REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Primo Presidente f.f. -
Dott. ROSELLI Federico - Presidente Sezione -
Dott. RORDORF Renato - Presidente Sezione -
Dott. MASSERA Maurizio - Consigliere -
Dott. DI AMATO Sergio - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - rel. Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Consigliere -
Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19303/2010 proposto da:
B.E., B.R., nella qualità di eredi di B.L., R.M., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell'avvocato CIABATTINI LIDIA, rappresentati e difesi dall'avvocato TOSI PAOLO, per delega a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
I.N.P.D.A.P., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell'avvocato MARINUZZI DARIO, che lo rappresenta e difende, per procura speciale del notaio Dott. Igor Genchini di Roma, rep. 24623 del 30/11/2010, in atti;
- resistente -
e contro
AGENZIA DELLE DOGANE;
- intimata -
avverso la sentenza n. 159/2010 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 11/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;
uditi gli avvocati Paolo TOSI, Dario MARINUZZI;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. I sig. B.L. e R.M., dipendenti del Ministero delle finanze, Dipartimento delle dogane e delle imposte indirette - trasformato in Agenzia delle Dogane con il D.Lgs. n. 300 del 1999 - adivano il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, domandando l'accertamento del proprio diritto a vedersi determinare l'indennità di buonuscita sulla base della retribuzione dirigenziale percepita al momento della risoluzione del rapporto, con la condanna dell'Agenzia delle dogane e dell'INPDAP al pagamento delle relative differenze.
Il B., dipendente del Ministero delle finanze fin dal marzo 1968 da ultimo inquadrato nella 9° qualifica funzionale, posizione economica C3 Super, esponeva in punto di fatto che a decorrere dal 1 marzo 2002 gli era stato affidato l'"incarico provvisorio" di responsabile della direzione della circoscrizione doganale di Milano.
In relazione a tale funzione di reggenza di ufficio di livello dirigenziale non generale, gli veniva attribuita - ai sensi degli artt. 14 e 24 del Regolamento di Amministrazione dell'Agenzia delle Entrate (approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000, pubblicato in G.U. n. 36 del 13 febbraio 2001) - dapprima la retribuzione di posizione dirigenziale di secondo livello, con esclusione di ogni altro trattamento accessorio nonchè dei compensi per lavoro straordinario, e poi. fino alla data del collocamento a riposo con decorrenza 24 aprile 2004. il trattamento economico dei dirigenti di seconda fascia, unitamente al trattamento accessorio di prima fascia e la retribuzione di risultato, a titolo di retribuzione di posizione.
Il R., anch'egli dipendente del Ministero delle finanze fin dall'ottobre 1966. da ultimo inquadrato nella IX qualifica funzionale, posizione economica C3. esponeva che con provvedimenti del Direttore dell'Agenzia, gli veniva conferito dapprima l'incarico di "assistente di direzione" presso la direzione regionale per la Lombardia, a decorrere dal giugno 2001, e successivamente, a decorrere dal novembre 2002 e fino al collocamento a riposo avvenuto in data 1 ottobre 2004, l'incarico dirigenziale per lo svolgimento delle funzioni di "audit interno" presso la direzione regionale delle dogane di Milano per la Regione Lombardia. In relazione a tali funzioni, gli veniva attribuito - ai sensi dei cit. artt. 14 e 24 del Regolamento di Amministrazione dell'Agenzia - il trattamento economico dei dirigenti di seconda fascia, unitamente al trattamento accessorio di prima fascia e la retribuzione di risultato, a titolo di retribuzione di posizione.
Entrambi i ricorrenti lamentavano che l'Agenzia delle dogane aveva determinato l'indennità di buonuscita prendendo, come base di calcolo, la retribuzione corrispondente alla funzione di Direttore tributario, IX qualifica funzionale, posizione economica C3, in luogo dell'ultimo stipendio effettivamente percepito per lo svolgimento dell'incarico dirigenziale.

