REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta - rel. Consigliere -
Dott. ARMANO Uliana - Consigliere -
Dott. SESTINI Danilo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 18348/2008 proposto da:
N.N.T., M.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E.Q.VISCONTI 61, presso lo studio dell'avvocato VENETO ARMANDO, rappresentati e difesi dall'avvocato DENARO ANTONINO giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
MONTE PASCHI SIENA - GESTIONE CREDITI BANCA S.P.A., facente capo del GRUPPO BANCARIO MONTE DEI PASCHI DI SIENA, non in proprio, ma in nome e per conto della BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., aderente al FONDO INTERBANCARIO PER LA TUTELA DEI DEPOSITI, facente parte del GRUPPO BANCARIO MONTE PASCHI DI SIENA, in persona del Sig. Dr. L.F., quale sostituto dell'Ufficio periferico di Firenze della suddetta MPS GESTIONI CREDITI BANCA SPA e come tale legale rappresentante della medesima per gli affari del ridetto Ufficio Periferico, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE ARNALDO DA BRESCIA 9, presso lo studio dell'avvocato MANNOCCHI MASSIMO, rappresentata e difesa dall'avvocato GIANNOTTA GIUSEPPE ALESSANDRO giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
e contro
MA.GI., UNIPOL COM ASSIC SPA, BIPIELLE GESTIONE CRED SPA, TIEPOLO FINANCE 2 SRL;
- intimati -
avverso la sentenza n. 4451/2007 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 21/11/2007, R.G.N. 16690/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/03/2014 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;
udito l'Avvocato IGNAZIO MORONI per delega dell'Avvocato ANTONINO DENARO; udito l'Avvocato GIUSEPPE ALESSANDRO GIANNOTTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale previa correzione della motivazione della sentenza impugnata (art. 169 c.c.), inammissibilità o assorbimento di quello incidentale.

Svolgimento del processo

M.F. e N.N.T. proposero opposizione all'esecuzione promossa nei loro confronti da Monte Paschi Siena Gestione Crediti Banca spa assumendo che il bene immobile sottoposto a pignoramento fosse da ritenere impignorabile ai sensi dell'art. 170 c.c., perchè conferito nel fondo patrimoniale costituito con atto notarile trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Firenze in data 19.10.1994; in epoca, quindi, anteriore, sia all'iscrizione dell'ipoteca dagli stessi concessa a garanzia del mutuo da parte di Monte Paschi Siena Gestione Crediti Banca spa alla G.I.E.P. srl, sia al pignoramento trascritto nell'anno 2003.
La convenuta Monte Paschi Siena Gestione Crediti Banca spa, costituitasi, contestò il fondamento dell'opposizione chiedendo, in ogni caso, di essere tenuta indenne da ogni danno dal notaio stipulante il rogito, Ma.Gi., del quale chiese ed ottenne la chiamata in causa.
Quest'ultimo, costituitosi, chiamò in causa la compagnia di assicurazioni Unipol.
Con sentenza del 21.11.2007, il tribunale rigettò l'opposizione.
M.F. e N.N.T. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resiste con controricorso illustrato da memoria Monte Paschi Siena Gestione Crediti Banca spa.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivazione

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., per avere il Giudice fondato la propria decisione sulla base di presunzioni, in particolare sulla presunzione che ogni esercizio di attività d'impresa verrebbe per ciò stesso intrapreso e svolto per esigenze della famiglia, e per aver posto a carico di colui che opponga l'impignorabilità del bene costituito in fondo patrimoniale l'onere di provare che il creditore conosceva che l'obbligazione da cui il debito scaturisce era contratta per scopi estranei alla famiglia. Il tutto in palese violazione sia dei principi che regolano la distribuzione dell'onere della prova, in primis quello dettato dall'art. 2697 c.c., sia dei principi affermati dalla sentenza della Cassazione Civ., sez. 3^, 31/05/06 n. 12998 (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3): Omesso esame di un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5).

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norma di diritto per avere il Giudice di primo grado errato nell'interpretazione della norma di cui all'art. 170 c.c., applicandola in modo da giungere a conseguenze diverse da quelle previste dalla norma stessa, così violando altresì la norma dell'art. 12 preleggi (in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

3. I motivi, che attengono, sotto diversi profili al tema della impignorabilità del bene costituito in fondo patrimoniale e degli oneri probatori relativi, sono esaminati congiuntamente.

Essi non sono fondati.
Queste le ragioni.
3.1. In primo luogo, va ribadito il principio affermato da questa Corte, e correttamente applicato dal giudice di merito, per il quale l'onere della prova dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c., grava sulla parte che intende avvalersi del regime di Impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale.
Nel caso dell'opposizione proposta dal debitore avverso l'esecuzione avente ad oggetto tali beni, al fine di contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente ex art. 615 c.p.c., l'onere della prova grava sul debitore opponente; questi non deve provare soltanto la regolare costituzione del fondo patrimoniale e la sua opponibilità nei confronti del creditore pignorante, ma anche che il debito per cui si procede fu contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Si tratta di prova che, sulla base dei principi generali, può essere fornita anche avvalendosi di presunzioni ai sensi dell'art. 2729 c.c., gravando, comunque, sull'opponente l'onere di allegare e dimostrare i fatti noti, da cui desumere, in via presuntiva, i fatti oggetto di prova.

