REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FORTE Fabrizio - Presidente -
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere -
Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - rel. Consigliere -
Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3433/2014 proposto da:
M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 45, presso l'avvocato MATTEO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E. GIANTURCO, 6, presso lo STUDIO LATTANZI RIVELLESE & ASSOCIATI, rappresentato e difeso dall'avvocato RIVELLESE NICOLA, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
contro
L.F.
- intimato -
avverso la sentenza n. 5760/2013 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 25/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2014 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;
udito, per il controricorrente, l'Avvocato N. RIVELLESE che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, su ricorso proposto dal tutore, revocava l'interdizione di M.G. ritenendo più adeguata la misura dell'amministrazione di sostegno.
Avverso tale sentenza ha proposto appello la sorella del M., R., rilevando preliminarmente di non aver ricevuto la notifica del ricorso e, conseguentemente, di non aver potuto riferire informazioni rilevanti ai fini della decisione ex art. 429 c.c.; di opporsi alla revoca dal momento che l'amministrazione d sostegno non era misura adeguata a tutelare gli interessi economici dell'interdetto comproprietario unitamente a lei di un ingente patrimonio immobiliare del valore di diversi milioni di Euro; di ritenere necessaria consulenza medico legale psichiatrica nonchè prova testimoniale e di ritenere invalida la costituzione del M.

La Corte d'appello ha rigettato l'impugnazione sulla base delle seguenti argomentazioni:
nel giudizio d'interdizione ed inabilitazione i parenti e gli affini che a norma dell'art. 712 c.p.c., devono essere indicati nel ricorso non hanno la veste di parti in senso tecnico giuridico ma sono esclusivamente "fonti d'informazioni". Pertanto la mancata notifica ad esse non determina alcuna nullità e può costituire motivo d'impugnazione solo se concerna un congiunto in grado di fornire informazioni tali da far decidere il giudizio diversamente. La loro mancata audizione, peraltro, secondo la giurisprudenza di legittimità è sanabile mediante audizione.
Nella specie il tutore aveva informato il legale della M.
Quest'ultimo aveva comunicato che M.R. non poteva essere presente per motivi personali. Peraltro informazioni sulle condizioni di vita e la salute psicofisica dell'interdetto sono state assunte dal Tribunale attraverso vari informatori in contatto con esso perchè operanti nel consultorio presso il quale il M. presta opera di volontariato. L'audizione della sorella poteva, pertanto, ritenersi superflua a causa della mancanza di rapporti da molti anni tra i due fratelli.
La procura rilasciata dal M. al proprio difensore doveva ritenersi valida in quanto ex art. 716 c.p.c., richiamato dall'art. 720 c.p.c., l'interdicendo e l'inabilitando possono stare in giudizio da soli anche nelle impugnazioni ed anche se è stato nominato il tutore. La capacità di agire e contraddire è conservata ai fini della difesa del proprio status.
L'interdizione, dall'introduzione dell'amministrazione di sostegno ha carattere residuale. La scelta tra le misure deve fondarsi sul criterio della maggiore adeguatezza della misura adottata rispetto alle concrete esigenze del caso specifico. Nella specie, l'amministrazione di sostegno è la misura più adeguata in quanto la patologia psichica del M. non gl'impedisce di compiere gli atti legati alla propria autonomia quotidiana, mentre senz'altro è necessario un sostegno per l'amministrazione del patrimonio immobiliare in comunione con la sorella. Non può configurarsi un'abituale infermità di mente in quanto alla luce delle relazioni tecniche in atti la patologia sofferta non ne compromette le facoltà intellettuali e cognitive, anzi tali facoltà sono superiori alla norma salva la necessità di un aiuto psicologico per i momenti di crisi. Infine da parte del M. c'è consapevolezza del proprio disturbo, così dimostrando contatto con la realtà e senso critico.
Peraltro dalla relazione dello psichiatra è emerso che la maggiore autonomia e libertà concessagli dai giudici ha determinato un netto miglioramento della sua condizione esistenziale. L'audizione è stata infine adeguata alle domande con illustrazione chiara dei dissidi con la sorella.
La misura dell'interdizione è in conclusione nettamente eccedente le esigenze di tutela personale e patrimoniale del M., essendo misura adeguata l'amministrazione di sostegno.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso M.R., affidandosi a quattro motivi. Ha resistito con controricorso M.G.

