Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna, in accoglimento del gravame proposto dal Pubblico ministero, riformando parzialmente, anche agli effetti civili, la decisione assunta in esito a giudizio abbreviato dal giudice per l'udienza preliminare di Rimini, ha dichiarato B.R. colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo A) e documentale (capo B), allo stesso ascritti in qualità di amministratore di fatto della società "F.B. snc", dichiarata fallita il 3 dicembre 2009; ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di bancarotta semplice di cui al capo C); mentre ha confermato l'unica condanna dell'imputato pronunciata in primo grado per la condotta distrattiva di cui al capo D).

1.1. I fatti in contestazione riguardano il fallimento della società in nome collettivo F.B., che si occupava della vendita all'ingrosso di prodotti ortofrutticoli. Le posizioni degli amministratori di diritto, B.D. e B.M., sono state definite in altro procedimento. Rimane in discussione la posizione di amministratore di fatto dell'avvocato R.B.. A detto imputato si ascrivono, nella veste indicata, le seguenti condotte, poste in essere in concorso con gli amministratori di diritto: - la distrazione di tutto il patrimonio aziendale (beni strumentali e merci in rimanenza), trasferito alla società Venti Dieci Bugli srl, società appositamente costituita in data 3 luglio 2009, le cui quote venivano intestate, per il 78%, alla società Koncentrica holding, controllata all'80% da B. (capo A); - l'occultamento di tutte le scritture contabili, rinvenute dopo il fallimento, a seguito di perquisizione domiciliare, in un immobile nella disponibilità del B. (capo B); - il delitto di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto (capo C); - la distrazione della somma complessiva di 52.500,00 euro dai conti correnti della società, attraverso prelevamenti per contanti o tramite bonifici effettuati da B. nel periodo, compreso tra il mese di marzo e quello di ottobre 2009 (capo D). Tutta queste operazioni erano state congeniate e realizzate dall'avv. R.B., al quale i B. si erano rivolti in conseguenza della crisi economica che la loro società stava attraversando.

1.2 II giudice per l'udienza preliminare aveva ritenuto provata la responsabilità dell'imputato unicamente per il reato di cui al capo D). In sintesi: - aveva mandato assolto l'imputato dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo A), con la formula "per non aver commesso il fatto", sul presupposto che l'attività di consulenza e collaborazione del B. non sconfinasse nell'esercizio di poteri gestori, tanto che il giudice delegato aveva respinto la richiesta di estensione del fallimento al B., per difetto di prova sull'a ffectio societatis; - aveva mandato assolto l'imputato dal reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo B), con la formula "perché il fatto non sussiste", rilevando che le scritture, sia pure tardivamente, erano comunque state messe a disposizione della curatela che aveva potuto esaminarle rilevandone l'inattendibilità;- aveva assolto l'imputato dal reato di bancarotta semplice di cui al capo C), con la formula "perché il fatto non sussiste", per ragioni analoghe a quelle illustrate per il capo A), nonostante l'utilizzo di una formula inesatta; - aveva dichiarato B. colpevole del reato di reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo D), osservando come per questo fatto fosse comprovato il ruolo gestorio svolto dall'imputato.

1.3 La Corte di appello, investita delle impugnazioni proposte da Pubblico ministero e imputato, ha riformato parzialmente la decisione di primo grado nei termini in premessa illustrati, dopo aver disposto, ai sensi dell'art. 603 comma 3- bis cod. proc. pen., la rinnovazione istruttoria mediante assunzione delle testimonianze di M.B. e R.T.. Ha rideterminato la pena principale in anni due di reclusione (previa concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti); ha lasciato invariate le pene accessorie di cui all'art. 216 u.c. legge fall., fissate dal Tribunale nella misura di anni due. La decisione muove dal rilievo che la sentenza del primo giudice presentava un evidente vulnus motivazionale laddove, per un verso, riteneva non provata la veste di amministratore di fatto dell'imputato in relazione al capo A), mentre reputava dimostrata tale qualità con riferimento al capo D), così da pervenire a soluzioni opposte per condotte inserite nel medesimo contesto spazio - temporale. La Corte di appello, quindi, ha osservato che: «delle due l'una: o B. in quel contesto non rivestiva alcuna funzione gestoria, come sostenuto dalla difesa oppure la rivestiva con riferimento a tutti gli atti incriminati, come sostenuto dal PM appellante»; e ha risolto l'alternativa nel senso di riconoscere in capo all'imputato la qualifica di amministratore di fatto riscontrando significativi indici tipici dell'esercizio di poteri gestori e decisionali incompatibili con una attività di mera consulenza.

