SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

10 dicembre 2020 (*)

«Impugnazione – Aiuti di Stato – Settore del trasporto aereo – Servizi di assistenza a terra negli aeroporti di Milano Linate (Italia) e Milano Malpensa (Italia) – Apporti di capitale effettuati dalla società che gestisce tali aeroporti a favore della sua controllata detenuta al 100% che fornisce tali servizi – Azionariato pubblico dell’ente di gestione – Decisione che dichiara tali misure aiuti di Stato illegittimi e incompatibili con il mercato interno – Articolo 107, paragrafo 1, TFUE – Nozioni di “risorse statali”, di “misura imputabile allo Stato” e di “vantaggio economico” – Principio dell’operatore privato – Criterio dell’investitore privato – Onere della prova – Valutazioni economiche complesse – Intensità del controllo giurisdizionale – Snaturamento di elementi di prova»

Nella causa C‑160/19 P,
avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 22 febbraio 2019,

Comune di Milano (Italia), rappresentato da A. Mandarano, E. Barbagiovanni, S. Grassani e L. Picciano, avvocati,
ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata da D. Recchia, G. Conte e D. Grespan, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da A. Arabadjiev (relatore), presidente di sezione, K. Lenaerts, presidente della Corte, facente funzione di giudice della Seconda Sezione, M. Ilešič, A. Kumin e T. von Danwitz, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: R. Schiano, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 giugno 2020,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 luglio 2020,

ha pronunciato la seguente

Motivazione

1 Con la sua impugnazione, il Comune di Milano (Italia) chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 13 dicembre 2018, Comune di Milano/Commissione (T‑167/13, in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2018:940), con la quale quest’ultimo ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della decisione (UE) 2015/1225 della Commissione, del 19 dicembre 2012, relativa agli aumenti di capitale effettuati dalla società SEA SpA a favore di SEA [Handling] SpA [SA.21420 (C 14/10) (ex NN 25/10)]; (ex CP 175/06)] (GU 2015, L 201, pag. 1, in prosieguo: la «decisione controversa»).

Fatti

2 La SEA SpA è la società che gestisce gli aeroporti di Milano Linate (Italia) e di Milano Malpensa (Italia). Fra il 2002 e il 2010 (in prosieguo: il «periodo in esame»), il suo capitale era quasi interamente detenuto da enti pubblici, vale a dire per l’84,56% dal Comune di Milano, per il 14,56% dalla Provincia di Milano (Italia) e per lo 0,88% da altri azionisti pubblici e privati. Nel dicembre 2011, la F2i – Fondi Italiani per le infrastrutture SGR SpA ha acquistato, per conto di due fondi da essa gestiti, il 44,31% del capitale della SEA, formato da una parte del capitale detenuto dal Comune di Milano (29,75%) e dalla totalità del capitale detenuto dalla Provincia di Milano (14,56%).

3 Fino al 1° giugno 2002, la SEA forniva direttamente i servizi di assistenza a terra negli aeroporti di Milano Linate e Milano Malpensa. In seguito all’entrata in vigore del decreto legislativo del 13 gennaio 1999, n. 18 – Attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità (Supplemento ordinario alla GURI n. 28, del 4 febbraio 1999), la SEA, in conformità all’obbligo previsto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 96/67/CE del Consiglio, del 15 ottobre 1996, relativa all’accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità (GU 1996, L 272, pag. 36), ha proceduto alla separazione contabile e giuridica tra le sue attività legate alla fornitura dei servizi di assistenza a terra e le sue altre attività. A tal fine, essa ha costituito una nuova società, interamente controllata dalla stessa e denominata SEA Handling SpA, la quale è stata incaricata di fornire servizi di assistenza a terra negli aeroporti di Milano Linate e Milano Malpensa a partire dal 1° giugno 2002.

4 Il 26 marzo 2002, l’amministrazione del Comune di Milano, la SEA e alcune organizzazioni sindacali hanno concluso un accordo (in prosieguo: l’«accordo sindacale del 26 marzo 2002»), che stabilisce quanto segue:

«L’amministrazione del Comune di Milano (…) conferma che (…)

– la quota di maggioranza della società di handling rimarrà a SEA per almeno cinque anni;

– SEA, in merito agli eventuali partner, è impegnata a darne comunicazione alle organizzazioni sindacali e a presentare insieme agli stessi il piano aziendale e la struttura aziendale (...) L’accordo che SEA stipulerà con le organizzazioni sindacali avrà valore operativo dopo la presentazione ed il confronto sindacale del suddetto piano;

– il piano di mobilità concordato dovrà dare soluzione agli eventuali esuberi escludendo procedure di licenziamento collettivo impegnando SEA all’onere di riqualificazione, riconversione, incentivazione all’esodo e accompagnamento alla pensione del personale individuato;

– il passaggio dei lavoratori nella nuova società avverrà con la tutela dei diritti acquisiti e con la garanzia occupazionale per i prossimi cinque anni;

– l’equilibrio costi/ricavi e il quadro economico in generale saranno sostenuti da SEA ed eventuali partner mantenendo invariate le sue capacità gestionali, migliorando ulteriormente e sensibilmente le sue possibilità di ben concorrere sui mercati nazionali ed internazionali;

– si attiverà presso i Ministeri competenti e le autorità aeroportuali ai fini dell’adozione di direttive utili a garantire l’occupazione in caso di processi di trasferimento dell’attività di assistenza a terra in concorrenza, anche per rispondere agli impegni di sicurezza e di affidabilità imposti ai gestori aeroportuali, impegni che devono riguardare anche gli addetti che operano nelle attività di assistenza a terra.

L’amministrazione comunale e le organizzazioni sindacali, infine, monitoreranno i contenuti della presente intesa, verificandone nel tempo le fasi di attuazione con appositi incontri».

5 Tali impegni sono stati confermati da accordi conclusi tra la SEA e i sindacati, segnatamente il 4 aprile 2002 e il 19 giugno 2003, il contenuto dei quali riprendeva espressamente quello dell’accordo del 26 marzo 2002.

6 Nel corso del periodo in esame, la SEA Handling ha ricevuto dalla SEA sovvenzioni sotto forma di apporti di capitale per un importo complessivo di EUR 359,644 milioni (in prosieguo: le «misure in questione»). Dette sovvenzioni erano destinate a coprire le perdite di esercizio della SEA Handling, le quali ammontavano, per questo medesimo periodo, a un importo complessivo di EUR 339,784 milioni, ossia circa EUR 43,639 milioni (anno 2002), EUR 49,489 milioni (anno 2003), EUR 47,962 milioni (anno 2004), EUR 42,430 milioni (anno 2005), EUR 44,150 milioni (anno 2006), EUR 59,724 milioni (anno 2007), EUR 52,387 milioni (anno 2008), EUR 29,7 milioni (anno 2009) e EUR 13,4 milioni (anno 2010).

7 Pertanto, in applicazione delle misure in questione, la SEA Handling ha successivamente ottenuto dalla SEA EUR 39,965 milioni (anno 2002), EUR 49,132 milioni (anno 2003), EUR 55,236 milioni (anno 2004), EUR 40,229 milioni (anno 2005), EUR 60,439 milioni (anno 2006), EUR 41,559 milioni (anno 2007), EUR 25,271 milioni (anno 2008) e EUR 47,810 milioni (anno 2009).

8 Con lettera del 13 luglio 2006, la Commissione europea ha ricevuto una denuncia riguardante presunti aiuti di Stato che sarebbero stati concessi alla SEA Handling.

9 Con lettera del 23 giugno 2010, la Commissione ha notificato alle autorità italiane la propria decisione di avviare il procedimento di indagine formale di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE.

10 Il 19 dicembre 2012, la Commissione ha adottato la decisione controversa. Al punto 191 di tale decisione, essa ha ritenuto che le risorse utilizzate a copertura delle perdite della SEA Handling avessero origine pubblica poiché provenivano dalla SEA, il cui capitale, durante il periodo oggetto d’esame, era detenuto al 99,12% dal Comune di Milano e dalla Provincia di Milano.

11 Ai punti da 192 a 217 di detta decisione, la Commissione è pervenuta alla conclusione dell’imputabilità delle misure in questione allo Stato italiano, sulla base di una serie di cinque indizi comprendenti, in primo luogo, gli accordi sindacali menzionati ai punti 4 e 5 della presente sentenza nonché altri documenti, in secondo luogo, la particolare dipendenza della direzione della SEA nei confronti del Comune di Milano, in terzo luogo, l’esistenza di lettere di dimissioni in bianco consegnate dagli amministratori della SEA al Comune di Milano, in quarto luogo, la rilevanza delle operazioni degli aeroporti di Milano Malpensa e di Milano Linate nelle politiche del Comune di Milano e, in quinto luogo, la natura di misure eccezionali degli aumenti di capitale che avrebbero dovuto essere approvati dall’assemblea generale della SEA. In particolare, la Commissione ha dedotto da tali indizi l’esistenza di una strategia unica e di un coinvolgimento continuo delle autorità pubbliche italiane, circostanza che, dal suo punto di vista, ha l’effetto di dispensarla dall’analisi individuale di ciascuno degli interventi.

