LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - rel. Consigliere -
Dott. CARLUCCIO Giuseppa - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10912/2007 proposto da:
P.V.M.;
- ricorrente -
contro
Intesa San Paolo S.P.A. società incorporante il SanPaolo IMI S.P.A.;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2038/2006 del Tribunale di Catanzaro, depositata il 15/11/2006 R.G.N. 2987/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2012 dal Consigliere Dott. Giuseppina Luciana Barreca;
udito l'Avvocato Adolfo Pesaresi;
udito l'Avvocato Arrigo Ferrini;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Velardi Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso depositato il 22 ottobre 2004 P.V. M. propose opposizione all'esecuzione immobiliare promossa nei suoi confronti dinanzi al Tribunale di Catanzaro dal San Paolo Imi S.p.a. (così indicato nella sentenza impugnata) sulla base del decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Cassino in data 6 dicembre 1995.
pponente dedusse che gli immobili pignorati erano stati costituiti in fondo patrimoniale con atto del 16 giugno 1995, trascritto in Catanzaro in data 8 luglio 1995 ed annotato nel registro degli atti matrimoniali del Comune di Caserta prima del pignoramento.
1.2.- Instaurato il contraddittorio nei confronti dell'opposta, questa si costituì e contestò la fondatezza dell'opposizione.
2.- Accolta dal giudice dell'esecuzione l'istanza di sospensione del processo esecutivo e proseguito il giudizio di merito, con sentenza pubblicata il 15 novembre 2006, il Tribunale di Catanzaro ha rigettato l'opposizione all'esecuzione, condannando l'opponente al pagamento delle spese di lite.
3.- Avverso la sentenza, P.V.M. propone ricorso straordinario affidato a tre motivi, ciascuno dei quali seguito da relativo quesito di diritto. L'Intesa Sanpaolo S.P.A., incorporante per fusione Sanpaolo IMI S.p.A., si difende con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c.
Anche la ricorrente ha depositato memoria.

Motivazione

1.- Preliminarmente, va detto dell'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente Intesa Sanpaolo S.p.A., società incorporante il Sanpaolo IMI S.p.A. Quest'ultima deduce che il precetto sarebbe stato intimato ed il pignoramento sarebbe stato effettuato dal Sanpaolo IMI S.p.A., incorporante il Banco di Napoli S.p.A., non in proprio, ma nella qualità di mandatario e procuratore della Società per la Gestione di Attività - S.G.A. S.p.A.. Deduce altresì che nel procedimento di opposizione all'esecuzione si sarebbe costituito il Sanpaolo IMI S.p.A., non in proprio, ma nella qualità di mandatario e procuratore della Società per la Gestione di Attività - S.G.A. s.p.A., cessionaria del credito in base al quale si è agito, in persona del procuratore speciale sig. F. L., come sarebbe stato espressamente specificato nell'epigrafe della memoria difensiva di costituzione del 21 febbraio 2005 e nella procura all'uopo rilasciata in calce all'atto medesimo dallo stesso sig. F.L.. Conclude, rilevando che, essendo stato proposto il ricorso nei confronti del Sanpaolo IMI S.p.A., in proprio e non nella qualità di mandatario e procuratore di S.G.A. S.p.A., ed essendo stato notificato il ricorso alla società, in proprio, esso sarebbe inammissibile perchè rivolto nei confronti di soggetto diverso da quello che ha partecipato al grado di merito del giudizio, quindi a soggetto diverso da quello nei confronti del quale la sentenza è stata pronunciata.
1.2.- Ritiene il Collegio che l'eccezione debba essere disattesa, in ragione di quanto risulta dalla sentenza impugnata. Nell'epigrafe della sentenza è indicata come parte opposta "San Paolo Imi s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore"; nell'intero corpo della motivazione, sia nel a parte dedicata allo svolgimento del processo che in quella riservata ai motivi della decisione, si fa riferimento all'opposta come a "San Paolo Imi s.p.a.", senza ulteriori specificazioni o accenni alla qualità di mandataria o procuratrice di diverso soggetto; il dispositivo è diretto nei riguardi di "San Paolo Imi spa, in persona del legale rappresentante pro tempore".
Dato ciò, la sentenza deve ritenersi essere stata pronunciata nei confronti della società Sanpaolo IMI S.p.A., in proprio e non quale rappresentante volontario di altro soggetto.