2. Avverso la sentenza ricorre R.B., tramite i difensori, articolando cinque motivi.

2.1 Con il primo denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge processuale. La Corte di appello avrebbe violato il disposto dell'art. 525, comma 2, cod. proc. pen. laddove prevede che alla deliberazione debbano concorrere, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Allorché muti la composizione del collegio, il rispetto della norma impone che il dibattimento sia integramente rinnovato con la ripetizione della sequenza procedimentale costituita dalla dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 492 cod. proc. pen.), dall'esposizione introduttiva e dalle richieste di ammissione delle prove (art. 493), dai provvedimenti relativi all'ammissione (art. 495), dall'assunzione delle prove secondo le regole stabilite dall'art. 496 e ss. cod. proc. pen.. Nel caso di specie il collegio di appello, nella sua composizione originaria, dopo essersi ritirato per deliberare all'esito della discussione delle parti, aveva adottato una ordinanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante esame dei testimoni Michele Bugli e Raffaella Tedeschi, rinviando all'udienza del 6 febbraio 2018 per l'assunzione della prova. In quell'udienza il collegio, diversamente composto, senza dare atto di tale mutamento, procedeva all'esame di Bugli e alla successiva udienza del 13 luglio 2018 all'esame della Tedeschi. All'esito il Presidente dichiarava conclusa l'istruttoria e invitava le parti a concludere. In tal modo sarebbe stato violato il precetto dell'art. 525, comma 2, cod. proc. pen. poiché la deliberazione di rinnovazione dell'istruzione è stata adottata da collegio in composizione diversa da quello che, senza dare atto del mutamento, ha proceduto a raccogliere le prove e a pronunciare sentenza.

2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge processuale e sostanziale, affermando: che l'ordinanza di rinnovazione dell'istruzione sarebbe stata assunta in assenza del contraddittorio previsto dall'art. 603, comma 5 cod. proc. pen.; che non ricorrerebbero i presupposti dell'art. 603 comma 3-bis cod. proc. pen. poiché non si era in presenza di una diversa valutazione della prova dich iarativa.

2.3 Con il terzo e il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di responsabilità dell'imputato per i reati di bancarotta fraudolenta di cui ai capi A), B) e D). L'affermazione di colpevolezza dell'imputato si incentrerebbe solo sulle dichiarazioni dei testi B. e T., trascurando invece le risultanze probatorie favorevoli all'imputato, ricavabili dal materiale raccolto dalla pubblica accusa: - la relazione del curatore ascrive il dissesto della società, emerso sin dal 2008, alla mala gestio dei B.; - il curatore non individua alcuna responsabilità a carico del B., che non include nel fallimento; - a seguito di procedimento di sfratto per morosità, Bugli si era impegnato nei confronti della locatrice ad asportare dai locali i beni presenti nei locali; - in presenza di un provvedimento del Tribunale per il rilascio di immobile non si sarebbe potuto realizzare quel subentro nel contratto di locazione della Venti Dieci Bugli, ipotizzato dalla Corte di appello; - dalla informativa redatta dalla Guardia di finanza, delegata alle indagini, risultava in ordine alla condotta sub capo D) che: "si esclude che tali flussi di denaro siano da ricondursi a dei pagamenti per delle operazioni commerciali tra le due società .... Si evidenzia che dalle risultanze dell'esame della documentazione contabile per /1 2009 della Venti Dieci Bugli srl (...) la somma di 40.000,00 euro di cui agli 8 assegni circolari sopra individuati, deriva dall'utilizzo di parte del capitale sociale della stessa Venti Díecie Bugli srl; detta somma versata a più riprese il 10- 28/8 ed il 10/9/2009 veniva subito dirottata verso lo stesso avvocato B.R. che, dopo averla fatta transitare sul conto della F.B. snc, n. 2849 acceso presso BPV, la prelevava per contanti o con bonifico" (pagg. 34 e 35 del ricorso). Evidenza il ricorrente che la stessa Corte di appello sottolineerebbe "la concreta possibilità che la prova sia carente circa la qualità di amministratore di fatto rivestita dal B., ipotizzando a questo punto in alternativa il concorso dell'extraneus nel reato" (pag. 31 del ricorso), ma in tal caso verrebbe in rilievo una condotta diversa mai contestata all'imputato. Peraltro un simile argomentare si presenterebbe manifestamente illogico e contraddittorio.