12 Ai punti da 219 a 315 della medesima decisione, la Commissione ha verificato il criterio dell’investitore privato alla luce degli elementi forniti dalle autorità italiane, dalla SEA e dalla SEA Handling, relativi: 1) a una strategia pluriennale di coperture delle perdite, 2) agli apporti di capitale intervenuti nel 2002, 3) al contesto al momento dell’adozione delle decisioni riguardanti tali apporti, 4) alle alternative alla copertura delle perdite, 5) alla scelta del modello commerciale del gruppo SEA di fornire direttamente i servizi offerti dalla SEA Handling, 6) alla ristrutturazione della SEA Handling e agli obiettivi perseguiti al riguardo dalla SEA, 7) ai risultati economici successivi della SEA Handling e 8) alla comparazione di tali risultati con quelli di altri operatori. Al termine di tale esame, la Commissione è pervenuta alla conclusione che tale criterio non era soddisfatto rispetto a nessuna delle misure in questione.

13 Nel dispositivo della decisione controversa, la Commissione ha ritenuto, segnatamente, che gli aumenti di capitale effettuati dalla SEA a favore della SEA Handling per ciascuno degli esercizi del periodo in esame costituissero aiuti di Stato, ai sensi dell’articolo 107 TFUE (articolo 1) e che detti aiuti di Stato, concessi in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, fossero incompatibili con il mercato interno (articolo 2). Di conseguenza, essa ha ingiunto alla Repubblica italiana di procedere al recupero di tali aiuti presso il beneficiario (articolo 3, paragrafo 1).

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

14 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 marzo 2013, il Comune di Milano ha proposto un ricorso diretto, in via principale, all’annullamento della decisione controversa e, in subordine, all’annullamento degli articoli da 3 a 5 di quest’ultima.

15 A sostegno del ricorso, il Comune di Milano ha dedotto quattro motivi, il primo e il secondo dei quali vertevano su violazioni dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, in quanto la Commissione avrebbe, da un lato, erroneamente constatato che vi era stato un trasferimento di risorse statali e che le misure in questione erano imputabili allo Stato italiano nonché, dall’altro, violato il criterio dell’investitore privato.

16 Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso e ha condannato il Comune di Milano alle spese.

Conclusioni delle parti

17 Il Comune di Milano chiede che la Corte voglia annullare sia la sentenza impugnata che la decisione controversa, nonché condannare la Commissione alle spese.

18 La Commissione chiede che la Corte voglia respingere l’impugnazione e condannare il Comune di Milano alle spese.

Sull’impugnazione

19 A sostegno della sua impugnazione, il Comune di Milano deduce quattro motivi, il primo e il quarto dei quali vertono su violazioni dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, in quanto il Tribunale avrebbe, da un lato, erroneamente constatato l’esistenza di un trasferimento di risorse statali e concluso per l’imputabilità al Comune di Milano delle misure in questione nonché, dall’altro, violato il criterio dell’investitore privato. Con i motivi secondo e terzo, anch’essi relativi all’imputabilità delle misure in questione al Comune di Milano, quest’ultimo fa valere che il Tribunale ha erroneamente applicato i principi dell’onere della prova nonché snaturato fatti ed elementi di prova.

Sul primo motivo, relativo alla nozione di aiuto di Stato

Sulla prima parte del primo motivo, relativa alla nozione di risorse statali

– Argomenti delle parti

20 Il Comune di Milano fa valere che il Tribunale è incorso in un errore di diritto quando si è basato, ai punti 65 e 66 della sentenza impugnata, sulla sua partecipazione di maggioranza nella SEA e sulla presunzione di influenza dominante, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese (GU 2006, L 318, pag. 17), senza verificare se la Commissione avesse dimostrato l’effettività di tale influenza, se non addirittura la gestione a suo favore delle risorse della SEA.

21 Orbene, anzitutto, il fatto che i membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale della SEA siano stati nominati dall’azionista di maggioranza non dimostrerebbe affatto, alla luce delle norme del diritto societario italiano applicabile, che i mezzi finanziari della SEA fossero costantemente sotto il controllo delle autorità pubbliche.

22 La direttiva 2006/111, poi, sarebbe stata adottata sulla base giuridica dell’articolo 106 TFUE e non dell’articolo 107 TFUE, cosicché la ratio di tale direttiva non sarebbe pertinente per valutare le nozioni contenute in quest’ultima disposizione.

23 Infine, secondo la giurisprudenza, la condizione di un controllo pubblico costante delle risorse sarebbe soddisfatta solo se le risorse di cui trattasi siano costantemente a disposizione delle autorità pubbliche, sulla base di elementi concreti, il che non si verificherebbe nel caso di specie. La Corte avrebbe infatti dichiarato, nella sua sentenza del 13 settembre 2017, ENEA (C‑329/15, EU:C:2017:671), che la mera circostanza che lo Stato detenga la maggioranza del capitale di imprese non consente di dedurne l’esistenza di un’influenza dominante che permetta di orientare l’utilizzo delle risorse di tali imprese. Occorrerebbe, inoltre, fornire la prova dell’esistenza di istruzioni dello Stato connesse alla gestione delle risorse impiegate per la concessione dell’aiuto.

24 La Commissione sostiene che il Tribunale ha statuito ultra petita quando ha proceduto, nella sentenza impugnata, all’analisi dell’esistenza di un trasferimento di risorse statali, sebbene, in primo grado, il Comune di Milano non avesse dedotto alcun argomento che contestasse la qualificazione delle risorse della SEA come risorse statali, come risulterebbe dai punti da 55 a 58 e 64 della sentenza impugnata. Pertanto, il Comune di Milano non può legittimamente contestare, nell’ambito della presente impugnazione, l’analisi da parte del Tribunale di un motivo che non era stato sollevato in primo grado. La Commissione contesta, inoltre, l’argomentazione nel merito del Comune di Milano.

– Giudizio della Corte

25 Per quanto riguarda la ricevibilità della prima parte del primo motivo di impugnazione, è vero, come rileva la Commissione, che il Tribunale ha esaminato la natura statale delle risorse della SEA trasferite alla SEA Handling senza che il Comune di Milano avesse sollevato dinanzi ad esso argomenti specifici al riguardo, circostanza questa che il Tribunale ha del resto sottolineato al punto 64 della sentenza impugnata.

26 Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 25 delle sue conclusioni, dal ricorso in primo grado emerge, senza ambiguità, che il Comune di Milano contestava, con l’argomentazione dedotta con il suo primo motivo, allo stesso tempo l’imputabilità delle misure in questione e la natura statale delle risorse impiegate. Ne consegue che il Tribunale, con le considerazioni contenute nei punti 65 e 66 della sentenza impugnata, non ha statuito ultra petita, sicché l’argomentazione della Commissione relativa all’irricevibilità della prima parte del primo motivo di impugnazione dev’essere respinta.

27 Quanto alla fondatezza di tale parte, occorre ricordare anzitutto che, secondo costante giurisprudenza della Corte, la qualificazione di una misura come «aiuto di Stato», ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, esige che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni. In primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, tale intervento deve essere idoneo a incidere sugli scambi tra gli Stati membri. In terzo luogo, esso deve concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario. In quarto luogo, esso deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (sentenza del 19 dicembre 2019, Arriva Italia e a., C‑385/18, EU:C:2019:1121, punto 31 nonché giurisprudenza ivi citata).

28 Pertanto, affinché determinati vantaggi possano essere qualificati come aiuti ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, essi devono, in conformità alla prima di tali condizioni, da un lato, essere concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali e, dall’altro, essere imputabili allo Stato (sentenza del 18 maggio 2017, Fondul Proprietatea, C‑150/16, EU:C:2017:388, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).

29 Per quanto riguarda, in particolare, la condizione che il vantaggio venga concesso direttamente o indirettamente mediante risorse statali, da una giurisprudenza consolidata emerge che la nozione di «aiuto» è più generale di quella di «sovvenzione», dato che essa non designa soltanto prestazioni positive, come le sovvenzioni stesse, ma anche gli interventi che, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa e che, di conseguenza, senza essere sovvenzioni nel senso stretto del termine, hanno la stessa natura e producono identici effetti (sentenza del 18 maggio 2017, Fondul Proprietatea, C‑150/16, EU:C:2017:388, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).