Orbene, l'individuazione della parte che sta in giudizio e nei confronti della quale risulta emessa la statuizione della sentenza si deve evincere da quest'ultima, eventualmente tenendo conto della combinazione tra le diverse parti, in specie motivazione e dispositivo. Ne segue che, a prescindere dal fatto che detta individuazione sia corretta e corrispondente alle risultanze processuali, nonchè alla titolarità del rapporto sostanziale, purchè sia quella ritenuta dal giudice della sentenza della cui impugnazione si tratta, anche l'impugnazione deve essere rivolta nei confronti del soggetto che in essa è stato individuato come parte costituita in giudizio.
Ed invero la qualità di parte legittimata a proporre il ricorso per cassazione o a resistere ad esso spetta solamente a chi abbia formalmente assunto la qualità di parte nel giudizio di merito conclusosi con la sentenza impugnata, indipendentemente dall'effettiva titolarità (dal lato attivo o passivo) del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio (cfr., tra le tante, in specie Cass. n. 16100/06, nonchè di recente Cass. n. 520/12).
E' diverso il caso in cui la sentenza non indichi chiaramente il soggetto che abbia assunto la qualità formale di parte processuale, in modo che esso non risulti con assoluta certezza dalla lettura della sentenza, sicchè s'imponga un'attività interpretativa di questa, che potrebbe dover tenere conto delle risultanze di altri atti processuali. Nel caso di specie, come detto, le indicazioni contenute nella sentenza impugnata sono univoche e concordanti tra epigrafe, motivazione e dispositivo.
Va perciò reputato ammissibile il ricorso proposto nei confronti del San Paolo IMI S.P.A., dovendo ritenersi quest'ultima legittimata passiva rispetto all'impugnazione poichè avente la qualità formale di parte, in ragione di quanto espressamente risulta dalla sentenza impugnata.
2.- Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), violazione degli artt. 170 e 2697 c.c., e art. 12 disp. att. c.c., al fine di censurare il rigetto dell'opposizione che la sentenza impugnata ha basato sulla mancanza di prova da parte della debitrice dell'estraneità ai bisogni della famiglia del debito per il quale procedeva la banca creditrice. Sostiene la ricorrente che, secondo la giurisprudenza e la dottrina dominanti, dai bisogni della famiglia sarebbero escluse le esigenze essenzialmente individuali, tra cui l'accrescimento del patrimonio personale; che, in particolare, in ordine alle spese sostenute per potenziare l'attività d'impresa o, più in generale, l'attività lavorativa di un membro della famiglia, queste non si risolverebbero necessariamente in un vantaggio per l'intera famiglia, in quanto, in questo caso, la destinazione dei redditi ai bisogni della stessa, oltre ad essere eventuale, sarebbe senza dubbio parziale, alla luce del fatto che i redditi non dovrebbero essere destinati interamente alla famiglia. In conclusione, secondo la ricorrente, sarebbe innegabile che un potenziamento delle capacità lavorative di un membro della famiglia si risolverebbe in un aumento del patrimonio personale di quest'ultimo, e solo eventualmente nel miglioramento del tenore di vita del gruppo familiare.
La ricorrente critica anche l'applicazione dell'art. 2697 c.c., fatta al caso di specie da parte del Tribunale, per avere questi posto a carico della debitrice la prova dell'estraneità del debito ai bisogni della famiglia, mentre sarebbe stata onerata soltanto della prova della regolare costituzione del fondo patrimoniale (quest'ultima, fornita in giudizio). Aggiunge che il giudice di primo grado avrebbe omesso di valutare se la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio avessero o meno, nel caso di specie, inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia, con ciò omettendo di applicare, a detta della ricorrente, i principi di diritto più volte affermati da questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 12998/06.

2.1.- Il motivo è infondato.
In primo luogo, va ribadito il principio affermato da questa Corte, e correttamente applicato dal giudice di merito, per il quale l'onere della prova dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c., grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale. Nel caso dell'opposizione proposta dal debitore avverso l'esecuzione avente ad oggetto tali beni, al fine di contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente ex art. 615 c.p.c., l'onere della prova grava sul debitore opponente; questi non deve provare soltanto, come sostenuto dalla ricorrente, la regolare costituzione del fondo patrimoniale e la sua opponibilità nei confronti del creditore pignorante, ma anche che il debito per cui si procede venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia (cfr. Cass. n. 5684/06, n. 12730/07; V. anche Cass. n. 12998/06, con particolare riguardo all'ulteriore presupposto della conoscenza di tale estraneità in capo al creditore, di cui non è necessario occuparsi in questa sede).
Trattasi di prova che, alla stregua dei principi generali, ben può essere fornita anche avvalendosi di presunzioni ai sensi dell'art. 2729 c.c., gravando comunque sull'opponente l'onere di allegare e dimostrare i fatti noti, da cui desumere, in via presuntiva, i fatti oggetto di prova.
