REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Primo Presidente f.f. -
Dott. ADAMO Mario - Presidente di sez. -
Dott. RORDORF Renato - Presidente di sez. -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4722-2013 proposto da:
A.E., + ALTRI OMESSI elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso lo studio dell'avvocato SINAGRA AUGUSTO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati SARDOS ALBERTINI GIAN PAOLO, DE PIERRO GIOVANNI, per delega in calce al ricorso;
- ricorrenti -
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro- tempore, MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
- controricorrenti -
e su ricorso proposto da:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore, MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
- ricorrenti incidentali in via condizionata -
contro
A.E., + ALTRI OMESSI elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso lo studio dell'avvocato SINAGRA AUGUSTO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati SARDOS ALBERTINI GIAN PAOLO, DE PIERRO GIOVANNI, per delega in calce al ricorso;
- controricorrenti in replica all'incidentale -
avverso la sentenza n. 826/2011 della CORTE D'APPELLO di TRIESTE, depositata il 23/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/03/14 dal Cons. Dott. ALBERTO GIUSTI;
uditi gli avvocati Gian Paolo SARDOS ALBERTINI, Roberta TORTORA dell'Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per la giurisdizione del giudice ordinario.

Svolgimento del processo

1. - Con distinti atti di citazione o di intervento, A.E. ed altri cittadini italiani hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Trieste la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'economia e delle finanze, chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento del danno, anche morale, o al pagamento un equo indennizzo, ancorato al valore venale attualizzato, con riferimento ai beni già di loro proprietà che, situati nei territori ceduti alla Jugoslavia con il Trattato di Pace del 1947, erano stati espropriati o nazionalizzati dal Governo jugoslavo, e lamentando di avere ricevuto dallo Stato italiano soltanto somme irrisorie a titolo di compensazione.
Le Amministrazioni convenute si sono costituite, eccependo il difetto di giurisdizione, assumendo che la pretesa attorea riguarda atti politici dello Stato, e nel merito hanno chiesto il rigetto della domanda, anche per intervenuta prescrizione.
2. - Con sentenza in data 28 maggio 2009, il Tribunale di Trieste, respinta l'eccezione preliminare di difetto assoluto di giurisdizione, ha rigettato, nel merito, la domanda. Premessa l'ampia discrezionalità del legislatore nello stabilire i mezzi ed i tempi degli indennizzi, il primo giudice ha escluso che lo Stato italiano possa essere ritenuto controparte di un diritto al pieno risarcimento dei danni causati da comportamenti ablatori delle autorità jugoslave, ed ha osservato che la legislazione italiana intervenuta sul punto è ancorata a criteri di tipo indennitario ispirati a finalità di solidarietà nazionale.
3. - Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 dicembre 2011, la Corte d'appello di Trieste, ritenuta la propria giurisdizione, ha rigettato il gravame delle parti private.
La Corte territoriale ha richiamato la L. 29 marzo 2001, n. 137 (Disposizioni in materia di indennizzi a cittadini ed imprese operanti in territori della ex Jugoslavia, già soggetti alla sovranità italiana) per confermare il rigetto dell'eccezione di prescrizione, giacchè con detta legge vi è stato un riconoscimento del diritto attraverso la previsione di un ulteriore indennizzo, ed ha poi rilevato che i privati non possono invocare il precedente rappresentato dalla sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo 22 giugno 2004 nel caso Broniowski c. Polonia, giacchè gli accordi presi tra la Polonia e le Repubbliche Sovietiche sono stati presi da due Stati Vittoriosi e non tra uno Stato vincitore della guerra ed uno sconfitto, come nel caso in esame", laddove, siccome l'evento dannoso non è attribuibile allo Stato italiano, la somma che può essere richiesta ha soltanto natura indennitaria.
La Corte di Trieste ha quindi osservato che manca in ogni caso uno specifico motivo di appello avverso l'affermazione, contenuta nella sentenza del Tribunale, circa, da un lato, l'omessa allegazione, da parte degli attori, dei necessari e concreti elementi di calcolo per esprimere una valutazione sull'insufficienza del compenso corrisposto a titolo di indennizzo e, dall'altro, il carattere soltanto esplorativo della richiesta consulenza tecnica d'ufficio.
4. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello A. E. e le altre parti indicate in epigrafe hanno proposto ricorso, con atto notificato ed il 13 febbraio 2013, sulla base di quattro motivi.
Hanno resistito, con controricorso, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'economia e delle finanze, proponendo a loro volta ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, cui hanno replicato, con controricorso, i ricorrenti in via principale.
In prossimità dell'udienza la Presidenza del Consiglio e il Ministero hanno depositato una memoria illustrativa.