30 Al riguardo, la Corte ha già dichiarato che l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE comprende tutti gli strumenti pecuniari che le autorità pubbliche possono effettivamente utilizzare per sostenere imprese, a prescindere dal fatto che tali strumenti appartengano o meno permanentemente al patrimonio dello Stato. Di conseguenza, anche se le somme corrispondenti alla misura in questione non sono permanentemente in possesso dell’Erario, il fatto che restino costantemente sotto controllo pubblico, e dunque a disposizione delle autorità nazionali competenti, è sufficiente perché siano qualificate come risorse statali (sentenza del 18 maggio 2017, Fondul Proprietatea, C‑150/16, EU:C:2017:388, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).

31 Per quanto concerne, più in particolare, le imprese pubbliche, come la SEA, la Corte ha altresì dichiarato che lo Stato è in grado, con l’esercizio della sua influenza dominante su tali imprese pubbliche, di orientare l’utilizzo delle loro risorse per finanziare, se del caso, vantaggi specifici a favore di altre imprese (sentenza del 18 maggio 2017, Fondul Proprietatea, C‑150/16, EU:C:2017:388, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

32 Al riguardo, un’impresa detenuta per quasi il 100% da autorità pubbliche e i cui membri del Consiglio di amministrazione sono inoltre nominati da tali autorità deve essere considerata un’impresa pubblica sotto il controllo dello Stato, in quanto le suddette autorità pubbliche possono infatti esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante su una simile impresa (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punti 33 e 34).

33 Del pari, la prestazione di garanzie da parte di un’impresa interamente detenuta da un Comune implica l’impegno di risorse statali, dato che tali garanzie comportano un rischio economico sufficientemente concreto in grado di determinare oneri a carico di tale impresa (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2014, Commerz Nederland, C‑242/13, EU:C:2014:2224, punto 30).

34 Inoltre, quando lo Stato, esercitando la sua influenza dominante su tali imprese, è perfettamente in grado di orientare l’utilizzo delle loro risorse per finanziare, se del caso, vantaggi specifici a favore di altre imprese, il fatto che le risorse in questione siano gestite da enti distinti dall’autorità pubblica o che siano di origine privata è inconferente (sentenza del 9 novembre 2017, Commissione/TV2/Danmark, C‑656/15 P, EU:C:2017:836, punti 47 e 48).

35 Nel caso di specie, dalla suddetta giurisprudenza risulta che, ai punti 65 e 66 della sentenza impugnata, il Tribunale ha potuto – senza incorrere in errori di diritto – dedurre dal fatto che le quote sociali della SEA fossero quasi interamente e direttamente detenute da autorità pubbliche, tra le quali il Comune di Milano, e che quest’ultimo designasse i membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale della SEA, vuoi direttamente, vuoi mediante la sua maggioranza nell’assemblea generale di tale società, che le misure di sostegno finanziario concesse da quest’ultima alla SEA Handling dovevano essere qualificate come risorse statali.

36 Contrariamente a quanto sostiene il Comune di Milano, tale constatazione non è inficiata né dal riferimento, contenuto al punto 65 della sentenza impugnata, all’articolo 2, lettera b), della direttiva 2006/111 né dai precetti derivanti dalla sentenza del 13 settembre 2017, ENEA (C‑329/15, EU:C:2017:671).

37 Da un lato, infatti, quand’anche il riferimento alla direttiva 2006/111 non fosse pertinente nel caso di specie, gli elementi invocati al punto 35 della presente sentenza sarebbero sufficienti a suffragare la conclusione del Tribunale relativa al coinvolgimento di risorse statali.

38 Dall’altro lato, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 33 e 34 delle sue conclusioni, dai punti 27 e da 31 a 35 della sentenza del 13 settembre 2017, ENEA (C‑329/15, EU:C:2017:671), risulta che le circostanze che hanno dato luogo a tale sentenza si distinguono da quelle della presente causa. Nella sentenza in parola, infatti, era in discussione un obbligo di acquisto di energia elettrica verde che si applicava indifferentemente, in forza di un intervento legislativo dello Stato membro interessato, tanto ai fornitori di energia elettrica il cui capitale era detenuto in maggioranza dallo Stato quanto a quelli il cui capitale era detenuto in maggioranza da operatori privati. Pertanto, il vantaggio eventualmente conferito da tale intervento dello Stato membro interessato nella sua qualità di legislatore non derivava dai poteri di controllo che lo Stato poteva esercitare nella sua qualità di azionista di maggioranza all’interno delle imprese pubbliche interessate e, pertanto, non poteva essere qualificato, alla luce delle circostanze invocate ai punti da 32 a 35 di tale sentenza, come vantaggio finanziato mediante risorse statali.

39 Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima parte del primo motivo dev’essere respinta in quanto infondata.

Sulla seconda parte del primo motivo, relativa all’imputabilità delle misure in questione

– Argomenti delle parti

40 Il Comune di Milano fa valere che il Tribunale ha violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE quando ha ritenuto, al punto 80 della sentenza impugnata, che la dimostrazione del coinvolgimento del Comune di Milano nella concessione delle misure in questione imponesse non già la produzione di una prova positiva, bensì soltanto la dimostrazione dell’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento.

41 Il Comune di Milano illustra al riguardo che, al fine di evitare una sovra‑inclusione nella nozione di aiuto di Stato, la Corte ha aggiunto al criterio di imputabilità di legami organici quello, più rigoroso, di un coinvolgimento attivo dello Stato nell’adozione delle misure in questione, dovendo tale coinvolgimento essere identificabile e presentare un nesso concreto di causalità sufficientemente forte con ciascuna delle misure adottate. Sarebbe quindi necessario dimostrare che tutte le misure siano state adottate su iniziativa dello Stato, o addirittura che quest’ultimo sia intervenuto nella fase della sua ideazione, che esso abbia effettivamente esercitato il suo potere di controllo e che abbia esercitato un’influenza determinante su ciascuna delle decisioni adottate.

42 Orbene, una siffatta dimostrazione sarebbe assente nel caso di specie, dato che il Tribunale ha fatto ricorso al criterio dell’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento, cosicché quest’ultimo avrebbe commesso un errore manifesto quanto al livello di prova in materia di imputabilità.

43 La Commissione rileva, anzitutto, che il Comune di Milano censura soltanto il punto 80 della sentenza impugnata, il quale si limiterebbe a ripetere i principi giurisprudenziali relativi alla nozione di imputabilità esposti al punto 75 di tale sentenza, di modo che detto capo sarebbe in parte irricevibile o inoperante. In ogni caso, il Tribunale non si sarebbe basato su una nozione erronea di imputabilità né avrebbe fatto ricorso a presunzioni negative o applicato un livello di prova erroneo.

– Giudizio della Corte

44 Occorre anzitutto respingere l’argomentazione della Commissione vertente sull’irricevibilità della seconda parte del primo motivo di impugnazione, atteso che il Comune di Milano ha contestato inequivocabilmente i principi giuridici sui quali il Tribunale si è fondato per imputare al Comune di Milano il comportamento della SEA. Al riguardo, è irrilevante, in quanto tale, esaminare se il Tribunale abbia invocato questi stessi principi in diversi punti della sentenza impugnata.

45 Nel merito, è stato ricordato, al punto 28 della presente sentenza, che, affinché dei vantaggi possano essere qualificati come aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, essi devono, in conformità alla prima delle condizioni enunciate in tale disposizione, da un lato, essere concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali e, dall’altro, essere imputabili allo Stato.

