REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - rel. Consigliere -
Dott. CIRILLO Francesco Maria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 5831-2008 proposto da:
S.E, P.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA EMILIO FAA' DI BRUNO 67, presso lo studio dell'avvocato CARUSO GIUSEPPE ANTONIO, che li rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
COND VIA ___, in persona dell'Amministratore in carica Sig. D.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VIMINALE 43, presso lo studio dell'avvocato EUFRATE ROBERTO, rappresentato e difeso dall'avvocato COPPOLA GIUSEPPE giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
e contro
BANCA ETRURIA LAZIO, D.M.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 841/2007 del TRIBUNALE di CIVITAVECCHIA, depositata il 17/10/2007 R.G.N. 3171/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/07/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l'Avvocato GIUSEPPE COPPOLA;
udito l'Avvocato DOMENICO BONACCORSI DI PATTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 25 ottobre 2007, il Tribunale di Civitavecchia ha rigettato l'opposizione all'esecuzione proposta da S.E. ed P.E., con ricorso depositato in data 20 marzo 2003, nel processo per espropriazione immobiliare intrapreso nei loro confronti dal Condominio di via ____ avente il n. 11/98 R.G.E., che era stata riunito al processo per espropriazione immobiliare intrapreso contro gli stessi esecutati dall'Istituto San Paolo di Torino avente il n. 285/96 R.G.E., e nel quale erano intervenuti la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio soc. coop. a r.l. e D.M.
Il Tribunale ha ritenuto infondato il motivo di opposizione basato sull'impignorabilità del bene costituito in fondo patrimoniale, perchè tra i debiti contratti per i bisogni della famiglia alla cui soddisfazione sono destinati i beni del fondo, ai sensi dell'art. 170 cod. civ., andrebbero compresi anche quelli inerenti agli atti di amministrazione dei beni del fondo in quanto diretti a salvaguardare il menage domestico; quindi, secondo il Tribunale, andrebbero compresi anche i debiti per gli oneri condominiali relativi ad immobili facenti parte del fondo patrimoniale, costituenti spese per la loro gestione, in ragione dell'evidente finalità di manutenzione e di conservazione dei beni stessi.
Il Tribunale ha inoltre rigettato il motivo di opposizione concernente la sussistenza del credito del Condominio nei confronti di P.E., affermando l'esistenza di un decreto ingiuntivo emesso sia nei confronti dello S. che di quest'ultima per crediti relativi a spese condominiali, titolo da ritenersi valido ed efficace in assenza di prova contraria.

2.- Avverso la sentenza i coniugi S. - P. hanno proposto ricorso straordinario affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
Il Condominio di ____ ed FBS S.p.A., quale mandataria di Minerva s.r.l., cessionaria del credito di Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio soc. coop. a r.l., si sono difese con distinti controricorsi. FBS S.p.A. ha depositato memoria. L'altro intimato non si è difeso.

Motivazione

1.- Il ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell'art. 366 bis cod. proc. civ. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 ed abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (25 ottobre 2007).
Col primo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, violazione del combinato disposto dell'art. 112 c.p.c., dell'art. 189 c.p.c., comma 1, e dell'art. 277 cod. proc. civ., per omessa pronuncia, anche per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato.
Con riferimento all'error in procedendo denunciato con unica censura sono formulati i seguenti due quesiti di diritto:
I ricorrenti chiedono pertanto ex art. 366 bis c.p.c. alla Ecc.ma Corte di Cassazione che voglia affermare che nell'ipotesi in cui è stata proposta una medesima domanda nei confronti di più soggetti, questa, ex art. 112 c.p.c., vada decisa nei confronti di tutte le parti evocate in giudizio e parimenti coinvolte nello stesso (giudizio) , con consequenziale pronuncia nei loro riguardi, senza trascurare alcuna - in conformità al combinato disposto dell'art. 112 c.p.c., dell'art. 189 c.p.c., comma 1, e dell'art. 277 c.p.c., comma 1;
I ricorrenti chiedono pertanto ex art. 366 bis c.p.c. alla Ecc.ma Corte di Cassazione che voglia affermare che nell'ipotesi in cui vengono rivolte più domande, diverse tra loro (anche per causa petendi e petitum nei confronti della medesima parte processuale, le stesse vadano tutte trattate e decise pronunciando il relativo provvedimento per ciascuna, in conformità all'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 189 c.p.c., comma 1 e art. 277 c.p.c., comma 1.