2.4 Con il quinto motivo il ricorrente si duole della carenza motivazionale in punto di elemento soggettivo dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

Motivazione

1. Il ricorso è infondato.

2. Per ragioni di razionalità espositiva occorre esaminare i motivi in ordine parzialmente diverso da quello di presentazione.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

3.1. La decisione di rinnovare l'istruttoria in appello è consentita anche in ipotesi di giudizio abbreviato, essa è espressione del potere discrezionale del giudice della impugnazione, come tale sottratta al sindacato di legittimità.

3.1.1. La doglianza mossa all'operato del giudice di appello, in merito al ricorso ai poteri istruttori di ufficio, impone di chiarire, sia pure succintamente, i caratteri del giudizio abbreviato introdotto dalla L. n. 479 del 1999. In origine la richiesta di abbreviato veniva respinta quando non era possibile assumere una decisione "allo stato degli atti". Nel rito abbreviato, riformato dalla novella del 1999, tale preclusione cade: l'incompletezza del materiale probatorio raccolto nella fase delle indagini preliminari non impedisce l'accesso al rito. Una volta stabilito che il giudizio abbreviato potesse instaurarsi a prescindere dalla completezza della base cognitiva, sono stati previsti, al contempo, meccanismi di "arricchimento probatorio" in grado di evitare il prodursi di una situazione di "stallo decisorio". Di qui il riconoscimento di una iniziativa all'imputato (art. 438 comma 5 cod proc. pen.), ma anche l'attribuzione al giudice di poteri di ufficio (art. 441 comma 5 cod. proc. pen.), ancorati alla oggettiva impossibilità di addivenire alla decisione sul merito della regiudicanda in ragione della insufficiente definizione della base cognitiva. Al giudice non viene conferito semplicemente un potere di integrazione probatoria, ma un vero e proprio dovere di intervenire sullo stato degli atti, una volta registrata l'oggettiva incompletezza della prova. Il legislatore ha inteso scongiurare il pericolo che l'imputato potesse strumentalizzare il diritto di accedere al rito alternativo e conseguire indebitamente l'impunità, approfittando della lacunosità del materiale investigativo.

3.1.2. I poteri di integrazione probatoria da parte del giudice di appello sono adottabili anche nell'ambito del giudizio abbreviato (Corte cost., sent. n. 470 del 1991; per tutte Sez. U. n. 18620 del 19/01/2017, Patalano). Si tratta di sviluppi previsti dalla disciplina del rito che, in quanto espressamente codificati, risultano pienamente conformi ai principi costituzionali: formulando la richiesta di accesso al giudizio abbreviato, l'imputato accetta il rischio della non immutabilità della base cognitiva (cfr. Corte Cost. n. 115/2001).

3.1.3. L'arricchimento della piattaforma probatoria per iniziativa del giudice non è suscettibile di censura; tra i vizi della sentenza di appello è prevista solo l'ipotesi opposta vale a dire la mancata assunzione di prova decisiva (art. 606, lett. d, cod. proc. pen.). Alla stregua di ciò diviene irrilevante verificare se, rispetto alla decisione di rinnovazione dell'istruzione, sussistano nella specie i presupposti del comma 3 oppure del comma 3 -bis cod. proc. pen., richiamato dalla Corte di appello. Peraltro la seconda norma introduce una garanzia a favore dell'imputato, di talché quest'ultimo può dolersi della mancata attivazione del potere di integrazione istruttoria non del fatto che, come nella specie, esso sia stato esercitato.

3.2. Quanto al lamentato profilo della lesione del diritto al contraddittorio, è sufficiente osservare che l'ordinanza di rinnovazione istruttoria è stata assunta in udienza, dopo la discussione delle parti e dunque in un contesto deputato al contradditorio pieno. Nelle udienze successive nessun rilievo è stato mosso al provvedimento.

4. Il primo motivo è infondato.

4.1. In passato si è affermato che nel giudizio abbreviato subordinato ad un'integrazione probatoria il principio di immutabilità del giudice non trova applicazione nella fase inerente alla decisione incidentale sull'ammissione del rito e delle sue modalità di svolgimento (Sez. 3, n. 37100 del 18/06/2015, Benassi, Rv. 264584). Il principio va corretto sulla scorta di linee guida più chiare e consapevoli, per come di recente fissate dalle Sezioni Unite Bajrami (sentenza n. 41736 del 30/05/2019) a proposito della interpretazione e applicazione dell'art. 525 cod. proc. pen. in sede dibattimentale.