46 Per quanto riguarda, in particolare, la condizione dell’imputabilità allo Stato di una misura che concede vantaggi, adottata da un’impresa pubblica, si deve rammentare che l’imputabilità non può essere dedotta dal solo fatto che i vantaggi sono stati concessi da un’impresa pubblica controllata dallo Stato. Infatti, anche nel caso in cui lo Stato sia in grado di controllare un’impresa pubblica e di esercitare un’influenza determinante sulle sue operazioni, l’esercizio effettivo di tale controllo nel caso concreto non può essere automaticamente presunto. È altresì necessario verificare se si debba considerare che le autorità pubbliche abbiano avuto un qualche ruolo nell’adozione di tali misure (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2014, Commerz Nederland, C‑242/13, EU:C:2014:2224, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

47 A questo proposito non si può pretendere che venga dimostrato, sulla base di un’indagine precisa, che le autorità pubbliche abbiano concretamente incitato l’impresa pubblica ad adottare le misure di aiuto in questione. Infatti, l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica può essere dedotta da un insieme di indizi risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto nel quale detta misura è stata adottata (sentenze del 17 settembre 2014, Commerz Nederland, C‑242/13, EU:C:2014:2224, punto 32 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 18 maggio 2017, Fondul Proprietatea, C‑150/16, EU:C:2017:388, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

48 In particolare, assume rilevanza qualunque indizio che suggerisca, nel caso concreto, per un verso, il coinvolgimento delle autorità pubbliche ovvero l’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento nell’adozione di una misura, tenuto conto anche dell’ampiezza di tale misura, del suo contenuto o delle condizioni che essa comporta, oppure, per altro verso, la mancanza di coinvolgimento delle suddette autorità nell’adozione della menzionata misura (sentenza del 17 settembre 2014, Commerz Nederland, C‑242/13, EU:C:2014:2224, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

49 Del pari, il solo fatto che un’impresa pubblica sia stata costituita in forma di società di capitali di diritto comune non può, tenuto conto dell’autonomia che tale forma giuridica è atta a conferire all’impresa in questione, essere considerato sufficiente per escludere che una misura di aiuto adottata da una società di questo tipo sia imputabile allo Stato. Infatti, l’esistenza di una situazione di controllo e le reali possibilità di esercitare un’influenza dominante che detta situazione comporta in pratica non consentono di escludere fin da subito qualsiasi imputabilità allo Stato di una misura adottata da una società di questo tipo e, come conseguenza, il rischio di un’elusione delle regole del Trattato in materia di aiuti di Stato, malgrado la rilevanza, in quanto tale, della forma giuridica dell’impresa pubblica quale indizio, insieme ad altri, che permette di dimostrare nel caso concreto il coinvolgimento o meno dello Stato (sentenza del 18 maggio 2017, Fondul Proprietatea, C‑150/16, EU:C:2017:388, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).

50 Nel caso di specie, è necessario constatare che il Tribunale, quando ha verificato, ai punti da 80 a 88 della sentenza impugnata, se gli indizi invocati dalla Commissione ai punti da 195 a 200 della decisione controversa consentissero di presumere che il Comune di Milano fosse stato coinvolto nell’adozione delle misure in questione, ha applicato i principi elaborati dalla Corte nella sua giurisprudenza richiamata ai punti da 46 a 49 della presente sentenza.

51 Da un lato, infatti, da tali principi risulta in particolare che, contrariamente a quanto asserito dal Comune di Milano, non spettava né alla Commissione dimostrare né al Tribunale assicurarsi che le autorità pubbliche avessero concretamente incitato l’impresa pubblica ad adottare le misure in questione.

52 Dall’altro lato, non è necessario pronunciarsi sulla questione se, in forza della giurisprudenza ricordata al punto 48 della presente sentenza, la Commissione potesse basarsi esclusivamente su indizi che indicavano, nel caso concreto, l’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento delle autorità pubbliche. Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 38 a 44 delle sue conclusioni, l’argomentazione del Comune di Milano deriva da una lettura erronea della sentenza impugnata secondo cui il Tribunale avrebbe ammesso che la Commissione poteva fondare la constatazione dell’imputabilità delle misure in questione esclusivamente sull’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento del Comune di Milano nella loro adozione.

53 Anzitutto, infatti, ai punti da 80 a 83 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato, in primo luogo, che i termini dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002 creassero un obbligo chiaro e preciso per la SEA di ripianare, quantomeno per un periodo di cinque anni, le perdite della SEA Handling. In secondo luogo, esso ha ritenuto che, con la sottoscrizione di tale accordo, il Comune di Milano avesse formalmente dato il suo avallo, anche nella sua qualità di azionista di maggioranza della SEA, riguardo non solo all’insorgenza di tale obbligo, ma anche al suo rispetto e la sua attuazione successivi da parte della SEA. In terzo luogo, ne ha dedotto che la partecipazione attiva del Comune di Milano alla negoziazione e alla conclusione di detto accordo costituiva un elemento chiave di prova del coinvolgimento delle autorità italiane nella concessione delle misure in questione.

54 Successivamente, ai punti da 84 a 87 della sentenza impugnata, il Tribunale ha attribuito, nella sua valutazione dei fatti, un valore probatorio positivo ai verbali delle riunioni del Consiglio di amministrazione della SEA Handling, al fatto che il sindaco di Milano avesse chiesto e ottenuto le dimissioni del presidente del Consiglio di amministrazione della SEA durante il 2006, e all’esistenza di lettere di dimissioni in bianco che i membri del Consiglio di amministrazione avrebbero rimesso a detto sindaco.

55 Infine, al punto 88 della sentenza impugnata, il Tribunale ha confermato il carattere di «decisioni importanti» delle misure in questione accolto dalla Commissione al punto 210 della decisione impugnata, circostanza dalla quale quest’ultima ha segnatamente dedotto, nel medesimo punto, l’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento del Comune di Milano nella loro adozione.

56 Pertanto, dai punti da 80 a 88 della sentenza impugnata risulta chiaramente che il Tribunale ha constatato l’esistenza di indizi positivi che evidenziano, nel caso concreto, un coinvolgimento del Comune di Milano nell’adozione delle suddette misure e che è sulla base di tali indizi positivi che esso ha ammesso che la Commissione potesse basarsi anche sull’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento del Comune di Milano nell’adozione, quantomeno, di alcune delle misure in questione durante il periodo successivo alla conclusione dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002.

57 Alla luce delle considerazioni che precedono, la seconda parte e, pertanto, il primo motivo nel suo insieme devono essere respinti in quanto infondati.

Sul secondo motivo, relativo ai principi dell’onere della prova

Sulla prima parte del secondo motivo, relativa a un’asserita disparità nella ripartizione dell’onere della prova

– Argomenti delle parti

58 Il Comune di Milano sostiene che il Tribunale ha omesso di procedere a un attento esame delle prove prodotte dal Comune di Milano, quando, ai punti da 89 a 94 della sentenza impugnata, sommariamente, e limitandosi a riprendere testualmente le considerazioni della decisione controversa, ha respinto gli elementi prodotti in quanto insufficienti per confutare l’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento del Comune di Milano nelle misure in questione.

59 Orbene, così facendo, il Tribunale avrebbe consentito alla Commissione di basarsi sulla prova negativa dell’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento, mentre avrebbe imposto al Comune di Milano prove positive e certe di un’assenza di coinvolgimento, il che avrebbe avuto l’effetto di sottoporla a una probatio diabolica.

60 Ciò sarebbe segnatamente attestato dal punto 82 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha respinto l’argomento del Comune di Milano secondo cui esso era intervenuto nella conclusione dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002 solo in veste di mediatore politico, laddove tale circostanza sarebbe stata dimostrata da dichiarazioni giurate ad hoc dei rappresentanti sindacali. Oltre a non aver attribuito alcun valore a tali dichiarazioni, il Tribunale avrebbe infatti giudicato irrilevante il fatto che la sottoscrizione apposta su tale accordo fosse quella dell’assessore comunale al personale e al lavoro, e non quella dell’assessore comunale al bilancio.

61 La Commissione ritiene che l’argomentazione del Comune di Milano sia irricevibile, atteso che quest’ultimo invita la Corte a procedere a una nuova valutazione dei fatti. In ogni caso, il Tribunale non avrebbe reso impossibile la prova dell’assenza di imputabilità né avrebbe ripartito in modo non paritario l’onere della prova, ma avrebbe valutato con diligenza tanto gli indizi d’imputabilità quanto quelli di non imputabilità.

– Giudizio della Corte

62 Nei limiti in cui il Comune di Milano addebita al Tribunale di aver fondato la constatazione dell’imputabilità delle misure in questione esclusivamente sull’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento da parte sua nella loro adozione, è già stato rilevato, ai punti 52 e 56 della presente sentenza, che tale argomentazione deriva da una lettura erronea della sentenza impugnata, avendo il Tribunale constatato, ai punti da 80 a 88 della sentenza impugnata, l’esistenza di indizi positivi che indicano concretamente un coinvolgimento del Comune di Milano nell’adozione delle misure in questione.

63 Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, il Tribunale ha esaminato allo stesso modo, alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza, gli indizi invocati del Comune di Milano e diretti, secondo quest’ultimo, a dimostrare l’assenza del suo coinvolgimento nell’adozione di tali misure.