2.2.- Quanto al criterio identificativo dei crediti che, essendo stati contratti per fare fronte ai bisogni della famiglia, possono essere soddisfatti anche per via esecutiva, sono pertinenti i richiami che la ricorrente ha svolto ai precedenti di questa Corte.
In particolare, va ribadito il principio di diritto per il quale "in tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell'art. 170 c.c., nel testo di cui alla L. 19 maggio 1975, n. 151 - per il quale detta esecuzione non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia, bensì - analogamente a quanto, prima della riforma di cui alla richiamata L. n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali - nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi" (cosi già Cass. n. 134/84, seguita da Cass. n. 11683/01, citata nella sentenza impugnata; nonchè, di recente, da Cass. n. 15862/09).
Si è quindi preferita una nozione di bisogni della famiglia piuttosto ampia, per la quale si esclude che bisogni rilevanti siano soltanto quelli essenziali del nucleo familiare, ma vi si comprendono anche altre esigenze, purchè il loro soddisfacimento sia funzionale alla vita della famiglia; inoltre, si è attribuita rilevanza non solo ai bisogni oggettivi, ma anche a quelli soggettivamente ritenuti tali dai coniugi, adottandosi peraltro un parametro di valutazione negativo, secondo quanto sopra.
Come è noto, controversa è la possibilità di ricondurre ai bisogni della famiglia i debiti derivanti dall'attività professionale o d'impresa di uno dei coniugi, anche in considerazione del fatto che i redditi relativi sono di norma, ma non necessariamente, destinati al mantenimento della famiglia (cfr. Cass. n. 11683/01 cit.).
E' vero che, come sostenuto dalla ricorrente, secondo la giurisprudenza di questa Corte (ed, in particolare, Cass. 12998/06), la destinazione ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell'esercizio dell'impresa, tuttavia è evidente che la richiamata circostanza non è, a contrario, nemmeno idonea ad escludere in via di principio che il debito possa dirsi contratto per soddisfare detti bisogni (così Cass. n. 15862/09). Piuttosto, occorre che l'indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell'obbligazione, a prescindere dalla natura di questa: i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all'azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell'obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo, ma nel senso ampio di cui sopra, nel quale sono ricompresi anche i bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell'indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari.
2.3.- Il Tribunale di Catanzaro non si è affatto discostato dai principi appena richiamati.
Ed invero, dopo aver ribadito l'interpretazione estensiva della norma quanto all'individuazione dei bisogni della famiglia rilevanti ex art. 170 c.c., l'ha riferita al caso di specie motivando nel senso che non vi sono state, non solo prove, ma nemmeno allegazioni da parte dell'opponente sulle ragioni del debito assunto nei riguardi del San Paolo Imi, nè sulla destinazione a scopi estranei ai bisogni della famiglia delle somme utilizzate dal debitore. Ha quindi concluso per il rigetto dell'opposizione, ritenendo che l'opponente non avesse assolto l'onere della prova.
La statuizione è basata su un accertamento in fatto. Questo, in quanto relativo alla riconducibilità dei debiti alle esigenze della famiglia, è istituzionalmente riservato al giudice del merito e non è censurabile in cassazione, se congruamente motivato (cfr., da ultimo, Cass. n. 12730/07, n. 933/12).
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto non adeguatamente provato detto presupposto, perchè non desumibile dal contratto, che era fonte del debito, in sè solo considerato (lettera di fideiussione), essendo mancata ogni ulteriore allegazione in punto di fatto da parte dell'opponente quanto al contesto nell'ambito del quale l'obbligazione era stata assunta. Trattasi di motivazione logica e coerente con i principi di diritto di cui sopra.
L'assunto della ricorrente secondo cui la sentenza sarebbe errata perchè il giudice di merito non avrebbe tenuto conto della fonte e delle ragioni del rapporto obbligatorio che avrebbero dovuto far presumere l'inerenza immediata e diretta di questo ai bisogni della famiglia - assunto, che, peraltro, avrebbe dovuto essere dedotto sotto il profilo del vizio di motivazione (e, non per violazione di legge) - è comunque privo di fondamento.
Quanto alla fonte del credito, il Tribunale, ha espressamente precisato che, volendo considerare soltanto la lettera di fideiussione, questa avrebbe condotto ad una presunzione contraria a quella favorevole all'opponente.