2. L'adito Tribunale di Milano respingeva le domande, ritenendo che i trattamenti economici dirigenziali potessero incidere sul calcolo dell'indennità di buonuscita solo in favore dei dirigenti di ruolo, ossia in possesso della qualifica dirigenziale, e non in favore dei funzionari chiamati a ricoprire una posizione dirigenziale vacante e, solo per questo, in godimento della retribuzione di posizione per effetto dello svolgimento di mansioni superiori a quelle del rispettivo inquadramento.
3. La Corte di appello di Milano, sezione lavoro, con sentenza 11 marzo 2010 n. 159, rigettava l'appello, rilevando che la strutturale transitorietà dell'affidamento di funzioni dirigenziali a funzionari non dirigenti, ai sensi dell'art. 26 del Regolamento dell'Agenzia delle dogane, rende del tutto differenti i ruoli dei dirigenti nominati a seguito di procedura concorsuale (disciplinata dall'art. 14 del Regolamento citato) e quelli dei funzionari chiamati provvisoriamente a coprire posizioni dirigenziali vacanti, con conseguente necessità di riferirsi, ai fini della liquidazione dell'indennità di buonuscita, al trattamento stipendiale attribuito al personale nella originaria qualifica di appartenenza.
4. Avverso tale sentenza hanno proposto un unico ricorso per cassazione sia R.M. sia gli eredi di B. L., nelle more deceduto, articolando un duplice motivo.
Nessuna delle parti intimate ha resistito con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
La causa, inizialmente chiamata innanzi alla Sezione Lavoro di questa Corte, è stata rimessa alle Sezioni Unite a seguito di ordinanza interlocutoria della Sezione Lavoro in ragione di un contrasto di giurisprudenza sul punto.
I ricorrenti hanno depositato ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivazione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.
Lamentano innanzi tutto i ricorrenti la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3 e 38, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Assumono i ricorrenti che, ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38, l'indennità di buonuscita di ogni dipendente statale è determinata in ragione dell'ultimo stipendio, paga o retribuzione integralmente percepiti, la cui determinazione è fissata su base annua e con l'inclusione di determinati assegni specificati dalla legge, senza alcuna distinzione in conseguenza del titolo in virtù del quale è corrisposta l'ultima retribuzione. Da ciò l'asserita irrilevanza della corrispondenza o meno all'inquadramento del lavoratore, dell'ultima retribuzione effettivamente percepita.
Secondo i ricorrenti, la corretta interpretazione ed applicazione della citata disciplina impone la determinazione dell'indennità di buonuscita in ragione dell'ultima retribuzione percepita, nella specie corrispondente agli incarichi dirigenziali in atto al momento della cessazione del rapporto e svolti in base a contratti individuali di lavoro a termine stipulati ai sensi dell'art. 26 del Regolamento di amministrazione dell'Ente, in forza dei quali ai funzionari incaricati dello svolgimento di funzioni dirigenziali è stato attribuito lo stesso trattamento economico dei dirigenti.

Con il secondo motivo lamentano i ricorrenti violazione e falsa applicazione dell'art. 1230 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Assumono i ricorrenti che, se anche si volesse considerare necessaria la corrispondenza tra la retribuzione percepita e la qualifica del lavoratore, tale condizione sarebbe integrata nel caso di specie, essendo stati stipulati dall'Amministrazione contratti individuali di lavoro a termine "con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti", con conseguente novazione oggettiva del rapporto in virtù della quale il funzionario incaricato temporaneamente riveste la qualifica dirigenziale, ricevendone il relativo trattamento economico, con conseguente temporanea equiparazione funzionale e retributiva tra dirigenti di ruolo e funzionari incaricati ed applicazione della medesima disciplina anche ai fini della liquidazione dell'indennità di buonuscita.