64 Pertanto, per ciascuno degli indizi dedotti dalla Commissione o dal Comune di Milano, il Tribunale ha esaminato gli elementi a favore e a sfavore del loro valore probatorio nonché quelli relativi all’importanza da attribuire loro. Ne consegue che il Tribunale ha esaminato in modo equo gli argomenti e le prove addotti dalle parti e che esso è giunto alla sua conclusione al termine di un’analisi dettagliata di tutti gli elementi prodotti.

65 Di conseguenza, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, il rigetto da parte del Tribunale dell’argomentazione del Comune di Milano non dipende, contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultimo, né dall’imposizione da parte del Tribunale di un obbligo di fornire prove positive e certe di un’assenza del suo coinvolgimento nell’adozione delle misure in questione, né dall’applicazione da parte di quest’ultimo di un criterio di ripartizione dell’onere della prova non paritario, bensì dalla valutazione da parte del Tribunale del valore probatorio di ciascuno degli indizi prodotti.

66 Infine, nei limiti in cui il Comune di Milano mira a mettere in discussione, con l’argomentazione riassunta al punto 60 della presente sentenza, tale valutazione del Tribunale, si deve ritenere che essa miri, come correttamente sostenuto dalla Commissione, a ottenere una nuova valutazione dei fatti, il che esula dalla competenza della Corte (v., in tal senso, sentenza del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punto 97).

67 Ne consegue che la prima parte del secondo motivo dev’essere respinta in quanto in parte irricevibile e in parte infondata.

Sulla seconda parte del secondo motivo, relativa all’oggetto della prova da apportare

– Argomenti delle parti

68 Il Comune di Milano ritiene che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto allorché ha ritenuto, ai punti 73 e 83 della sentenza impugnata, che la Commissione fosse legittimata a considerare che la sua accertata partecipazione attiva alla conclusione dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002 fosse di per sé sufficiente per giustificare il suo coinvolgimento nella concessione delle misure in questione, le quali dovrebbero essere considerate un intervento unico.

69 Secondo la giurisprudenza, infatti, la Commissione sarebbe stata tenuta a dimostrare l’imputabilità di ciascuna delle misure di ricapitalizzazione intervenute nel periodo in questione, dal momento che tali diverse misure erano totalmente distinte le une dalle altre. Se è vero che la Corte ha ammesso che più interventi consecutivi dello Stato possono essere considerati un solo intervento, ciò avverrebbe a condizione che questi ultimi siano connessi tra loro, segnatamente per quanto riguarda la loro cronologia, il loro scopo e la situazione dell’impresa, in modo tanto stretto da renderne impossibile la dissociazione. Inoltre, il Tribunale avrebbe erroneamente esteso all’imputabilità di una misura la suddetta giurisprudenza relativa ai criteri delle risorse statali e dell’operatore privato.

70 Al riguardo, il Comune di Milano avrebbe anzitutto indicato al Tribunale che i presunti indizi di imputabilità erano poco numerosi, di qualità insoddisfacente e senza alcun nesso diretto con le misure in questione. Sarebbe poi errato affermare che le autorità italiane e la SEA avessero ammesso l’esistenza di una strategia pluriennale di copertura delle perdite della SEA Handling durante il periodo necessario alla sua ristrutturazione, in quanto le affermazioni in questione si riferiscono soltanto a una strategia di risanamento della SEA Handling. Infine, le ricapitalizzazioni sarebbero sempre avvenute in contesti che non presentano alcun carattere coerente.

71 La Commissione replica che sarebbe contrario alla lettera e alla logica della giurisprudenza della Corte, relativa alle condizioni richieste affinché più interventi consecutivi dello Stato possano essere considerati un solo intervento, limitarla ai soli criteri delle risorse statali e dell’operatore privato. Del resto, il Comune di Milano si limiterebbe a chiedere alla Corte una nuova valutazione dei fatti, il che non sarebbe consentito in sede di impugnazione.

– Giudizio della Corte

72 Secondo una giurisprudenza ben consolidata, poiché gli interventi statali assumono forme diverse e devono essere analizzati in funzione dei loro effetti, non si può escludere che più interventi consecutivi dello Stato debbano essere considerati un solo intervento ai fini dell’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Ciò può verificarsi, in particolare, nel caso in cui interventi consecutivi siano connessi tra loro, segnatamente per quanto riguarda la loro cronologia, il loro scopo e la situazione dell’impresa al momento di tali interventi, in modo tanto stretto da renderne impossibile la dissociazione (sentenze del 4 giugno 2015, Commissione/MOL, C‑15/14 P, EU:C:2015:362, punto 97 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 marzo 2020, Larko/Commissione, C‑244/18 P, EU:C:2020:238, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

73 Orbene, poiché tale giurisprudenza riguarda, ai fini dell’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, gli interventi statali in quanto tali e implica che questi ultimi debbano essere analizzati in modo obiettivo in funzione dei loro effetti, essa non può applicarsi esclusivamente a taluni dei criteri enunciati in tale disposizione. Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni, detta giurisprudenza può applicarsi anche al criterio dell’imputabilità allo Stato di tali interventi.

74 Ne consegue che, contrariamente a quanto sostiene il Comune di Milano, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto quando ha fatto riferimento, al punto 71 della sentenza impugnata, a questa medesima giurisprudenza e l’ha poi applicata nell’ambito della sua analisi dell’imputabilità al Comune di Milano delle misure in questione.

75 Del resto, come correttamente fatto valere dalla Commissione, il Comune di Milano si limita a chiedere, con l’argomentazione riassunta al punto 70 della presente sentenza, una nuova valutazione dei fatti rispetto a quella effettuata dal Tribunale ai punti da 72 a 73 della sentenza impugnata, il che, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 66 della presente sentenza, non è consentito in sede di impugnazione.

76 Di conseguenza, la seconda parte del secondo motivo e, pertanto, tale motivo nel suo insieme devono essere respinti in quanto in parte irricevibili e in parte infondati.

Sul terzo motivo, vertente su uno snaturamento di elementi di prova

Argomenti delle parti

77 Il Comune di Milano sostiene che il Tribunale ha snaturato l’accordo sindacale del 26 marzo 2002 quando ha considerato, al punto 77 della sentenza impugnata, che tale accordo prevedesse un obbligo chiaro e preciso incombente alla SEA di mantenere, per un periodo di almeno cinque anni, l’equilibrio costi/ricavi e il quadro economico generale della SEA Handling e ne ha dedotto che, in forza di tale obbligo, la SEA era tenuta a compensare eventuali perdite della SEA Handling suscettibili di avere un impatto sulla continuità della sua attività economica.

78 Il Comune di Milano chiarisce al riguardo che tale accordo non ha imposto alla SEA alcun obbligo di ricapitalizzare la SEA Handling, in quanto non menziona né perdite, né ricapitalizzazioni, e neppure impegni della SEA in caso di sopravvenienza di tali eventi. Pertanto, il Tribunale avrebbe proceduto, alla luce delle successive ricapitalizzazioni, a una lettura retroattiva e avrebbe quindi omesso di porsi nel contesto della conclusione di detto accordo. Orbene, secondo i termini di quest’ultimo, la SEA Handling sarebbe stata creata al fine di consentire l’esercizio di una concorrenza negli altri aeroporti italiani e quindi nella prospettiva di uno scenario positivo di crescita.

79 Il Comune di Milano precisa che, se è vero che essa ha «confermato», in una clausola dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002, il fatto che «l’equilibrio costi/ricavi e il quadro economico generale» della SEA Handling sarebbero stati mantenuti, una simile clausola figurerebbe tra quella relativa alla riduzione del personale e quella relativa all’espansione delle attività della SEA Handling verso altri mercati, misure che devono consentire di evitare ricapitalizzazioni. Inoltre, detto accordo farebbe riferimento al possibile ingresso di azionisti nel capitale della SEA Handling, in modo da rafforzare le sue prospettive positive. Infine, vi si affermerebbe che le capacità di gestione della SEA Handling sarebbero mantenute al fine di migliorare ulteriormente le sue possibilità di esercitare una concorrenza effettiva sui mercati nazionali e internazionali.

80 Ne conseguirebbe che il Comune di Milano non ha assunto, nell’accordo sindacale del 26 marzo 2002, alcun impegno materiale o giuridico legato a ricapitalizzazioni.

81 La Commissione ritiene che il Comune di Milano si limiti a contestare, asserendo un presunto snaturamento, la valutazione effettuata dal Tribunale degli indizi di imputabilità a tale Comune del comportamento della SEA, il che renderebbe irricevibile tale argomentazione. In ogni caso, quest’ultima sarebbe infondata.

Giudizio della Corte

82 Dall’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE e dall’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea emerge che il Tribunale è l’unico competente, da un lato, ad accertare i fatti, salvo il caso in cui l’inesattezza materiale dei suoi accertamenti risultasse dagli atti del fascicolo sottopostogli e, dall’altro, a valutare tali fatti (sentenza del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punto 97 nonché giurisprudenza ivi citata).