3.2. Quanto al criterio identificativo dei crediti che, essendo stati contratti per fare fronte ai bisogni della famiglia, possono essere soddisfatti anche in via esecutiva, va ribadito il principio di diritto per il quale "in tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell'art. 170 c.c., nel testo di cui alla L. 19 maggio 1975, n. 151 - per il quale detta esecuzione non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, vale a dire con riferimento alla necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia, bensì - analogamente a quanto, prima della riforma di cui alla richiamata L. n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali - nel senso di ricomprendere in tali bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi" (così già Cass. 7.1.1984 n. 134, seguita da Cass. 18.9.2001 n.11683; Cass. 30.5.2007 n. 12730; Cass. 7.7.2009 n. 15862; Cass. 19.2.2013 n. 4011).

Si è, quindi, preferita una nozione di bisogni della famiglia piuttosto ampia, per la quale si esclude che bisogni rilevanti siano soltanto quelli essenziali del nucleo familiare, ma vi si comprendono anche altre esigenze, purchè il loro soddisfacimento sia funzionale alla vita della famiglia. Inoltre, sì è attribuita rilevanza, non solo ai bisogni oggettivi, ma anche a quelli soggettivamente ritenuti tali dai coniugi, adottandosi peraltro un parametro di valutazione negativo, secondo quanto sopra.
Come è noto, controversa è la possibilità di ricondurre ai bisogni della famiglia i debiti derivanti dall'attività professionale o di impresa di uno dei coniugi anche in considerazione del fatto che i redditi relativi sono di norma, ma non necessariamente, destinati al mantenimento della famiglia (Cass. 18.9.2001 n. 11683).
Sotto questo profilo, se è vero che la destinazione ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistere per il solo fatto che il debito sia sorto nell'esercizio dell'impresa (Cass. 31.5.2006), tuttavia tale circostanza non è neppure idonea ad escludere, in via di principio, che il debito possa dirsi contratto per soddisfare tali bisogni (Cass. 7.7.2009 n. 15862).
Piuttosto, occorre che l'indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell'obbligazione, a prescindere dalla natura di questa: i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all'azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell'obbligarsi sia quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo, ma nel senso ampio indicato, nel quale sono ricompresi anche i bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell'indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari (v. anche Cass. 19.2.2013 n. 4011).

3.3. Il Tribunale di Firenze non si è discostato dai principi appena richiamati.
Ed invero, dopo aver ribadito l'interpretazione estensiva della norma quanto all'individuazione dei bisogni della famiglia rilevanti ex art. 170 c.c., ha affermato che gli attuali ricorrenti non avevano adempiuto all'onere probatorio sugli stessi gravante "limitandosi invece ad insistere sulla qualità del debito, come ictu oculi estraneo ai bisogni della famiglia in quanto assunto dalla G.I.E.P. s.r.l. per esigenze di impresa"; concludendo per il rigetto dell'opposizione. La statuizione è basata su di un accertamento in fatto; accertamento che, per essere relativo alla riconducibilità dei debiti alle esigenze della famiglia, è istituzionalmente riservato al giudice del merito e non è censurabile in cassazione, se congruamente motivato, come nella specie (da ultimo Cass. 24.1.2012 n. 933).
Il giudice del merito ha, infatti, ritenuto non adeguatamente provato detto presupposto perchè: a) il debito era stato contratto dalla società G.I.E.P. s.r.l. della quale gli attuali ricorrenti erano, entrambi, soci, il M. anche Presidente del consiglio di amministrazione e la N. consigliere dello stesso; b) la garanzia ipotecaria era stata concessa per conseguire un finanziamento in favore della società gestita dagli stessi soci M. e N.; c) in difetto di qualsiasi prova od allegazione su di una qualche diversa fonte di sostentamento della famiglia, doveva presumersi che proprio e soltanto dall'attività d'impresa derivassero i mezzi di sostentamento del nucleo familiare; d) gli opponenti avevano previsto nell'atto di costituzione del fondo patrimoniale la possibilità di concedere il bene in garanzia senza necessità di autorizzazione ex art. 169 c.p.c.
Sotto quest'ultimo profilo, l'esercizio della detta facoltà, con la concessione in garanzia sui beni costituiti in fondo patrimoniale al fine di conseguire un finanziamento in favore della società dagli stessi gestita, costituiva ulteriore elemento della destinazione del finanziamento alle esigenze familiari.
L'esame dei profili relativi all'istanza di manleva resta, quindi, assorbito dalle conclusioni raggiunte.

4. Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico solidale dei ricorrenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese in favore di Monte Paschi Siena Gestione Crediti Banca spa che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 26 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2014


 

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