REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto - Presidente -
Dott. STALLA Giacomo Maria - Consigliere -
Dott. LANZILLO Raffaella - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3255/2012 proposto da:
M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AMEDEO CRIVELLUCCI 21, presso lo studio dell'avvocato LAMPIASI ANDREA, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIUSEPPE VALTER CAVAGNA giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
BANCA POPOLARE DI SONDRIO SOCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI in persona del Direttore Centrale Principale R.F. e del Procuratore C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio dell'avvocato ROMANELLI GUIDO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato BENITO PERRONE giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1233/2011 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 02/05/2011, R.G.N. 1755/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/11/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l'Avvocato GUIDO ROMANELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. V.R.B. e M.R. nel 1994 prestarono in favore della Banca Popolare di Sondrio una fideiussione, per garantire le obbligazioni che verso la suddetta banca aveva la società Giesseci s.a.s..
2. In forza di tale garanzia, la banca nel 1997 chiese ed ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti dei due fideiussori.
Mentre l'uno di essi ( V.R.B.) propose opposizione al decreto, l'altra ( M.R.) non fece altrettanto. Di conseguenza, permanendo l'inadempimento, la banca pignorò presso terzi il quinto dello stipendio della debitrice M.R.
Al pignoramento fece seguito l'assegnazione alla banca della quota di stipendio pignorata, disposta dal giudice dell'esecuzione il 24.6.1997.
3. Nel 1999 M.R. convenne la Banca Popolare di Sondrio dinanzi al Tribunale di Milano, allegando che la banca aveva continuato a prelevare il quinto dello stipendio anche dopo l'avvenuta estinzione del debito, fino ad incamerare la somma non dovuta di circa 24 milioni di lire. Chiese perciò la restituzione delle somme percepite dalla banca in eccedenza rispetto a quanto effettivamente dovuto.
4. Il Tribunale di Milano con sentenza 11.4.2006 accolse la domanda, quantificando in 2 milioni di lire l'eccedenza indebitamente incassata dalla banca.
La sentenza venne appellata da M.R. in via principale, e dalla banca in via incidentale.
La prima si dolse della sottostima dell'indebito, alla cui restituzione aveva diritto; la seconda all'opposto si dolse della sovrastima di esso.
La Corte d'appello di Milano con sentenza 2.5.2011 n. 1233 riformò la decisione di primo grado, accogliendo sia l'appello della banca che quello di M.R.

In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d'appello:
(a) determinò nella somma di circa 16 milioni di lire l'importo che la banca aveva incassato in eccedenza rispetto al dovuto, ed era tenuta a restituire;
(b) nel calcolo di tale somma, ritenne che tra i crediti della banca nei confronti di M.R. dovessero includersi anche le spese legali sostenute dall'istituto di credito per escutere l'altro fideiussore, V.R.B.
Ciò sul presupposto che M.R. si era impegnata per contratto a pagare alla banca, nella veste di fideiussore, "quanto dovutole per capitale, interessi e spese" da parte del debitore principale.


5. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da M.R., sulla base di un motivo.
Ha resistito la banca con controricorso, chiedendo altresì (con la memoria ex art. 378 c.p.c.) la condanna della ricorrente per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c.

Motivazione

1. Il ricorso principale.
1.1. Con l'unico motivo di ricorso M.R. sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati gli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1367, 1368, 1936, 1938, 1941 e 1942 c.c.; art. 91 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5.
Lamenta l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha determinato la misura del credito della banca includendovi le spese legali da quest'ultima sostenute per escutere l'altro fideiussore, V. R.. Tale decisione secondo la ricorrente sarebbe erronea sotto due profili:
(a) sul piano dell'an, perchè con la propria fideiussione R. M. si era obbligata a garantire le somme dovute dal debitore principale e le somme spese dalla banca per esigerle, ma non le somme spese dalla banca per esigere l'adempimento del credito nei confronti degli altri fideiussori:
(b) sul piano del quantum, perchè la Corte d'appello in ogni caso aveva determinato le spese legali sostenute dalla banca per escutere l'altro fideiussore in misura pari non già all'importo stabilito dal giudice nella relativa procedura, ma in base alle fatture emesse dall'avvocato della banca, di importo maggiore rispetto alla liquidazione giudiziale.

1.2. Il motivo è fondato.
In fatto, nel presente giudizio non è in contestazione tra le parti che:
(a) il debitore principale della banca, ovvero la Giesseci s.a.s., non abbia adempiuto le proprie obbligazioni;
(b) la banca ha di conseguenza escusso i due fideiussori M. e V., ottenendo nei loro confronti un decreto ingiuntivo;
(c) il solo V.R. ha proposto opposizione al decreto;
(d) la banca ha preteso dal fideiussore M. le spese legali sostenute per contrastare l'opposizione del fideiussore V..
La Corte d'appello di Milano, a fronte di tale fattispecie concreta, ha ritenuto che M.R. dovesse rifondere alla banca le spese legali da questa sostenute in seguito all'iniziativa giudiziale di V.R.. Ha affermato che tale conclusione si imponeva ai sensi dell'art. 7 del contratto di fideiussione stipulato tra M.R. e la banca, il quale prevedeva l'obbligo del fideiussore di rifondere alla banca l'importo dovuto dal debitore principale, oltre "interessi, spese, tasse e ogni altro accessorio".

