REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente -
Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano - Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - rel. Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10115/2009 proposto da:
G.A.M., G.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 146, presso lo studio dell'avvocato MOCCI ERNESTO, rappresentati e difesi dagli avvocati BRIENZA Rocco Antonio, DI GIANDOMENICO GIOVANNI;
- ricorrenti -
contro
G.C.;
- intimato -
nonchè da:
G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TERENZIO 7, presso lo studio dell'avvocato ORAZIO ABBAMONTE, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente incidentale -
e contro
G.L. , G.A.M.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 58/2009 della CORTE D'APPELLO di POTENZA, depositata il 03/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/06/2014 dal Consigliere Dott. PASQUALE D'ASCOLA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per declaratoria di inammissibilità o rigetto del primo e secondo motivo del ricorso principale, accoglimento del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

1) La controversia concerne, per quanto ancora interessa, l'indennizzo richiesto e ottenuto dall'attore, l'odierno resistente G.C., per miglioramenti e addizioni eseguiti in un immobile di proprietà della madre B.M.C.
Secondo quanto stabilito dalla sentenza non definitiva del tribunale di Potenza n. 173 del 2000, le opere erano state eseguite dal figlio nel corso di una relazione familiare caratterizzata di comunione di vita ed interessi.
Essendo nelle more del giudizio deceduti gli originari convenuti, cioè la madre e G.M., fratello dell'attore, la sentenza definitiva del 2003 condannava le eredi di quest'ultimo al pagamento della somma di circa 57.000 Euro, importo del credito valutato al novembre 2002.
La Corte di appello di Potenza il 3 marzo 2009 accoglieva il gravame interposto dall'attore C. e, valorizzando la prima consulenza tecnica acquisita in causa, quantificava il dovuto in Euro 185.000 circa, oltre interessi legali dal febbraio 2001.
Rigettava l'appello incidentale delle eredi G., rilevando che: il diritto all'indennità era ormai passato in giudicato per mancata impugnazione della sentenza non definitiva; non era comunque provato che gli interventi edilizi eseguiti fossero illeciti, potendo risalire a data anteriore all'agosto 1967 ed essendo prescritto l'illecito penale; il manufatto era stato comunque condonato.
Con atto notificato il 21 aprile 2009 le soccombenti G. A. e L. hanno proposto ricorso per cassazione, svolgendo tre motivi illustrati da memoria.
L'intimato ha resistito con controricorso e ha svolto ricorso incidentale.

Motivazione

2) I primi due motivi di ricorso attengono all'esistenza del diritto dell'attore G.C. a percepire l'indennizzo per i miglioramenti.
La ratio della decisione non è scalfita dalle due censure.
Essa riposa sul passaggio in giudicato della sentenza che ha pronunciato sul punto, cioè la sentenza non definitiva n. 173/2000 del tribunale, la quale non è stata fatta oggetto di riserva di appello.
La Corte d'appello ha rilevato che il prosieguo del giudizio di primo grado era stato "finalizzato unicamente alla relativa quantificazione", ditalchè tardivo era l'appello incidentale delle G., spiegato solo contro la sentenza definitiva di tribunale.

Le censure svolte nell'odierno ricorso attengono alla abusività urbanistico edilizia della costruzione eseguita dall'attore e quindi alla non configurabilità del suo diritto a un indennizzo ex art. 1150 c.c., cioè alla questione risolta con forza di giudicato.
In particolare il primo motivo espone che in caso di opere abusive è possibile solo l'azione ex art. 2041 c.c.
Il secondo motivo deduce che "la illegittimità dei lavori di riattazione" era emersa solo a seguito delle indagini peritali, dalle quali sarebbero emersi fatti che consentivano "di stabilire che gli interventi edilizi erano stati realizzati successivamente all'entrata in vigore della L. n. 765 del 1967".
La censura non coglie nel segno, giacchè le verifiche in sede amministrative svolte dal consulente avrebbero potuto e dovuto essere svolte dalla parte prima di iniziare il giudizio, accertando con adeguati riscontri l'epoca dell'opera. Nel dubbio, anche al fine di ulteriori ricerche sarebbe stato indispensabile proporre riserva di appello e tener viva la contestazione sull'an, cioè sull'esistenza del diritto azionato e non soltanto sul quantum.
2.1) Invano il motivo di ricorso invoca il potere del giudice, nella successiva fase di quantificazione dell'indennizzo, di escluderne l'esistenza. Questo potere si riferisce all'accertamento di eventuale insussistenza di costi sopportati dall'attore e indennizzabili, cioè a questioni comunque attinenti al quantum della obbligazione, non potendo rivivere nella fase di determinazione del quantum questioni relative all'affermazione del diritto in astratto, trattandosi di accertamento favorevole alla parte attrice già coperto da giudicato.

