Svolgimento del processo

Con sentenza del 17 dicembre 2018 il Tribunale di Siracusa, giudice del lavoro, pronunciando sul ricorso proposto dall’odierna appellata nei confronti dell’INPS, accertata l’insussistenza del credito vantato dall’ente sul presupposto dell’obbligatorietà dell’iscrizione dell’avv. (Omissis) alla gestione separata, annullava l’impugnato avviso di addebito e compensava tra le parti le spese di lite.

Avverso detta sentenza, con atto depositato il 17 giugno 2019, proponeva appello l’INPS, cui resisteva l’appellata.
In data 13 ottobre 2020 la causa è stata posta in decisione ai sensi dell’art. 83, comma 7, lettera h), del decreto legge n. 18/2020 e succ. mod. e integr., compiuti i termini assegnati alle parti per il deposito telematico di note conclusive.

Motivazione

1. L’INPS lamenta l’errata interpretazione, da parte del primo giudice, della normativa speciale che disciplina l’iscrizione alla gestione separata. Rileva in proposito che, ai fini dell’esclusione di tale obbligo d’iscrizione, ai sensi del comma 12 dell’art. 18 del d.l. n. 98/11, non è sufficiente il versamento alla Cassa di riferimento di qualunque tipologia di contributo - quale, nella specie quello integrativo, avente finalità esclusivamente solidaristica - occorrendo piuttosto il versamento dello specifico contributo di cui al comma 11 dello stesso articolo.

Indi, l’appellante ripropone le proprie difese in merito all’eccezione di prescrizione quinquennale, rimasta assorbita, dovendosi, a suo parere, tener conto, quale dies a quo del relativo termine, del momento ultimo di presentazione della dichiarazione dei redditi. In ogni caso, del tutto tempestiva era la richiesta ricevuta da controparte in data 4 luglio 2015 atteso che il termine di pagamento scadeva il 6 luglio 2010. Inoltre, la mancata compilazione del quadro RR integra gli estremi dell’occultamento dell’obbligo sì da determinare la sospensione del decorso del termine di prescrizione ex art. 2941, comma 8, cod. civ. Infine, le somme aggiuntive sono state correttamente calcolate secondo il regime dell’evasione.

2. L’appello è fondato nei limiti che seguono.

Le questioni oggetto del mezzo d’impugnazione sono state risolte dalla Corte di Cassazione con varie pronunce (a partire da Cass. n. 32166 e n. 32167 del 12.12.2018, sino, più recentemente, a Cass. n. 3799/19, Cass. n. 4608/19), tutte convergenti in senso sostanzialmente conforme alle tesi dell’Istituto previdenziale. A tale orientamento del giudice di legittimità questa Corte ha già prestato adesione nei propri precedenti conformi, non ravvisando ragioni per disattenderlo.

In sintesi, con i citati arresti, la Suprema Corte ha enunciato i seguenti principi:
a) con la creazione, da parte della l. n. 335 del 1995, della nuova gestione separata, il legislatore ha inteso estendere la copertura assicurativa, nell’ambito
della cd. “politica di universalizzazione delle tutele”, non solo a coloro che ne erano completamente privi, ma anche a coloro che ne fruivano solo in parte, a coloro cioè che svolgevano due diversi tipi di attività e che erano coperti, dal punto di vista previdenziale, solo per una delle due, facendo quindi in modo che a ciascuna corrispondesse una forma di assicurazione (S.U. n. 3240 del 2010);

b) l’art. 2, comma 26, di detta legge 335/1995 assoggetta alla gestione separata due tipologie di lavoro autonomo, entrambe identificate dalla disciplina fiscale dei relativi redditi (l’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, delle attività - arti e professioni - di cui all’art. 49, comma 1, TUIR nel testo all’epoca vigente, oggi art. 53 co.1, nonché le collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 49, co. 2, lett. a TUIR, oggi art. 50 co. 1 lett. c-bis); ciò induce a ritenere che l’obbligazione contributiva è basata sulla mera percezione di un reddito secondo la disciplina fiscale, che diventa irrilevante solo se inferiore alla soglia di cui all’art. 44, comma 2, d.l. n. 269/2003 conv. in l. 326/2003 (Cass. 32166/2018);

