REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero - Presidente -
Dott. LAPALORCIA Grazia - Consigliere -
Dott. ZAZA Carlo - Consigliere -
Dott. MICHELI Paolo - rel. Consigliere -
Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Z.P.;
avverso la sentenza emessa l'08/03/2012 dalla Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Z.P. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa il 22/01/2010 dal Tribunale di Parma nei suoi confronti, di condanna a pena ritenuta di giustizia per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale in ipotesi commessi in relazione alla gestione della Emmea s.r.l., società dichiarata fallita nell'aprile 2002 e della quale il ricorrente era stato amministratore unico; l'addebito, in particolare, riguarda la presunta distrazione di un conto cassa non rinvenuto dal curatore, nonchè dell'ammontare dei conti "crediti verso soci" e "crediti diversi", per una somma complessiva di oltre un milione di Euro.
Lo Z. deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione, essendo risultato che i soci della Emmea, a fronte delle difficoltà in cui la stessa versava, si erano indebitati personalmente verso le banche contraendo mutui a titolo personale e riversando nelle casse della società le somme che essi avevano ottenuto, a titolo di finanziamento: era quella, infatti, la condizione posta dagli istituti per consentire alla Emmea di accedere ulteriormente al credito. Ne era derivata la delibera della restituzione di quei denari ai soci, in forma rateale, consentendo agli stessi soci attraverso quella via di provvedere ad onorare le rate dei prestiti come sopra contratti: il tutto, comunque, "senza alcun aggravio per la società e senza alcun beneficio personale per i soci".
Ergo, la tesi difensiva è che "non può esistere ... distrazione costitutiva di bancarotta se non quando la diminuzione della consistenza patrimoniale comporti uno squilibrio tra attività e passività, capace di porre concretamente in pericolo l'interesse protetto, e cioè le ragioni della massa", potendosi ravvisare la fattispecie criminosa "solamente in presenza di una volontaria ed ingiusta diminuzione (algebrica) del patrimonio sociale". Il ricorrente richiama giurisprudenza di legittimità secondo cui la distrazione deve necessariamente consistere in un danno (inteso come deminutio patrimonii) alla massa fallimentare, nonchè ulteriori pronunce che risultano avere escluso la configurabilità della bancarotta per distrazione in caso di restituzione di finanziamenti concessi da un socio.
Infine, l'imputato segnala che secondo le risultanze istruttorie - ivi comprese le dichiarazioni rese dal curatore fallimentare - la posta contabile di 67.372,00 Euro, quale presunto ammanco di cassa, "costituiva una mera fictio, una mera trascrizione della operazione di finanziamento soci", senza dunque che potesse ritenersi oggetto di una reale distrazione, trattandosi di somma che "non esisteva materialmente".

Motivazione

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Secondo la stessa ricostruzione della vicenda offerta dal ricorrente, le somme oggetto delle contestate distrazioni sarebbero entrate nel patrimonio della società sotto forma di finanziamenti operati dai soci, i quali avevano ottenuto a quel fine dei prestiti bancari; gli stessi denari erano stati poi restituiti ai soci nel corso del tempo, in coincidenza con il versamento agli istituti di credito delle rate relative ai suddetti prestiti. E' pertanto evidente che, nel momento in cui le somme in questione uscirono dalla disponibilità della Emmea s.r.l., dopo esservi regolarmente entrate contribuendo alla formazione del patrimonio della stessa in quel dato momento, si realizzò un obiettivo impoverimento della società, a dispetto di quanto sostiene lo Z.: impoverimento da valutare non già al momento iniziale delle operazioni descritte, bensì tenendo conto della realtà economica formatasi per la Emmea in conseguenza dei finanziamenti de quibus.

Il patrimonio della Emmea era pertanto costituito anche dalle somme che vi erano confluite su iniziativa dei soci, e che era doveroso venissero impiegate per fini coerenti all'attività imprenditoriale ovvero rimanessero a garanzia dei creditori: ivi comprese, fra le altre, quelle non correttamente contabilizzate - perchè indicate come perdurante giacenza di cassa al momento della materiale restituzione ai soci - ma che comunque furono oggetto di distrazione, proprio perchè restituite nei termini anzidetti.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in vero, una volta provato che una somma di denaro acquisita da parte della società fallita (e non c'è dubbio che il finanziamento operato da un socio costituisca una ipotesi di acquisizione di beni del tutto fisiologica) non sia più rinvenibile, deve essere l'amministratore a fornire la prova della corretta destinazione della somma stessa: in tale contesto, anche la restituzione di un'anticipazione in un chiaro contesto di dissesto della società ben può costituire condotta rilevante ai fini di un addebito di bancarotta per distrazione, stante la grave conseguente lesione al patrimonio sociale posto a garanzia dei creditori.
Patrimonio che, si ribadisce, nell'odierna fattispecie non deve intendersi quello della Emmea preesistente ai finanziamenti (come reputa lo Z., laddove segnala che in definitiva non vi sarebbero stati aggravi per la società o benefici per i soci), ma quello che ne fu il risultato.