83 Pertanto, la valutazione dei fatti, salvo il caso di snaturamento degli elementi di prova addotti dinanzi al Tribunale, non costituisce una questione di diritto, come tale soggetta al sindacato della Corte (sentenza del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punto 98 nonché giurisprudenza ivi citata).

84 Il ricorrente che alleghi uno snaturamento di elementi di prova da parte del Tribunale deve, ai sensi dell’articolo 256 TFUE, dell’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 168, paragrafo 1, lettera d), del regolamento di procedura di quest’ultima, indicare con precisione gli elementi che sarebbero stati snaturati dal Tribunale e dimostrare gli errori di valutazione che, a suo avviso, avrebbero portato il Tribunale a tale snaturamento. Peraltro, secondo costante giurisprudenza della Corte, uno snaturamento deve emergere in modo manifesto dagli atti di causa, senza che sia necessario procedere a una nuova valutazione dei fatti e delle prove (sentenza del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punto 99 nonché giurisprudenza ivi citata).

85 Nel caso di specie, il Tribunale ha rilevato, al punto 77 della sentenza impugnata, che la SEA assumeva, ai sensi dell’accordo sindacale del 26 marzo, un obbligo chiaro e preciso di mantenere, per un periodo di almeno cinque anni, «l’equilibrio costi/ricavi e il quadro economico in generale» della Sea Handling «preservando le [s]ue capacità di gestione e migliorando sensibilmente le [s]ue possibilità di operare sui mercati nazionali e internazionali».

86 Pertanto, è necessario constatare che i termini dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002 consentono la lettura accolta dal Tribunale al punto 77 della sentenza impugnata secondo cui la SEA era tenuta, in forza di tale obbligo, a compensare eventuali perdite della SEA Handling suscettibili di avere un impatto sulla continuità della sua attività economica. Tale lettura è del resto corroborata, come constatato dal Tribunale nel medesimo punto, dagli accordi sindacali successivi di cui al punto 5 della presente sentenza, di modo che il presunto snaturamento non risulta, in ogni caso, in modo manifesto dagli atti di causa.

87 Del resto, è sufficiente rilevare, come correttamente fatto valere dalla Commissione e come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 65 a 68 delle sue conclusioni, che il Comune di Milano si limita a contestare, asserendo un presunto snaturamento di tale accordo, la valutazione da parte del Tribunale di tale elemento di prova ove sostiene che il Tribunale ha omesso di porsi nel contesto della conclusione di detto accordo.

88 Di conseguenza, il terzo motivo dev’essere respinto in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

Sul quarto motivo, relativo al criterio dell’investitore privato

Argomenti delle parti

89 Il Comune di Milano invoca un’erronea qualificazione dei fatti da parte del Tribunale ai punti 97, 107 e 108 della sentenza impugnata, mediante la quale quest’ultimo avrebbe disatteso il criterio dell’investitore privato.

90 Infatti, in primo luogo, come sarebbe stato dimostrato nell’ambito del secondo motivo di impugnazione, né l’accordo sindacale del 26 marzo 2002 né alcun altro documento consentirebbe di pervenire alla conclusione dell’esistenza di una strategia di copertura delle perdite della SEA Handling da parte della SEA.

91 In secondo luogo, il Tribunale non si sarebbe posto, per valutare il criterio dell’investitore privato, nel contesto della situazione particolare della SEA all’epoca, situazione che si distingueva da quella di un investitore privato generico, in quanto quest’ultima società era titolare di una concessione esclusiva per la gestione degli aeroporti di Milano fino al 2041 ed operava quindi a basso rischio nonché con una prospettiva di redditività dei suoi investimenti a lunghissimo termine.

92 L’errore commesso dal Tribunale consisterebbe nell’importanza da esso attribuita all’assenza di studi economici contemporanei che dimostrino un attento esame della redditività delle ricapitalizzazioni della SEA Handling e del loro periodo di ritorno sull’investimento, secondo un’analisi dei costi e dei vantaggi. Ciò risulterebbe segnatamente dal punto 114 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha erroneamente escluso la rilevanza di uno studio economico fornito dal Comune di Milano per il solo fatto che esso era stato realizzato successivamente all’adozione delle misure in questione.

93 La giurisprudenza richiederebbe, infatti, non già che gli elementi di prova relativi alla razionalità economica di una misura siano contemporanei alla sua adozione, bensì che la valutazione di detta misura alla luce di tale criterio sia ricollocata nel contesto della sua adozione, cosicché è la prospettiva adottata nello studio economico che dovrebbe essere ex ante e non lo studio economico in quanto tale. Sarebbe assurdo, infatti, imporre, come ha fatto il Tribunale, a un’impresa privata di fornire, quale conditio sine qua non per poter beneficiare del criterio dell’investitore privato, l’esistenza di un documento che corrobori le sue previsioni.

94 Al riguardo, il Comune di Milano ricorda che, durante il 2002, le prospettive della SEA Handling erano positive e che una serie di eventi esogeni e imprevedibili verificatisi successivamente hanno ritardato il suo processo di ristrutturazione. Pertanto, la SEA non avrebbe avuto bisogno di procedere, per ogni ricapitalizzazione, a nuove valutazioni specifiche della loro redditività e non sarebbe stata neppure tenuta dal diritto nazionale a giustificare per iscritto, con l’aiuto di economisti terzi, la razionalità dei suoi interventi. In particolare, poiché il problema della SEA Handling era legato, essenzialmente, al costo della manodopera, non vi sarebbe stato alcun motivo per disporre studi economici.

95 In terzo luogo, secondo il Comune di Milano, il Tribunale ha erroneamente ritenuto che le valutazioni economiche complesse effettuate dalla Commissione fossero soggette solo a un controllo limitato da parte del giudice dell’Unione. Secondo la giurisprudenza, infatti, spetterebbe a quest’ultimo, in particolare, effettuare un controllo approfondito e completo di fatto e di diritto, vertente segnatamente sull’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di natura economica.

96 In quarto luogo, il Comune di Milano addebita al Tribunale di aver fatto gravare su di essa l’onere della prova del criterio dell’investitore privato, dal momento che la Commissione, da parte sua, non avrebbe dimostrato alcunché al riguardo. Infatti, e come essa ha ammesso dinanzi al Tribunale, quest’ultima non avrebbe effettuato alcuno studio del mercato dei servizi di assistenza aeroportuali né condotto studi economici vertenti sul suddetto criterio o proceduto a un’analisi dei risultati economici di altri operatori comparabili. Parimenti, essa non avrebbe neppure indicato le misure che la SEA avrebbe dovuto adottare in virtù di detto criterio.

97 Contrariamente a quanto prescrive la giurisprudenza, la Commissione, in assenza di elementi idonei a dimostrare positivamente la sua esistenza, avrebbe supposto che la SEA Handling abbia beneficiato di un vantaggio fondandosi su una presunzione negativa, basata sull’assenza di informazioni che consentano di giungere alla conclusione contraria. Pertanto, avendo omesso di verificare se la Commissione avesse preso in considerazione, nell’ambito della sua valutazione, tutti gli elementi pertinenti, il Tribunale avrebbe commesso errori di diritto.

98 La Commissione contesta la fondatezza dell’argomentazione dedotta dal Comune di Milano.

Giudizio della Corte

99 In primo luogo, occorre rilevare che l’argomentazione dal Comune di Milano riassunta al punto 90 della presente sentenza si limita a ripetere quella dedotta nell’ambito del secondo motivo, cosicché, per le stesse ragioni esposte al punto 75 della presente sentenza, essa non può essere accolta.

100 In secondo luogo, quanto all’argomentazione riassunta al punto 95 della presente sentenza, relativa al controllo giurisdizionale che incombe al Tribunale, secondo costante giurisprudenza, l’esame che spetta alla Commissione effettuare, al momento dell’applicazione del principio dell’operatore privato, richiede di procedere a una valutazione economica complessa e, nell’ambito del controllo che i giudici dell’Unione esercitano sulle valutazioni economiche complesse effettuate dalla Commissione nel settore degli aiuti di Stato, non spetta al giudice dell’Unione sostituire la propria valutazione economica a quella della Commissione (sentenza del 26 marzo 2020, Larko/Commissione, C‑244/18 P, EU:C:2020:238, punto 39).

101 Di conseguenza, la sentenza impugnata non è viziata da un errore di diritto da parte del Tribunale, nella parte in cui esso ha limitato il suo controllo alla verifica se le valutazioni economiche della Commissione relative all’applicazione del criterio dell’investitore privato fossero affette da un errore manifesto di valutazione.