Motivazione

Nel primo motivo viene denunciata la violazione degli artt. 429, 712 e 713 c.c., per non avere la Corte d'Appello valutato l'omessa notifica del decreto di fissazione d'udienza alla ricorrente e la conseguente sua mancata audizione nel giudizio di primo grado.

Al riguardo deve osservarsi che secondo il costante orientamento di questa Corte e come già correttamente evidenziato dalla Corte d'Appello, nel giudizio d'interdizione (e, conseguentemente in quello che abbia ad oggetto la revoca di essa) i parenti e gli affini non sono parti necessarie del procedimento (Cass. 15346 del 2000; con riferimento al procedimento rivolto alla nomina dell'amministrazione di sostegno Cass.14190 del 2013). Una volta che ad essi sia stato notificato il ricorso medesimo, la loro concreta partecipazione è condizionata dall'apporto informativo che essi possono fornire. Non essendo contestato che il ricorso del tutore sia stato notificato alla ricorrente la mancata notifica formale dell'udienza di comparizione, peraltro comunicatale (anche tale circostanza non è contestata) non ha determinato nessun vulnus nel diritto di difesa della ricorrente nei gradi di merito, essendo la medesima integralmente in condizioni d'indicare le ragioni ostative alla revoca della misura. Deve osservarsi al riguardo che la dedotta lesione del diritto di partecipare all'udienza di comparizione non è accompagnata dall'indicazione specifica del deficit informativo che a tale carenza dovrebbe ricondursi nè vengono dedotti fatti specifici ed informazioni contrastanti rispetto a quelle acquisite nel processo. La parte ricorrente si limita ad affermare che doveva essere sentita perchè in possesso delle informazioni necessarie senza allegarne il contenuto. Infine non è stato dedotto di aver chiesto di essere sentita, di aver allegato documentazione o di aver formulato dedotto istanze istruttorie.

Nel secondo motivo viene dedotto, sotto il profilo del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5. l'omessa motivazione in ordine al mancato espletamento di consulenza tecnica d'ufficio.
Al riguardo deve osservarsi che nella penultima pagina della motivazione della sentenza impugnata la Corte territoriale da ampio riscontro dei molteplici elementi di valutazione della condizione del M., riferendosi a consulenze psichiatriche e psicologiche, a diagnosi condivise, all'osservazione diretta e continuativa degli informatori ed infine all'esame diretto dell'interdetto. La valutazione di completezza di tale quadro ampiamente argomentata dalla Corte costituisce un'adeguata motivazione al mancato esercizio di un potere discrezionale evidentemente ritenuto superfluo.

Nel terzo motivo viene dedotta l'inammissibilità della costituzione del M. per mezzo di proprio difensore.
La censura presenta un profilo d'inammissibilità del difetto d'interesse essendo comunque il ricorso per revoca dell'interdizione stato proposto dal tutore. Essa è, tuttavia, da esaminare quanto meno ai fini del regime delle spese di lite di questo procedimento e deve ritenersi anche manifestamente infondato, potendo l'interdetto come sottolineato dalla Corte d'Appello stare in giudizio per difendere la pienezza della sua capacità e del suo status, ex art. 716, richiamato dall'art. 720 c.p.c.
Il principio è stato reiteratamente affermato in tema di capacità processuale dell'interdicendo anche dopo la nomina del tutore provvisorio (Cass. 14866 del 2000) ma non può che applicarsi anche in tema di revoca sia per il già indicato rinvio contenuto nella norma relativa alla revoca (art. 720 c.p.c.) alla disciplina processuale relativa alla dichiarazione d'interdizione ed inabilitazione, la quale contiene anche l'art. 716 c.p.c., che regola la capacità processuale dell'interdicendo, sia perchè anche nel giudizio di revoca opera il principio secondo il quale l'interdicendo o l'interdetto hanno sempre il diritto di difendere la conservazione o il ripristino integrale della propria capacità di agire.

Nel quarto motivo viene censurata ex art. 360 c.p.c., n. 5, l'omessa od insufficiente valutazione del patrimonio indiviso del a. e della ricorrente.
La censura mira ad un'inammissibile riesame del merito dal momento che la Corte territoriale ha esaurientemente spiegato perchè la misura dell'amministrazione di sostegno costituisce idoneo strumento per la tutela anche dei profili patrimoniali.

Il ricorso in conclusione deve essere respinto con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese del procedimento.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento che liquida in favore della parte controricorrente in Euro 3000 per compensi; Euro 200 per esborsi oltre il 10% per spese forfettarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2015


 

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