c) detto art. 2, comma 26, l. cit. è in linea col principio della universalità delle tutele assicurative obbligatorie, poiché l’articolo 18, comma 12, del d.l. n. 98/11 ne ha chiarito l’interpretazione nel senso - fatto proprio dalla Cassazione in tutti gli arresti sopra richiamati - che l’unica forma di contribuzione obbligatoriamente versata che può inibire la forza espansiva della norma di chiusura contenuta nell’art. 2, comma 26, l. n. 335 del 1995, come chiarita dalla norma d’interpretazione autentica, è quella correlata a un obbligo di iscrizione a una gestione di categoria, in applicazione del divieto di duplicazione delle coperture assicurative incidenti sulla medesima attività professionale (Cass. 3913 del 2019);

d) per tale ragione, la contribuzione integrativa dovuta alla Cassa privata in ragione della mera iscrizione all’albo, che ha solo una funzione solidaristica ma non attribuisce al lavoratore una copertura assicurativa per gli eventi della vecchiaia, dell’invalidità e della morte in favore dei superstiti, non osta all’obbligo di iscrizione alla gestione separata presso l’INPS;

e) è del resto priva di fondamento la pretesa di paralizzare il pieno dispiegarsi del principio di universalizzazione delle tutele - improntato a precisi obblighi derivanti dalla Costituzione - per effetto dell’attribuzione alla cassa professionale del compito di gestire il rapporto assicurativo dei propri associati, con il diverso scopo di rispettare le istanze del gruppo professionale nella gestione della assicurazione obbligatoria senza il concorso finanziario dello Stato; difatti, con il nuovo assetto costituzionale, la copertura assicurativa previdenziale è divenuto un compito diretto dello Stato a cui spetta fissare i limiti delle tutele (sent. n. 32166 del 2018 cit.).

3. Attesa l’obbligatorietà dell’iscrizione alla gestione separata per le ragioni sopra illustrate e dovendosi pertanto disattendere le ragioni della sentenza poste a fondamento della decisione, vanno esaminate le eccezioni sollevate nel ricorso introduttivo, rimaste assorbite ed espressamente riproposte dall’appellata, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.

3.1 L’eccezione di prescrizione è infondata.

Per principio ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il relativo versamento in quanto il fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva è rappresentato dall’avvenuta produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito.
Non rilevano pertanto, a tali fini, né la data di presentazione della dichiarazione dei redditi a opera del titolare della posizione assicurativa (che, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo), né l’atto, eventualmente successivo (avente solo efficacia interruttiva della prescrizione anche a beneficio dell’INPS), con cui l’Agenzia delle Entrate abbia accertato, ex art. 1 del d.lgs. n. 462 del 1997, un maggior reddito (in termini, Cass. nn. 13463/17, 19640/18, 27950/18).

In proposito vale pertanto la regola, fissata dall’art. 18, comma 4, d. lgs. 9 luglio 1997, n.241, secondo cui “i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi”.

Applicati detti principi al caso di specie, come già evidenziato da questa Corte nei propri precedenti conformi (cfr. per tutte sentenza del 30 maggio 2019, resa nel procedimento n. 423/2017 R.G.), per l’anno 2009 il versamento del saldo - che è il termine più avanzato da cui si può ipotizzare la decorrenza della prescrizione, non considerando gli acconti - era fissato al 6 luglio dell’anno successivo (2010), in virtù di quanto previsto (ai sensi dell’art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 241/97) dal DPCM 10 giugno 2010 (“Differimento, per l’anno 2010, dei termini di effettuazione dei versamenti dovuti dai soggetti che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore nonché il differimento del termine per la trasmissione in via telematica delle dichiarazioni modello 730/2010”, pubblicato sulla G.U. n. 141 del 19 giugno 2010), che così prevedeva:
1. I contribuenti tenuti ai versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi e da quelle in materia di imposta regionale sulle attività produttive entro il 16 giugno 2010, che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore di cui all’art. 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e che dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze, effettuano i predetti versamenti:
a) entro il 6 luglio 2010, senza alcuna maggiorazione;
b) dal 7 luglio 2010 al 5 agosto 2010, maggiorando le somme da versare dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai soggetti che partecipano, ai sensi degli articoli 5, 115 e 116 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986,
n. 917, a società, associazioni e imprese con i requisiti indicati nel predetto comma 1
”.

Ora, precisato che, per il periodo d’imposta 2009, era stato elaborato lo studio di settore VK04U per l’attività degli studi legali (codice attività 69.10.10: cfr. Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze del 12.03.2010, pubblicato sulla G.U. n. 75 del 31.03.2010), come già osservato da questa Corte nei propri precedenti conformi (v., per tutte, sentenza del 9 maggio 2019, proc. n. 1095/2017 R.G.; sentenza dianzi cit.), di detta agevolazione (differimento del termine di versamento del saldo al 6 luglio 2010) si avvalevano, per come si evince chiaramente dal tenore della disposizione, tutti i contribuenti, tenuti ai versamenti risultanti dalla dichiarazione dei redditi e da quella dell’imposta regionale sulle attività produttive, esercitanti “attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore”.

