REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido - Presidente -
Dott. BERRINO Umberto - Consigliere -
Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere -
Dott. LORITO Matilde - Consigliere -
Dott. GHINOY Paola - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 5041-2011 proposto da:
D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO CORRIDONI 23, presso lo studio dell'avvocato GIOVANNI SABATELLI, rappresentato e difeso dall'avvocato TURCHIARULO MICHELE, giusta delega in atti;
- ricorrente -
ILVA S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato BOCCIA FRANCO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SCHIAVONE ENRICO CLAUDIO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 5/2010 della CORTE D'APPELLO DI LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO, depositata il 09/06/2010 R.G.N. 415/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;
udito l'Avvocato TREZZA GAETANO per delega NILO LUIGI;
udito l'Avvocato COSENTINO VALERIA per delega BOCCIA RAIMONDO FRANCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il sig. D.G., dipendente di Ilva s.p.a. in qualità di operaio meccanico di 5° livello, veniva licenziato in data 13.4.2007 per giusta causa consistente nell'avere tentato di condurre fuori dallo stabilimento senza autorizzazione n. 2 cartucce nuove di silicone marca Saratoga di proprietà aziendale.
Il Tribunale di Taranto respingeva l'impugnativa del licenziamento proposta dal sig. D. e la pronuncia veniva confermata dalla Corte d'Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con la sentenza n. 5 del 2010, che riteneva l'addebito fondato e proporzionato alla massima sanzione espulsiva adottata.
Per la cassazione di tale sentenza il D. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui ha resistito ILVA s.p.a., che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivazione

1. Deve preliminarmente dichiararsi la nullità della procura apposta a margine dell'atto di nomina di nuovo difensore depositato in data 18.12.2012. Questa Corte, con riferimento al testo dell'art. 83 anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, ha infatti ribadito in più occasioni che "nel giudizio di cassazione, la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, atteso il tassativo disposto dell'art. 83 c.p.c., comma 3, che implica la necessaria esclusione dell'utilizzabilità di atti diversi da quelli suindicati.
Pertanto, se la procura non è rilasciata contestualmente a tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dall'art. 83, comma 2 cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l'indicazione delle parti e della sentenza impugnata"
(Sez. 3, Sentenza n. 9462 del 18/04/2013). Nè può applicarsi il nuovo testo dell'art. 83, comma 3 quale risulta per effetto della modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9, lett. a, - che prevede la possibilità di apporre la procura speciale nella memoria di nomina di nuovo difensore - in quanto essa non è operante ratione temporis nel presente procedimento, che è stato instaurato anteriormente all'entrata in vigore della legge citata.

2. Come primo motivo il ricorrente denuncia "Inesistenza giuridica del licenziamento - inefficacia - per violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".
Sostiene che la lettera di comunicazione del licenziamento sarebbe sottoscritta con segni grafici illeggibili, dai quali non è possibile risalire al nome dei due procuratori ed accertarne i poteri di firma. Ciò determinerebbe l'inefficacia del recesso L. n. 604 del 1966, ex art. 2 e di tutti gli atti conseguenti da esso dipendenti.

3. Il motivo è per più ragioni inammissibile.
In primo luogo, si tratta di una questione che non viene affrontata nella sentenza gravata e parte ricorrente non deduce che essa è stata trattata nel corso del giudizio di merito. Al contrario, ciò sarebbe stato suo preciso onere, considerato che questa Corte ha già chiarito che "Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione" (in tal senso da ultimo Cass. Sez. 1, sentenza n. 23675 del 18/10/2013).
Risultando trattarsi di questione nuova, l'inammissibilità è quindi determinata dal principio consolidato secondo il quale "Nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell'ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti" (Cass. Sez. 1, sentenza n. 4787 del 26/03/2012).
Nè peraltro l'illeggibilità della firma apposta alla comunicazione del licenziamento integra un motivo di nullità dell'atto rilevabile anche d'ufficio, dal momento che di nullità potrebbe parlarsi solo nel caso in cui venissero dimostrate da colui che le allega la non autenticità della sottoscrizione o l'insussistenza in capo al sottoscrittore della qualità indicata nell'atto (in tal senso, in merito a firma illeggibile apposta in calce ad ordinanza-ingiunzione ex L. 689 del 1981, Cass. Sez. 1, sentenza n. 522 del 20/01/1994).
Un'eventuale nullità infine non potrebbe essere che relativa e risulterebbe sanata in difetto di tempestiva deduzione, come ritenuto dalle Sezioni Unite con riferimento alla firma illeggibile apposta in calce alla procura ad litem (Sez. U, sentenza n. 25036 del 07/11/2013).