1.1.- Entrambi i quesiti sono formulati genericamente. In primo luogo, prescindono da qualsiasi riferimento al caso concreto: il primo quesito non indica quale è la domanda proposta nei confronti di più soggetti, di quali soggetti processuali si tratti e per quale ragione la decisione nei confronti di uno soltanto di costoro avrebbe comportato l'omessa pronuncia nei confronti dell'altro o degli altri, nè precisa se fossero o meno coincidenti le causae petendi ed i petita; il secondo, per contro, non indica quali sono state le domande proposte nei confronti di un solo soggetto, nè quale sia tale soggetto e soprattutto quale sia la domanda su cui vi sarebbe stata l'omessa pronuncia. In secondo luogo, entrambi i quesiti di diritto prescindono da qualsiasi riferimento alla sentenza impugnata, poichè non dicono quale è stata la soluzione adottata dal Tribunale e quale, invece, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto essere quella corretta (cfr., tra le altre, Cass. ord. n. 4044/09, nel senso che il quesito di diritto, ai fini dell'ammissibilità del motivo, deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone un'altra di segno opposto). Essi si limitano ad enunciare un principio di diritto che non fa che ribadire il combinato disposto delle norme processuali richiamate, laddove, ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ., il quesito inerente ad una censura in diritto, anche a carattere processuale - dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio giuridico generale - non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l'errore asseritamene compito dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo (cfr. Cass. n. 3530/12). Il primo motivo di ricorso è perciò inammissibile.

2.- Identica conclusione si impone con riguardo al terzo motivo, con cui si deduce il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Non si rinviene, nè in calce nè in altra parte dell'illustrazione del motivo, il momento di sintesi, o c.d. quesito di fatto, richiesto dalla seconda parte dell'art. 366 bis cod. proc. civ., così come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, che qui si ribadisce (cfr. Cass. S.U. n. 20603/07, secondo cui, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l'art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall'art. 360 c.p.c., n. 5, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi - omologo del quesito di diritto - che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; nello stesso senso, tra le altre, Cass. n. 24255/11).

In particolare, non appare idonea allo scopo la conclusione di cui alla pagina 29 del ricorso, poichè non indica un preciso e ben individuabile fatto controverso sul quale la motivazione sarebbe omessa o contraddittoria; nè evidenzia le ragioni per le quali la motivazione, che si reputa insufficiente, non sia idonea a sorreggere la decisione, poichè non chiarisce come gli elementi dei quali si assume l'omessa valutazione avrebbero smentito quelli su cui la decisione stessa è fondata.
Il terzo motivo è perciò inammissibile per violazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ..

3.- Anche col secondo motivo si deduce il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il c.d. momento di sintesi ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ. si rinviene nell'affermazione conclusiva per la quale il fatto controverso su cui la motivazione si assume omessa è quello riferito alla natura del debito per cui il condominio opposto stava procedendo, nel senso che lo stesso (debito) non si riferiva agli oneri condominiali come addotto dal giudicante, ma alle spese legali sostenute dallo stesso condominio nei confronti degli opponenti per varie vicende giudiziarie tra loro intercorse e definitesi in epoca antecedente all'anno 2001.
I ricorrenti sostengono che la motivazione avrebbe fatto riferimento agli oneri condominiali laddove invece il debito per il quale il Condominio aveva agito esecutivamente concerneva le spese legali, con la conseguenza che il Tribunale avrebbe errato nel considerare pignorabile per il credito relativo a quelle spese il bene costituito in fondo patrimoniale e sarebbe, invece, dovuto andare di contrario avviso, ove avesse correttamente valutato la natura del credito per il quale lo stesso Condominio aveva dichiarato di agire.