4.1.1. L'art. 525, comma 2, prima parte, cod. proc. pen. stabilisce che alla deliberazione della sentenza (che deve aver luogo subito dopo la chiusura del dibattimento) «concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento». Secondo la giurisprudenza costituzionale, la predetta disposizione, nel fissare la regola dell'immutabilità del giudice, attua il principio di immediatezza che postula la tendenziale identità tra il giudice che assume le prove e il giudice che decide (Corte cost., n. 205 del 26/05/2010). La formulazione letterale dell'art. 525, comma 2, prima parte, cod. proc. pen. evidenzia inequivocabilmente che, in virtù del principio d'immutabilità del giudice, l'intero "dibattimento" deve svolgersi dinanzi al giudice nella composizione che provvederà alla deliberazione conclusiva. La sanzione di nullità assoluta comminata in caso di violazione del predetto precetto rende ininfluente il consenso eventualmente prestato dalle parti alla violazione, poiché, ai sensi dell'art. 179, comma 2, cod. proc. pen., «sono insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge». La necessità della rinnovazione riguarda non solo l'attività istruttoria, ma anche quelle prodromiche, quali la richiesta di prove e la relativa ammissione.

4.1.2. Cionondimeno, non è necessario che il giudice, nella diversa composizione sopravvenuta, rinnovi formalmente l'ordinanza ammissiva delle prove chieste dalle parti, perché i provvedimenti in precedenza emessi dal giudice diversamente composto e non espressamente revocati o modificati conservano efficacia. Il provvedimento ammissivo delle prove ha, per legge, forma di ordinanza, in quanto tale per sua natura sempre revocabile (sentite le parti), ove ne ricorrano a parere del giudicante le condizioni. Questo principio è rispondente a quello generale di conservazione degli atti giuridici, e mira a soddisfare l'esigenza (di rilievo anche costituzionale, ex art. 111, secondo comma, ultima parte, Cost.) di contenere, per quanto possibile, i tempi di durata del processo, evitando lo svolgersi di attività superflue.La garanzia dell'immutabilità del giudice viene riferita dalla Convenzione EDU (e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo) al più - con i limiti illustrati dalle Sezioni Unite Bajrami qui non in rilievo - agli esami dibattimentali, non certo ai provvedimenti accessori, strumentali ai fini della celebrazione del giudizio, in quanto per loro stessa natura non definitivi, e quindi sempre revocabili dal giudice come conclusivamente composto. 4.2. Ai fini della risoluzione del caso in esame, detti principi vanno trasfusi nell'ipotesi di rinnovazione istruttoria disposta in sede di giudizio abbreviato dal giudice di appello.

4.2.1. Dunque: - attesa la natura del rito, viene in rilievo il procedimento in camera di consiglio ex art. 599 cod. proc. pen.; - in ragione della sequenza procedimentale del grado di appello, si applica l'art. 599, comma 3, cod. proc. pen. laddove richiama l'art. 603 cod. proc. pen. in relazione alla rinnovazione dell'istruzione «in camera di consiglio».

4.2.2. Nella specie il giudice che ha assunto la prova e ascoltato i testimoni è il medesimo che ha deliberato la sentenza. Il mutamento nella composizione del collegio si è avuta soltanto tra l'adozione dell'ordinanza di rinnovazione istruttoria e l'assunzione delle prove. In tal caso non sorge alcun problema di invalidità. Come stabilito per il dibattimento dalle Sezioni Unite Bajrami, l'ordinanza ammissiva delle prove resa dal giudice nella precedente, e poi mutata, composizione non va formalmente rinnovata, se condivisa anche dal giudice nella composizione sopravvenuta, poiché conserva efficacia, se non espressamente modificata o revocata.

4.2.3. In sintesi, anche in sede di giudizio abbreviato con integrazione probatoria (su richiesta di parte o disposta di ufficio) vale il principio di immutabilità del giudice in forza del quale il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso che ha assunto la prova ma anche quello che l'ha ammessa, fermo restando che i provvedimenti sull'ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto conservano efficacia se non espressamente modificati o revocati (arg. da Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019 , Bajrami, Rv. 276754).

