REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
OTTAVA CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Vincenzo Perozziello Presidente Relatore
dott. Enrico Consolandi Giudice
dott. Alessandra Dal Moro Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 53373/2007 promossa da:
CUDEN ENTERPRISES L.L.C. (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. RIGANO FRANCESCO e
dell’avv. , elettivamente domiciliato in VIA BESANA, 9 20122 MILANOpresso il difensore avv.
RIGANO FRANCESCO

contro
BAYER SHEET EUROPE SPA (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. ORIGONI DELLA CROCE
GIAN BATTISTA e dell’avv. , elettivamente domiciliato in PIAZZA BELGIOIOSO, 2 20121
MILANO presso il difensore avv. ORIGONI DELLA CROCE GIAN BATTISTA
pronunciando sulle conclusioni formulate dalle parti nelle rispettive note conclusive

Motivazione

Con l’atto introduttivo del presente giudizio proposto nelle forme di cui al dlgs 5/03, l’attrice, agendo in qualità di azionista di minoranza della società convenuta (originariamente titolare di una quota pari al 10% del capitale sociale), ha impugnato la delibera assembleare 27.4.07 di approvazione del bilancio di esercizio 2006 della BAYER e di integrale destinazione a riserva degli utili conseguiti. La parte lamenta da un lato la partecipazione determinante al voto di soggetti non legittimati (quali intestatari di azioni indebitamente acquisite in violazione di clausola statutaria di prelazione), dall’altro il merito stesso della delibera assunta, quale asseritamente viziata da “informazioni inadeguate” per quanto attiene in particolare l’assetto dei rapporti di direzione e coordinamento e i rapporti negoziali intercorsi con altre società del gruppo, viziata altresì da asserito “abuso di maggioranza” per quanto attiene alla decisione di non procedere ad alcuna distribuzione di utili.

A fronte di simile prospettazione, il giudizio è stato sospeso dal Tribunale ex art. 295 cpc in ragione della pendenza in sede di appello del giudizio principale inerente la denunciata violazione della clausola di prelazione ed è stato quindi ritualmente riassunto dall’attore a seguito del definitivo passaggio in giudicato della relativa pronuncia (di rigetto delle contestazioni proposte da CUDEN). Alla successiva udienza di riassunzione 19.9.13 innanzi al Collegio, parte convenuta in via preliminare ha sollevato eccezione di “sopravvenuta carenza di interesse ad agire e/o difetto di legittimazione ad agire dell’attrice” atteso che nelle more del giudizio la partecipazione di CUDEN nella società convenuta si era (pacificamente) ridotta all'1% del capitale (a seguito di precedente delibera 29.4.13, non impugnata, di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale ex art 2477 cc, cui aveva fatto seguito sottoscrizione del socio di minoranza solo per l% delle azioni di nuova emissione), risultando così al di sotto della soglia del 5% prevista dall’art 2377 comma 3° cc.

A fronte di tale eccezione parte attrice ha contestato innanzitutto la stessa rilevanza della eccezione così proposta in quanto l'impugnazione sarebbe fondata su "cause di nullità del bilancio per difetto di rappresentazione veritiera e per difetto di chiarezza", e come tale svincolata dai requisiti di legittimazione previsti ex art 2377 cc - ma si tratta di prospettazione che il Collegio ritiene infondata:
*manifestamente infondata innanzitutto per quanto attiene la censura di abuso di maggioranza, quale vizio pacificamente assoggettato a regime di annullabilità e comunque riferibile nella specie ad una delibera di destinazione degli utili quale manifestazione di volontà che, pur presupponendo una intervenuta delibera di approvazione del bilancio, rimane comunque da questa chiaramente distinta,
*infondata però, a parere del Collegio, anche in relazione alla delibera “presupposta” di approvazione del bilancio, atteso che tutti quanti i rilevi sollevati dall’attore attengono in realtà ad asseriti “vizi” della relazione di gestione e non già del documento di bilancio vero e proprio: richiamando qui valutazioni già più volte espresse da questo Tribunale (v da ultimo Trib Milano RG 59354/11) si deve in particolare ritenere infondata la pretesa dell'attore di "giustapporre automaticamente le risultanze di una prolungata elaborazione giurisprudenziale in tema di chiarezza e precisione dei “dati di bilancio” (ovvero di stime e risultanze suscettibili di traduzione propriamente numerica secondo stringenti criteri normativi di carattere inderogabile, quali contenute in conto economico e stato patrimoniale e destinate a compiuta illustrazione in nota integrativa), sul diverso oggetto rappresentato dalle “comunicazioni” incluse nella relazione di gestione, dunque in un documento che per espressa scelta normativa risulta solo “collegato” al bilancio e che si caratterizza per una funzione di illustrazione ampiamente valutativa... pare il caso di ricordare come proprio in una tale ottica la migliore dottrina, rimarcando la netta distinzione di oggetto e di funzione sopra evidenziata, ha puntualmente sottolineato che “la relazione di gestione, a differenza dalla nota integrativa, non è oggetto di approvazione assembleare, sì che le sue insufficienze non potranno dare luogo a nullità della deliberazione di bilancio ma tutt'al più,
se di rilevanza tale da viziare il procedimento di approvazione di quello, ad annullabilità della stessa.”