Motivazione

1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell'Accordo italo-jugoslavo del 18 dicembre 1954, reso esecutivo ai sensi del D.P.R. 11 marzo 1955, n. 210, nonchè dell'Accordo di Osimo, reso esecutivo con la L. 14 marzo 1977, n. 73), i ricorrenti in via principale contestano l'affermazione secondo cui l'evento dannoso non sarebbe attribuibile allo Stato italiano. I ricorrenti osservano che la Jugoslavia espropriò sistematicamente tutti i beni delle persone fisiche e giuridiche italiane siti nei territori ceduti dall'Italia in base al Trattato di pace e nella zona B del territorio libero di Trieste, il tutto in violazione del Trattato di pace del 1947, e lamentano che con l'Accordo italo-jugoslavo del 18 dicembre 1954 i beni dei cittadini italiani vennero inclusi nel pagamento delle riparazioni belliche. La particolare posizione giuridica dei beni italiani nei territori ceduti, assicurata dal Trattato di pace, non avrebbe avuto alcuna contropartita per i loro proprietari.
L'Italia - osservano conclusivamente i ricorrenti - sarebbe obbligata, in base al Trattato di pace, a indennizzare i beni confiscati e nazionalizzati, tanto più che la legge di ratifica dell'Accordo di Osimo prevede che gli indennizzi siano "equi ed accettabili".

Con il secondo mezzo del medesimo ricorso (violazione ed erronea applicazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU) si sostiene che, a fronte della privazione della proprietà degli immobili subita dai ricorrenti, il pagamento dell'indennizzo previsto dai provvedimenti legislativi adottati nel corso degli anni è intervenuto "in misura irrisoria e ridicola a distanza di quaranta o talora cinquanta anni dalla perdita, dando così vita ad un comportamento illecito, perchè concretantesi nella effettiva privazione del diritto esistente nell'ordinamento italiano in capo ai soggetti interessati". Il pregiudizio subito dagli esuli giuliano- dalmati sarebbe sproporzionato ed eccessivo, avendo essi pagato con i loro beni un debito appartenente all'intera collettività nazionale ed essendo l'indennizzo, ad essi corrisposto dopo lungo tempo, del tutto simbolico.
Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2059 cod. civ. per il mancato riconoscimento del danno morale causato dall'illecito comportamento dello Stato italiano.