1.3. Così decidendo, la Corte d'appello ha violato sia le norme sulla fideiussione, sia quelle sull'interpretazione dei contratti.
Quanto alle prime, va ricordato che la fideiussione è un contratto con prestazioni a carico di una parte sola, ovvero il garante. Per effetto di essa quest'ultimo si obbliga a pagare al debitore l'obbligazione altrui (art. 1936 c.c.).
La fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore (art. 1941 c.c.); ma comprende anche le spese successive alla denunzia al fideiussore della causa "promossa contro il debitore principale" (art. 1942 c.c.).
Da questo blocco di norme discende che il debitore può essere obbligato a pagare:
(a) le spese sostenute dal creditore per escutere il debitore principale; e questa è una obbligazione per il fatto altrui;
(b) le spese sostenute dal creditore per escutere il fideiussore stesso, in virtù del generale principio di cui all'art. 91 c.p.c.; e questa è una obbligazione per il fatto proprio.


Da questo quadro normativo esula qualsiasi responsabilità del fideiussore per le spese legali eventualmente sostenute dal creditore per escutere altri fideiussori. A ragionar diversamente si perverrebbe infatti all'assurdo che il fideiussore finirebbe per garantire non solo l'adempimento del debitore principale, ma anche quello degli altri fideiussori, nel caso questi ultimi non adempiano le proprie obbligazioni e siano aggrediti in executivis dal creditore garantito.
La decisione impugnata è dunque erronea per avere addossato al fideiussore un onere escluso dal perimetro legale delle sue obbligazioni.

1.4. La decisione impugnata è altresì erronea per avere violato gli artt. 1362, 1370 e 1371 c.c..
La Corte d'appello, infatti, si è trovata a dover stabilire la portata d'una clausola contrattuale, contenuta nel contratto di fideiussione, la quale stabiliva l'obbligo del fideiussore di rifondere alla banca l'importo dovuto dal debitore principale, oltre "interessi, spese tasse e ogni altro accessorio".
La prima regola da seguire nel l'interpretare tale clausola sarebbe dovuta essere quella letterale (art. 1362 c.c.).
Dal punto di vista letterale la clausola in esame si compone d'un soggetto ("il fideiussore"), un verbo ("è tenuto") ed una proposizione oggettiva ("pagare quanto dovuto per spese"). Le "spese" sono dunque il complemento oggetto di un proposizione infinitiva che delimita l'obbligo del fideiussore: e poichè sono accomunate al "capitale" ed agli "interessi", non poteva esservi dubbio alcuno che si trattasse delle spese di esazione dovute al creditore dal debitore principale, non certo da altri fideiussori.
Ma anche a negare che così fosse, non si sarebbe potuto però negare che la clausola fosse quanto meno ambigua. Di conseguenza la Corte d'appello avrebbe dovuto fare ricorso da un lato al criterio dell'interpretazione meno gravosa per l'obbligato (art. 1371 c.c.), vale a dire per il fideiussore; e dall'altro al criterio dell'interpretatio contra proferentem (art. 1370 c.c., trattandosi di clausola predisposta unilateralmente dalla banca.

1.5. La sentenza deve dunque essere cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Milano, che esaminerà nuovamente la questione alla luce del seguente principio di diritto:
"Nel caso di fideiussione plurima, e salvo patto contrario ed espresso, ciascun fideiussore risponde delle spese sostenute dai creditore per escutere il debitore principale, ma non di quelle sostenute per escutere gli altri fideiussori".

2. Il secondo profilo di doglianza prospettato dalla ricorrente, attinente il quantum dell'indebito di cui si chiede la restituzione, è solo parzialmente fondato.
Non v'è dubbio che la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni dei giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese di causa, e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti (ex plurimis, Sez. 2, Sentenza n. 1264 del 15/02/1999, Rv. 523250).
Per effetto della regola suddetta il creditore vittorioso in giudizio non può pretendere dal debitore soccombente la rifusione di spese legali superiori a quelle liquidate dal giudice, mentre l'avvocato della parte vittoriosa può pretendere dal proprio cliente onorari anche superiori a quelli liquidati dal giudice.

La regola in esame, però, resta circoscritta ai due rapporti appena indicati, ovvero: (a) al rapporto tra l'avvocato ed il proprio cliente; (b) al rapporto tra quest'ultimo e la controparte processuale.
Essa invece non ai applica al diverso rapporto tra il creditore che, avendo escusso giudizialmente il debitore, sia risultato vittorioso, ed il fideiussore obbligato a rifondere al primo le spese di lite.
In questo caso l'obbligo di garanzia ha ad oggetto le spese effettivamente sostenute dal creditore, non quelle liquidate dal giudice, per la semplice ragione che la statuizione giudiziale è stata pronunciata in un giudizio cui il fideiussore è rimasto estraneo.

Ne consegue che nel caso di specie:
(a) le spese eventualmente sostenute dalla banca per remunerare il proprio avvocato in relazione all'esazione coattiva del credito nei confronti del debitore principale Giesseci dovranno essere rifuse per intero dal fideiussore, secondo l'esborso effettivamente sostenuto ed a prescindere dalla liquidazione giudiziale;
(b) le spese eventualmente sostenute dalla banca per escutere il debitore M.R. sono dovute nella misura liquidata dal giudice;
(c) le spese sostenute dalla banca per escutere l'altro fideiussore V.R., per quanto già detto, non sono dovute dal diverso fideiussore M.R..
Il giudice di rinvio, nel rideterminare il quantum della pretesa attorea, applicherà i principi appena indicati.

3. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 3.

PQM

la Corte di cassazione:
- accoglie il ricorso, cassa e rinvia la causa alla Corte d'appello di Milano in differente composizione;
- rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2015


 

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