2. Il ricorso, i cui due motivi possono essere trattati congiuntamente, è infondato.
3. E' pacifico in causa che gli originari ricorrenti, che hanno instaurato un rapporto di pubblico impiego rispettivamente nel marzo 1968 (il B.) e nell'ottobre del 1966 (il R.), beneficiano, ratione temporis, dell'indennità di buonuscita come trattamento di fine servizio.
4. L'indennità di buonuscita per i dipendenti civili e militari dello Stato è prevista dal D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3 e 38, recante il testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato.
L'art. 3 stabilisce che gli iscritti al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, che cessino dal servizio, conseguono, dopo almeno un anno di iscrizione al Fondo, il diritto alla indennità di buonuscita che è pari a tanti dodicesimi della base contributiva di cui all'art. 38 quanti sono gli anni di servizio computabili ai sensi delle disposizioni contenute nel successivo capo 3. Per la determinazione della base contributiva si considerano "l'ultimo stipendio o l'ultima paga o retribuzione integralmente percepiti"; a ciò si aggiungono "gli assegni che concorrono a costituire la base contributiva" ossia i trattamenti retributivi accessori ed integrativi dei quali sia prevista l'inclusione nella suddetta base contributiva. Questo criterio è poi specificato nell'art. 38 che definisce la base contributiva come costituita dall'80 per cento dello "stipendio, paga o retribuzione annui", nonchè di assegni specificamente individuati ed elencati: l'indennità di funzione per i dirigenti superiori e per i primi dirigenti: l'assegno perequativo per gli impiegati civili, di ruolo e non di ruolo, e per gli operai dello Stato: ed altre indennità previste per particolari settori del pubblico impiego.
Quindi risulta testualmente dalla lettera delle due citate disposizioni (artt. 3 e 38) il carattere tassativo degli elementi retributivi che valgono a definire la base di calcolo dell'indennità di anzianità e che sono quelli inquadragli nella nozione di "stipendio" oppure in quella di uno degli assegni dell'elenco del cit. art. 38.

5. Tale prescritto carattere tassativo degli emolumenti computabili non contrasta con la natura retributiva di trattamenti eccedenti lo "stipendio" e comunque non inquadrabili in alcuno degli assegni di cui all'art. 38 cit.. Ciò emerge innanzi tutto dalla fondamentale sentenza n. 243 del 1993 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di quelle norme disciplinanti i trattamenti di fine servizio, nella parte in cui non prevedevano meccanismi legislativi di computo dell'indennità integrativa speciale (contemplata dalla L. 27 maggio 1959, n. 324), al pari di quanto già previsto per i dipendenti degli enti locali (L. 7 luglio 1980, n. 289, ex art. 3).
La Corte da una parte ha riconosciuto la progressivamente affermatasi natura retributiva dei vari trattamenti di fine servizio nel pubblico impiego, quali l'indennità di buonuscita e l'indennità premio di servizio, parlando a tal proposito di "natura di retribuzione differita con funzione previdenziale"; d'altra parte dalla pacifica natura retributiva dell'indennità integrativa speciale, introdotta con la L. n. 324 del 1959, a favore di tutti i dipendenti pubblici, la Corte non fa affatto discendere la sua computabilità nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita da cui la prima era esclusa in quanto non prevista nel cit. art. 38. Anzi la Corte muove proprio da tale esclusione per valutarne la compatibilità con i parametri evocati dai giudici rimettenti sotto profili tutt'affatto diversi: quello del principio di eguaglianza (art. 3 Cost., comma 1). perchè in alcuni settori del pubblico impiego (quale quello dei dipendenti degli enti locali) l'indennità integrativa speciale era invece computabile; quello della retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36 Cost.) perchè per le fasce retributive più basse, per le quali l'indennità integrativa speciale era diventata una parte cospicua del trattamento retributivo complessivo, l'indennità di buonuscita si era progressivamente "svalutata" nel tempo. Quindi la computabilità dell'indennità integrativa speciale nell'indennità di buonuscita, affermata dalla Corte peraltro non già con una pronuncia autoapplicativa di incostituzionalità, bensì con una pronuncia c.d. di meccanismo che lasciava ampio spazio al legislatore per modulare in concreto tale computabilità, non discende affatto dalla comune natura retributiva delle due indennità, bensì da discrasie progressivamente aggravatesi nel tempo fino dalla rottura del principio di eguaglianza e a quello della retribuzione proporzionata e sufficiente.