2. - Il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso principale - da esaminare congiuntamente, stante la loro connessione - sono infondati.
2.1. - Queste Sezioni Unite (sentenza 28 aprile 1964, n. 1017; sentenza 18 settembre 1970, n. 1549) hanno già chiarito:
- che con il Trattato di pace fra l'Italia e le Potenze Alleate ed Associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, ed al quale è stata data esecuzione con il D.Lgs.C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1430, veniva assegnata alla Jugoslavia una parte dei territori acquisiti dopo la prima guerra mondiale, tra i quali l'Istria, Fiume, Zara ed alcune isole dalmate; veniva poi costituito il territorio di Trieste, diviso in zona A e zona B, quest'ultima affidata all'amministrazione militare della Jugoslavia;
- che l'art. 79 del Trattato, nel regolare la sorte dei beni italiani posti nel territorio degli Stati ex nemici, attribuiva a questi ultimi il diritto di confiscare detti beni, in relazione alle pretese vantate, per l'ammontare delle riparazioni di guerra, contro lo Stato italiano e i suoi cittadini;
- che lo stesso art. 79 eccettuava, però, dalle disposizioni ivi dettate i beni dei cittadini italiani situati nei territori ceduti (punto 6, lettera f), rinviando per essi all'allegato 14^;
- che l'allegato 14^ poneva il diverso trattamento al quale dovevano venire sottoposti i beni italiani di quei territori, prevedendo per essi, su un piano di parità, lo stesso regime applicato ai diritti dei cittadini dello Stato successore;
- che, tuttavia, il Governo della Jugoslavia, in applicazione di una propria politica di nazionalizzazione, procedette all'espropriazione anche di beni appartenenti a cittadini di nazionalità italiana;
- che seguirono Accordi (il 23 maggio 1949, il 23 dicembre 1950, il 18 dicembre 1954) tra l'Italia e la Jugoslavia (approvati e resi esecutivi con la L. 10 marzo 1955, n. 121, con la L. 10 marzo 1955, n. 122, e con il D.P.R. 11 marzo 1955, n. 210), con cui fu posto in essere un particolare congegno a mezzo del quale, invece d'indennizzare singolarmente i proprietari dei beni nazionalizzati, la Jugoslavia, operata la compensazione con il debito bellico, si impegnava a versare l'indennizzo al Governo italiano;
- che le leggi interne (L. 5 dicembre 1949, n. 1064, recante "Denuncia dei beni, diritti ed interessi italiani situati nel territorio della Repubblica federale popolare iugoslava"; L. 8 novembre 1956, n. 1325, avente ad oggetto "Corresponsione degli indennizzi ai titolari di beni, diritti ed interessi italiani nei territori assegnati alla Jugoslavia"), con le quali lo Stato italiano regolò la liquidazione degli indennizzi ai cittadini ex proprietari di beni nazionalizzati, costituirono l'applicazione degli accordi internazionali suddetti, nel senso che disciplinarono la distribuzione, fra gli interessati che ne avevano diritto, dell'indennità complessiva che il Governo italiano, agendo nell'interesse sostanziale dei suoi cittadini, aveva ricevuto da quello della Jugoslavia.