102 Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune di Milano, nessun’altra conclusione può essere tratta dalla giurisprudenza derivante dalle sentenze dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione (C‑272/09 P, EU:C:2011:810) e dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione (C‑386/10 P, EU:C:2011:815). Come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 80 delle sue conclusioni, infatti, tale giurisprudenza, che si riferisce al controllo giurisdizionale delle decisioni della Commissione che constatano infrazioni agli articoli 101 e 102 TFUE e che infliggono, se del caso, sanzioni pecuniarie a titolo di queste ultime, non può essere trasposta in quanto tale al controllo giurisdizionale delle decisioni della Commissione in materia di aiuti di Stato.

103 In terzo luogo, per quanto riguarda l’asserita violazione da parte del Tribunale, ai punti da 113 a 117 della sentenza impugnata, della ripartizione dell’onere della prova, occorre ricordare che la nozione di «aiuto», ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, non può riguardare una misura concessa in favore di un’impresa mediante risorse statali qualora la medesima avrebbe potuto ottenere lo stesso vantaggio in circostanze corrispondenti alle condizioni normali del mercato, atteso che la valutazione delle condizioni nelle quali un simile vantaggio è stato concesso si effettua, in linea di principio, applicando il principio dell’operatore privato (sentenza del 6 marzo 2018, Commissione/FIH Holding e FIH Erhvervsbank, C‑579/16 P, EU:C:2018:159, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

104 A tal riguardo, qualora il criterio dell’operatore privato risulti applicabile, spetta alla Commissione chiedere allo Stato membro interessato di fornirle tutte le informazioni pertinenti che le consentano di verificare se le condizioni di applicabilità e di applicazione del principio medesimo siano soddisfatte (sentenze del 5 giugno 2012, Commissione/EDF, C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punto 104, nonché del 6 marzo 2018, Commissione/FIH Holding e FIH Erhvervsbank, C‑579/16 P, EU:C:2018:159, punto 47).

105 Infatti, l’applicazione del criterio dell’investitore privato è volta a determinare se il vantaggio economico concesso a un’impresa, sotto qualsivoglia forma, per mezzo di risorse statali sia tale, in considerazione dei suoi effetti, da falsare o rischiare di falsare la concorrenza e pregiudicare gli scambi tra gli Stati membri (sentenza del 5 giugno 2012, Commissione/EDF, C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punto 89). Di conseguenza, occorre verificare non se un investitore privato avrebbe agito esattamente allo stesso modo dell’investitore pubblico, ma se avrebbe conferito, in condizioni analoghe, un importo di entità pari a quello conferito all’investitore pubblico (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2012, Commissione/EDF, C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punto 95).

106 Ai fini della valutazione della questione se la stessa misura sarebbe stata adottata, in normali condizioni di mercato, da un investitore privato operante in una situazione il più possibile analoga a quella dello Stato, devono essere presi in considerazione unicamente i benefici e gli obblighi connessi alla posizione dello Stato nella sua qualità di azionista, ad esclusione di quelli connessi alla sua qualità di potere pubblico (sentenza del 5 giugno 2012, Commissione/EDF, C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punto 79). Qualora uno Stato membro invochi il criterio dell’investitore privato nel corso del procedimento amministrativo, incombe al medesimo, in caso di dubbio, provare inequivocabilmente e sulla base di elementi oggettivi e verificabili che la misura attuata sia riconducibile alla sua qualità di azionista (sentenza del 5 giugno 2012, Commissione/EDF, C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punto 82).

107 Tali elementi devono fare chiaramente apparire che lo Stato membro interessato ha preso, preliminarmente o simultaneamente alla concessione del vantaggio economico la decisione di procedere, con la misura effettivamente posta in essere, a un investimento nell’impresa pubblica controllata. A tal riguardo possono risultare necessari, segnatamente, elementi da cui emerga che tale decisione sia fondata su valutazioni economiche analoghe a quelle che, nelle circostanze della specie, un investitore privato razionale, che si fosse trovato in una situazione la più analoga possibile a quella dello Stato membro de quo, avrebbe fatto accertare, prima di procedere all’investimento, al fine di determinare la redditività futura dell’investimento stesso (sentenza del 5 giugno 2012, Commissione/EDF, C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punti 83 e 84).

108 Nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 101 delle sue conclusioni, dalla decisione controversa e dalla sentenza impugnata risulta inequivocabilmente che la Commissione ha applicato il principio dell’operatore privato in tale decisione e che l’applicabilità, nel caso di specie, del criterio dell’investitore privato non è stata oggetto di discussione né dinanzi alla Commissione né dinanzi al Tribunale, circostanza che la Commissione ha del resto confermato in udienza dinanzi alla Corte.

109 Per quanto riguarda l’applicazione del criterio dell’investitore privato, quest’ultimo si annovera tra gli elementi che la Commissione è tenuta a prendere in considerazione per accertare l’esistenza di un aiuto, e non costituisce quindi un’eccezione applicabile unicamente su richiesta di uno Stato membro, qualora sia stato constatato che ricorrono gli elementi costitutivi della nozione di «aiuto di Stato», di cui all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (sentenze del 5 giugno 2012, Commissione/EDF, C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punto 103 e del 26 marzo 2020, Larko/Commissione, C‑244/18 P, EU:C:2020:238, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

110 Grava dunque sulla Commissione l’onere di provare, tenendo conto, segnatamente, delle informazioni fornite dallo Stato membro interessato, che le condizioni di applicazione del principio dell’operatore privato non sono soddisfatte, cosicché l’intervento statale in questione comporta un vantaggio ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2020, Larko/Commissione, C‑244/18 P, EU:C:2020:238, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

111 Al riguardo, occorre rilevare che la Commissione non può supporre, nell’ambito di una decisione che pone fine al procedimento di indagine formale ai sensi dell’articolo 7 del regolamento n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo [108 TFUE] (GU 1999, L 83, pag. 1), che un’impresa abbia beneficiato di un vantaggio che costituisce un aiuto di Stato basandosi semplicemente su una presunzione negativa, fondata sull’assenza di informazioni che le consentano di giungere alla conclusione contraria, in mancanza di altri elementi atti a dimostrare positivamente l’esistenza di un simile vantaggio (sentenze del 17 settembre 2009, Commissione/MTU Friedrichshafen, C‑520/07 P, EU:C:2009:557, punto 58, nonché del 26 marzo 2020, Larko/Commissione, C‑244/18 P, EU:C:2020:238, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

112 Tuttavia, secondo la giurisprudenza, ai fini dell’applicazione di tale criterio dell’investitore privato sono unicamente pertinenti gli elementi disponibili e le evoluzioni prevedibili al momento dell’adozione della decisione di procedere all’investimento (sentenza del 5 giugno 2012, Commissione/EDF, C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punto 105). Del resto, poiché la Commissione non ha una conoscenza diretta delle circostanze in cui è stata adottata una decisione di investimento, essa deve basarsi, ai fini dell’applicazione di detto criterio, in larga misura, sugli elementi oggettivi e verificabili prodotti dallo Stato membro di cui trattasi al fine di dimostrare che la misura attuata sia riconducibile alla sua qualità di azionista e, pertanto, che il criterio dell’investitore privato sia applicabile, conformemente alla giurisprudenza citata ai punti 106 e 107.

113 Pertanto, dato che occorre prendere in considerazione la decisione che l’investitore privato avrebbe adottato al momento in cui l’investimento è stato realizzato, la mancanza di una valutazione preliminare, benché non sia di per sé determinante, può costituire un elemento pertinente per controllare le valutazioni economiche complesse che la Commissione è chiamata a effettuare nell’ambito dell’applicazione del criterio dell’investitore privato.

114 Infatti, quando gli apporti di capitali di un investitore pubblico prescindano da qualsiasi prospettiva di redditività, anche a lungo termine, essi non possono essere considerati conformi al criterio dell’investitore privato e devono essere considerati aiuti ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenze del 21 marzo 1991, Italia/Commissione, C‑303/88, EU:C:1991:136, punto 22, nonché del 6 marzo 2018, Commissione/FIH Holding e FIH Erhvervsbank, C‑579/16 P, EU:C:2018:159, punto 61).