Come è noto, a seguito di tale pronuncia fu emanata la L. 29 gennaio 1994, n. 87, che previde - in continuità quindi con il canone di tassatività di cui all'art. 38 cit. - l'espressa inclusione dell'indennità integrativa speciale nella base di computo dell'indennità di buonuscita.
Ma la tassatività dell'elencazione dell'art. 38 risulta anche da un'altra pronuncia della Corte costituzionale, la sentenza n. 278 del 1995. che dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale proprio degli artt. 3 e 38 cit., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., nella parte in cui non consentivano di comprendere una determina indennità - la c.d. indennità operativa per il personale militare in speciali situazioni di impiego - nella base di computo dell'indennità di buonuscita. Ha affermato la Corte in termini di grande chiarezza: "... come non è sufficiente addurre la natura retributiva di un trattamento economico aggiuntivo per ritenere costituzionalmente illegittima la non pensionabilità, così, reciprocamente, il principio di adeguatezza della retribuzione non implica che un emolumento in quanto pensionabile debba essere anche necessariamente incluso nella buonuscita".

6. In piena sintonia con la giurisprudenza costituzionale si è espressa quella di legittimità.
Con riferimento al trattamento di fine rapporto dei dipendenti della società Poste Italiane spa, già appartenenti al comparto del personale dello Stato prima della "privatizzazione" del rapporto di impiego, questa Corte (Cass., sez. lav. 23 luglio 2004, n. 16596) ha affermato che, all'atto della cessazione dal servizio, essi hanno diritto al trattamento di fine rapporto, liquidato secondo i criteri di cui all'art. 2120 c.c. limitatamente al periodo del rapporto di lavoro successivo alla trasformazione dell'ente Poste Italiane in società per azioni, ai sensi della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 27; per il periodo anteriore hanno invece diritto all'indennità di buonuscita liquidata secondo le norme dettate per i dipendenti dello Stato e, in applicazione del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 3, la base contributiva cui tale indennità deve essere commisurata non può includere emolumenti diversi da quelli espressamente menzionati dal medesimo D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38, la cui elencazione ha carattere tassativo, o da leggi speciali, restando, pertanto, esclusa ogni possibilità di interpretare le locuzioni "stipendio", "paga" o "retribuzione" nel senso generico di retribuzione omnicomprensiva, riferibile a tutto quanto ricevuto dal lavoratore in modo fisso e continuativo e con vincolo di corrispettività con la prestazione lavorativa, come il compenso annuale di fine esercizio, il compenso annuale di incentivazione o la quattordicesima mensilità.

Sul carattere tassativo dell'elencazione degli emolumenti indicati dal D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38, si è espressa questa Corte anche successivamente; cfr. ex plurimis Cass., sez. lav. 25 ottobre 2011, n. 22125; 16 febbraio 2012 n. 2259; 18 gennaio 2012 n. 709. In particolare in quest'ultima pronuncia si sottolinea come, in ogni caso, la regola per cui la indennità di anzianità viene calcolata su una base non onnicomprensiva, ossia limitata allo stipendio base, con esclusione di altre indennità, conduce comunque ad un trattamento più favorevole rispetto al trattamento di fine rapporto spettante ai dipendenti privati, giacchè i dipendenti pubblici ai quali trova applicazione l'art. 38 cit., hanno il vantaggio di moltiplicare l'ultimo stipendio per il numero degli anni di servizio prestati, in luogo del sistema del trattamento di fine rapporto, che si compone della somma di accantonamenti annuali, che riproducono, non già i più alti compensi percepiti al termine della carriera, ma solo la quota di quelli ricevuti anno per anno (conf. Cass., sez. lav., 9 maggio 2008, n. 11605).
Analogo principio è stato affermato con riferimento all'indennità premio di servizio. Cass., sez. un., 29 aprile 1997, n. 3673, ha ritenuto che la retribuzione contributiva, a cui per i dipendenti degli enti locali si commisura, a norma della L. 8 marzo 1968, n. 152, art. 4, l'indennità premio di servizio, è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall'art. 11, comma 5, legge cit.. la cui elencazione ha carattere tassativo e la cui dizione "stipendio o salario" richiede un'interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come componenti di tale voce, degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura; conseguentemente non può assumere rilievo, ai fini della determinazione di tale indennità, un assegno ad personam, anche se costituente parte fissa del globale trattamento retributivo del lavoratore, in quanto lo stesso non fa parte degli emolumenti specificatamente indicati dalla norma e non può considerarsi come componente dello stipendio, nella locuzione usata dalla citata norma di previsione.