2.2. - E' in questo quadro che si inserisce il Trattato di Osimo tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia del 10 novembre 1975, reso esecutivo con la Legge di autorizzazione alla ratifica 14 marzo 1977, n. 73, prevedente, all'art. 4, l'impegno dei due Governi di concludere, "al più presto possibile", "un Accordo relativo ad un indennizzo globale e forfettario, che sia equo ed accettabile dalle due Parti, dei beni, diritti ed interessi delle persone fisiche e giuridiche italiane, situati nella parte del territorio indicata all'art. 21 del Trattato di pace con l'Italia del 10 febbraio 1947, compresa nelle frontiere della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, che hanno fatto oggetto di misure di nazionalizzazione o di esproprio o di altri provvedimenti restrittivi", poi seguito dal regolamento definitivo di tutte le obbligazioni reciproche, firmato a Roma il 18 febbraio 1983, reso esecutivo con la Legge di autorizzazione alla ratifica 7 novembre 1988, n. 518.
Le leggi interne, nel dettare nuove disposizioni di compensazione in favore dei cittadini italiani per i beni perduti in territori già soggetti alla sovranità italiana, hanno previsto: (a) la corresponsione, a saldo definitivo di ogni ulteriore pretesa o diritto, di un indennizzo determinato mediante valutazioni con riferimento ai prezzi di comune commercio correnti al 1938 nei territori in cui erano situati i beni stessi, moltiplicati per il coefficiente 200, detratti eventuali anticipazioni o indennizzi parziali percepiti (L. 5 aprile 1985, n. 135, art. 8); (b) il pagamento di un ulteriore indennizzo nella misura indicata nella tabella A annessa alla L. 29 marzo 2001, n. 137.
2.3. - Il diritto all'indennizzo previsto in favore dei cittadini italiani per i beni, ad essi appartenuti, situati nei territori ceduti alla Jugoslavia in base al Trattato di pace del 10 febbraio 1947, ed ivi sottoposti, dal Governo jugoslavo, a misure di nazionalizzazione o di esproprio, integra certamente un diritto soggettivo della parte nei confronti della pubblica amministrazione, come è stato costantemente riconosciuto da queste Sezioni Unite (da ultimo, sentenza 18 novembre 1997, n. 11436); ma ciò, se esclude la discrezionalità della pubblica amministrazione nella liquidazione dell'indennizzo, non limita le scelte del legislatore ordinario nella determinazione della misura dello stesso, trattandosi di intervento ispirato a criteri di solidarietà della comunità nazionale, non collegato ad un obbligo di natura risarcitoria per un fatto illecito, imputabile allo Stato italiano, preesistente alla legge speciale (Sez. 1, 1 aprile 2003, n. 4923; Sez. 1, 7 giugno 2007, n. 13359). Il diritto all'indennizzo per la perdita di quei beni, in altri termini, trova nella legge, unitamente alla sua fonte, i suoi limiti: come tale, esso non è indipendente dall'intervento "costitutivo" del legislatore nell'esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della misura e delle modalità di erogazione delle provvidenze, nonchè della loro gradualità, in relazione a tutti gli elementi di natura costituzionale in gioco, compresi quelli finanziari, la cui ponderazione rientra nell'ambito della discrezionalità del Parlamento, salvo il principio della parità di trattamento e l'obbligo di tener conto degli importi versati, a seguito di accordi internazionali, dallo Stato jugoslavo al Governo italiano per effetto di quelle espropriazioni.
Ne consegue che la pretesa dei ricorrenti di vedersi riconoscere dallo Stato italiano, per l'espropriazione da parte del Governo jugoslavo dei beni situati nei territori ceduti a seguito del Trattato di pace conseguente agli eventi bellici del secondo conflitto mondiale, un indennizzo pieno, ancorato al valore venale attualizzato di quei beni, o un risarcimento del danno, anche di natura non patrimoniale, non trova fondamento nel testo della normativa di settore.
2.4. - Nè viene in gioco, a carico dello Stato italiano, la garanzia, prevista dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia A dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che l'importo dell'indennizzo accordato per la privazione della proprietà sia ragionevolmente in rapporto con il valore del bene. Poichè la privazione dei beni dei cittadini italiani si è verificata ad opera di uno Stato straniero (la Jugoslavia), al quale il territorio sui cui essi si trovavano è stato ceduto dall'Italia, soccombente nel conflitto bellico, a seguito della firma del Trattato internazionale di pace, l'assicurazione della pienezza dei diritti patrimoniali degli istanti non può essere richiesta allo Stato italiano, che delle violazioni di quei diritti non è l'autore, essendo la presente vicenda diversa da quella su cui la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo si è pronunciata, il 22 giugno 2004, nel caso Broniowski c. Polonia, riguardante la frontiera orientale della Polonia ed i beni al di là Bug, nel quale gli "accordi delle Repubbliche" (conclusi tra i Comitati polacchi di liberazione nazionale e le vecchie Repubbliche socialiste sovietiche di Ucraina, del Belarus e di Lituania) avvennero nel contesto di un differente esito bellico e con l'assunzione, da parte dello Stato polacco, di una specifica obbligazione di risarcimento nei confronti dei propri cittadini.

3. - Per effetto del rigetto del primo, del secondo e del quarto motivo resta assorbito l'esame del terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 115 cod. proc. civ.), il quale - nel denunciare la violazione della normativa in materia di onere della prova sul rilievo che, come già fatto presente con l'atto di appello, l'irrisorietà di quanto erogato a favore dei ricorrenti sarebbe facilmente riscontrabile anche in virtù del fatto che si tratta di circostanza a tutti nota - si dirige contro una ratio concorrente che sostiene la sentenza impugnata.

4. - Il rigetto del ricorso principale comporta l'assorbimento del ricorso incidentale della Presidenza del Consiglio e del Ministero, espressamente condizionato (con cui si deduce, per un verso, l'assoluto difetto di giurisdizione, sostenendosi che le parti avrebbero attribuito la lesione dei loro diritti non tanto al provvedimento ablativo, di volta in volta individuato, adottato dalle autorità jugoslave nei territori allora alle stesse sottoposti, quanto piuttosto all'attività degli organi politici dello Stato italiano; e si censura, per l'altro, il mancato accoglimento dell'eccezione di prescrizione, in violazione e falsa applicazione della L. n. 137 del 2001, art. 1 e dell'art. 2947 cod. civ.).
5. - Il ricorso principale è rigettato e il ricorso incidentale condizionato è dichiarato assorbito.
La complessità delle questioni trattate giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.
Poichè il ricorso principale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l'incidentale condizionato. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in via principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2014


 

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