115 Al riguardo, spetta al Tribunale assicurarsi, come è stato ricordato ai punti 100 e 101 della presente sentenza, che tali valutazioni economiche complesse della Commissione non siano affette da un errore manifesto di valutazione, il che implica che esso debba verificare non soltanto l’esattezza materiale degli elementi di prova invocati, la loro affidabilità e la loro coerenza, ma anche controllare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per la valutazione di una situazione complessa e se essi siano idonei a corroborare le conclusioni che ne sono tratte (sentenza del 26 marzo 2020, Larko/Commissione, C‑244/18 P, EU:C:2020:238, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

116 Nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 103 e 104 delle sue conclusioni, nella valutazione contenuta nei punti da 113 a 117 della sentenza impugnata, indipendentemente dalla scelta dei termini che sono stati utilizzati, non è ravvisabile una violazione, da parte del Tribunale, delle norme relative alla ripartizione dell’onere della prova per quanto riguarda il criterio dell’investitore privato.

117 Dall’analisi contenuta nei punti 85 e 86 della presente sentenza risulta infatti che il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto quando ha constatato che, nell’ambito dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002, la SEA si era impegnata a compensare, per un periodo di almeno cinque anni, eventuali perdite della SEA Handling suscettibili di avere un impatto sulla continuità della sua attività economica. Orbene, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 105 e 106 delle sue conclusioni, un investitore privato non avrebbe assunto un simile impegno senza aver effettuato preliminarmente un’appropriata valutazione della redditività e della razionalità economica del suo impegno. In tali circostanze, e alla luce della giurisprudenza citata ai punti 107 e 114 della presente sentenza, l’assenza di qualsiasi valutazione preliminare appropriata della redditività o della razionalità economica di tali investimenti può costituire un elemento essenziale volto a dimostrare che un investitore privato non avrebbe apportato, a condizioni simili, un importo pari a quello apportato dall’investitore pubblico.

118 Dopo aver preso in considerazione, al punto 97 della sentenza impugnata, gli elementi di fatto sui quali la Commissione si è basata nella decisione controversa per ritenere che le misure in questione fossero state adottate in assenza di qualsiasi valutazione preliminare appropriata che un investitore privato nella situazione della SEA avrebbe fatto effettuare al fine di assicurarsi della loro redditività o della loro razionalità economica, il Tribunale ha esaminato, in particolare ai punti da 113 a 117 della sentenza impugnata, se tali valutazioni della Commissione fossero o meno viziate da errori manifesti di valutazione. Ai punti 120 e 132 della sentenza impugnata, esso ha dichiarato che ciò non è avvenuto.

119 Di conseguenza, esaminando, segnatamente ai punti da 113 a 117 della sentenza impugnata, se la Commissione potesse ritenere, senza incorrere in alcun errore manifesto di valutazione, che gli elementi forniti nel corso del procedimento amministrativo fossero o meno idonei a dimostrare l’assenza di tale valutazione, il Tribunale ha esercitato il controllo che spettava ad esso effettuare.

120 In tali circostanze, senza ignorare il fatto che spetta alla Commissione provare che le condizioni di applicazione del principio dell’operatore privato non siano soddisfatte, il Tribunale ha constatato, in questi medesimi punti da 113 a 117 della sentenza impugnata, che la Commissione non era incorsa in alcun errore manifesto di valutazione quando ha effettuato le constatazioni ricordate al punto 97 della sentenza impugnata.

121 Inoltre, alla luce delle considerazioni contenute nei punti da 117 a 120 della presente sentenza, il Comune di Milano non può validamente addebitare al Tribunale di aver violato l’onere della prova incombente alla Commissione non avendo censurato quest’ultima per aver omesso di procedere a studi di mercato, per essersi fondata su presunzioni negative o per non aver preso in considerazione tutti gli elementi pertinenti.

122 In quarto luogo, nei limiti in cui il Comune di Milano addebita al Tribunale di aver omesso di prendere in considerazione, al punto 114 della sentenza impugnata, uno studio economico per il solo fatto che esso sarebbe stato realizzato successivamente alle misure in questione, occorre rilevare anzitutto che tale argomentazione deriva da una lettura erronea di tale sentenza. Dalla formulazione stessa del suddetto punto 114 della sentenza impugnata risulta, infatti, che il Tribunale ha verificato il contenuto dello studio economico fornito dal Comune di Milano e l’ha respinto a causa, anzitutto, del carattere lapidario e contraddittorio delle affermazioni ivi contenute e, pertanto, della sua intrinseca insufficienza ai fini di un’analisi ai sensi del criterio dell’investitore privato. È solo nel prosieguo di tale punto 114 che esso ha altresì rilevato che tale studio economico era stato realizzato successivamente alle misure in questione.

123 In ogni caso, occorre constatare che, ai fini dell’applicazione del principio dell’operatore privato, sono unicamente rilevanti gli elementi disponibili e le evoluzioni prevedibili al momento dell’adozione della decisione di procedere alla misura di cui trattasi (sentenza del 26 marzo 2020, Larko/Commissione, C‑244/18 P, EU:C:2020:238, punto 31 e giurisprudenza ivi citata), in particolare per dimostrare le ragioni che hanno effettivamente motivato la scelta dell’ente statale di cui trattasi di effettuare l’investimento controverso. Tuttavia, la valutazione economica effettuata dalla Commissione nel corso del procedimento amministrativo interviene necessariamente, in caso di aiuti concessi in violazione dell’obbligo di notifica previsto dall’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, dopo l’adozione delle misure in questione.

124 Pertanto, studi e analisi economici sui quali si fonda tale valutazione economica della Commissione, al pari di eventuali controperizie della stessa natura invocate dallo Stato membro interessato o dal beneficiario dell’aiuto per rispondere alle valutazioni sulle quali si basa la Commissione, possono essere rilevanti ai fini dell’applicazione del principio dell’operatore privato, nei limiti in cui si fondano sui soli elementi disponibili e sulle evoluzioni prevedibili al momento dell’adozione della decisione di procedere alla misura di cui trattasi.

125 Nel caso di specie, poiché lo studio economico fatto valere dal Comune di Milano ai fini della sua valutazione è stato realizzato successivamente all’adozione delle misure in questione, esso non è tale da mettere in discussione la constatazione della Commissione quanto alla mancanza di una valutazione preliminare appropriata della redditività e della razionalità economica di tali misure, constatazione che costituiva un elemento essenziale sul quale la Commissione si è basata per dimostrare che un investitore privato non avrebbe apportato, a condizioni simili, pari importi a quelli apportati dalla SEA alla SEA Handling.

126 Ne consegue che il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto quando, da un lato, ha verificato se lo studio economico fatto valere dal Comune di Milano contenesse elementi di analisi economica pertinenti alla valutazione economica che la Commissione era tenuta a effettuare nell’ambito dell’applicazione del principio dell’operatore privato e, dall’altro, ha ritenuto che la realizzazione di tale studio successivamente ai periodi di adozione delle misure in questione escludesse che la sua esistenza potesse viziare con un errore manifesto la valutazione della Commissione nella decisione controversa secondo cui tali misure sono state adottate in assenza di qualsiasi valutazione preliminare appropriata che un investitore privato nella situazione della SEA avrebbe fatto effettuare al fine di assicurarsi la loro redditività o la loro razionalità economica.

127 In quinto luogo, per quanto riguarda l’argomento del Comune di Milano secondo cui il Tribunale avrebbe omesso di porsi nella situazione particolare della SEA all’epoca in esame, situazione che si caratterizzava da prospettive di redditività a lunghissimo termine, dal punto 112 della sentenza impugnata risulta, anzitutto, che il Tribunale ha tenuto conto di tale elemento ai fini della sua valutazione.

128 Successivamente, anche se le prospettive di redditività avrebbero dovuto essere estese, come sostiene il Comune di Milano, fino al 2041, sarebbe stato altresì necessario per quest’ultimo elaborare una prospettiva di ritorno sull’investimento di tali misure prima di tale data. Orbene, è necessario constatare che l’esame condotto dal Tribunale ai punti da 113 a 131 della sentenza impugnata ha proprio lo scopo di verificare se ciò sia quanto avvenuto.

129 Infine, dal momento che il Comune di Milano intende contestare la fondatezza dell’esame così effettuato dal Tribunale, si deve ritenere che esso chieda alla Corte di procedere a una nuova valutazione dei fatti, il che, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 66 della presente sentenza, esula dalla competenza della Corte.

130 In tale contesto, il quarto motivo dev’essere respinto.

131 Dall’insieme delle considerazioni che precedono, risulta che l’impugnazione dev’essere respinta.

Sulle spese

132 A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è infondata la Corte statuisce sulle spese.

133 Conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

134 Poiché il Comune di Milano è rimasto soccombente e la Commissione ne ha chiesto la condanna alle spese, esso va condannato alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1) L’impugnazione è respinta.

2) Il Comune di Milano è condannato alle spese.


Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 10 dicembre 2020


 

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