Queste Sezioni Unite si sono espresse in termini analoghi anche con riferimento al trattamento di fine servizio dei dipendenti degli enti pubblici non economici previsto dalla L. 20 marzo 1975, n. 70; il personale del c.d. parastato rispetto al quale la giurisprudenza della Corte, in un primo momento, aveva ritenuto la computabilità delle voci retributive fisse e continuative ulteriori rispetto allo stipendio in senso stretto: cfr. Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7154; 25 marzo 2010, n. 7158; conf. Cass., sez. lav.. 12 maggio 2010, n. 11478; 25 febbraio 2011, n. 4749. In particolare Cass., sez. un. 25 marzo 2010, n. 7154, cit., ha affermato che in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l'art. 13 l. 20 marzo 1975 n. 70, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio; il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (nella specie, l'indennità di funzione L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2. il salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione e l'indennità particolari compiti di vigilanza per i dipendenti dell'Inps) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell'Inps. prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo.

Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato è nel senso di ritenere soggetta ad una vera e propria riserva di legge l'individuazione, con il carattere della tassatività. degli elementi che compongono la base di calcolo dell'indennità di buonuscita (Cons. Stato, sez. 6^, 20 dicembre 2011, n. 6736; 4 aprile 2011, n. 2075; 12 giugno 2009, n. 3717; sez. 6^, 18 aprile 2009, n. 3049; 28 gennaio 2009, n. 482).

7. La prospettiva non muta se si considera l'esercizio di mansioni superiori alla qualifica che pur comporta per l'Amministrazione l'obbligo di un trattamento retribuivo con finalità compensative e di riequilibrio.
Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato, posto che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, e prima ancora D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25, e modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15), l'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione. E' tuttavia possibile che per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro sia temporaneamente adibito a mansioni proprie di una qualifica superiore in particolare nel caso di vacanza di posto in organico qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti; è questa l'ipotesi della reggenza che appunto è connotata da temporaneità.
In tale evenienza per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto ad un trattamento retributivo che sia compensativo dell'esercizio temporaneo delle mansioni corrispondenti alla qualifica superiore (ex plurimis Cass. sez. lav. 25 ottobre 2003, n. 16078), stante in particolare che il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, originariamente previsto dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, nella sua originaria formulazione, è stato soppresso dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15; trattamento retributivo che peraltro non necessariamente deve essere di misura tale da elevare lo "stipendio" della qualifica di appartenenza all'esatto trattamento economico corrispondente alla qualifica superiore cui sono riferibili le mansioni svolte essendo sufficiente che vi sia un compenso aggiuntivo rispetto alla retribuzione della qualifica di appartenenza (Cass., sez. lav. 25 ottobre 2003, n. 16078). In proposto queste Sezioni Unite (Cass., sez. un. 16 febbraio 2011, n. 3814) - proprio in riferimento alla fattispecie della reggenza, da parte di personale appartenente alla 9^ qualifica C3, del pubblico ufficio sprovvisto, temporaneamente, del dirigente titolare - hanno sottolineato la straordinarietà e temporaneità dell'incarico e, al fine dell'attribuzione del trattamento retributivo differenziale, hanno distinto secondo che la reggenza sia contenuta, o no, nei limiti di tempo previsti dalla contrattazione collettiva di comparto. Per i dipendenti di nona qualifica funzionale (istituita dal D.L. n. 9 del 1986, art. 2, conv. in L. n. 78 del 1986) l'iniziale reggenza dell'ufficio, limitatamente al tempo necessario per la copertura del posto vacante (fissato, all'epoca, dall'art. 24 del c.c.n.l. del 16 febbraio 1999 Comparto Ministeri in sei mesi prorogabili, a certe condizioni, a dodici; in precedenza cfr. D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, art. 20), rientrava già nelle mansioni della qualifica spettante.
Per le agenzie fiscali, dopo la loro istituzione (D.Lgs. n. 300 del 1999, ex art. 57). la possibilità del ricorso alla reggenza è stata prevista in termini più ampi dalla normativa regolamentare interna con attribuzione ai funzionari reggenti, chiamati "provvisoriamente" a ricoprire l'incarico, dello stesso trattamento economico dei dirigenti (art. 24 del Regolamento di amministrazione adottato con deliberazione n. 4 del 30 novembre 2000 dal Comitato direttivo, in G.U. n. 36 del 13 febbraio 2001); si tratta di incarichi espletati in via temporanea da funzionari non dirigenti fino all'attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza.