La discussione tra le parti si è a questo punto articolata sul merito vero e proprio della eccezione sollevata. Al riguardo si osserva quanto segue.

Come noto, nel regime precedente l’entrata in vigore del dlgs 6/03 poteva reputarsi ampiamente consolidato l’orientamento volto a ricondurre la disciplina positiva della legittimazione alla impugnazione da parte del socio all’interno dei più generali principi in tema di legittimazione ad agire, in termini dunque di “condizione dell’azione” che dovesse necessariamente sussistere fino alla pronuncia della sentenza, per cui doveva ritenersi che la perdita in corso di causa della qualità di socio in capo all’impugnante faceva senzaltro venir meno il diritto dello stesso ad ottenere l’annullamento della delibera contestata (v. Cass 26842/08 – fatta salva l’ipotesi in cui “il venir meno della qualità di socio in capo all’impugnante sia diretta conseguenza proprio della deliberazione la cui legittimità egli contesta”) Al riguardo la medesima pronuncia aveva pure avuto occasione di sottolineare come d’altro canto alle medesime conclusioni si dovesse arrivare anche muovendo dalla diversa qualificazione (proposta da una parte della dottrina) della disciplina positiva dei requisiti soggettivi di impugnazione previsti dal previgente art 2377 cc come “disposizioni che operano sul piano sostanziale e che attribuiscono o meno la titolarità del diritto ad opporsi alla deliberazione non condivisa”, atteso che “anche l’esistenza del diritto azionato in giudizio deve permanere intatta sino al momento della pronuncia del giudice”.
Su un tale quadro consolidato di riferimento è venuta ad incidere la riforma del 2003 ed è proprio sull’impatto concreto della nuova disciplina positiva che si incentra la discussione tra le parti, secondo opposti orientamenti entrambi sorretti da autorevoli voci in dottrina e motivatamente sostenuti. In particolare parte attrice muove dal dato letterale della espressa previsione nel nuovo testo dell’art 2378 cc del venir meno della possibilità di pronunciare l’annullamento in ipotesi di perdita dei requisiti di legittimazione “a seguito di trasferimento per atto tra vivi” e interpreta tale disposizione come volta (indirettamente) a restringere l’area di operatività dei generali principi sopra richiamati alla sola ipotesi di dismissione conseguente ad un atto dispositivo del titolare del diritto, secondo tipica argomentazione a contrario.
Parte convenuta assume per contro che la menzionata disposizione vada piuttosto intesa come univoco richiamo ai principi in tema di legittimazione, espressione in tal senso di piena adesione all’orientamento già in precedenza pienamente consolidato, attraverso formulazione ellittica in cui semplicemente il legislatore minus dixit quam voluit.

