REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - rel. Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.D.;
S.F.;
avverso la sentenza n. 199/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del 09/05/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/04/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. BALDI Fulvio che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Udito il difensore Avv. Lentino Livio che insiste per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Ancona, disponendo la sospensione della pena nei confronti di B.D. e sostituendo la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria per S.F., confermava nel resto la sentenza di primo grado che aveva ritenuto costoro responsabili del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 2 e 3.
Ai predetti, il primo in qualità di legale responsabile della ditta BDP di B.D., costruttrice della macchina denominata A36 per la produzione di strisce depilatorie, il secondo in qualità di legale responsabile della ditta "X. s.r.l.", datore di lavoro, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e inosservanza delle norme dettate per la prevenzione di infortuni sul lavoro, era attribuito l'addebito di aver cagionato lesioni personali a F.T.V., dipendente della predetta ditta con la qualifica di operaia, consistite in trauma da schiacciamento apice 4 dito mano sinistra. In particolare, si addebitata agli imputati la violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 7 e 132 e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 1 in quanto entrambi, nelle qualità sopra indicate, non avevano provveduto a rendere inaccessibile la zona d'imbocco della predetta macchina al fine di eliminare il rischio di trascinamento delle mani o di altre parti del corpo del lavoratore. Si contestava, inoltre, che il funzionamento di elementi mobili pericolosi non avveniva in condizioni di sicurezza nel momento in cui veniva abilitato il dispositivo di comando manuale. Si contestava, altresì, che la lavoratrice non era stata formata sui rischi specifici della lavorazione, talchè, intenta a riavviarne il ciclo, azionando con la mano destra il comando manuale (anch'esso non rispondente ai requisiti minimi di sicurezza) finiva con lo schiacciarsi la mano sinistra mentre cercava di far combaciare i due film, subito prima dell'imbocco negli ultimi due rulli, zona non adeguatamente protetta con idonei dispositivi di sicurezza.

S.F. veniva assolto dai resti di cui agli artt. 56, 48 e 479 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e artt. 48 e 485 c.p., art. 61 c.p., n. 2 pure a lui contestati.
Rilevavano i giudici del merito che l'infortunio era avvenuto mentre la lavoratrice stava operando presso la macchina che produce strisce depilatorie con il seguente procedimento: la macchina versa la cera su un film, sul quale poi si va a sovrapporre un secondo film, quindi i due film con in mezzo la cera e sovrapposti vengono schiacciati da un rullo, tagliati, separati, raggruppati e confezionati.
Il giorno dell'infortunio (____) poichè - come era avvenuto frequentemente e anche più volte quel giorno - i due film, che avrebbero dovuto essere sovrapposti, si erano spostati e, quindi, la cera era uscita e si era incollata sul rullo, con conseguentemente arrotolamento del film sul rullo, la lavoratrice, secondo una prassi in uso, aveva fermato la macchina premendo il relativo pulsante, aveva azionato la leva per far alzare i due rulli ed aveva quindi pulito la cera.
Una volta pulita la macchina aveva riabbassato la leva e quindi i rulli, e visto che i due film continuavano a non sovrapporsi bene, con la mano destra aveva acceso "manualmente" e fatto partire la macchina per vedere come si comportavano i due film e, poichè gli stessi non si sovrapponevano ed anzi si spostavano in continuazione, aveva cercato di raddrizzarli con la mano sinistra, ma il rullo le aveva preso il quarto dito della mano, strappandole l'apice.
I tecnici che avevano effettuato gli accertamenti avevano rilevato che la zona ove erano stati situati i rulli a cui la lavoratrice aveva potuto accedere con la mano era più ampio dello spazio necessario al passaggio dei film, non era protetto e segregato in modo da impedire l'accesso agli organi lavoratori e rendeva possibile l'inserimento delle mani durante il moto della macchina azionata con modalità manuale, consentito dall'uso di una chiave che era nella disponibilità dei lavoratori. Rilevavano i giudicanti che il datore di lavoro era a conoscenza della situazione poichè tollerava che fossero ripetutamente poste in essere operazioni non sicure, finalizzate a ovviare al corretto funzionamento della macchina evitando l'intervento del manutentore con perdita di tempo e aumento dei costi. Inoltre i film si ingrippavano facilmente. Rilevavano, inoltre, la mancanza di una specifica ed adeguata formazione della lavoratrice, come era dimostrato dalla mancanza di firma di costei sui verbali di addestramento a mansione specifica, risultante in atti e dalle deposizioni dei testi, anche se non si era pervenuti a condanna del datore di lavoro per il reato di falso contestatogli.
Osservavano, inoltre, che il manuale di istruzioni della macchina, pur contemplando espressamente i rischi, non prevedeva che le operazioni quali quelle poste in essere dalla lavoratrice fossero effettuate esclusivamente da manutentori. Inoltre, la chiave per il funzionamento della macchina con modalità manuale non era custodita in modo tale da impedirne l'utilizzo ai lavoratori. In tale situazione i giudici escludevano la sussistenza di un comportamento abnorme della vittima, richiamando l'orientamento giurisprudenziale di legittimità in forza del quale nessuna efficacia causale poteva essere attribuita alla condotta del lavoratore infortunato in caso di evento sia riconducibile anche alla mancanza insufficienza delle cautele.

