LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS Vincenzo - Presidente -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.F.;
avverso la sentenza n. 1013/2010 Corte Appello di Catanzaro, del 07/05/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 28/05/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Patrizia Piccialli;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito D'Ambrosio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

B.F. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale investimento del pedone C.A. F., riconoscendogli peraltro le attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno con giudizio di prevalenza, confermando la condanna a mesi quattro di reclusione (fatto risalente all'____ ed exitus del ______).
La Corte di merito, pur ricostruendo la dinamica del sinistro in maniera differente dal primo giudice, ha confermato il giudizio di responsabilità dell'imputato sul rilievo della violazione degli obblighi di prudenza sul medesimo incombenti, che non si esaurivano nel rispetto dei limiti di velocità imposti in quel tratto stradale urbano. Le condizioni di pioggia e di limitata visibilità imponevano al B. di adeguare la velocità proprio al fine di neutralizzare il pericolo derivante dall'attraversamento di un pedone, prevedibile trattandosi di centro abitato e di strada caratterizzata da segnaletica orizzontale implicante numerosi attraversamenti.
Con il ricorso si lamenta che la sentenza impugnata non aveva superato il vaglio del "ragionevole dubbio" in ordine al giudizio di responsabilità giacchè a carico del B. non era stata accertata alcuna violazione del codice della strada, una volta ritenuto non provato l'addebito in ordine all'eccessiva velocità rispetto alle condizioni del traffico e dei luoghi. Il giudice di secondo grado aveva riconosciuto pregio alle deduzioni difensive ma illogicamente aveva confermato il giudizio di responsabilità, pur nella impossibilità di ricostruire l'esatta dinamica del sinistro e senza tener conto della condotta imprevedibile e gravemente colposa del pedone, il quale di bassa statura e vestito di abiti scuri attraversava fuori delle strisce pedonali in una zona carente di illuminazione.
Con lo stesso motivo si sottolinea che la sentenza merita censura laddove avrebbe sottovalutato i dubbi prospettati dalla difesa sulla sussistenza del nesso eziologico tra l'incidente e la morte del C., avendo i giudici di merito trascurato sia il dato che le condizioni di salute dell'investito, nettamente migliorate dopo l'intervento chirurgico, sia che lo stesso era affetto da gravi patologie preesistenti all'incidente.

Motivazione

Il ricorso è infondato e non merita accoglimento, a fronte di una doppia conforme sentenza di condanna e, in particolare, di una sentenza di appello che fornisce una adeguata ricostruzione dell'incidente e della relativa responsabilità.
Va ricordato in premessa che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto applicabili nella subiecta materia.
Come è noto, le norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell'art. 140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l'obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte. Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle dettagliate nell'art. 191 C.d.S., che trovano il loro pendant nel precedente art. 190, che, a sua volta, dettaglia le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone.
In questa prospettiva, è evidente la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell'"obbligo di attenzione" che questi deve tenere al fine di "avvistare" il pedone sì da potere porre in essere efficacemente gli opportuni (rectius, i necessari) accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.
Il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (in particolare, proprio dei pedoni) (cfr., per riferimenti, Sezione 4, gennaio 1991, Del Frate; Sezione 4, 12 ottobre 2005, Leonini; Sezione 4, 13 ottobre 2005, Tavoliere).
Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, vuoi genericamente imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell'attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti), vuoi violativi degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall'art. 190 C.d.S. (tipico, quello dell'attraversamento della carreggiata al di fuori degli appositi attraversamenti pedonali: ciò che risulta essersi verificato nel caso di interesse; altrettanto tipico, quello dell'attraversamento stradale passando anteriormente agli autobus, filoveicoli e tram in sosta alle fermate). Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anche l'obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui (Sezione 4, 30 novembre 1992, n. 1207, Cat Berro, rv. 193014).
Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo (imprudente o violativo di una specifica regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe concausa dell'evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilità del conducente: cfr. art. 41 c.p., comma 1), ma occorre che la condotta del pedone configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l'evento (cfr. art. 41 c.p., comma 2).
Ciò che può ritenersi solo allorquando il conducente del veicolo investitore (nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica vuoi specifica) si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di "avvistare" il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, in vero, l'incidente potrebbe ricondursi eziologicamente proprio esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest'ultima.
Nello specifico, il giudice, disattendendo logicamente la ricostruzione operata nella sentenza di primo grado, ha ricostruito puntualmente le circostanze del sinistro stradale qui certamente non rinnovabili in fatto ed evidenziato come, in considerazione delle condizioni spaziotemporali dell'incidente, delle condizioni di pioggia e di limitata visibilità, delle modalità di attraversamento del pedone da sinistra verso destra con conseguente "caricamento" del corpo sul cofano motore dell'autovettura, se il conducente dell'autovettura fosse stato vigile ed attento, avrebbe potuto avvedersi della manovra incauta del pedone attraversamento fuori dalle apposite strisce pedonali ed arrestare la marcia, evitando l'investimento, che, invece, si era verificato con impatto tra il pedone e il veicolo ciò che era attestato dai danni riportati dall'auto.
In questa prospettiva, la tesi difensiva, basata sulla sussistenza del ragionevole dubbio in ordine al giudizio di responsabilità, sul rilievo del mancato accertamento della violazioni, al codice della strada da parte dell'imputato, non può trovare accoglimento avendo il giudicante correttamente e satisfatti va mente ricostruito non solo l'eziologia dell'incidente, ma anche i profili di responsabilità dell'imputato, non esclusi dalla condotta della vittima.
Infine, va rigettato anche il profilo di doglianza riguardante la pretesa interruzione del nesso causale tra le lesioni personali colpose riconducibili alla condotta dell'imputato ed il decesso del C. (che sopraggiunse 29 giorni dopo l'incidente a seguito dell'aggravarsi delle condizioni dell'investito, il quale aveva riportato un trauma cranico e non si era mai ripreso, neanche dopo l'intervento, dallo stato di coma), fondata dal ricorrente sulla ipotizzata responsabilità dei sanitari dell'ospedale che avevano avuto in cura la vittima.
I giudici di merito hanno adeguatamente e correttamente motivato che il consulente medico legale ha individuato con assoluta certezza nelle conseguenze lesive di quel sinistro stradale la causa unica e diretta della morte dei C., il quale, nel corso della sua degenza non aveva mai visto migliorare le sue condizioni nè risultava affetto da pregresse patologie incidenti sull'evoluzione della sua condizione.
Infine, va in ogni caso considerato che in conformità ai principi più volte espressi da questa Corte (v. Sez. 4, 4 ottobre 2006, Lestingi ed altri, rv. 235537) nel caso di lesioni personali cui sia seguito il decesso della vittima, l'eventuale colpa dei medici, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente - tale da irrompere il nesso causale ex art. 41 c.p.p., comma 2, - rispetto al comportamento dell'agente, perchè questi, provocando tale evento (le lesioni), ha reso necessario l'intervento dei sanitari, la cui imperizia e negligenza, con costituisce un fatto Imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale.
Al rigetto dei ricorso consegue la condanna del ricorrente ex art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2013


 

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