A parere del Collegio non può reputarsi convincente l’argomento a contrario proposto da parte attrice.
Al riguardo si può ricordare come già in relazione alla disciplina dell’art 2377 cc si era posto analogo problema interpretativo (sotto il diverso profilo di legittimazione o meno all’impugnazione di soggetti che avessero acquistato la qualità di soci in data successiva alla delibera contestata e che dunque non potessero propriamente reputarsi “assenti o dissenzienti” al momento della delibera) e come nella specie autorevole dottrina avesse puntualmente evidenziato le esigenze di opportuna cautela che si pongono nell’utilizzo di un tale metodo interpretativo, sottolineando in particolare come si possa in realtà “invocare l’argomento a contrario allo scopo di ricostruire la volontà legislativa solo quando si tratti di casi costituenti il contrapposto psicologicamente necessario e immediatamente evidente dei casi espressamente previsti dalla norma” (nella specie si metteva in evidenza come l’espresso riferimento normativo alla legittimazione dei “soci assenti o dissenzienti” trovasse peculiare e diretto ambito di applicazione nella esclusione della legittimazione dei soci che avessero invece votato a favore, secondo formulazione letterale del testo, e in tal senso non consentiva affatto di desumere automaticamente a contrario la volontà del legislatore di escludere altresì coloro che avessero solo successivamente acquisito la titolarità delle azioni, quale problematica in realtà del tutto distinta da affrontare secondo più articolati criteri interpretativi).
Naturalmente, al di là della condivisibilità o meno delle conclusioni formulate in relazione al caso concreto, ciò che rileva ai fini del presente giudizio è solo il richiamo ai peculiari presupposti che possono legittimare il ricorso ad un determinato modello argomentativo, nel richiamo alla dovuta ponderazione della effettiva valenza da riconoscere al dato cui si intende fare riferimento. In tale ottica si deve in particolare osservare come l’espressa menzione proposta dall’art 2378 cc al “trasferimento per atto tra vivi” in primo luogo fa riferimento alla fattispecie principale su cui si era incentrata l’attenzione degli interpreti nel sistema previgente, ma soprattutto, nel fare rinvio alla previsione di cui all’art 111 cpc, si preoccupa in realtà di fornire puntuale risposta ad un problema specifico che proprio e soltanto all’interno di tale fattispecie si poneva, così imponendo all'interprete di prendere atto della sussistenza di una peculiare ed autonoma "giustificazione" della separata menzione così proposta - ad escludere dunque (esattamente come nell’esempio precedente) una automatica applicazione dell’argomento a contrario in relazione a fattispecie semplicemente non menzionate, che non presentavano invece alcuna esigenza di specifica regolamentazione.
Sotto diverso profilo, ma ancora per quanto attiene un compiuto apprezzamento del dato letterale e sistematico, pare di assai dubbia tenuta interpretativa la pretesa di costruire su una mera argomentazione a contrario addirittura una deroga a principi generali in tema di legittimazione ad agire. Più in particolare, con espresso riferimento al merito vero e proprio del caso in esame, si deve sottolineare come l’unica ed espressa indicazione di disciplina positiva dettata dall’art 2378 cc risulti piuttosto declinata in termini di "perdita" di legittimazione e dunque di “conferma” dei principi generali della materia, peraltro in un conforme contesto (la medesima norma nella sua interezza, la complessiva direzione dell’intera riforma del 2003) di forte restringimento delle forme di tutela reale dei soci di minoranza, laddove l’interpretazione invocata da parte attrice postulerebbe piuttosto (in relazione ad ipotesi diverse da quella di trasferimento per atto tra vivi) addirittura un ampliamento delle forme di tutela reale rispetto agli assetti raggiunti sulla base dei precedenti orientamenti interpretativi. In questo senso si deve necessariamente prendere atto che tale interpretazione risulta obiettivamente contrastante con l’impianto complessivo della riforma; d’altro canto, in un’ottica di ricostruzione delle reali intenzioni del legislatore storico, pare davvero arduo ipotizzare che si sia voluto affidare un rivolgimento di tale peso al mero implicito di una argomentazione a contrario.

Alla luce di tali riflessioni, pare qui più convincente una interpretazione della norma pienamente conforme ai principi generali in tema di legittimazione ad agire, quale appunto proposta da parte convenuta, come del resto più idonea a tener ferma l’esigenza di fondo di ricondurre la pronuncia della sentenza ad un interesse concreto ed attuale di tutte quante le parti in lite, secondo limite di rilevanza evidentemente affidato alla ragionevole discrezionalità del legislatore.
In tal senso si ritiene in particolare che l'inadeguatezza della pretesa di non attribuire rilevanza all’eventuale perdita dei requisiti originari di legittimazione emerga in tutta evidenza laddove finisce per accomunare incongruamente ipotesi in realtà profondamente diverse tra loro (ovvero la mera diminuzione della partecipazione al di sotto delle soglie di legge dalla radicale perdita della qualità di socio), quando invece solo nel primo caso parrebbe di poter riconoscere l’attualità di un interesse concreto ad interloquire “come socio” sulla vita della società piuttosto che ad un mero risarcimento di eventuali danni - secondo orientamento prevalente pienamente consolidato nel sistema ante riforma e che appare oggi puntualmente confermato dalla espressa introduzione di forme di tutela obbligatoria a compensare un significativo e diffuso restringimento dei margini invece di tutela reale.

Il Collegio ritiene pertanto di dover senzaltro rigettare la domanda di parte attrice in ragione del ritenuto venir meno dei requisiti di legittimazione ad agire in capo alla medesima parte.

In tale contesto, ai fini delle determinazioni da assumere in tema di spese di lite, pare doveroso tenere conto da un lato della già emersa infondatezza nel merito delle contestazioni relative ad una pretesa violazione della clausola di prelazione, dall'altro delle profonde divergenze emerse in dottrina sulla questione preliminare ritenuta qui decisiva, per cui pare equo limitare la condanna alle spese dell'attore soccombente in una misura pari ai due terzi dell'intero, come da dispositivo.

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così
dispone: rigetta le domande proposte dall'attrice; condanna la medesima parte alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla convenuta BAYER MATERIAL SCIENCE spa limitatamente ad un importo di euro 10.000,00 olte iva e cpa.
così deciso in Milano, 21.11.13


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.