4. Come secondo motivo il ricorrente deduce "Omessa motivazione in ordine al mancato adempimento dell'onere della prova della sussistenza dell'oggetto del preteso fatto lesivo (appropriazione di n. 2 cartucce di silicone marca Saratoga) posto a fondamento della comunicazione del licenziamento - Violazione dell'art. 2697 c.c., art. 110 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".
Sostiene che non sarebbe emersa la prova del rinvenimento delle due cartucce di silicone asseritamente sottratte, in quanto volontariamente non si richiese l'intervento della Polizia Giudiziaria che avrebbe potuto procedere al sequestro di quanto eventualmente rinvenuto e trattenuto. Mancherebbe pertanto la prova del diritto di Ilva di risolvere il rapporto di lavoro.
5. Il motivo è infondato, dal momento che nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello sono ben palesate le ragioni per le quali, pur in difetto di sequestro delle cartucce oggetto del tentato furto, non possano sussistere dubbi in merito alla loro effettiva esistenza. In particolare, la Corte riporta e valorizza le testimonianze dei due vigilantes D. e D., dei quali il primo, dopo avere inseguito il D. che precipitosamente aveva fatto ritorno negli spogliatoi dopo averli visti, lo vide gettare qualcosa nel cestino, ed il secondo ritrovò all'interno le due cartucce di silicone coperte da panni sporchi. Nè era obbligatorio per i vigilantes chiedere l'intervento della Polizia Giudiziaria, in considerazione della facoltà di ILVA di valutare se proporre o meno la querela necessaria per l'azione penale nel caso di furto (art. 624 c.p., u.c.).

6. Come terzo motivo il ricorrente deduce la sussistenza della "prova dell'inesistenza dei fatti posti a fondamento della comunicazione di licenziamento in violazione dell'art. 2734 c.c., dell'art. 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3". Riferisce che nell'interrogatorio formale deferito al ricorrente e reso all'udienza del 29.2.2008 egli aveva negato i fatti posti a fondamento della contestazione disciplinare, in specie in ordine alla detenzione delle cartucce di silicone e alla dinamica degli eventi della sera del 30.4.2007. Sostiene che, non avendo controparte contestato tali dichiarazioni, il Giudice di merito non poteva esercitare il proprio libero apprezzamento ex art. 116 c.p.c., essendo tenuto ad assumere la verità dei fatti nella loro integrità ai sensi dell'art. 2734 c.c..
7. Il motivo è infondato.
Non può, infatti, imputarsi alla Corte di merito alcuna violazione dell'art. 2734 c.c., giacchè tale norma disciplina l'ipotesi della confessione complessa, che si ha quando la parte dichiarante aggiunge al riconoscimento di fatti per sè sfavorevoli l'affermazione di altri fatti o circostanze tendenti a paralizzare l'efficacia di quanto confessato o comunque a modificarne od estinguerne gli effetti (Cass. Sez. 3, sentenza n. 10494 del 08/05/2006). Nel caso in esame, invece, la negazione del D. è stata globale in relazione al fatto rilevante in causa, ovvero la tentata sottrazione delle cartucce di silicone, mentre è irrilevante che egli abbia ammesso circostanze di contorno e non incidenti sul fatto principale, quali l'esistenza di precedenti sanzioni disciplinari a suo carico o di precedenti casi di furto di materiale aziendale.