8. Questi principi (sopra sub 5 e 6) trovano quindi applicazione anche nella fattispecie della reggenza, ossia dello svolgimento di mansioni corrispondenti alla superiore qualifica di dirigente in attesa dell'espletamento delle procedure selettive di reclutamento del personale di livello dirigenziale. Anche in tale fattispecie infatti l'intrinseca temporaneità dell'incarico dirigenziale come reggente, affidato al dipendente sprovvisto della qualifica di dirigente, comporta che l'incremento di trattamento economico rispetto a quello corrispondente alla qualifica di appartenenza sia concettualmente isolabile e non appartenga alla nozione di "stipendio" che è invece il trattamento economico tabellarmente riferibile alla qualifica di appartenenza. Ciò appunto perchè - si ribadisce - il termine "stipendio" quale base di calcolo dell'indennità di buonuscita deve essere inteso come trattamento retributivo relativo alla qualifica di appartenenza, con esclusione di altri emolumenti, seppur erogati con continuità e a scadenza fissa, ove non rientranti nell'elencazione del D.P.R. 1032 cit., art. 38, che individua le altre indennità, indicate tassativamente, da computare anch'esse, al pari dello "stipendio", in tale base di calcolo. Cfr. anche, sempre in materia di pubblico impiego seppur non statale, Cass., sez. lav., 20 giugno 2003. n. 9901, che - in linea di continuità con Cass., sez. un., 29 aprile 1997, n. 3673, cit. - ha affermato che la retribuzione alla quale, per i dipendenti degli enti locali, si commisura, a norma della L. 8 marzo 1968, n. 152, art. 4, l'indennità premio di servizio, è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall'art. 11, comma 5, della legge medesima, la cui elencazione ha carattere tassativo e la cui dizione "stipendio o salario" richiede un'interpretazione restrittiva. Se poi il necessario riconoscimento di un "compenso aggiuntivo" per l'esercizio di mansioni superiori alla qualifica di appartenenza, come nel caso della reggenza, si ingloba nel trattamento retribuivo, non per ciò solo acquista carattere di stabilità.
Pertanto questa Corte (Cass. sez. lav. 11 giugno 2008, n. 15498), con riferimento alla fattispecie di un funzionario della 9° qualifica funzionale che aveva svolto mansioni vicarie di dirigente, ha affermato che nel rapporto di lavoro c.d. privatizzato alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, poichè l'esercizio di fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore nella superiore qualifica, la base retribuiva dell'indennità di buonuscita, che è normativamente costituita dalla retribuzione corrispondente all'ultima qualifica legittimamente rivestita dall'interessato all'atto della cessazione del servizio, non è da riferire alla retribuzione corrispondente alla superiore qualifica, bensì a quella corrispondente all'inferiore qualifica di appartenenza.

Questo principio ha visto un momento di discontinuità in Cass. sez. lav. 13 giugno 2012, n. 9646, che ha invece ritenuto che ai fini della buonuscita si debba considerare il trattamento economico corrisposto per l'incarico svolto a titolo di reggenza affermando in particolare che nell'ipotesi di reggenza conferita per un posto vacante di dirigente per il periodo necessario all'espletamento delle procedure di selezione per la copertura del posto stesso con attribuzione del relativo trattamento economico, se la reggenza prosegue per un periodo eccessivamente lungo e nel frattempo il dipendente matura i requisiti per il collocamento a riposo, nel computo dell'indennità di buonuscita non si può non tenere conto, come ultimo trattamento economico percepito, di quello corrisposto per il suddetto incarico dirigenziale, anche se a titolo di reggenza.
Ma da ultimo l'orientamento prevalente è stato ulteriormente ribadito da Cass., sez. lav., 2 luglio 2013, n. 16506, che ponendosi in critico confronto (ed in consapevole contrasto) con Cass. n. 9646 del 2012, ha in particolare evidenziato che il rapportare la liquidazione dell'indennità di buonuscita alla retribuzione da ultimo percepita in forza delle mansioni dirigenziali espletate in via di reggenza temporanea, anzichè alla retribuzione dell'ultima qualifica rivestita, è una soluzione che si traduce in un sostanziale aggiramento del disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, di fatto realizzando lo stesso effetto che si sarebbe verificato se il dipendente avesse regolarmente conseguito il superiore inquadramento nelle forme previste dalla citata normativa.