Quanto alla posizione del B., rilevavano che il D.P.R. n. 547 del 1955, art. 7 anticipa la tutela antinfortunistica al momento della costruzione, vendita, noleggio o concessione in uso delle macchine, talchè nelle responsabilità derivanti dalla mancata rispondenza dei prodotti alle normative sono coinvolti tutti gli operatori cui siano imputabili le indicate attività. In particolare, la responsabilità del B. era riconducibile non solo alla realizzazione della macchina, ma anche all'omissione prima della consegna del dovuto controllo sulla funzionalità della medesima in condizioni di sicurezza. Nè poteva ritenersi che l'uso della macchina da parte della ditta X- s.r.l. senza l'eliminazione delle carenze attinenti alla sicurezza costituisse causa sopravvenuta, non potendo rientrare fra quelle di cui all'art. 41 c.p., comma 2.
Osservavano, altresì, i giudici del merito che dopo il fatto addetti della ditta costruttrice, su indicazione della FAB s.r.l., avevano effettuato un intervento di confinamento delle zone pericolose mediante collocazione di due cancelli apribili e posizionamento sulle chiusure dei medesimi di micron che, se aperti, interrompevano il moto degli organi lavoratori. Era stata L,, installata, altresì, una placca atta a segregare la zona dell'imbocco con necessità d'intervento di personale tecnico abilitato in caso di malfunzionamento. Avverso la sentenza propongono ricorso per Cassazione, con distinti atti, gli imputati.

Il S. deduce, con unico articolato motivo, mancanza o manifesta illogicità della motivazione e conseguente errata applicazione del D.P.R. n. 547 del 1055, artt. 7 e 132 e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 1.
Rileva l'incongruenza dell'affermazione contenuta in sentenza secondo la quale qualora all'epoca del fatto la macchina fosse stata dotata della placca successivamente apposta l'evento non si sarebbe verificato. Osserva che quando si devono cambiare i nastri, nell'unico momento in cui si è costretti a entrare nella zona di movimentazione della macchina, anche la piastra deve essere smontata. Deduce che la circostanza che la chiave necessaria per bloccare gli organi lavoranti fosse in possesso dei lavoratori e non solo dei manutentori ovvero che i lavoratori potessero eseguire l'operazione di riallineamento era un fatto assolutamente irrilevante, trattandosi di operazione elementare e non richiedente competenze o abilità professionali specifiche.
Rileva che anche l'affermazione che la mancanza di adeguata formazione della lavoratrice fosse evincibile dai verbali di addestramento recanti firme apparenti della lavoratrice rappresenta una conclusione illogica, sfornita di riscontri e contraddetta da numerosi elementi (prova testimoniale), oltre a considerare che l'avvertenza di non inserire le mani nella macchina a rulli abbassati era chiaramente indicata nei cartelli presenti sulla macchina stessa.

