REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CONTI Giovanni - Presidente -
Dott. LEO Guglielmino - rel. Consigliere -
Dott. PETRUZZELLIS Anna - Consigliere -
Dott. VILLONI Orlando - Consigliere -
Dott. PATERNO' RADDUSA Benedetto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
difensore nell'interesse di P.L.,;
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 22/03/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere Dr. Guglielmo Leo;
udito il Procuratore generale, in persona del Sostituto Dott. Eduardo Vittorio Scardaccione, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. E' impugnata la sentenza con la quale la Corte d'appello di Firenze, in data 22/03/2013, ha parzialmente riformato (riguardo alla sola determinazione del trattamento sanzionatorio) la sentenza del locale Tribunale del 02/07/2009, che aveva dichiarato P.L. colpevole del delitto di cui all'art. 570 c.p., comma 2, per avere lo stesso P. fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore C.F.
La Corte territoriale ha valutato l'argomento essenziale della difesa proposta dall'appellante. Egli era coniugato, con una moglie gravemente ammalata e cinque figli. Portato dal proprio lavoro di dirigente bancario a _____, aveva instaurato una relazione con N.M., che si era interrotta poco dopo la nascita di un figlio. P., su disposizione del Tribunale per i minorenni, aveva regolarmente contribuito al mantenimento del bambino fino all'autunno del _____, per poi sospendere ogni forma di contributo, solo in quanto era stato licenziato, ed il suo reddito era crollato a livelli infimi. Dovendo provvedere al mantenimento della moglie e dei cinque figli nati dal matrimonio, l'odierno ricorrente si sarebbe trovato nella impossibilità di provvedere in favore del figlio concepito con la N.. La quale, d'altra parte, sarebbe stata responsabile del suo licenziamento, avendo creato scandalo, anche presso il luogo di lavoro, con pressanti richieste e recriminazioni.

Il Giudice di appello, pur avendo verificato l'intervenuta interruzione del rapporto di lavoro del P. e la drastica riduzione del suo reddito, ha osservato come l'uomo avesse comunque avuto qualche disponibilità economica, resa disponibile per la moglie ed i figli nati dal matrimonio, e non avrebbe dovuto quindi abbandonare del tutto, anche sul piano materiale, il figlio della N.
2. Ricorre il Difensore dell'imputato, deducendo, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), vizio di motivazione e violazione dell'art. 570 c.p.
Si ribadisce che P. disponeva di un reddito ormai molto basso, che non bastava neppure per la famiglia di provenienza, e che solo per questo aveva sospeso i versamenti in precedenza erogati con regolarità.

Motivazione

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto per motivi non consentiti dalla legge (cioè pertinenti al merito della contestazione), privi del necessario carattere di specificità e, comunque, manifestamente infondati.
Dalla dichiarazione di inammissibilità consegue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ed anche al versamento di una ulteriore somma, in favore della Cassa delle ammende, che la Corte, valutate le circostanze del caso concreto, stima di quantificare in Euro 1.000,00.

2. In sostanza il ricorrente propone la stessa tesi che aveva prospettato alla Corte territoriale, da quest'ultima presa in espressa considerazione, e respinta con argomenti che non vengono realmente confutati con l'impugnazione, almeno non nell'unica prospettiva ammissibile, e cioè quella della violazione di legge o del difetto di motivazione.
Questa Corte ha stabilito con giurisprudenza ormai costante che "l'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 c.p., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti" (Sez. 6, Sentenza n. 41362 del 21/10/2010, rv. 248955).
D'altra parte, "incombe all'interessato l'onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l'impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, del tutto inidonea essendo a tal fine la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà" (Sez. 6, Sentenza n. 8063 del 08/02/2012, rv. 252427).

In effetti il P. (che per questo ha ottenuto un trattamento sanzionatorio mite) ha documentato, o almeno seriamente allegato, che l'interruzione dei suoi contributi al mantenimento del figlio minore era intervenuta in corrispondenza ad una drastica riduzione dei suoi redditi, che però non erano del tutto venuti a mancare. E' vero anche che si trattava di redditi sproporzionati per difetto, rispetto al compito di mantenere anche i cinque figli nati dal matrimonio dell'interessato.
Tuttavia non era consentito all'imputato decidere come gestire le risorse che la legge gli imponeva di destinare ai bisogni della numerosa prole, ed in particolare di abbandonare completamente uno dei suoi figli, se anche ciò fosse stato strumentale, nella specie, a migliorare il tenore di vita degli altri.

Il sanzionamento penale dell'omissione, secondo la giurisprudenza ormai corrente, può essere escluso solo quando l'agente versi in una condizione sostanzialmente equivalente allo stato di necessità, cioè si trovi nella assoluta (e non colpevole) impossibilità di provvedere. Il riferimento al carattere di assolutezza dell'impedimento implica che la giustificazione non ricorre quando sarebbe possibile almeno un adempimento parziale, tale da prevenire lo stato di bisogno (il che escluderebbe la tipicità del fatto di cui all'art. 570, comma 2) o almeno da ridurne la portata.
L'opinione contraria, che sostanzialmente esaurisce il novero delle critiche difensive alla sentenza, non può quindi essere accolta.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2014.


 

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