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale per il riesame di Palermo che, nell'effettuare il nuovo giudizio, si conformerà ai principi di diritto enunciati sopra e valuterà se l'agente abbia agito con la convinzione di esercitare un preteso diritto -concretamente - tutelabile dinanzi all'autorità giudiziaria, ovvero se abbia agito per il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia.

PQM

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvio al Tribunale di Palermo per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2014


 

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