A sua volta il B. deduce:
1) Vizio di motivazione per manifesta illogicità. Rileva che con l'appello era stato evidenziato che dall'istruttoria era emerso che la zona d'imbocco della macchina era efficacemente protetta ed inaccessibile alle lavoratrici, in quanto le stesse non dovevano essere in possesso della chiave estraibile che, consentendo l'apertura delle portiere, permette di avvicinarsi fisicamente ai rulli, il cui movimento, peraltro, si arresta automaticamente al momento dell'apertura. Rileva che ciò era desumibile anche dal manuale d'uso e manutenzione della macchina, nel quale si legge che il conduttore deve operare "rigorosamente a protezioni abilitate" con i ripari montati e tutte le sicurezze inserite e solo il manutentore "può agire a protezioni disabilitate in quanto è in possesso dei mezzi per disabilitarle". Di conseguenza era erronea la notazione contenuta in sentenza secondo cui "il manuale di istruzioni della macchina, pur prevedendo espressamente i rischi, non prevedeva espressamente che le operazioni - quali quelle poste in essere dalla lavoratrice e in occasione delle quali è avvenuto l'infortunio - fossero effettuate esclusivamente da manutentori o personale specializzato". Da tale premessa, smentita da quanto si legge nel manuale, scaturisce una motivazione del tutto illogica poichè se l'apertura delle portiere fosse stata permessa ai comuni operatori la macchina sarebbe stata dotata di un semplice interruttore e non già di un selettore dotato di chiave estraibile.
2) Vizio di motivazione per manifesta illogicità in relazione al secondo motivo d'appello, con il quale il B. aveva rilevato che era stato ricostruito in modo errato l'infortunio, affermando che la lavoratrice si sarebbe infortunata mentre puliva i rulli e non, piuttosto, mentre cercava di allineare i film con le mani, dimostrando di aver compreso che la manovra eseguita ordinariamente non era quella del riallineamento dei film, ma quella della pulizia dei rulli e così pervenendo al giudizio sbagliato secondo cui "se i film si ingrippano così frequentemente si è in presenza di un funzionamento non adeguato della macchina riconducibile al costruttore". Partendo da tale erronea premessa (accessibilità e inefficacia delle protezioni della zona imbocco della macchina), si era pervenuti a un giudizio errato anche con riferimento al comportamento abnorme della vittima.
3) Mancanza di motivazione in relazione al secondo motivo d'appello, con riferimento al comportamento della lavoratrice. La Corte si esprime al riguardo sempre in termini di imprudenza e disattenzione, senza considerare che il comportamento della, medesima è stato non soltanto imprudente, omettendo ogni valutazione sul carattere imprevedibile e abnorme della manovra dalla stessa posta in essere.

Motivazione

Il ricorso proposto dal S. è infondato e va rigettato.
E' da rilevare, in primo luogo, che le censure della difesa s'incentrano sulle argomentazioni concernenti l'apposizione di una placca in epoca successiva al fatto, accorgimento i giudici avrebbero ritenuto sufficiente ad evitare l'infortunio. In realtà le valutazioni riguardo all'idoneità del suddetto accorgimento in relazione delle finalità prevenzionistiche sono dedotte in sentenza ad abundantiam, sussistendo ulteriori e pregnanti argomenti, non specificamente censurati, idonei a sorreggere il giudizio di colpa. Ne consegue che la relativa censura non risulta connotata dal carattere di decisività.

In relazione agli altri rilievi, si osserva che la semplicità dell'operazione manuale posta in essere dalla lavoratrice non esclude la necessità della segregazione degli organi in movimento, prescritta dalla legge, rispetto alla quale l'efficacia della placca successivamente apposta resta circostanza irrilevante; che la mancanza di formazione della lavoratrice è circostanza di fatto desunta da vari elementi, non sindacabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione; che il comportamento della lavoratrice non può essere considerato abnorme in forza del principio giurisprudenziale secondo cui "il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzagli e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto del tutto imprevedibile il comportamento imprudente del lavoratore, addetto all'esecuzione di lavori ad un altezza di sei metri, di utilizzare, per accelerare i tempi di lavorazione, un improprio carrello sollevatore, in luogo del regolare mezzo di sollevamento già impegnato per altri lavori)"(Cass. Sez. 4, Sentenza n. 7267 del 10/11/2009 Rv. 246695).

Con riferimento al ricorso proposto dal B., si rileva, quanto al primo motivo, che i giudici del merito hanno sufficientemente chiarito il punto relativo alla sussistenza della violazione prevenzionistica concernente la condizione di accessibilità agli apparati della macchina, ancorchè a mezzo di chiavi azionate da un selettore. Hanno evidenziato che le parti rotanti della macchina avrebbero dovuto essere protette e segregate a monte, in conformità alle disposizioni di sicurezza, in maniera tale da impedire che entrassero in contatto con parti del corpo dell'operatore o, in alternativa, ove ciò fosse imposto da esigenze di produzione, che sarebbe stata necessaria la predisposizione di un sistema che consentisse in caso di contatto il rapido arresto dei rulli, sì da garantire in ogni caso la sicurezza del lavoratore.
Quanto al secondo motivo, se ne apprezza l'infondatezza ove si consideri che si tratta di censura che propone una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella fornita, mediante motivazione congrua e logica, dai giudici del merito e, pertanto, non censurabile in sede di legittimità.
In ordine all'ultimo motivo di ricorso, si evidenzia l'infondatezza del medesimo alla luce dei principi affermati da questa Corte in tema di comportamento abnorme del lavoratore, già richiamati con riferimento al ricorso proposto dal coimputato S.
Per le ragioni indicate il ricorso va dichiarato rigettato. Ne consegue in capo ai ricorrenti l'onere del pagamento delle spese processuali e della rifusione delle spese in favore della parte civile.

PQM

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2.800,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2014


 

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