8. Come quarto motivo sostiene "Violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per motivazione apparente, incongrua, illogica e contraddittoria circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativo all'esistenza delle cartucce di silicone, alla detenzione delle stesse ed al comportamento da parte del ricorrente D.G.". Sostiene che delle circostanze indicate non vi sarebbe prova, considerato che nessuno vide direttamente il D. gettare le cartucce nel cestino, nè tali cartucce erano in uso nel suo reparto, sicchè non si comprende come egli potesse venirne in possesso.
9. Il motivo è infondato.
Occorre prendere le mosse dal principio ormai acquisito secondo il quale "la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Sez. L, sentenza n. 21412 del 05/10/2006, conf. Sez. L, sentenza n. 4391 del 26/02/2007, Sez. L, sentenza n. 16346 del 24/07/2007). Nessuna censura può quindi muoversi alla Corte d'Appello per avere ritenuto che il D. potesse impossessarsi delle due cartucce di silicone pur non facendone uso il suo reparto (RIG), valorizzando le concordanti deposizioni dei testi F. M., responsabile del magazzino generale, Fi.Vi., capo area degli impianti RIV, e P.R., sindacalista, secondo le quali il materiale era presente nel magazzino generale dello stabilimento e veniva utilizzato dal reparto RIV che dista circa 400 metri dal reparto RIV, al cui magazzino quest'ultimo attinge non avendone uno proprio.

10. Come quinto motivo il ricorrente deduce "Violazione dell'art. 2106 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio". Sostiene che sarebbe errata la motivazione della Corte laddove ha ritenuto che i fatti addebitati al D. potessero rivestire il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro ed in particolare dell'elemento della fiducia, poichè secondo i parametri enucleati dalla giurisprudenza la sanzione risulterebbe invece sproporzionata. Ciò in particolare in considerazione della grossolanità del tentativo di furto, dell'entità del danno subito dal datore di lavoro, della durata del rapporto (26 anni) e del fatto che il D. non svolgeva mansioni di carattere fiduciario, nonchè dell'impossibilità di reiterazione della condotta anche in conseguenza dell'apparato di verifica predisposto da ILVA.
11. Il motivo è inammissibile, in quanto quella che si tende a sollecitare è in sostanza una nuova valutazione sulla proporzionalità dell'addebito rispetto alla sanzione irrogata e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento, che tuttavia si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Sez. L, sentenza n. 35 del 03/01/2011).
La motivazione peraltro è congrua in relazione a tutti gli elementi che rilevano ai fini della valutazione, avendo avuto riguardo agli aspetti concreti afferenti le concrete modalità dei fatti, con motivazione che appare completa e corretta sia nell'esame dei fatti indicati, sia nell'applicazione dei principi di diritto dettati da questa Corte di Cassazione. La grossolanità del tentativo di furto, infatti, è un elemento che viene introdotto ex post, in considerazione del suo mancato successo per la presenza dei vigilantes, e non incide sulla gravità dell'elemento soggettivo, che la Corte ha correttamente desunto dall'introduzione nel marsupio delle cartucce di silicone, dal successivo occultamento della refurtiva nel cestino portarifiuti, dall'invito rivolto ai vigilanti di omettere il rapporto, dalla giustificazione (il recupero del telefono cellulare) fornita a motivo del precipitoso rientro nello spogliatoio, risultata falsa per non essere stato rinvenuto alcun telefono cellulare. Quanto poi alla tenuità del danno patrimoniale la Corte ha citato i precedenti di questa Corte secondo i quali essa non è ostativa del venir meno della fiducia nella correttezza del futuro adempimento nel caso di furto di materiali aziendali (Cass. 5434 del 2003). Ha aggiunto che il D. ha riportato otto sanzioni disciplinari nel corso del rapporto di lavoro che, se non possono assumere rilevanza ai fini della recidiva, sono stati tuttavia correttamente valutati sotto il profilo della complessiva gravità del comportamento del dipendente e della proporzionalità della sanzione irrogatagli. Sul fatto poi che il dipendente non svolgesse mansioni di carattere fiduciario, ha rilevato che esse erano comunque connesse all'uso ed alla disponibilità di materiali aziendali, che si sono verificati numerosi casi di furto e che le dimensioni dello stabilimento non consentono controlli sistematici, ma solo a campione. Nessun aspetto risulta quindi essere stato trascurato.

12. Il ricorso deve quindi essere respinto.
La peculiarità delle caratteristiche soggettive e oggettive della fattispecie determinano la compensazione tra le parti delle spese processuali.

PQM

La Corte respinge il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2014


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.