La norma, infatti, ha una portata ampia, non facendo, al riguardo, alcuna distinzione e individuando i beneficiari in tutti coloro che esercitavano attività economiche per le quali erano stati elaborati gli studi di settore.

In altri termini, il mero esercizio di attività economica per la quale erano stati elaborati gli studi di settore consentiva a tale categoria di contribuenti di beneficiare del termine differito.

Nella specie, poiché la richiesta da parte dell’ente dei contributi in argomento è stata ricevuta dall’appellata il 4 luglio 2015, a tale data non era ancora maturata la prescrizione quinquennale di legge.

3.2 È invece fondata l’eccezione, sui cui l’appellata pure ha insistito, di erroneità delle sanzioni, applicate ai sensi dell’art. 116, comma 8, lett. b), della legge n. 388/2000.

Va infatti osservato che la mera mancata compilazione del quadro RR (relativo agli importi dovuti a titolo di contributi previdenziali sul reddito da lavoro autonomo) configura la fattispecie della omissione - e non già della evasione - contributiva, ricadente nella previsione della lettera a) dell’art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000, essendo il credito dell’istituto previdenziale comunque facilmente evincibile dalla documentazione di provenienza dal soggetto obbligato (nella specie, dalla compilazione del quadro CM) - inviata a ente (Agenzia delle Entrate) competente in materia di accertamento e liquidazione dei contributi previdenziali - e dovendo dunque escludersi l’occultamento dell’attività lavorativa e del reddito percepito (v. anche in arg. Cass. 5413/2020; 14410/2019; 27950/2018).

L’assenza di dolo di evasione si desume inoltre anche dal contrasto giurisprudenziale in ordine alla sussistenza dell’obbligo contributivo, solo di recente risolto dalla Corte di cassazione e tale da determinare un intervento interpretativo del legislatore.
Sicché deve concludersi che la professionista non si è iscritta alla gestione separata ritenendo erroneamente, ma in buona fede, di non esservi tenuta e non ha occultato il proprio reddito da lavoro autonomo ma lo ha comunicato all’Agenzia delle Entrate.
Tale valutazione non si pone in contrasto con l’orientamento di legittimità che ha ricondotto alla fattispecie dell’evasione il comportamento del datore di lavoro che, pur registrando il rapporto di lavoro nei libri e registri obbligatori, ne abbia omesso la comunicazione all’ente previdenziale (Cassazione civile , sez. un. 07/03/2005 n. 4808; Cassazione civile, sez. lav. 27/12/2011 n. 28966; Cassazione civile, sez. lav. 25/06/2012 n. 10509). I libri paga e matricola sono documenti che restano nella disponibilità del datore di lavoro e che sono controllati dall'Istituto previdenziale solo in occasione di ispezioni: conseguentemente l’accertamento dell’inadempimento contributivo richiederebbe una continua e complessa attività ispettiva. Nel caso in esame la comunicazione del reddito da lavoro all’Agenzia delle Entrate rende invece molto semplice l’accertamento dell’inadempimento contributivo, stante la facoltà dell’INPS di consultare l’anagrafe Tributaria (cfr. Corte appello Genova n 141/2019).

4. Conclusivamente, ogni altra questione assorbita, l’appello va parzialmente accolto e, in parziale accoglimento dell’originario ricorso proposto dall’odierna appellata, le sanzioni sono dovute nei limiti di quanto previsto dall’art. 116, comma 8, lett. a), della legge n. 388/2000.
Tenuto conto dell’esistenza di contrastanti arresti giurisprudenziali anche con riferimento alla decorrenza della prescrizione prima dell’intervento della Corte regolatrice, soccorrono idonei motivi per compensare tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.



PQM

Definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente l’appello e, per l’effetto, dichiara legittima l’iscrizione dell’appellata alla gestione separata e, in parziale accoglimento dell’originario ricorso proposto dalla stessa, dichiara le sanzioni dovute nei limiti di quanto previsto dall’art. 116, comma 8, lett. a), della legge n. 388/2000; compensa tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi. Così deciso nella camera di consiglio del 13 ottobre 2020.
Il Presidente est. Dott. Elvira Maltese


Scarica copia del provvedimento: Corte d'Appello di Catania sentenza 670/2020

 

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