Quanto alle ragioni che avrebbero indotto la P. a stipulare l'obb1igazione, si è già detto che il Tribunale ha evidenziato proprio la mancata allegazione delle ragioni del rapporto obbligatorio, sicchè non è dato comprendere come il giudice avrebbe potuto tenere conto di un dato, che ha espressamente ritenuto non solo non dimostrato, ma nemmeno allegato. In conclusione, il primo motivo di ricorso va rigettato.
3.- Col secondo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione dell'art. 112 c.p.c., perchè il Tribunale avrebbe fondato il rigetto dell'opposizione sulla norma dell'art. 170 c.c., laddove la difesa dell'opposta si sarebbe limitata ad eccepire l'annullabilità del contratto ex art. 1442 c.c., comma 4. Così decidendo, il giudice di prime cure, secondo la ricorrente, sarebbe incorso nel vizio di ultrapetizione per avere respinto l'opposizione, non in quanto inefficace ex art. 1442 c.c., come eccepito dai creditore opposto, quanto perchè i beni costituiti in fondo non erano aggredibili ex art. 170 c.c., così introducendo una causa petendi che non sarebbe stata invocata dall'istituto di credito opposto.
3.1.- Col terzo motivo di ricorso sì denuncia nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4) per omessa indicazione delle conclusioni, in violazione dell'art. 132 c.p.c., perchè nella sentenza è indicato solo che "all'udienza del 8/6/2006 i procuratori delle parti concludevano riportandosi ai reciproci scritti difensivi e verbali di causa", senza riportare nel dettaglio tali conclusioni.
Secondo la ricorrente, si avrebbe nullità della sentenza perchè il giudice, oltre a non avere riportato le conclusioni, neppure ne avrebbe tenuto conto, avendo erroneamente richiamato l'art. 1444 c.c., senza nemmeno entrare nel merito della questione di. diritto sollevata dall'opposta mediante il riferimento all'art. 1442 c.c., comma 4.
3.2.- I motivi, che, in quanto connessi, vanno trattati congiuntamente, non sono meritevoli di accoglimento.
Non vi è alcuna mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Il Tribunale ha valutato la sussistenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c., vale a dire che ha limitato la delibazione alla causa petendi dell'opposizione all'esecuzione, escludendone la fondatezza. Ha così rispettato l'art. 112 c.p.c., riguardo alla domanda dell'opponente, senza entrare nel merito delle eccezioni dell'opposta.
La causa petendi dell'opposizione all'esecuzione, basata sull'impignorabilità dei beni, comprende tutti i fatti ai quali questa impignorabilità consegue; si tratta cioè dei fatti costitutivi della domanda di accertamento dell'impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sottesa all'opposizione: di questi fatti, correttamente, si è occupato il giudice chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza o meno del motivo di opposizione prospettato dalla debitrice esecutata. Ed invero, nel giudizio di opposizione all'esecuzione, spetta all'opponente contestare il diritto della controparte di procedere ad esecuzione forzata, dando prova dei fatti allegati (che, di norma, in sè considerati, sono fatti estintivi, impeditivi o modificativi del l'obbligazione ovvero, come nel caso di specie, fatti comportanti l'impignorabilità dei beni) e degli elementi di diritto costituenti i motivi di opposizione; l'opposto, a sua volta, può contestare tali deduzioni, sia avvalendosi di eccezioni in senso tecnico, sia mediante mere difese, volte a contestare l'esistenza dei fatti che l'opponente assume a fondamento dell'opposizione ovvero le conseguenze che da tali fatti l'opponente vuole trarre (cfr. Cass. n. 1328/11).
Avendo ritenuto insussistente la prova del fatto posto a fondamento dell'opposizione, il Tribunale non si sarebbe dovuto occupare, e correttamente non si è occupato, e quindi non è entrato nel merito, dell'eccezione della parte opposta, fondata sull'art. 1442 c.c., comma 4, pur avendo dato atto in motivazione di tale eccezione dell'opposta. A quest'ultimo riguardo, va reputato mero errore materiale il richiamo dell'art. "1444" c.c., piuttosto che dell'art."1442" c.c., per come è reso evidente dal riferimento fatto, nello stesso contesto della motivazione, all'eccezione di "inefficacia - annullabilità", senza alcun cenno al diverso istituto della convalida.
Il richiamo per relationem alle conclusioni svolte dalle parti nei rispettivi atti difensivi e la considerazione di queste conclusioni da parte del giudice a quo, con riguardo ai punti decisivi del giudizio, rendono la sentenza immune dalla censura di cui al terzo motivo di ricorso (cfr. Cass. n. 4079/05, n. 6094/06).
4.- In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore della resistente nella somma di Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2013


 

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