3) Il terzo motivo denuncia l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla quantificazione dell'indennità ex art. 1150 c.c., riconosciuta all'attore.
Parte ricorrente si duole dell'adesione della sentenza alla prima consulenza tecnica di ufficio, redatta dal geom. M. nel febbraio 2001, pur molto diversa, negli esiti (quantificazione in circa L. 358 milioni), dalla relazione di cui ai "chiarimenti" depositati il 4 dicembre 2002.
Lamenta soprattutto l'omessa considerazione della consulenza disposta proprio dalla Corte d'appello (relazione Gi. del 22 maggio 2007).
Evidenzia che questa seconda consulenza aveva svolto accertamenti rilevanti quanto alla data di esecuzione dei lavori (pag. 18-21); quanto alla distinzione tra i miglioramenti apportati dall'attore e quelli attribuiti al fratello M.; quanto all'uso del criterio di calcolo c.d. comparativo, diverso da quello utilizzato dal CTU di primo grado.
Rileva che il Collegio di appello aveva disposto la nuova consulenza a causa di difetti della prima e censura il silenzio serbato dalla sentenza circa le difformità tra prima e seconda consulenza e soprattutto circa le critiche mosse alla prima dagli scritti difensivi, riportati in narrativa di ricorso.

3.1) La doglianza è fondata.
La sentenza di appello è basata sugli accertamenti del primo CTU e sul riferimento ad alcune dichiarazioni testimoniali rilevanti in ordine alla tipologia degli interventi effettuati.
Giunge alla conclusione: a) che grazie a tali interventi il fabbricato rustico della de cuius "ha cessato di esistere in quanto rustico", per divenire una villetta di campagna, estesa per 123,64 mq al piano terra, 162,21 al primo, 53,60 al sottotetto e una pertinenza per animali 34,50.
b) che il costo degli interventi all'epoca di effettuazione secondo il computo metrico estimativo del primo ctu fu di circa L. 20milioni;
c) che tali costi sono però inferiori ai "complessivi e definitivi miglioramenti apportati all'immobile motivo questo per cui non può non riconoscersi all'appellante l'intero credito, cosi come quantificato con la prima ctu agli atti per L. 358.084.733 alla data del 14 febbraio 2001".
Le motivazioni della sentenza prescindono del tutto, senza dare alcuna motivazione, dal contenuto della seconda consulenza, riportata in ricorso da pag. 28 in poi, che era pervenuta a conclusioni parzialmente diverse e che era stata comunque criticata dalle odierne ricorrenti.

Una motivazione cosi sviluppata si presta alle censure di inadeguatezza della motivazione, poichè qualora il giudice d'appello dissenta dalle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio di secondo grado ed accolga quelle del consulente tecnico di primo grado, che siano state contestate dalla parte interessata, egli deve non soltanto enunciare le ragioni che lo inducono ad accettare la prima consulenza, ma deve specificamente contestare le contrastanti valutazioni della seconda consulenza, anche in relazione alle critiche delle parti (Cass. 4652/01; 6149/06).
Perfino quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza il giudice di appello deve giustificare la propria preferenza, indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione (Cass. 19572/13; 3787/01; cfr. anche Cass. 5148/11).

4) La sentenza di appello va pertanto cassata e il giudice di rinvio dovrà provvedere a ripercorrere l'iter argomentativo, tenendo conto sia delle risultanze della seconda consulenza sia delle critiche formulate dalle parti alle due relazioni; dovrà pertanto analiticamente individuare i punti controversi, i dissensi tra i consulenti e le ragioni della propria adesione all'una o all'altra tesi sui profili controversi.
4.1) Resta assorbito il ricorso incidentale, che è relativo al riconoscimento della rivalutazione monetaria.
Il ricalcolo degli importi dovuti per indennizzi, computato dai consulenti con riferimento a date diverse, potrebbe indurre i giudici di appello a nuova impostazione della liquidazione.
La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la cognizione rimessa alla Corte di appello di Salerno per lo svolgimento in parte qua del giudizio di appello e la liquidazione delle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso principale. Accoglie il terzo. Dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Salerno, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2014


 

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