3.1.- Il motivo non merita di essere accolto.
Le spese legali del cui pagamento si controverte sono quelle liquidate con i titoli esecutivi giudiziali emessi in favore del Condominio ed ai danni degli odierni ricorrenti per il pagamento degli oneri condominiali. Anche assumendo, secondo la prospettazione dei ricorrenti, che questi ultimi siano stati pagati, e che residuasse il debito per spese legali, non può certo sostenersi, come fanno i ricorrenti, che per questo debito non possa avere luogo l'esecuzione sui beni del fondo ai sensi dell'art. 170 cod. proc. civ.
Ed invero, il credito a favore del Condominio consegue a giudizi intrapresi per ottenere il pagamento degli oneri condominiali riguardanti proprio il bene costituito in fondo patrimoniale.
Pertanto, così come ineriscono all'attività di gestione e di amministrazione del fondo patrimoniale gli oneri condominiali riguardanti i beni che ne fanno parte, assumono la medesima natura le spese che il Condominio abbia dovuto sopportare per ottenere il pagamento di questi oneri e che i titolari del bene costituito in fondo debbono rimborsare in quanto soccombenti nei relativi giudizi.

3.2.- Va ribadito che, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che l'esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia (Cass. n. 12998/06, tra le altre).

Il Collegio ritiene che tra i debiti contratti per i bisogni della famiglia vadano compresi quelli riguardanti i beni costituiti in fondo patrimoniale, dal momento che questi stessi beni sono per definizione destinati a soddisfare i bisogni della famiglia (cfr., da ultimo, Cass. n. 13622/10, circa la funzione di garanzia assolta dai beni costituiti in fondo, in quanto correlati al soddisfacimento delle esigenze familiari).
I creditori delle spese sopportate dai coniugi per la conservazione e la manutenzione dei beni costituiti in fondo patrimoniale possono far valere la garanzia patrimoniale su tali ultimi beni e procedere alla loro espropriazione forzata per i debiti relativi.
Al riguardo, l'art. 170 cod. civ. non consente alcuna distinzione tra spese necessarie, utili o voluttuarie, nè tra spese inevitabili e spese evitabili con una più oculata gestione dei beni costituiti in fondo. Conseguentemente, non rileva, ai fini della pignorabilità, la distinzione tra spese per oneri condominiali dei beni costituiti in fondo patrimoniale e spese legali liquidate in favore del Condominio per conseguire il pagamento degli oneri condominiali. Gli uni e le altre costituiscono debiti contratti dai coniugi per quegli stessi bisogni familiari alla cui soddisfazione sono destinati i beni del fondo patrimoniale, cui le spese ineriscono, ed ai sensi dell'art. 170 cod. civ. i relativi creditori possono procedere all'esecuzione forzata su questi beni.
Giova precisare che quanto appena affermato non si pone in contrasto col principio, che si intende ribadire, per il quale, in tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell'art. 170 cod. civ. per il quale detta esecuzione non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia, bensì nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (così già Cass. n. 134/84, seguita, tra le altre, da Cass. n. 15862/09). Piuttosto, si intende precisare che le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti speculativi rilevano al fine di escludere la pignorabilità quando esse non ineriscano direttamente ai beni costituiti in fondo patrimoniale; qualora invece i debiti siano contratti per la gestione e l'amministrazione di questi stessi beni, essi debbono intendersi necessariamente riferiti ai bisogni della famiglia, anche quando inerenti, come detto, a spese a carattere voluttuario o comunque evitabili.

In conclusione, va affermato che, in tema di fondo patrimoniale, tra i debiti contratti per i bisogni della famiglia, per i quali può avere luogo l'esecuzione forzata ai sensi dell'art. 170 cod. civ., vanno compresi quelli riguardanti i beni costituiti in fondo patrimoniale, per definizione destinati essi stessi al soddisfacimento delle esigenze familiari; in particolare, vanno compresi i debiti per oneri condominiali e per spese processuali sopportate dal condominio per riscuotere gli oneri condominiali relativi ad un immobile facente parte del fondo patrimoniale.
Da quanto sopra consegue come non sia affatto decisiva l'omessa precisazione, nella motivazione della sentenza, che i crediti per i quali il Condominio stava esercitando l'azione esecutiva fossero relativi, non tanto (o non solo) agli oneri condominiali quanto alle spese legali sopportate per conseguirne il pagamento per via giudiziaria. Perciò, il secondo motivo di ricorso è infondato. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nell'importo di Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, per ciascuna delle parti resistenti.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2014


 

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