E' vero che l'indennità di buonuscita dei dipendenti statali ha funzione retributiva unitamente ad una finalità previdenziale - cfr. Corte cost. n. 87 del 2003 che parla di "natura di retribuzione differita, ma anche (quanto meno, funzione) previdenziale ed assistenziale" - ma non di meno la sua base di calcolo, quale normativamente definita dal D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 1 e 38, è insensibile a trattamenti economici solo contingenti perchè riferibili allo svolgimento di mansioni superiori in posizione di reggenza. Del resto anche nell'ipotesi di conferimento di incarichi dirigenziali temporanei non in regime di reggenza il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, come novellato, ha stabilito che "ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio, comunque denominato, ..., l'ultimo stipendio va individuato nell'ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell'incarico avente durata inferiore a tre anni". E si è sottolineato a tal proposito che il legislatore ha voluto evitare che il conferimento di un incarico direttivo possa determinare un trattamento di fine rapporto correlato quantitativamente alla maggiore retribuzione percepita dal soggetto incaricato quando l'incarico sia di durata inferiore a tre anni (Corte cost. n. 119 del 2012). Ciò è ancor più vero per gli incarichi dirigenziali affidati a chi dirigente non è, che sono intrinsecamente connotati dalla contingenza e precarietà della figura della reggenza.

9. Nè l'esercizio di fatto di mansioni superiori alla qualifica di appartenenza, anche nella forma della reggenza, può comportare la stabilizzazione nella superiore qualifica nella forma della novazione del rapporto per fatti concludenti stante l'espressa deroga all'art. 2103 c.c., per cui nel lavoro pubblico contrattualizzato l'esercizio temporaneo di mansioni superiori non attribuisce il diritto all'assegnazione definitiva delle stesse con il riconoscimento della superiore qualifica; prescrizione prevista dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 57, e successivamente ribadita da ultimo nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, secondo cui l'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione. La novazione del rapporto in ragione del pur prolungato esercizio delle mansioni dirigenziali in posizioni di reggenza contrasterebbe anche con il principio del necessario concorso o procedura selettiva comparativa per l'accesso alla dirigenza pubblica (art. 28 d.lgs. n. 150 del 2001; ex plurimis C. cost. n. 9 del 2010).

10. In conclusione va ribadito che nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita del dipendente che da ultimo abbia svolto le superiori mansioni di dirigente in situazione di reggenza, non possono comprendersi emolumenti diversi da quelli previsti dal combinato disposto dei più volte citato D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38, non potendo in particolare interpretarsi le locuzioni "stipendio", "paga" o "retribuzione", nel senso generico di retribuzione omnicomprensiva riferibile a tutto quanto ricevuto dal dipendente in modo fisso o continuativo e con vincolo di corrispettività con la prestazione, ma dovendo esse essere riferite al trattamento retributivo relativo alla qualifica di appartenenza.
Pertanto il ricorso va rigettato con l'affermazione ex art. 384 c.p.c., comma 1, del seguente principio di diritto: Nel regime dell'indennità di buonuscita spettante ai sensi del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38, al pubblico dipendente, che non abbia conseguito la qualifica di dirigente e che sia cessato dal servizio nell'esercizio di mansioni superiori in ragione dell'affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo di reggenza ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, lo stipendio da considerare come base di calcolo dell'indennità medesima è quello relativo alla qualifica di appartenenza e non già quello rapportato all'esercizio temporaneo delle mansioni relative alla superiore qualifica di dirigente.

Sussistono giustificati motivi (in considerazione dell'evoluzione giurisprudenziale sulle questioni dibattute e della problematicità delle stesse nel contesto del progressivo assetto del diritto vivente) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2014


 

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