5. Il terzo e il quarto motivo sono generici.

5.1. Le censure non colgono il nucleo della decisione di condanna che riposa sulla veste di amministratore di fatto assegnato all'imputato. Va premesso, sotto il profilo giuridico, che, secondo l'insegnamento della Corte di cassazione, risponde dei delitti di bancarotta anche l'amministratore di fatto" che abbia esercitato in concreto poteri di amministratore di una società in nome collettivo o in accomandita semplice e che, pertanto, non rivestendo la qualità di "socio illimitatamente responsabile", può non essere stato dichiarato fallito in proprio (Sez. 5, n. 43036 del 13/10/2009, Gennari, Rv. 245435). Nella specie la Corte di appello ricava lo svolgimento di poteri dagli indici sintomatici di seguito indicati, tratti dalla documentazione in atti e dalle deposizioni di Bugli Michele e di Raffaella Tedeschi, commercialista della società fallita: - era stato B. a suggerire ed attuare la creazione della nuova società a responsabilità limitata, peraltro controllata al 80% da una società della quale lo stesso B. era socio di maggioranza, ed il trasferimento alla stessa dell'intera azienda già facente capo alla fallita; - l'imputato aveva piena delega ad operare sui conti correnti della società in nome collettivo, intratteneva personalmente i rapporti con il direttore della banca, decideva quali pagamenti effettuare, gestiva i rapporti con la commercialista Tedeschi e, per la parte economica e finanziaria, i Bugli operavano, di fatto, sotto le sue direttive; - era lo stesso B. ad impartire ai Bugli le disposizioni su come comportarsi con la curatela del fallimento, che definiva "il nemico"; - le prestazioni rese dalla dottoressa T. in favore della società fallita erano state retribuite dal B. tramite un assegno tratto sul proprio conto corrente; - B. si era recato di persona dalla dottoressa Tedeschi a ritirare le scritture contabili della società. L'accenno ad un eventuale concorso dell'extraneus è fatto in via subordinata, come mero argomento di rinforzo. Peraltro va ricordato che non integra violazione del principio di correlazione tra il reato contestato e quello ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), la decisione con la quale un soggetto venga condannato per bancarotta fraudolenta nella qualità di socio amministratore di fatto, anziché quale amministratore unico di diritto, qualora rimanga immutata l'azione distrattiva ascrittagli (cfr. da ultimo Sez. 5, n. 36155 del 30/04/2019. Meoli, Rv. 276779).

5.2. A fronte di tanto il ricorrente svolge solo deduzioni in fatto, di carattere frammentario che tendono a sminuire o reinterpretare gli esiti delle prove raccolte senza mai misurarsi con la struttura motivazionale della decisione. Eloquente il caso della invocazione, a proprio favore, della relazione della Guardia di Finanza, atto che, però, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, conferma e non smentisce la distrazione. 6. Il quinto motivo è generico./ Il ricorrente si limita ad affermare che la Corte di appello "nella sua apparente motivazione omette qualsiasi riferimento e/o argomentazione sulla valutazione dell'elemento psicologico". L'assunto è espresso in modo apodittico e viene confutato dalla semplice lettura della motivazione della sentenza impugnata che ha cura di scrutinare anche l'elemento soggettivo dei reati di bancarotta addebitati all'imputato.

6.1. Il dolo della bancarotta fraudolenta patrimoniale risulta in maniera lampante (cfr. pagg. 6 e 7 sentenza impugnata) considerato che l'imputato elabora e mette in atto una strategia volta a depredare la fallita del proprio patrimonio attraverso: - il trasferimento dei beni a una società controllata dall'imputato; - la destinazione di somme di denaro direttamente nelle tasche dell'imputato.

6.2. Quanto alla bancarotta fraudolenta documentale, l'imputato si è fatto consegnare dalla commercialista le scritture contabili della società e, dopo il fallimento, ha ordinato ai Bugli di non consegnare nulla "al nemico" curatore. In tale precisa scelta comportamentale diretta alla sottrazione delle scritture contabili nell'ottica di celare le operazioni distrattive, la Corte di appello ravvisa il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori (pag. 7 sentenza impugnata). Peraltro le scritture, che sono state successivamente trovate in possesso proprio dell'imputato, sono inattendibili, perché il libro giornale non riporta alcune operazioni effettuate sui conti correnti (pag. 7).

7. Consegue il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/11/2020


 

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