Deve rilevarsi, peraltro, che alcuni dei richiami del ricorrente alla giurisprudenza di legittimità si palesano non pertinenti o addirittura fuorvianti: in primis, la sentenza di questa Sezione n. 36764 del 24/05/2006 (ric. Bevilacqua) evoca sì la possibilità di valutare ex ante, in rapporto di compensazione, gli effetti immediatamente negativi di una operazione ritenuta distrattiva ed i benefici indiretti che ne siano conseguiti, ma ciò nel ben diverso ambito di operazioni infragruppo tra società collegate; inoltre, la sentenza - ancora di questa Sezione - n. 39043 del 21/09/2007 non esclude affatto la configurabilità di una bancarotta per distrazione in presenza di finanziamenti concessi da un socio ed a questi restituiti, affermando piuttosto un principio di valenza speculare, quando sia stata la società a finanziare un socio e sia stato il socio a restituire quanto ricevuto prima della dichiarazione di fallimento.
Stando alla massima ufficiale ricavata dalla pronuncia menzionata (Rv 238212, ric. Spitoni), infatti, "non integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione il finanziamento concesso al socio e da questi restituito in epoca anteriore al fallimento, in quanto la distrazione costitutiva del delitto di bancarotta si ha solo quando la diminuzione della consistenza patrimoniale comporti uno squilibrio tra attività e passività, capace di porre concretamente in pericolo l'interesse protetto e cioè le ragioni della massa dei creditori ed il momento cui fare riferimento per verificare la consumazione dell'offesa è quello della dichiarazione giudiziale di fallimento e non già quello in cui sia stato commesso l'atto, in ipotesi, antidoveroso".

E' invece corretto il richiamo del ricorrente al principio secondo cui "in tema di bancarotta fraudolenta, è necessario che la condotta distrattiva, idonea a determinare uno squilibrio tra attività e passività - e cioè un pericolo per le ragioni creditorie - risulti assistita dalla consapevolezza di dare al patrimonio sociale, o ad alcune attività, una destinazione diversa rispetto alla finalità dell'impresa e di compiere atti che possano cagionare danno ai creditori: occorre cioè che l'agente, pur non perseguendo direttamente tale danno, sia quantomeno in condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo" (Cass., Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006, De Rosa, Rv 233413).
Per le ragioni sopra esposte, tuttavia, detto principio non può che confermare la rilevanza penale delle condotte addebitate allo Z., il quale - sapendo che il prestito ottenuto personalmente dai soci costituiva l'unica possibilità per consentire alla società poi fallita di mantenere l'accesso al credito bancario (come egli stesso chiarisce nel ricorso, dunque essendo ben consapevole delle difficoltà in cui la società versava) - fece in modo che le somme comunque entrate nel patrimonio della Emmea venissero poste nella disponibilità dei soci finanziatori, piuttosto che rimanere a garanzia delle ragioni della massa dei creditori.

Nè, peraltro, potrebbe porsi un problema di riqualificazione del reato in rubrica, essendosi già precisato che "qualora il socio creditore si identifichi con lo stesso amministratore della società, la condotta di quest'ultimo, volta alla restituzione, in periodo di dissesto, di finanziamenti in precedenza concessi, integra l'ipotesi di bancarotta per distrazione e non quella di bancarotta preferenziale" (Cass., Sez. 5, n. 42710 del 03/07/2012, De Falco, Rv 254456. Nella motivazione di quest'ultima pronuncia viene ricordato che "nella sentenza di questa Sezione n. 14908 del 07/03/2008, Frigerio, pur affermandosi la configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale in caso di restituzioni ai soci di finanziamenti da questi concessi in precedenza, veniva ... sottolineata la necessità di tenere conto della connotazione soggettiva specifica del dolo che assiste questi pagamenti, in uno con la prova del volontario e specifico perseguimento dell'interesse del creditore privilegiato, a danno della restante massa creditoria.
Ed appare evidente che, nel caso in cui il creditore si identifichi nello stesso soggetto che assume le vesti di amministratore della società, contestualmente responsabile del depauperamento della decozione e delle risorse della stessa, un atto di disposizione patrimoniale che, in costanza dello stato di insolvenza, sia diretto in suo stesso favore assume significato ben diverso e più grave rispetto alla mera volontà di privilegiare un creditore in posizione paritaria rispetto a tutti gli altri").

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell'imputato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2014


 

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